*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 61548 *** AMALIA GUGLIELMINETTI LE SEDUZIONI LE VERGINI FOLLI _Con prefazione di_ G. A. BORGESE 18º MIGLIAIO TORINO-GENOVA S. LATTES & C., EDITORI PROPRIETÀ LETTERARIA TORINO — Tipografia VINCENZO BONA (13881). UNA POETESSA _Saffo dalle chiome di viola. Chi se l'immagina rediviva? I secoli l'hanno circonfusa in una nebbia leggendaria di ardente impurità. Immaginate dunque il suo spirito riemerso dall'onda Egea, trasmigrato verso un'ansimante metropoli moderna, vestito un'altra volta di membra giovanili e di panni che non ondeggiano intorno al libero corpo, come il peplo della fanciulla greca, ma lo stringono dentro una morbida guaina, come la moda di Parigi comanda. Non passeggia, circondata di alunne e coronata di fiori, sul margine delle rupi ascoltando il singulto del mare, ma solitaria e frettolosa, sepolta nell'ombra dell'immenso cappello piumato, sguscia nel trambusto crepuscolare della città rosseggiante sotto le lampade appena accese, prestando orecchio al confuso romorio delle cupidigie che si risvegliano nell'ombra. Brutta, come Giacomo Leopardi la pensò, ed amorosa della morte perchè respinta da un crudele Faone? No. Leopardi cercava ingenerosamente, per consolarsi, una compagna della sua miseria. Se gli occhi foschi e profondi di Saffo rediviva sogguardano dalle palpebre reclini, tutta la figura s'accende in un improvviso lampo di bellezza. Ma, se in fantasia l'accecate, se per un momento la considerate come una statua diserta dalla luce della sua passione e del suo dolore, ecco vi sorprende in quella femminilità non so che di troppo rude e mascolino ed aspro. Forse troppo larghe e potenti le mascelle, forse troppo secca e diritta la sagoma dall'occipite al tallone e troppo lunghe le dita ed un po' roca, come per un fremito perenne, la voce. Bella, ma di una bellezza aspra e funesta; immagine di nemica formidabile sebbene inerme, che soffre ella medesima della sua ostile solitudine, ma pur non sa piegarsi, e non vuole, ad amare come gli uomini vogliono essere amati. Abbandonandosi, minaccia; abbracciando, respinge. Ha un sorriso di felicità che sembra ghigno di scherno; se promette la fedeltà la sua promessa trema sulle labbra con la febbrile vibrazione della colpa. Non nasconde uno stiletto nella manica sinistra? E Faone non l'ama, quantunque ella lo cerchi con smisurato ardore. Ha paura. Non dello stiletto, ma dell'ardore con cui la donna l'ama. Preferisce le facili galanterie o i sonnolenti vincoli matrimoniali a questo vortice di fiamma, ove l'anima sua s'incenerirebbe. Passa oltre, desiderando e tremando. E passa oltre anche Saffo, non per osare il salto suicida dalla rupe di Leucade, ma per cantare, irridendo, un canto di selvaggia sfida e di crudele impudicizia._ _Io non so, nè credo che a questa immaginazione corrisponda la persona di Amalia Guglielminetti. Io parlo della sua poesia. In una incredibile concentrazione fantastica, questa fanciulla ha vissuto la vita della peggiore femmina moderna; amante, attrice, adultera, cortigiana. Essa ha letto, al chiarore perverso d'una lampada incerta, i grandi romanzi francesi._ _Romanzi letti con anima piena_ _di febbre, a notte, mentre in ombre il lume_ _ripeteva negli angoli ogni scena._ _L'amata emersa dalle trine a spume_ _e l'amante a' suoi piedi, ebbro di lei,_ _si sprigionavan molli dal volume._ _Illanguidiva i suoi grand'occhi rei_ _smaniosa d'amar la Bovary,_ _o con la barba a punta e con i bei_ _denti rideva fatuo Bel-Ami._ _Ed ecco la lettrice si trasfigura in protagonista. Che cos'è la donna vera e vivente? Una costola strappata dal fianco di Adamo. Essa è la materia plastica, nella quale la volontà mascolina si foggia la figura visibile del suo desiderio. Ester, Medea, Alceste, Lalage. Beatrice, Laura, Francesca. Ogni grande poeta ha fabbricato nella solitudine del suo sogno il simulacro dell'amore e della bellezza, perchè le donne viventi gli s'affollassero con ansia dintorno imitandone le fogge ed i modi. Sanguinaria e frodolenta affermatrice del sesso e della razza nei libri biblici, crudele dominatrice, “urna di tutti i mali„, nella primitiva immaginazione greca, sale o decade alla funzione di schiava domestica in Roma, che fila la lana incuriosa degli intellettuali splendori in cui folgoreggiano le venali nipoti di Aspasia. Le figure contraddittorie della superdonna, della sposa e della cortigiana s'incrociano ancora indecise nell'antica poesia, ma le letterature moderne si dividono nettamente il còmpito. Sorge in Italia la donna angelicata, la radiosa creatura di perfezione che “al ciel conduce„, e si chiama Beatrice, ma subito dopo s'umanizza alquanto in madonna Laura. Rimane ai tedeschi l'eredità di Giuditta, di Medea, perchè l'indomabile e perfida eroina rinasca nella Crimilde dei Nibelunghi e seicent'anni dopo generi un'intera prosapia di meravigliose criminali nell'opera di Hebbel è di Ibsen, cui non da lontano somiglia quella di Wagner. La pura e devota compagna dell'uomo soffre tessendo corone di disperata fedeltà nel dramma e nel romanzo inglese; mentre la letteratura francese, sviluppando l'esile germe che Catullo aveva deposto nelle sue tenere ed irose odicine a Lesbia civetta e bugiarda, dimentica le sottili smancerie di Gianfredo Rudel, seppellisce le taciturne e pazienti compagne dei paladini, ed elabora alla perfezione quella che per antonomasia si chiama la donna moderna: quella che Molière inventò in Climena per vendicarsi della moglie, quella che si chiama Jacqueline in De Musset e Michelle de Burne in Maupassant, che percorre col nefasto fruscìo delle sue sete la scena di mille drammi e di mille romanzi e strappa come gocce di sangue le rime al cuore di venti poeti lirici. Questa donna non ha ancora trent'anni, ma li ha quasi, è ricca ed ha un marito ricco, non è bella, ma splende di una grazia irregolare e capricciosa, non ama, ma si dà; non abbandona, ma tradisce. Non sposa e non cortigiana, non dominatrice nè schiava, ma semplicemente anarchica, essa è la donna libera nella famiglia costituita, la creazione più singolare della Francia, un incomparabile strumento di piacere, un inimitabile oggetto di lusso, un detestabile arnese di tortura. Bergeret l'ha chiamata “la parigina„. Essa è parigina di nascita ed è il segreto e palese tormento di tutte le provinciali, francesi od italiane che siano._ _Quando le donne si riconobbero in madonna Laura, ne vennero fuori i sonetti di Vittoria Colonna e di Gaspara Stampa; quando si riconobbero nelle candide spose shakespeariane, germogliarono le rime di Elisabetta Barret-Browning. Ma nessuna ebbe il coraggio di proclamarsi l'eguale di Beatrice Portinari. Ci voleva troppo orgoglio. E nessuna fin'oggi aveva osato di foggiare la sua femminilità secondo il modello della _Parigina_ di Becque. Era anche più arduo, perchè l'orgoglio non bastava senza un'inconcepibile dose di umiltà, essendo la donna francese una creatura dell'amore e del disprezzo degli uomini._ _Ecco ora Amalia Guglielminetti. La protagonista di _Notre Cœur_, ma più sensuale ed ardente, è uscita dalle pagine del romanzo, è divenuta poetessa, si canta e si confessa da sè, quale Guy de Maupassant invano l'amò. Poetessa di qual valore? Evitatemi la pena di tentare una comparazione. Costei è un'artista di tale strepitosa forza che bisogna lasciarla sola._ _Le _Seduzioni_ sono il romanzo autobiografico di questo tipo ideale di donna moderna. Romanzo senza intreccio; tutto quanto di momenti psichici, fissati in una settantina di strofe, ciascheduna di tredici versi ordinati in terzine._ _La protagonista vive nel suo sogno di folle giovinezza, solitaria e superba, senz'altra gioia fuor di quelle che ad ogni ora le finge la sua voluttuosa immaginazione. Non vale piangere, v'è la Giovinezza, sua unica amica che l'accompagna e la consola._ _Tenti la lode e mormori: — Sei bella!_ _e scherzi: — Hai sui capelli una corona..._ _e m'accarezzi come una sorella_ _finch'io non ti sorrida: — E tu sei buona!_ _Altre volte ella ha cantato pene d'amore, nei _Canti della Giovinezza_, nelle _Vergini Folli_, che attraverso l'aspra fatica del sonetto, in cui l'alunna di Vittoria Alfieri tormentava la sua cocciuta libertà subalpina desiderosa di classici freni, trasparivano i primi segni della futura perfezione. Aveva cantato la sua pura passione._ _Io piangevo così note d'amore_ _come la cieca in sul quadrivio, volta_ _al sole, canta il suo buio dolore_ _e non s'avvede che nessun l'ascolta._ _Ora non più; non più l'amore, ma l'indifferente ed ostile desiderio. La Primavera l'ha guarita:_ _Scossi da me l'antico e il nuovo danno_ _e balzai, folle di desii fugaci,_ _incontro al riso d'ogni bell'inganno:_ _gli risi coi notturni occhi: — Mi piaci!_ _Conosce ora il fascino degli occhi ignoti, che abbagliano con un vorace sguardo, conosce la gioia di mutare il vecchio laccio corroso con un nuovo laccio di fiori, e gli sguardi che son “come mani d'amanti, indugianti ignude entro un tesoro di feminee chiome„ e il silenzio adescante dei parchi solitarii e la tentazione delle gemme esposte nelle vetrine abbarbaglianti. Conosce la mano virile “lenta in ogni suo gesto, ma febbrile nella carezza quasi da far male„ e l'ebrietà dei profumi e la mollezza dei frutti rari e la frenesia del lusso e la soavità delle morbide stoffe iridate:_ _So l'ombra delle piume in cui la faccia_ _s'imbianca d'un languor di passione_ _in cui la bocca bella, benchè taccia,_ _parla parole di seduzione._ _Sente il calore soffocato delle voci che chiamano dall'ombra, l'oscura nostalgia delle sere cittadine, il piacere di sferzare l'orgoglio dell'amante, l'impura gioia di concedersi per carità. Ecco, una donna incrocia col passo lento dei due amanti la sua rapidità leggera, e li saetta di sotto il ciglio basso. Egli segue con l'occhio e col desiderio la passante, ed esclama: _Com'è bella!_ Essa lo lascia di scatto con un gran riso “d'ilare odio e di pietà beffarda„. Conversazioni astiose, congedi improvvisi, paci torbide, gelosie iraconde, menzogne voluttuose, capricci malvagi, avventure _sans lendemain_, ansie per la giovinezza che fugge, ricordi trepidi della purità conventuale, convegni notturni e letture proibite, desiderii dell'ignoto e languide convalescenze, segreti intimi e sogni inconfessabili: tutto il triste ed arido ed infecondo arrovellio d'una bella donna senza religione e senza cuore passa fissato in quadri di un'accecante intensità e d'una stupefacente bellezza d'arte:_ _Io non so chi tu sia: so che una sera_ _noi ci gettammo l'anima negli occhi_ _con l'impeto di chi brama e non spera._ _La ripigliammo cauti, quasi tocchi_ _da un dubbio, e ancora la scagliammo a segno_ _come la freccia cui convien che scocchi._ _Senza accostarci, senza altro disegno_ _che quello di guardarci ebbri d'amore,_ _ma disgiunti da un qualche aspro ritegno._ _Così il male durò. Più tentatore_ _d'allora, a tratti, il tuo volto m'abbaglia._ _Curiosità di te mi punge il cuore,_ _desiderio di te me lo attanaglia._ _Mi dispiace il verso, retorico e convenzionale, che ho sottolineato; ma, nel rimanente, la passione convulsa è costretta dentro argini di tale granitica solidità, che i poeti, non le poetesse, son pregati d'imitare, se sanno. E così è tutto il resto; quando la protagonista legge l'ultima lettera d'amore:_ _Balenan lampi nelle ciglia chine_ _della lettrice, e quando un mal represso_ _desio irrompe in parole ebbre alla fine,_ _ella ne freme come d'un amplesso;_ _e quando nelle vie crepuscolari segue, quasi invidiando, la cortigiana imbellettata; e quando ripensa alle glorie ed agl'innumeri amori delle attrici, e quando, deridendo un corteggiatore troppo timido, riepiloga in quattro versi adamantini il suo glaciale disprezzo per se medesima e per il suo sesso:_ _Ciascuna donna è come una via nuova_ _che alcun percorra in notte senza luna:_ _molte sorprese il passegger vi trova;_ _ma le affronta affidato alla fortuna._ _Pari e patta: anche una donna può considerare gli uomini come vili strumenti di piacere:_ _Poichè, se alcun le sue treccie ha disfatte_ _od impresse d'un morso la sua gola,_ _o lasciò le sue labbra più scarlatte,_ ella è pur sempre quella che va sola. _Con questa feroce dichiarazione si conchiude il poema. Al quale seguono taluni sonetti, più duri, più faticosi, meno precisi, lampeggianti anch'essi di tali bellezze che basterebbero da soli a rivelare un artista di prim'ordine; ma che, pubblicati in coda al poema, impallidiscono. Viceversa, non vale la pena di accennare alle strofe deboli e sbagliate che s'incontrano qua e là come isole di pigrizia in questo lucido fiume di poesia. Trapiantate in un mediocre volume di versi, le cose brutte della Guglielminetti vi farebbero esclamare balzando dalla seggiola: c'è qualcuno qui dentro._ _Annie Vivanti? Ma Annie Vivanti scherza col peccato, e si diverte un mondo a piroettare con biricchina indecenza per scandalizzare i seminaristi. Annie Vivanti è licenziosa; ma l'impudicizia della Guglielminetti è rigidamente vereconda. Perchè la corruzione fatta d'immaginazione più che di costume, e non di costume, è tragica, non è frivola. Annie Vivanti somiglia ad Olindo Guerrini; Amalia Guglielminetti somiglia alla cupa sensualità di d'Annunzio. Intendiamoci bene: somiglia a d'Annunzio per la materia. Ha letto l'_Intermezzo_, il _Trionfo_, la _Laus Vitae_ (ricordate? “altre, pallide e lasse, — riarse d'amore sino — alle midolle — perdute il cocente — viso entro le chiome — con le nari come — inquiete alette, — con le labbra come — parole dette, — con le palpebre come — le violette„). Anch'ella adora le quattro divinità celebrate nella _Laus_: Volontà, Voluttà, Orgoglio, Istinto. E nessun'altra. Gli somiglia pure nella forma, perchè la Guglielminetti, italianissima e classicissima, così classica che pare impossibile in una donna tanta precisione d'immagine, di parola e perfin d'ortografia, si ricollega al più recente maestro. Ma gli somiglia, a mo' d'esempio, come d'Annunzio somiglia a Carducci: per parentela di discepolo a maestro, non per identità d'imitatore a modello. La sua vorticosa originalità ha inghiottite ed eliminate tutte le influenze. E ne è balzato alla luce un miracolo di poesia._ _La forma del verso, del periodo, della terzina è, se volete, un po' troppo generica ed accademica; perfin troppo perfetta. Questa è la principale colpa della Guglielminetti. Ma l'anima che vi spira dentro è tutta sua e tutta nuova: l'amarezza del piacere, il fremito penoso del desiderio instancabile, la fosca penombra del sogno illecito non trovarono mai una espressione così austera nella sua impudicizia, così solenne nella sua futilità. Verranno i moralisti e le caste amiche a lamentarsi che tanto ingegno non sia messo al servizio del pudore e non produca libri da additarsi a modello di “composizione italiana„ negli educandati. La Guglielminetti non perderà il tempo a rispondere che la lascivia pornografica e ridanciana può essere indegna dell'arte, non la lascivia passionale, che, essendo dolorosa, esce purificata dalle sue stesse fiamme. Non ripeterà l'oziosa autodifesa di Marziale: _lasciva nobis pagina_... — i nostri scritti sono impudichi, la nostra vita è pura — ; poichè l'opera d'arte dev'essere accettata o respinta com'opera d'arte, e non malignamente travisata in un documento autobiografico._ _Essa è ben degna di riconoscere se medesima e di percorrere la sua via._ G. A. BORGESE. Da “_La Vita e il Libro_„. Editore Bocca. Torino. LE SEDUZIONI LE VERGINI FOLLI LE SEDUZIONI QUELLA CHE VA SOLA le seduzioni Colei che ha gli occhi aperti ad ogni luce e comprende ogni grazia di parola vive di tutto ciò che la seduce. Io vado attenta, perchè vado sola, e il mio sogno che sa goder di tutto, se sono un poco triste mi consola. In succo io ho spremuto ogni buon frutto, ma non mi volli sazïare e ancora nessun mio desiderio andò distrutto. Perciò, pronta al fervor, l'anima adora per la sua gioia, senza attender doni, e, come un razzo in ciel notturno, ogni ora mi sboccia un riso di seduzïoni. dolcezze Questo m'abbaglia un attimo e scompare, disperso in lieve polverio di fuoco che cade dietro i monti o dentro il mare. Solo una meraviglia di bel gioco e uno sprazzo di luce entro i miei occhi ne resta, che si spegne a poco a poco. Ma sembrami talora che mi tocchi una mano leggiera e di dolcezza viva l'anima chiusa mi trabocchi. E se cerco chi mai quella carezza tentò nell'ombra con la man furtiva, sorprendo la mia folle giovinezza che sorridendo, muta, mi seguiva. la giovinezza Giovinezza, a te sola io m'accompagno. Tu sai tacere quando son serena, sai parlare quand'io aspra mi lagno. Sai ammonirmi con la voce piena di blandizia: — Ma piangere che vale? Meglio cantar con voce di sirena. Mi baleni negli occhi un riso eguale al tremore d'argento d'una stella, meravigliando d'ogni mio gran male. Tenti la lode e mormori: — Sei bella! e scherzi: — Hai sui capelli una corona... E m'accarezzi come una sorella finch'io non ti sorrida: — E tu sei buona! CIÒ CHE FU l'antico pianto Quindi prosegua per cammini ombrosi, a fior di labbro modulando un canto che per me l'altra notte mi composi. Poichè talor non piango io il mio pianto, lo canto, e qualche mia triste canzone fu come il sangue del mio cuore infranto. Tempo fu che le mie forze più buone stremai in canti a' piedi d'un Signore che m'arse di ben vana passïone. Io piangevo così note d'amore, come la cieca in sul quadrivio, volta al sole, canta il suo buio dolore e non s'avvede che nessun l'ascolta. l'antico desiderio Seduzïone più d'ogni altra forte, prima d'ogni altra e più cruda fu quella per cui l'invito io ti sorrisi, o Morte. Per cui il desiderio che flagella la prima volta, sgomentò di muto stupor la mia verginità novella. E mi conobbi mani di velluto per le carezze lunghe, e per i nomi cari una voce dolce di lïuto. E sentii nella mia bocca gli aromi d'un frutto al morso cupido maturo. Ma l'acre impurità de' sensi indomi mortificai con il mio orgoglio puro. l'antico male Mortificai la mia anima schiava, ma sotto cruda sferza di sarcasmi l'incatenata più s'umilïava, più inseguiva per vane ombre fantasmi dolci d'amore, come chi per sete succosi frutti col desio si plasmi. E fatta a me nemica, con inquete pupille e voce roca e gesto asprigno snudavo l'ansie e le viltà segrete. Freddo disdegno chiuso in freddo ghigno m'oppose: — Donde vieni? E chi sei tu? Ed io invocai gemendo quel benigno sonno per cui non v'ha risveglio più. la guarigione Ma alle porte del ciel spiò il domani madonna Primavera, vïolette sciolte recando nelle cave mani. E colei che soffriva si godette un poco di quel riso mattinale che vestiva di fior tutte le vette. E un'erba o un fiore buono pel suo male, mossa a pietà, la bella maliarda forse le insinuò sotto il guanciale. Come un'inferma in cui vita riarda a poco a poco, io errai quasi leggiera per gli orti rosa, quasi già gagliarda cantando: — Grazie, monna Primavera! incertezze Pure, ancora di qualche trafittura tremavo, a guisa di convalescente ch'ogni indizio del suo male impaura. Non ben certa di me, trepidamente, il mio silenzio intimo ascoltando, mi premevo sul cuor le mani intente. M'indagai, mi scrutai, mi dolsi, e quando m'avvidi in qual tenacità d'affanno esasperavo un dubitar sì blando, scossi da me l'antico e il nuovo danno e balzai, folle di desii fugaci, incontro al riso d'ogni bell'inganno, gli risi coi notturni occhi: — Mi piaci! NUOVI INCANTI l'ingannatore Bevvi a piccoli sorsi la menzogna, come un filtro che induce fantasie fascinatoci al cuore di chi sogna. In ogni cosa io scoprii malie nuove. Talvolta perseguii la traccia di un dolce incanto per malcerte vie. Non riguardai l'ingannatore in faccia, per non tremar di oscura diffidenza nell'amoroso cerchio di sue braccia. Quegli blandiva: — Niuna sapienza che insegni vale un bel gioco che finga. E mi versava in cuore una sua essenza fatta d'ombra, d'amore e di lusinga. occhi ignoti M'inebbriai di sguardi fuggitivi, rapidi come il balenio di fiamma che guizza a notte per i cieli estivi. Conobbi dentro ignoti occhi la gamma torbida della muta cupidigia, che ravvolge ne' suoi vortici il dramma. V'opposi un mio disdegno d'alterigia, godendo di passar fra la schermaglia senza recarne su di me vestigia. Ma pur conobbi l'attimo che abbaglia, colsi a volo la lucida scintilla che scatta in fondo a un ciglio, come scaglia d'oro, e in un altro sguardo risfavilla. le nuove attese Attimi di bellezza, quando intera l'anima sopra un volto s'appalesa, siccome l'ostia dentro la raggera! Tutta raccolta nell'incerta attesa d'un qualche bene che sarà, che forse non sarà mai, fra due dubbi sospesa, già ignara d'ogni male che la morse, per la nuova catena che la tenta ella discioglie quella in cui s'attorse. E mentre intorno a' suoi polsi s'allenta il laccio che il suo pianto già corrose, l'illusïone, dolce anche se menta, glie n'offre un altro tenero di rose. INCITAMENTI mollezze Alle catene molli offrir per poco le mani, benchè sia leggiadro incanto, è per il chiuso cuor ben nuovo gioco. Ma lunga schiavitù già gli fu tanto grave d'affanni, ch'esso cerca il riso fugace, quel che non ritorna in pianto. Cerca in amore un bel razzo improvviso, un breve incontro di due eguali gesti, di labbra mute nel languor del viso. I desideri giova tener desti fin che il buon tempo dell'amor seduce. Prima ch'esso in un'ombra alta s'arresti berrò la sua meravigliosa luce. i doni Assai doni di gioia e assai di grazia sono offerti a chi vede ed a chi sente col bel fervor di un'anima non sazia. Nulla si nega a chi, senza nïente chiedere, con il suo sogno conquista tutto e v'imprime il suo suggello ardente. Così, il ciel più divino il buono artista dentro una tela piccola racchiude, per goderne egli sol, puro egoista. O ardor degli occhi che somiglia un rude gesto di preda, o sguardi che son come mani d'amante, indugïanti ignude dentro un tesoro di feminee chiome! avidità di vivere Avidità di vivere, tu ieri non vorace così mi strazïasti, e avrai domani morsi anche più fieri. I desideri tuoi, via via più vasti, temon che a farli spiriti di gioia giovinezza col suo fervor non basti. Temono ch'essa troppo presto muoia, e tagli loro i belli artigli e l'ali il tempo con la sua fredda cesoia. E m'incitano ardendo: — I beni e i mali tentar bisogna. Vivere si deve. Ama e combatti e odia e piangi e sali. La vita è chiusa nel tuo pugno breve. INDUGI fascini Colei che a un riso di seduzïoni tutta sola sen va, volgesi e gode or dei fascini belli ed or dei buoni. Talora si sofferma e una sua lode sorridendo susurra, ma sì piano, che niuno fuor del suo silenzio l'ode. Ascolta il mare urlar tragico un vano suo amore, oppur gioisce in numerare gl'intrichi delle vene in una mano. Sosta in ansia d'attesa al limitare d'un vecchio parco, oppur s'abbaglia al gioco d'arcobaleno delle gemme rare sotto rovesci calici di fuoco. al mare Al mare getta un dì sogni ed amori come l'altra sua amante solitaria gli getta fra due nubi fiori ed ori. E ride con la sua anima varia, mentre le spume in favolosi aprili fioriscon gigli fatti d'acqua e d'aria. Ella getta nel mar tutti i monili dei quali, per piacere a sè, si para la stoltezza dei cuori giovanili. E ride ancora, ma con bocca amara. Sul bene ch'ella non possiede più sembran le spume i fiori d'una bara e un poco di sè stessa è ormai laggiù. una mano Fu caro, un giorno, a quella che va sola sentirsi preso da una mano il cuore e averne un riso in bocca e un pianto in gola. Era una mano ambigua, di pallore femineo, di linea virile: mano bella di dolce ingannatore. Lenta in ogni suo gesto, ma febbrile nella carezza, quasi da far male, forte alla stretta da parere ostile. Forse in sue vene un fluido mortale fluiva ed ella con labbra voraci lo suggeva, e un sapor torbido, eguale a un acror di veleno era nei baci. vecchio parco Quasi in ansia d'attesa ora io m'attardo presso il cancello d'un antico parco, fra sbarra e sbarra acumino lo sguardo. Certo, qualcuno apparirà nell'arco verde-cupo che intrecciano le piante laggiù, ove s'apre nell'azzurro un varco. Una piccola dama in guardinfante del minuetto striscerà l'inchino ridendo a qualche incipriato amante? Seduzïone muta d'un giardino chiuso su l'ombra morta delle cose pel cui ritorno non v'ha più cammino, pel cui sogno non nascono più rose! perplessità Ieri io indugiai su quel punto che sta fra la saggezza e la follia, sospesa fra l'una e l'altra in gran perplessità. Amor sollecitava, aspro d'attesa, esauste tutte le sottili frodi, le insidie che trascinano alla resa. Ma, su l'incerto limite, i custodi spiriti della giovinezza chiara mi trattenevan con più onesti modi. Curiosità mi rise avida: — Impara! il Desiderio: — Tenta! — m'incitò. E all'una e all'altro la superbia amara di quella che va sola disse: — No. TENTAZIONI le gemme Seduzïone aspra di gemme e d'ori sotto accesi convolvoli rivolti a versarvi o a riceverne i fulgori. Dietro il cristallo han palpiti raccolti i tesori e colei che vi si attarda sopra v'allarga i suoi grand'occhi stolti. I solitari di bell'acqua guarda, com'Eva guardò gli occhi del serpente raggianti la promessa maliarda. Riflette sotto il battito frequente de' cigli la freddezza imperiale degli smeraldi e l'iride sfuggente che balena nel cuore dell'opale. la meraviglia Incatenata dalla meraviglia, s'indugia ancora e il sangue dei rubini, forse, il pallor del volto le invermiglia. O perle opache, o bei fiori marini che le regine attorcono in collane su le grazie de' nudi alabastrini. Dolci turchesi ed ametiste strane prescelte ai fasti della liturgia, gemme per dita sacre e per sovrane. Gioie di nozze e prezzo di follia ch'offre amore a far sazia la sua sete..... Taluno che la riguardante spìa esce dall'ombra e tenta: — Che scegliete? cose maliose Male si tende il lucido tranello. Io ammiro, e per il mio spirito assorto più del possesso il desiderio è bello. Tutto mi piace. Con il volto smorto d'ebbrezza aspiro essenze in rare fiale, m'attira un frutto pendulo in un orto. Qualche voce nel cuore mi fa male tanto m'è cara, e qualche rosso occaso m'incanta con un suo drago che sale. Carezzo di mia man l'anse d'un vaso che con arte foggiò greca fucina, increspo l'onde morbide d'un raso, o gioco con le spume d'una trina. ELEGANZE le essenze Ora io mi dico: — Per ciascuna goccia d'essenza una fiorita di corolle offre la sua bellezza appena sboccia. Carne di fiori d'un pallor sì molle da sembrar carne di delizia, nata in tepori di serra o in cima a un colle, uccisa a sommo della sua giornata e con lungo martirio, perchè tutta si doni, all'ombra e al sole macerata! Freschezza che si spreme e che si butta poi che stillò l'umor di cui viveva. Pura bellezza vegetal distrutta per far più impura la bellezza d'Eva! i profumi Nel solco di profumo che si scava talor fra il vario ansare d'una via quasi un languor voluttüoso grava. Ma il desiderio torbido si svia dietro l'ignoto passo che pel vano suo ardore allunga l'olezzante scìa, sfogliando un fiore, o sminuzzando un grano d'ambra, o stillando issopo e benzoino, già con altri confuso e già lontano. Fruscìo di seta, o palpitar di lino, o sviluppo di chiome, come odori, fiato che, quasi a notte da un giardino, da tutto un corpo tepido vapori! un frutto Ma il frutto che sul ramo si matura per la sete del suo coltivatore ha la bontà della bellezza pura. Non è vaghezza sterile di fiore nato al piacer dell'occhio e dell'olfatto, ma polpa e succo buono e buon sapore! Semplice è il frutto. Un riso di scarlatto sembra avvampar su la sua guancia tonda, per chi sa quale suo gioir, d'un tratto. Si dona, benchè un poco esso nasconda il rossor dell'offerta tra due foglie. Ma tutto splende, nudità gioconda, nella man che si tende e che lo coglie. le sete Io so la rigidezza delle sete garrule al passo. O vesti d'ave, bene riposte in grandi scatole segrete! So delle trine la mollezza lene, l'onda dei veli donde emerge il viso come da spume volto di sirene. So l'iride in mille iridi diviso perchè ogni donna la sua veste faccia del colore più adatto al suo sorriso. So l'ombra delle piume in cui la faccia s'imbianca d'un languor di passïone, in cui la bocca bella, benchè taccia, parla parole di seduzïone. SENSAZIONI una voce Una voce nell'ombra ha qualche volta la morbidezza calda d'una cosa tangibile. Non s'ode, non s'ascolta, ma sul cuor che l'accoglie quasi posa le sue parole ad una ad una, come, quando langue, le sue foglie una rosa. Se invoca piano, in ansia, un caro nome par che vi tremi il mal represso ardore d'un bacio non osato fra le chiome. E di soverchia intensità essa muore soffocata ed il pianto che l'assale sembra il principio dolce dell'amore, ed è l'inizio acerbo del suo male. la sera E quella che va sola ama sostare a vespro sotto cieli d'alabastro chiari ancora d'un lume che traspare. Guarda l'ombra affinar d'un vïolastro pallore i monti, e attraversare il cielo l'ultimo raggio come un lungo nastro. Poi, tutto andar sommerso dietro un velo su cui ansa, sgomenta d'esser sola, la prima stella, come un cuore anelo. Stella solinga, amara è la parola di chi ti dice: — Io sono come te! — di chi presso la notte si desola tanto, e non osa dirtene il perchè. la libertà Dono di gelo, libertà, che vali? Io vago, tratta da tue aeree dita, per tante strade, e tosto oblio per quali. Vado, e non so che strana ansia m'incita di luogo in luogo, sì che giunta a pena già mi sospinge a nuova dipartita. Nuova lusinga all'anima balena, l'attira con la sua dolce menzogna ov'è d'oro o di ferro la catena. Chi t'ha perduta, o libertà, ti agogna. Chi ti possiede non t'apprezza più. D'averti, alata scorta, si rampogna, e t'adopra a cercar la schiavitù. insegnamenti Ma amore in schiavitù più non mi vuole. Il despota gettò catena e sferza e m'addottrina d'ilari parole. — Quand'io v'incontro, — amabile egli scherza, — la prima volta, molto vi torturo, ma poco la seconda e men la terza. L'antico male col recente io curo, e il cuor v'agguerro sì che a poco a poco possa affrontarmi, sempre più sicuro. E poi ch'io osservo: — Assai perverso è il gioco, — no, — ribatte — è saggezza salutare. Quando il bimbo sentì l'ardor del fuoco, molto di rado tornasi a bruciare. OSTILITÀ un rancore Non so che sorda ostilità mi armasse ieri contro di te. Forse un rancore oscuro alla guerriglia acre mi trasse. Pareva che un sottile aizzatore incrudisse il mio riso ed il mio gesto, accosciato nell'ombra del mio cuore. Amore è il tuo avversario: non già questo che a tratti or sì, or no, fra noi balena, ma un altro, assai nel mio cuore più desto. Quel che fu dono non offerto, pena non detta, slancio trattenuto in me. Il vampo di follia, la vita piena in cui non mi travolse altri, nè te. una carità T'ostinasti a picchiare alle mie porte con il tuo cuor nella tua mano a guisa di pietra e a lungo mi chiamasti forte. E m'ostentavi la tua faccia intrisa di pianto, come un mendicante astuto, per più carpir dalla pietà improvvisa. Se a qualche carità, pregando aiuto, tu mi forzasti, non imaginare ch'io n'abbia al par di te molto goduto. Labbra pietose si fan spesso amare, più amare quando vinsero un ritegno per addolcire il cuore di chi appare dopo, ma tardi, d'ogni dono indegno. OMBRE doppio gioco Mentre parliamo di comuni cose leggere, tu via via a me t'accosti, pieghi su me con ciglia curïose. Quasi straniero ieri ancor mi fosti, or ci avvicina fredda cortesia, domani andremo per cammini opposti. Tu t'inchini su me, come chi spia, come chi è attratto a forza e intanto dici cose vane con grazia e leggiadria. Ma quando un gioco d'ombre tentatrici scopri, io abbozzo un sogghigno involontario. Tu indietreggi, e tra noi, fatti nemici, ondeggia blando il conversar più vario. gelosia Non so dov'ella era nascosta: forse in fondo all'ombra vacua degli specchi. Non la vidi ma il suo riso mi morse. Sottile mi vibrò dentro gli orecchi con qualche nota di canzonatura, parve squillar dietro gli arazzi vecchi. Così sentii l'ignota creatura di voluttà, la preda di lussuria, colei che imprime la sua traccia impura E di gelo restai sotto la furia del desiderio, mi difesi fiera contr'ella che rideva acre un'ingiuria, e contro chi gemeva una preghiera. un incontro La donna che incrociò col nostro passo lento la sua rapidità leggera, ci saettò di sotto il ciglio basso. Tu con l'occhio e il desìo la passeggera seguisti. Ella sparendo ebbe nell'anca una grazia perversa di pantera. Subitamente io vacillai, sì stanca che a te mi ressi. Mi pungeva il viso quel sottil gelo che le labbra imbianca. Ma già da nuova bramosìa conquiso, tu comentavi ancor: — Che malïarda! Di scatto io ti lasciai, con un gran riso d'ilare odio e di pietà beffarda. una prudenza Tronchiamo l'ansia che incrudì già quasi tra noi in febbre. Non ancor ci ha vinti amore, ci irretì gioco di casi. Non ancor per gli incauti labirinti del male ci guidarono le crude curiosità, ci attrassero gli istinti. Ciascun di noi nel suo intimo chiude buia tuttor quell'anima diversa che solo scopre il desiderio rude. Esso poteva smascherar perversa o fiacca o vile questa sconosciuta. Perciò quella che perdi, ancor sommersa nell'ombra, per prudenza, ti saluta. ONDEGGIAMENTI la felicità Ma quella che va sola ancora sa tratto tratto pel suo vagabondare trovar un'ombra di felicità. Oh! ma un'ombra così lieve che pare quella del pesco, quando primavera gli fa una veste di rosette amare. Certa non è se gioia era o non era, e a sera lo domanda ella a sè stessa sciogliendo adagio la sua chioma nera. O voce che dicevi sì sommessa: — Mi piaci! — o riso di perplessità, o mano che non parla ma confessa, eri o non eri la felicità? incertezze Forse non eri, perchè tanto triste a notte, con il volto nel guanciale io piansi molte lacrime non viste. Non eri, perchè ancor di non so quale spasimo, di non so che interïore morso nel seno il cuore mi trasale. Quasi per un gran male di languore il sangue mi ristagna nelle vene, come nei polsi inerti di chi muore. Non eri. E chi su le mie ciglia piene d'ombra, socchiuse sul pensiero vano, chi senza passi e senza voce viene così dolce a chinarsi e così piano? qualche amarezza Tu ieri con le tue pallide mani per altre donne ancor sfogliavi rose, per altre già ne sfoglierai domani. Oggi la tua sottile arte compose per me una lieve ghirlandetta molle da scomporre con dita desïose. Insieme noi sfacemmo le corolle soavi per estrarne ogni dolcezza, per gustarla con bocca un poco folle. Pure, non so da chi, qualche amarezza mi viene: forse dalla donna ignota che sentirà domani la carezza del tuo respiro sopra la sua gota. la rivale Ella m'è ignota, anche la sua effigie m'è ignota, ma la imagino felina nei gesti lenti e nelle iridi grigie. Forse per via già mi passò vicina, e in quel momento mi percorse diaccia del brivido la scossa repentina. Talor la vedo dietro la tua faccia, la spìo ne' tuoi occhi e nel tuo riso, sento la forma sua fra le tue braccia. Allora su l'enigma del tuo viso sfogo in carezze un'ira vïolenta, fin che certa non sia d'avervi ucciso quella parvenza sua che mi tormenta. schermaglie Sogghignare io potrei di te, dell'altra donna lontana a cui forse ritorni, toglierti a lei con sottigliezza scaltra. Ma non voglio. Va pure. Verran giorni soli a me sola e avran cappe di ghiaccio e poi saranno di vïole adorni. Ed io com'essi muterò. Ora faccio ira a me stessa, perchè ho in gola un roco lamento e solo per orgoglio taccio. Un giorno anch'io saprò, ridendo un poco, dire a colui che molto amore agogna: — ti voglio bene! — dirglielo per gioco, perchè gioisca della mia menzogna. la menzogna La menzogna è così cara talvolta: sembra una donna di molt'arte esperta che per bontà sa fingersi un po' stolta. Le piace con la sua moneta incerta che d'oro ha solo una sottil vernice comprar le rose della gioia certa. Se falsa è la moneta essa non dice. Sembra d'oro e qualcuno illuderà sol anche un'ora d'essere felice. L'amor rifugge dalla verità, rara parola ha col pensier concorde. Man che carezza artiglio aspro si fa, bocca che bacia spesso a sangue morde. ORE FOLLI il capriccio E tu, Capriccio, genïetto rosa che svolazzi con ali di farfalla e un riso su la bocca desïosa, talvolta io ti sentii su la mia spalla lieve posare e un'avida parola colsi, al riparo dell'aluccia gialla. Fu qualche sera, quando d'una sola fiamma bruciano i nostri occhi e le stelle, e ci trema la voce, arida, in gola. Qualche sera in cui sembran così belle le labbra che si porgono e così molle l'odor delle rose novelle, ch'è duopo susurrare un dolce: — sì! un cuore Io intesi un cuore in fondo alla sua nicchia a colpi sordi palpitare, in fretta. Domandai: — È il mio cuore o il tuo che picchia? Noi l'ascoltammo urtare nella stretta sua cella, in ansia, come si dibatte forzata in prigionìa la passeretta. Ascoltammo con anime disfatte dalla dolcezza i palpiti concordi chiedendoci: — È il mio cuore o il tuo che batte? Udimmo rallentare i colpi sordi e tanto attenüarsi nel languore, che sospirammo, come chi si scordi di vivere: — È il mio cuore o il tuo che muore? notte Io vado nella notte alta al tuo fianco. Non so da chi, non so da che atterrita, spesso trasalgo e al tuo braccio m'abbranco. Ascendiamo io non so quale salita passo passo, e la notte è come un mare, come un'onda nel mar la nostra vita. Più non vedo il tuo sguardo tutelare vigilarmi nell'ombra. Su qual traccia, dove come perchè dobbiamo andare? Verso qual meta? La paura diaccia quasi nel seno il battito m'arresta... Ma tu mi levi fra sicure braccia, mi baci lento, mi susurri: — A questa. chi ti vuole Come non so, ma quando più son piene di grazia le mie ore e il cuor d'oblio, di volerti, non so come, m'avviene. T'aspetto, a un tratto, ed il tuo passo spio con tremor d'ansia e con fervor di fede, con la nuca già offerta al tuo desìo, al bacio che si sente e non si vede, l'insidïoso, quello che propaga dalla nuca il sottil brivido al piede. E m'avviene di volgermi con vaga meraviglia e di chiedermi: — Non c'è? E poi, mentre la prima ombra dilaga, premere a forza i miei singhiozzi in me. oblio Son qui raccolta in un oblio profondo contro il tuo cuore. Credo che ancor siamo nella vita, ma già fuori del mondo. So che tu mi desideri e ch'io t'amo, e tutto che oltre questo è gioia o pena o bene o male noi dimentichiamo. Ho il senso di volar su un'altalena vertiginosa, come fanciulletta balzavo nell'azzurrità serena. Ne discendevo con la gola stretta dal batticuore e con sperduti sguardi, come or che tu m'avverti: — Il tempo ha fretta di separarci, o amore. Andiamo, è tardi. INQUIETUDINI seguace V'era qualcuno, un tempo, non veduto, che ovunque mi seguiva, da vicino senza stancarsi, con un passo muto. La sera in qualche tacito cammino parevami sentir sui miei capelli rabbrividendo il suo profilo chino. Forse eran molli ali di pipistrelli che passavan su me con la prudenza trepida di leggeri polpastrelli. Io non sapevo, e m'affrettavo senza paura, ma non più tanto leggera, o volgevo con rapida movenza gli occhi a scoprire dietro me chi v'era. chi era Lo seppi un giorno: or presso ed or lontano me seguiva e la sua triste follia l'uomo che amore flagellava invano. Lo vidi ormare la mia stessa via, sostare alle mie soste, con il volto duro, e lo sguardo acuto di chi spia. Egli andava col suo cuore sconvolto pel desiderio fatto a sè tortura, nulla godendo e disperando molto. E non sapeva che la vana arsura me pur struggeva, che un'angoscia eguale fustigava la mia anima oscura, ch'io pur morivo dello stesso male. un grido Fui per chiamarlo: — O mio fratello, vieni! Non piangere per me quello ch'io piango per altri. Lascia ch'io ti rassereni. Ti tergerò le lacrime ed il fango con mani indugïanti in puri gesti. — Non t'amo, — ti dirò, ma: — ti compiango. Lascia che dal tuo incubo ti desti, per risvegliarmi io pure a poco a poco, fin che in noi di dolore orma non resti. Fui per dire: — Ed allor ci parrà un gioco degno di riso questo mal vorace... Ma in lui o in me non so che grido roco negò: — Non voglio! Il mio soffrir mi piace! DESIDERI vortice Noi ci fissammo, con un folgorio d'occhi tenace. Io so che in quel momento il cuore ti tremò del tremor mio. Eravamo seduti con il mento nella mano, in un'ombra di veranda, in qual tempo, in qual giorno, io non rammento. Rammento che giungeva a ondate, blanda, una lontana musica e che spesso ripeteva un motivo di domanda. A un tratto ci trovammo così presso da provarne vertigini, e smarriti impallidimmo del pallore stesso come su un buio vortice che inviti. un addio Folle è lasciarci, tutti accesi ancora di desiderio, ancor pronti a godere di tutto ciò che l'un dell'altro ignora. La volontà che tiene prigioniere le nostre giovinezze le flagella, per farle in solitudine tacere. Ma più le volge incitatrice a quella gioia non mai gioita, che la morte pur ci farebbe nel suo riso bella. Più dolce sorte è la comune sorte: darsi con umiltà l'un l'altro, ciechi. Abbandonarsi al vortice più forte e dirsi dopo un breve addio, senz'echi. l'ignoto Io non so chi tu sia. So che una sera noi ci gettammo l'anima negli occhi, con l'impeto di chi brama e non spera. La ripigliammo cauti, quasi tocchi da un dubbio, e ancor la scagliammo a segno, come la freccia che dall'arco scocchi. Senza accostarci, senza altro disegno che quello di guardarci ebbri d'amore, ma disgiunti da un qualche aspro ritegno. Così il male durò. Più tentatore d'allora, a tratti, il tuo volto m'abbaglia. Curiosità di te mi punge il cuore, desiderio di te me lo attanaglia. INFERMITÀ la crisi Il morbo s'iniziò fra due sorrisi, in un languore, s'incrudì in un male vïolento, toccò l'estrema crisi. Parossismo d'amor cieco che assale la pazïente e la travolge, quasi ad uno stato di demenza eguale. Dal cuor sconvolto irruppero le frasi inconsulte ed il pianto acre. Il dolore contorse i polsi dalla febbre invasi. Da queste crisi stritolato il cuore esce, come da macina esce il grano. Fatto diverso, muto di stupore, s'ascolta, balza, si ritrova sano. la convalescenza Sano, ma ancora un poco stanco, ancora debole di quel grande struggimento ch'ogni vigor di buon sangue divora. Convalescenza, invermigliarsi lento delle labbra già tinte di vïola, ribalenar dello sguardo già spento! La risanata, sola con sè sola, resta, si guarda intorno: — Fui malata? — dice, e ascolta suonar la sua parola. Dice: — Ricordo! — e i grandi occhi dilata. — Ieri un nemico m'ha contorto ed arso le carni e il cuore. Assai m'ha strazïata! Ma il mio male guarì. Egli è scomparso. pallore Oggi mi trovi pallida, ma sai che un poco sempre io son pallida. È strano come il mio volto non s'accenda mai. Solo la bocca un fior di melagrano sboccia sotto il tuo bacio, e il cuore pulsa, — oh così forte! — sotto la tua mano. Ma goda o soffra l'anima convulsa, il marmo della fronte non confessa gioia di amore o strazio di ripulsa. Quando più sfatta io piego su me stessa, più s'impietra la maschera del volto. Ma allorchè cedo, dall'angoscia oppressa, piango non vista il mio pianto raccolto. VORAGINI l'etèra Io t'ho seguita, sotto i primi lumi rossastri d'una sera cittadina, pallida etèra grave di profumi. E parvi la falena che s'ostina intorno ad una lampada notturna, sempre più attratta e sempre più vicina. Curiosità di male, taciturna, mi trascinò nell'orbita di quella ch'era del male più goduto l'urna. Colei che attira asseta arde e flagella, l'ombre accendeva di sua rossa chioma, e molle andando, alla falena snella vampava della sua carne l'aroma. multiforme Tu hai mill'anime in una, o multiforme. Innumeri tumultuano i cuori dentro il tuo cuore piccolo ed enorme. Ognuno sa com'odi e come adori, avventuriera arguta della scena, ognun sa come vivi e come muori. O bramata dagli uomini, una vena fragile del tuo polso assai più forte li allaccia della più salda catena. E quando ti atterrò sfatta la morte dinanzi a folle cupide di te, la voluttà su le tue labbra smorte bevono nelle alcove d'oro i re. l'abisso Dissero: In questo punto ella gettossi nel vuoto; agonizzò pochi minuti laggiù, ove i sassi appaiono ancor smossi. China, io sentii tutti gl'inviti muti, gli assorbenti richiami degli abissi, il vortice che afferra gli sperduti. La vertigine tragica con fissi occhi d'acqua verdognola ipnotizza sotto capelli d'alighe prolissi. L'oblio, dal fondo, svolgesi e si rizza con le sue braccia d'ombra arcate a culla, e con la bocca di vampiro vizza sugge il male a chi piomba ebbro nel nulla. PROFILI un discreto Troppo discreto. Amore non s'afferra con timidezza trepida di gesti ma con sagace strategia di guerra. Quando ore ed ore mediti pretesti a sfiorar con la tua mano la mia, una pietà pensosa in me tu desti. Più che languire di malinconia o disperare di sconforto giova spronar d'orgoglio l'anima restìa. Ciascuna donna è come una via nuova che alcun percorra in notte senza luna. Molte sorprese il passegger vi trova, ma le affronta affidato alla fortuna. un pauroso Mi temi: tale è la ragione oscura per cui mi sfuggi armato di corrucci mascherando di sdegno la paura. Nè io posso, a evitar che tu ti crucci, celar lo sguardo mio che ti fastidia e t'inquieta in ombre di cappucci. Io non tramo alla tua pace perfidia di tranelli. Guerrier di buona scuola sa che a fuggiasco non si tende insidia. Pur: — fuggiasco — non è giusta parola. Più somigli a un bizzarro palafreno che spesso adombra e in pazza corsa vola, ma ben s'ammansa con scudiscio e freno. L'INVITO l'attesa T'aspetto qui. La casa è ancora quella della mia infanzia, quella che mi vide occhi innocenti sotto bionde anella. La casa sa che tu verrai. Non ride non palpita e non trema essa. Mi pare di sentirtela ostile, aspra di sfide. Non te che corri con le labbra amare di sete a ricercar le mie, furtivo ladro d'amore, ella sperò ospitare. Troppo ella ha atteso, ritta sul suo clivo, il dolce sposo che, per chiara via giungendo, le annunciasse alto il suo arrivo e sul suo cuore mi portasse via. l'accoglienza T'odia per questa la mia casa antica. Da te delusa sotto il vecchio tetto t'accoglierà con fronte di nemica. Dirà: — Sviasti dal cammin più retto colei ch'io prediligo e mal risponde l'anima ingrata al mio vigile affetto! Ridimi, o amor, le tue risa gioconde perch'io non oda il lagno dell'offesa garrir fra uno svettare ampio di fronde. Vieni! Quel suo rimproverar mi pesa. Forse ormai vivo del mio stesso errore. Pure, io sento con lei che questa attesa tradisce un suo e un mio gentile amore. il saluto Tu verrai una notte alta, di luna, e prima di varcar le mute soglie bacerai le mie dita ad una ad una. Ti celerà la gran pianta che accoglie l'ombra sopra la porta e la rabesca con profili di rami erti e di foglie. Nell'aria ondeggerà l'essenza fresca de' fieni e odoreranno le mie chiome di quell'acre profumo che t'adesca. Tu giungerai a notte fatta, come un predatore bene esperto, ed io gemendo su la tua spalla il tuo nome ti dirò forse: — Ed or ritorna. Addio! BELLE ISTORIE i romanzi Pur t'insinui fra pagine di libri candide e nere, o riso di sirena subdolo, e come sottilmente vibri! Romanzi letti con anima piena di febbre, a notte, mentre in ombre il lume ripeteva negli angoli ogni scena! L'amata emersa dalle trine a spume e l'amante a' suoi piedi, ebbro di lei, si sprigionavan molli dal volume. Illanguidiva i suoi grand'occhi rei smanïosa d'amar la Bovary, o con la barba a punta e con i bei denti rideva fatuo Bel-Ami. le favole Ma non han sempre fascino perverso le belle istorie. Quante care favole ci empiron di prodigi l'universo! Bimbi, ricordo, in giro a tonde tavole, sotto velate lampade e velate voci di dolci narratrici avole. E la notte chinavansi le fate sul letto dei fratelli, e bei guerrieri baciavan le sorelle addormentate. Poi, nella torre alta dei Desideri, come la moglie pia di Barba-blù, una fu chiusa, ed io l'udii pur ieri gridare: — Anima mia, che vedi tu? il poema Più malïardo splende il bel poema dove lo squillo vario della rima come un riso febeo palpita e trema. Ogni verso è uno stel che reca in cima la sua corolla, e a tre a tre le intesse, sì che l'un fiore l'altro non comprima. Vi ride amor le sue vane promesse, o vi lamenta la mentita fede, o vi miete una sua sanguigna messe. E un gel mi guizza dalla nuca al piede pur mentre il tuo torbido amor m'adesca, s'io leggo qual pagasti aspra mercede pei baci del tuo Paolo, o Francesca. VIBRAZIONI un dubbio Son io giovane ancora, anima mia? I miei capelli ancor mi son mantiglia densa le notti di malinconia? Talor per questa strana meraviglia, notizia di me stessa a me domando con un solco di dubbio fra le ciglia. O giovinezza, io ho già scordato quando venisti a maturare in frutto molle in fior d'infanzia dal profumo blando. Tutta nuova da sue bianche corolle l'adolescente emerse allor, stupita. Or, con un riso leggermente folle, riconta che anno fu, su le sue dita. mattini Pensa: — Fu l'anno in cui lasciai le monache del mio convento? O l'anno avanti, o appresso? Tu, april, vestivi le tue rosee tonache. Insieme ci destammo in uno stesso mattino, tu con l'anima leggera, io col piccolo cuore così oppresso! Tu inverno, io bimba ci cullò la sera. Io aprii le ciglia fatta giovinetta, tu apristi i cieli, fatto primavera. Forse il succo di qualche vïoletta bistrò de' miei assorti occhi l'incavo... Ormai ero colei che sa ed aspetta e a qualche avido sguardo sussultavo. asprezze Aspra son io come quel vento vivo di marzo, il quale par crudo di geli ma discioglie la neve su pel clivo. Vento di marzo che agita gli steli pigri, scopre vïole in mezzo all'erba, scompiglia erranti nuvole pei cieli. Asprigna io sono e rido un poco acerba. Mordere più che accarezzar mi piace ed apparir più che non sia superba. Come il vento di marzo io non dò pace. Godo sferzare ogni anima sopita, e trarne l'ire a un impeto vivace per sentirla vibrar fra le mie dita. LE LETTERE il giardino segreto Carezze consumate nel pensiero, parole dette senza voce viva, intimità ravvolte di mistero! Lettere, orto occulto che coltiva per sè ogni donna: frutti per la sete, fiori per la narice sensitiva. E steli ch'ella sa intrecciare a rete ed erbe amare come le cicute ed ortiche che pungono segrete. Per l'amore che in sè portano mute, per i sogni ch'è dolce in lor trasmettere, per le menzogne di cui son tessute, un sottil sortilegio arma le lettere. lettere intime Giungono con un volto tormentato dalla fatica rude del vïaggio con segni, impronte, tracce in ogni lato. Ma dalla busta immune esce il messaggio e colei che lo attende a sorso a sorso lo gusta, come un dolce beveraggio. Qualche parola, a un tratto, il cuor le ha morso. — Ah! scherzi. — Fra le righe un riso fine guizza, quasi fra pause d'un discorso. Balenan lampi nelle ciglia chine della lettrice, e quando un mal represso desìo irrompe in parole ebbre alla fine, ella ne freme come d'un amplesso. lettere rese Anche talor si rendono i carteggi a chi li scrisse. Partono coperti di baci e tornan crudi di motteggi. Sembran figliuoli prodighi, inesperti, che rifanno il cammin già un dì percorso ricchi d'oro e di gloria, oggi deserti. Tornano a chi da sè li svelse. E a sorso a sorso, ancor l'amaro beveraggio s'assapora, con brividi pel dorso. Si stupisce: — Ma è mio questo linguaggio? Non più nostre, non più, sembran le frasi di follia. Ora il cuor s'è fatto saggio, forse, e l'amore è già lontano, quasi. LA VITA dimenticare Dimenticare! Balsamo d'oblìo che reca il tempo nell'incavo vecchio della sua palma con un riso pio. Il tempo è ammonitore. Anche un suo specchio porge a ogni donna e mormora un consiglio, mentr'ella vi si mira, entro il suo orecchio. Questa si sbianca in viso come un giglio, quella sorride d'arido disdegno, un'altra china il suo volto vermiglio. Dentro lo specchio io ho scoperto un segno piccolo, un solo, il primo, un'ombra ancora. Ma mi avvertiva il re del vecchio regno: — La vita vuole il suo tributo. È l'ora. il tributo Vecchio, lo so. Ma è grave quel tributo. Son lievi i sogni e sono dolci i giochi d'amore, anche per chi spesso ha perduto. La vita è grigia, e si consuma in pochi momenti attedïati dai doveri, fra i — no — imperïosi ed i — sì — fiochi. Ma i sogni, i miei amici lusinghieri, la sillaba che nega aspra non sanno. — Sì — mi diran domani, come ieri. E se talor mi traggono in inganno, l'un mi delude e l'altro mi consola, così che assai fraternamente fanno breve la via a quella che va sola. i sogni Dicono presso ad ogni fiamma fatua: — Che fuoco buono pe' tuoi freddi piedi! e: — Che cuor pel tuo cuore! — ad ogni statua. Cullano le mie noie: — O cari tedi — cantilenano in coro, — o rari mali per cui nessuno troverà rimedi! M'agitano sul capo un frullo d'ali e stupiscono: — Intendi? Chi è passato? Sarà morte con falce o amor con strali? Ma la voce sul mio sonno agitato attenuano, bisbigliano un saluto, zittiscono, e ciascun mi posa a lato e dorme fra le mie chiome sperduto. il domani Allora io sento l'ombra del domani ferma, in attesa, a canto al mio guanciale, col bene e il male chiusi entro le mani. Terrà nascosto la sinistra il male? E la destra terrà nascosto il bene? Quale a me vorrà mai porgere, quale? Ma per incerte strade il sonno viene a sussurrarmi: — Dormi, non pensare! — e a porre il dito sui miei occhi, lene. Dormi. Il domani ha forse l'ore amare strette nel pugno. Non pensare, è meglio. Scorda l'ombra che è là muta a spiare per balzar su te, pronta, al tuo risveglio. il desiderio Pur taciturno è il desiderio. Saggio sembra, ma in fondo alle pupille cova la vïolenza del suo cuor selvaggio. L'amore è sorda lotta, è dura prova per chi assai l'ama, e a molti impeti sciocchi avventa chi ben cerca e male trova. Questo imparò colei che smarrì gli occhi dietro i suoi sogni e ride ora, ma batte le ciglia perchè il pianto non trabocchi. Poichè, se alcun le sue treccie ha disfatte, od impresse d'un morso la sua gola, o lasciò le sue labbra più scarlatte, ella è pur sempre quella che va sola. SONETTI ROSSO E NERO NO Sillaba sola che vibrando scocchi come freccia dall'arco dell'orgoglio, teso a colpir colui che impone: — Voglio! se il desiderio in ira gli trabocchi. Sfida ed arma sì accesa dentro gli occhi di lampi di rivolta e di cordoglio, da ricondur, di tracotanza spoglio, l'uomo a implorare, curvo in sui ginocchi. Superbia pura della carne impura, potenza della debolezza, grido ch'è di vittoria e sembra di paura! Grido che il cuor segreto in sè smentì, timido lamentando: — O amore infido, era più dolce sospirarti: — Sì. SE VOI MORISTE Se voi moriste, io non verrei con mani colme di freschi fiori a dirvi addio, chè, per voi vivo, nel giardino mio troppi già io ne colsi e troppo vani. Io guardinga verrei, forse, il domani, con dentro gli occhi un cupo folgorio, a indagar come quel sonno d'oblio il vostro altero volto trasumani. M'indugerei, assorta in atto, china sopra il corpo raccolto nel sudario, sul pallor della faccia resupina. E m'attrarrebbe ancor, quanto la magica luce de' vostri sguardi d'avversario, quella inconscia di sè maschera tragica. CRUDELTÀ Tutte le donne che attrarrà la fresca tua bocca, come un saporoso frutto, lamenteranno il lor bene distrutto dalla dolcezza folle che le adesca. Tu sai foggiar del tuo bel riso un'esca abile a trascinar fra inganno e lutto qualche cuor che arderà, brucerà tutto prima che il tuo a intepidir rïesca. Maestro in crudeltà, fanciullo bello, sei pure, così dolce nella sfida, così fiero di colpi nel duello. Lusinghevole in trar fra le tue spire quella che voglia piangere ma rida, per trastullarti con il suo soffrire. LA PAROLA Tu m'osservi: — È sì dolce quando tace la tua bocca, se ride così arguta. Ma perchè quando parla si trasmuta ed è più amara quanto più loquace? Sol fatta di silenzio è la mia pace, vigila il cuore se la bocca è muta. Se parla, in suono, in voce, va sperduta quell'intima armonia che in me ti piace. La parola è un potere vïolento che mi strappa una parte di me stessa e la disperde, come piuma al vento. Io vorrei, pur con bocca taciturna, veder l'anima mia in te riflessa, sentirmi chiusa in te come in un'urna. IL DESTINO La donna, con il volto fra le mani, nell'ombra di sua gran chioma raccolto, pensa: — Avrò ancora il mio nome e il mio volto fra un anno, oppur fra dieci anni, o domani? Darò la carne quasi fatta a brani a un figlio ancor nel suo mister sepolto, o isterilita, l'offrirò allo stolto desìo, all'arsura de' piaceri insani? Fragile donna, ella non sa, non vuole, non dispera: l'ignoto è un grande peso sul suo piccolo cuor che non si duole. È il suo destino orribilmente bello, sempre a un filo esilissimo sospeso: a un filo tenue come un suo capello. UN RITORNO I. Simili a sonaglietti aspri, dal vento scossi, o da mani assai lievi di gnomi, trillano i grilli, immersi negli aromi del prato, il loro ridere d'argento. A me che torno, trangugiando un lento veleno: amaro di disdegni indomi, dicon saluti e mi rivolgon nomi teneri, con il lor piccolo accento. — Folle sorella, ben ritorni a noi, ma quello che cercasti fra la gente, per terra e per mare, lo trovasti poi? Io non posso rispondere, o non so; mi butterei fra i timi acri e le mente per soffocarvi un disperato: — No! II. Rispondere non so, tanto son stanca, ma vorrei dire: — Andar, restar, che vale? Seco ha ognuno il suo bene ed il suo male, lo scorta il bene e il male gli si abbranca. Meglio forse sostar, chè più s'affranca dal duol chi sogna in una pace eguale, di chi poc'ombra con molt'armi assale e più la insegue quanto più gli manca. Ma ai notturni cantori poco assai giovano insegnamenti di parole, già qualcuno stupì: — Che pensi mai? Taccio e m'appar fra l'ombra alta lassù la buona casa, che con me si duole: — Da tanto aspetto. Non tornavi più! III. Da tanto aspetto! E dimmi ora: — Dov'eri? In abbandono la tua vecchia casa contava i giorni, da gran buio invasa, e sempre l'oggi somigliava all'ieri. V'eran nei nidi rondinotti neri, e già volaron via per la cimasa, la messe ne' tuoi campi già fu rasa e il lor frutto già dettero i poderi. Solo la vigna ancor non si spogliò, molti grappoli dolci essa matura per la sete che ancora ti restò. E anch'io rimango, fra i tuoi pini, qui, a consolar la tua anima oscura per la gioia che ancora ti sfuggì. IV. Ed io mi seggo sopra i suoi gradini, come raccolta presso i piè di un'ava. Narro sommessa: — Ieri io trascinava il mio mal per insoliti cammini, a piedi nudi, sotto i più turchini cieli, su sabbia calda come lava, rendendo quasi l'anima mia cava per accogliervi i suoni più divini. Cantava il mar con lunghe voci a me su l'onda rotta in pallide corone che va e che viene e non si sa il perchè. Più spesso m'esortava aspro: — A che mai tu scruti la mia immane passïone e quella breve del tuo cuor non sai? V. E all'orizzonte s'indugiavan vele quasi sospese fra due cieli chiari, quasi sommerse fra due calmi mari, tese, come all'amore anime anele. Le feriva un ardor quasi crudele di sole basso, un saettar di rari dardi diritti d'un fulgor di fari spruzzava d'oro le lor bianche tele. Poi le colmava l'ombra di non so che molli fiori, e mentre una spariva, scorgevasi ancor l'altra or sì, or no. Pareva ognuna un'anima che va, dopo un amor che la rïarse viva, a smarrirsi in sua fredda libertà. ABBANDONI UN INGANNO Poi ch'io concessi un'ora alle tue braccia l'illusïone di serrarmi intera, non gioirne. Dell'ora menzognera il molle riso dal ricordo scaccia. Io non vidi il pallor della tua faccia. Un altro volto dentro gli occhi m'era, diceva un'altra voce la preghiera lunga in cui par che l'anima si sfaccia. Non eri tu, ma un altro era. Il lontano. Io sentii nella tua bocca i suoi baci, le sue carezze sotto la tua mano. E soffersi fremendo un muto affanno, ma tu, fiso nei miei occhi mendaci, gioisti senza sospettar l'inganno. UNA DEDIZIONE Cómpiasi dunque ciò ch'è ne' tuoi voti. Io cedo, m'abbandono, m'annïento: tu, come impetüosa ala di vento, m'investi, mi travolgi, mi riscuoti. Voglio che la vertigine mi ruoti a torno a torno con fulgor di cento faci e la voluttà folle un momento m'arda, mi strugga sui suoi roghi ignoti. Più non m'apparterrò. Sarò la cosa chiusa nel pugno del dominatore, pel bene ch'egli spera e il mal ch'egli osa. Ma, calmata l'angoscia dei desii torbidi, tu, se non vuoi farmi orrore, fuggi, e il tuo volto ed il tuo nome io oblii. È TARDI È tardi ormai. In troppo lunga attesa mi sono esausta. Imagini mendaci a forza e in solitudine m'han presa, hanno imposto al mio cuore avido: — Taci! S'avvinghiarono a me quando protesa chiedevo amor con muti occhi voraci, sognando di morir senza difesa sotto furie implacabili di baci. È tardi. Torna vana ogni follìa per chi tutte le finse, a farsi lievi i giorni della sua malinconia. T'accendesti di larve. Or più non ardi, Desiderio. Al buon fonte più non bevi. Ti sazïasti di menzogne. È tardi. SOLILOQUÎ VAGABONDAGGI Vagar pel mondo, sole, ove ci spinga il capriccio del giorno o del momento, talor cagiona qualche smarrimento ma l'inquieta fantasìa lusinga, benchè curiosità spii la raminga e la tedi con suo sciocco comento, benchè, se un volto osservi ella fra cento, tosto una brama questo esprima o finga. Donna che un po' di gioia si procaccia peregrinando sola, per la gente da bene corre di venture a caccia. Qualche stolto che preda si presume viene a tiro. Ma passa ella e non sente, non vede. Guarda d'una stella il lume. L'ALTRO VOLTO Oltre lo schermo d'una lastra tersa m'interroga, mi scruta l'altro volto, e muta io indago lo stupor raccolto ch'esso dagli occhi troppo grandi versa. Da tempo, sempre egual, sempre diversa, o taciturna, io ti conosco, io ascolto il tuo pensiero vigile, da molto tempo il mio sguardo con il tuo conversa. Tu, chiusa nello specchio, mi somigli, sei forse un'altra me, ma sempre come una straniera, tu mi meravigli. Nuova mi resti e spesso tu, con tale pallor mi fissi in densa ombra di chiome, ch'io ti chiedo: — Chi sei? Qual'è il tuo male? LA CURIOSITÀ S'ama talor per folle passïone, più spesso per curiosità d'amore, per guardar da vicino il tentatore riso sottil della seduzïone. Il desiderio instabile ora impone impeto cieco, or languido torpore. Ma la curiosità viva è migliore incitatrice: essa ha più certo sprone. Punge, e colei che a qualche amore stolto di sè darebbe, per prudenza, un poco, curiosità sospinge a ceder molto. Cede vigile prima e cauta dona la curïosa, e poi ch'è nuovo il gioco e dolce l'imparar, vi s'abbandona. COMMIATO LA MIA VOCE La mia voce non ha rombo di mare o d'echi alti tra fughe di colonne: ma il susurro che par fruscìo di gonne con cui si narran feminili gare. Io non volli cantar, volli parlare, e dir cose di me, di tante donne cui molti desideri urgon l'insonne cuore e lascian con labbra un poco amare. E amara è pur la mia voce talvolta, quasi vi tremi un riso d'ironia, più pungente a chi parla che a chi ascolta. Come quando a un'amica si confida qualche segreto di malinconia e si ha paura ch'ella ne sorrida. LE VERGINI FOLLI ANIME sorelle... Sorelle, io errava taciti sentieri, scuri or nell'ombra ed or chiari nel sole, quando fanciulle in bianche lunghe stole m'accostaron coi lor passi leggieri. Chi avea negli occhi trepidi pensieri, chi labbra vaghe di leggiadre fole. A me ciascuna bisbigliò parole caute, svelando tenui misteri. Pareva ognuna un fiore di giunchiglia, uno stel di ligustro o di giaggiolo, e s'atteggiaron tutte a meraviglia poi ch'io: — Non so se buon destin vi manda — risposi. — A ognuna il suo segreto involo: ch'io ven sappia foggiar degna ghirlanda. le più lodate E le esaltai: — Lodate voi, Sorelle, dal puro giglio fra le pure mani, simili a incerti albori antelucani nell'ondeggiar delle figure snelle. Lodate voi, dagli occhi di gazzelle dolci, che un raggio abbaglierà domani, attonite a un fiorir di cuori umani come di rose in primavere belle. Ma più lodate voi, cui brilla al ciglio tremor di pianto, e voi che del più amaro sangue del cuor battezzerete il giglio. Più lodata colei che avrà premuto nell'anima il singulto e il sogno caro sola, nell'ombra del suo duolo muto. colei che tace Allora io vidi alcuna alzare il dito al labbro ed implorar con occhi mesti. Onde: — Sorella, — io l'ammonii, — con questi miei detti io forse un duolo oscuro irrito. Ma non ti turbi s'anche paia ardito il mio parlar. Ben più te ne dorresti s'io mascherassi sotto gaie vesti l'aspro mal ch'ogni gioia ci ha rapito. La voce mia la persuase a un riso lievissimo d'assenso. La sua diaccia mano mi porse reclinando il viso. — Sorella, — disse, — d'uopo è pur celarla questa ferita. È ben che occulta io giaccia: ma tu, per quel ch'io tacqui e piansi, parla. colei che dispera E parve un'altra uscir da un suo stupore di febbre, per pregar con voce spenta: — Anche per me tu parla. Ch'io risenta arder la voluttà del mio dolore, ch'io ascolti, pel tuo labbro evocatore, tremar questo desìo che mi tormenta, pianger la passione che sgomenta mi trasse a invidiar chi amando muore. — O disperata, a te sia pace. Oblia! — Io le invocai pietosamente. Ed ella: — Oblio cercando incontrerò Follia. Io baciai le sue mani e la figura esile sparve, come fra le anella di un gorgo nero, in sua capigliatura. il sereno canto Ma bionde treccie fulsero nel sole in serpentini avvolgimenti d'oro. Tinnule voci squillarono in coro: — Qui regna giovinezza e chi si duole? Sembravano fiorir da intatte aiuole queste, recando un candido tesoro nel cavo delle palme. I polsi loro venavan quasi tenere viole. Fecer corona di lor rosee braccia e cantarono insieme: — Amare, amare! Parean volar del sogno in su la traccia. Quand'una m'accennò ridendo: — Vieni! io negai, fisa al suo sguardo di mare. Non eran gli occhi miei tanto sereni. ignare Io mi ritrassi all'ombra d'un abete e al tronco scabro m'appoggiai, rivolta ad osservar quella leggiadra accolta aprir del cuor le dolci ali segrete. Avean movenze sì agili e discrete ch'ogni grazia pareva in lor raccolta. E poi che venner gaie alla mia volta, le interrogai: — Perchè d'amar chiedete? Sorriser tutte come a un sol richiamo, ed una disse: — Lieta cosa è amare, e se una gioia è amor, noi l'invochiamo. Io insinuai: — Amore mente, affanna... Sciamaron via e risero le Ignare gridando: — Ah taci! È bello anche se inganna! la rinunzia Ma quelle che già dissero pensose alla Rinunzia: — Avvolgimi in tuo velo, — fiorian dall'ombre, come l'asfodelo dai laghi immoti che le sponde han rôse. Fu forse il sogno a inanellarle spose? O l'errore, o il timore, o uno sfacelo d'illusioni, o un bacio aspro di gelo al — no — perenne il labbro lor compose? Videro il mio pensier su la mia fronte esse, e mi cinser con un mormorare lene d'acqua che sgorghi dalla fonte. — A che dischiudi suggellate porte? Ci è sì dolce in quest'ombra dileguare... Non è più vita e non è ancora morte. la fedeltà — La nostra è morte in vita, — allor sommesso gemette un lagno d'accorata voce. Con le mani sul sen foggiate a croce veniano altre, e con sì stanco incesso! Venian quelle cui fu tutto promesso, cui tutto in fior mietè la falce atroce, bianche tra i veli, sotto il lor precoce lutto, spiando l'ombra d'un cipresso. E le vergini vedove, le spose senza nozze, le sacre a una memoria d'amore, le fedeli dolorose sfilarono, funerea teoria, in attitudin di pietà scultoria, goccia a goccia gustando l'agonia. per amore Tanto più gaudiose innanzi agli occhi, tristi tuttor, m'apparvero le Amate, in tal figura d'anime beate ch'io me n'estasiai, muta, a ginocchi. — Questo fervor ch'è in noi sembra trabocchi, ne accenda, quasi lucciole d'estate. Più non risplendon torcie in sacre arcate che i nostri cuori da tal fiamma tocchi. Ed erano i lor detti luminosi, e i sorrisi e le fronti e gli occhi loro sì, ch'io parlando il volto mi nascosi. — Cantate tutti i canti verginali — dissi. — Già scende Amor con ali d'oro a celebrar con voi i suoi sponsali. disdegno Allor s'udì concorde tintinnare d'un lungo riso l'eco del vicino bosco. Ciascuna un gelo repentino lungo le vene si sentì guizzare. Parea vibrante d'ironie amare, freddo di sdegni il riso cristallino. Ripigliaron le Amate il lor cammino, ma un dubbio errava su le fronti chiare. L'ombra io esplorai. Sorpresi le ridenti disdegnose riunite a' piè d'un faggio, intente ad intrecciar fiori e comenti. Le udii: — Di un'aspra schiavitù si vanta quel folle stuolo. Il nostro cuor più saggio, ebro di libertà, ilare canta. mistiche Simili a gru, migranti ad oriente, trasvolavan le Mistiche, in sì mite, in sì celestial sogno rapite, ch'ogni atto lor ne sorridea eloquente. Del passato obliose, del presente inconscie, già viventi delle vite serafiche, già assunte alle infinite promesse, il cui promettitor non mente. Già le fronti raggianti, quasi incluse nell'aureola. Già le lunghe ciglia, quasi abbagliate dal fulgor, socchiuse. Già presso al limitar della vallea sacra, ove il re in clamide vermiglia dirà a ciascuna: — Veni Sponsa mea. pellegrine Come romei rivolti a' luoghi santi, sopraggiungean nuove pellegrine, ma simili a Valchirie ed a regine nel fiero ardor de' bei volti sognanti. Fissavan gli occhi e i desideri avanti lungo un raggio ascendente senza fine. Corone su le fronti alabastrine parean portar, corazze sotto i manti. Quella io accostai che meno assorta andava, e una stella additò essa al mio sguardo, incastonata nella volta cava. — Alta è la mèta e il dubbio ci sconforta, — sorrise. — Ma il voler sprona gagliardo. Lungo è il cammin, ma vigile la scorta. l'invocazione — O bianche pellegrine, m'accogliete nel vostro stuol. Se un male o una follìa dal mio cammino arido mi svia, voi saggie guide a stolto cuor sarete. Alacri ha il sogno l'ali. Irrequiete ma ben fiacche il voler. La lunga via deserta io temo. Anela ad ogni ombria mi fa sostare insaziata sete. Indugiarono a udir la mia preghiera le pellegrine, e con un parco gesto mi ammiser nella loro esigua schiera. Ond'io seguii le mie suore novelle, cercando in cielo con fervor ridesto il mio fior d'oro tra un fiorir di stelle. SPIRAGLI il convento Accoccolato a' piè della collina s'assopiva sereno il buon convento: noi no, chè dentro il suo cuor sonnolento eravam come rondini a mattina. Susurri e cinguettii l'ombra azzurrina degli alti muri confidava al vento quando, raccolto fra le palme il mento, obliavam la paziente trina. E chi aguzzava sguardi e fantasia a spiar se giungesse il cavaliere rapitore per qualche incerta via. Foggiava ognuna a sè la finzione più bella, e tutte con dita leggiere, tesseansi ori o fiori di corone. il risveglio Gli occhi tu apristi in una buia sera afferrata da un torbido sgomento, mentre il viale di tigli del convento piegava urlando sotto la bufera. Quasi un'anima nuova, prigioniera in te, gemeva un fievole lamento, si lagnava d'un male ignoto e lento, e un gran pianto piangea la notte nera. Su le bianche dormenti la fiammella vegliava, come un occhio appassionato sotto una fronte virilmente bella. L'adolescente in quel fulgor s'affise marmorea, ostil. Poi, l'angelo svegliato raccolse l'ali e al sogno umano rise. il mistero Al suo convento la novella sposa tornata un'ora, fra le giovinette compagne d'ieri, garrula sedette, franca nel gesto e nel narrar scherzosa. Ella pareva la corolla ch'osa sbocciar precoce e sola fra le vette dell'albero e turbar le timidette sorelle, chiuse in lor grazia ritrosa. Sì che ognuna nel suo intimo cuore tremava, riguardandola, d'un senso vago di meraviglia e di timore. E poi ch'ella partì, nel monastero s'effuse, tra l'usato aulir d'incenso, lo stupore confuso d'un mistero. notturno Ma tu non odi un timido picchiare, un ticchetto tenue a' tuoi vetri? Ascolta un poco: alcuno par che impetri, e fuori è buio, e le stelle son rare. Tutte han varcato le rondini il mare, chè temon dell'inverno i giorni tetri. Questa, innanzi che il gel tutta l'impietri, cerca rifugio: essa non può emigrare. Essa è ferita, e il sangue si raggruma goccia a goccia sul suo piccolo cuore, e il sangue è rosso fra la bruna piuma. Socchiudi: fuori infuria la bufera, ma presso a te che morbido tepore... Ah! tu non apri, e la notte è sì nera... il pianto Il pianto è la benefica rugiada che nell'ombra ogni nuova anima irrora. Gioia amara di quella che s'accora viatrice solinga in buia strada. Quando sul suo cammin non mai dirada la notte nè il timor, s'attarda un'ora la pellegrina e geme, e geme ancora fin che la sua più ardente stilla cada. Raccoglie allor le sue forze smarrite e prosegue. Dal ciel pendono mute le stelle, come lacrime impietrite. Sola prosegue, col suo cuore solo. Nè sa se le sue lacrime sperdute daranno un fior d'amore o un fior di duolo. l'ombra L'ombra furtiva, quasi in sè rattratta, che sta in agguato su la nostra porta, è pronta a ingigantir se resa accorta che il terror de' suoi biechi occhi ci abbatta. Cupida allora dal suo covo scatta, assale, incalza, è pungolo ed è scorta, fin che in ignoti bui l'anima porta per fosche vie immemore, disfatta. Paura del futuro, ombra che assalta colei ch'è sola, se acuì la vista per fissare una stella in ciel tropp'alta. Ombra che il voi d'ogni baldanza arresta, l'ignorar chi sarà e pur se esista il fido cuor su cui poggiar la testa. vigilia Grava su te, o insonne cuore, l'arco pensoso di tua bianca ultima notte: corta vigilia che il mistero inghiotte giungendo, ora per ora, a estremo varco. Tace ogni sogno e ascolta oppresso, carco d'un confuso timor, le ininterrotte voci dell'ombra, le parole rotte forse da un dubbio, l'ammonire parco. Nessuna ti racqueta o t'assicura, anima sbigottita, cuore pieno d'ansia, che aspetti ad una soglia oscura. Nessuna sa. Tu sola saprai tutto: se nèttare, se cenere, o veleno t'offra la vita in suo supremo frutto. il silenzio Ogni pensosa vergine si cinge del suo silenzio, come d'un velario, e d'ombre un ondeggiar tenue e vario con fantasia sottile vi dipinge. O vi s'impietra, irrigidita sfinge in muto enigma. O al suo cuor solitario ne tesse inviolabile sudario, fra aròmati d'oblio ve lo costringe. Grave è il sudario del silenzio, e il cuore che vi si avvolge desiosamente più non si desta da quel suo sopore. Pur, se a scoprirlo, con ben caute dita, ella s'attenti, ancor vede il dormente gemere sangue dalla sua ferita. sera di vento Dolce salire nella chiara sera, sola col vento che m'abbraccia, folle più d'ogni amor, la strada erta del colle fra un presagio lontan di primavera. Dolce, s'io pur di un'ironia leggiera mi punga, come chi desto da un molle sogno, se quasi già doler si volle, ride di sua stoltezza passeggiera. O breve inganno, io ben di te mi spoglio. Fatta serena, del destino il gioco senza umiltà io seguo e senza orgoglio. Ma mi figuro d'avanzar guardinga e curiosa, per gioir fra poco d'altra menzogna bella di lusinga. un'amarezza Quell'amarezza fu senza parola: ma l'assenzio ed il fiele ed il veleno, tutto ciò ch'è più amaro, dal mio seno saliva gorgogliando alla mia gola. L'angoscia che nessun bene consola più non mi urgeva. Sol d'amaro pieno era il mio sangue, nè veniva meno in me quell'onda lenta eguale sola. M'ammorbava il palato il suo sapore, n'esalava il disgusto la mia voce, come l'acredin d'un malvagio fiore. Pure, un mio riso ritrovai ancora: quel riso d'un amaro tanto atroce che stride in bocca e l'anima divora. la malinconia Dentro le vene la malinconia s'insinua, ed è un morbo sonnolento cui giova non trovar medicamento, uno stupor di morbida follìa. Il desiderio più tenace svia, smemora del più intenso sentimento, quasi vapori un greve incantamento d'oppio, in cui goda più chi più s'oblia. Essa è come un giaciglio, ove un'inerte stanchezza ci abbandoni svigorite, con le treccie disciolte e a braccia aperte. Ed ha il torpor d'alcune notti estive, in cui ci s'addormenta indolenzite dallo spasimo oscuro d'esser vive. al sonno Sonno soave, il tuo suggello nero sopra l'aride palpebre m'imprimi. Sosta a lungo su me, tu che sopprimi tedio di vita e male di pensiero. Fasciami di torpor, se il tuo mistero non ha asprezza d'aneliti che limi, se i più dolenti s'inabissan primi nel nulla d'un morire passeggiero. Non darmi sogni; lasciami in letargo giacer, con le tue dita sui miei cigli, sotto il tepor del tuo mantello largo. Se puoi, le dita sui miei occhi tieni fin che il Signore mio giunga e bisbigli al mio orecchio: — È l'aurora. Alzati e vieni! creta indocile Mi foggiò la natura in una creta indocile, e la vita non mi vide materia inerte fra sue mani infide, del suo pollice al solco mansueta. Perchè la vita sembra un fine esteta cui una strana fantasia sorride: ora l'opera plasma, liscia, incide; contr'essa or s'accanisce, ed or s'acqueta. Buona sorte ha per sè chi, ammasso informe, a' suoi bizzarri spiriti s'adatta, sopporta oppresso ed obliato dorme. Folle chi i nervi a più sentire affina, vigila, freme, ad ogni colpo scatta ed inerme a difendersi s'ostina. IL SIGNORE catene Signore, tu venisti con catene pesanti, come un despota. Sapevi ch'io invocavo per me quelle sì grevi che lunga impronta il polso ne mantiene. — Signore, — io allor ti dissi, — un qualche bene per questa dura servitù mi devi. E un riso schernitore tu ridevi, come chi vuol negar, ma si trattiene. Già m'avvinceva e mi turbava l'ombra dinanzi a cui la fuga è salutare, tanto di dubbi e di viltà c'ingombra. Ma io le spalle per fuggir non volsi, il despota affrontai, vidi cerchiare di sue catene i miei febbrili polsi. il male S'appiatta, a guisa d'aspide che dorme, dentro il più tortuoso penetrale del cuore, questo immedicabil male, lo soffoca talor, incubo enorme. V'imprime gravi e oscure le sue orme, sigle roventi del dolor vitale, che il calmo orgoglio del voler non vale a cancellar con le sue fredde norme. Se lo lambisce con insidiosa lingua, v'incita l'anelare muto che invan dissimulato arde e non posa. Ma, se lo morde, il cuor ch'è solo grida ad invocar perdutamente aiuto, perchè il mal violento non lo uccida. spirito ostile Io vi parlai con l'orgogliosa asprezza che quasi svela una nemica fiera. Pur s'appagava un desiderio, ed era pur quello un lungo sogno di dolcezza. L'ora più grave certo non s'apprezza; non s'annunzia quest'ora, passeggiera del bene, oppur del male messaggera; sorprende l'urto che non s'ode e spezza. Nè mentiva il mio accento di disdegno. Spirito ostile, cruda ragione io in voi conobbi a qualche occulto segno. L'anima si slanciò con ali pronte sospinta da sua mala illusione: ma urtò nel marmo d'una chiusa fronte. ebrezza Tenace cuor, le tue forze non dome, nè fatte già da assiduo impero ignave, in te risorgono, ribellate schiave, che alla tempesta scuotono le chiome. Torbido mal t'opprime e t'arde, come suggel di passione troppo grave; ma l'ami; esso è quasi l'aspra chiave d'una tua ebrezza, cui non so dar nome: Soffrir con gioia. Respirar la vita in sussulti d'angoscia. Lacerare senza pietà la propria ferita. E più goder di questo estremo affanno: che le tue grida tanto ardenti e amare a chi ti strazia mai non giungeranno. in cammino Io seguo il mio cammin, cieca, a tentone, e so che molte e incerte son le mète. Nè, restio, la man voi mi porgete che mi guidi a trovar salvazione. E m'è d'uopo, con vana finzione, ancor dissimular l'ansie segrete del mio fatale andare, e l'acre sete che la fredda ragion vostra m'impone. Nè io men dolgo. Spirito diverso da quel che vi consiglia io non vi voglio: mi ammalia ciò ch'è in voi saggio e perverso. Mi piace avervi a mio avversario forte, e per voi che sferzate aspro il mio orgoglio di passione impallidire a morte. rammarico Il rammarico oscuro che m'accascia, io lo ritorco contro me in pungenti sarcasmi, e sferzo di ragionamenti ironici la mia arida ambascia. Ma un solco vivo ciascun scherno lascia dove i suoi colpi insiston violenti. Sen duol con malinconici lamenti quei che il duro voler urta e non sfascia. Tristemente si duole: — A che sogghigni? Più tu ti senti miserabil cosa, più t'affanni a ostentar sdegni maligni. Ecco: ora piangi, sfatta d'umiltà, or s'avvilisce l'anima orgogliosa ch'altro destar non seppe che pietà. gioco di sguardi Gioco di sguardi è cosa tanto vaga e al vostro vano ardir piacevol cosa. Ma questa inferma anima, se l'osa, vi si strugge in contesa e non s'appaga. Simile io sono a chi cela una piaga ma l'accusa con fronte dolorosa, e trattiene coi denti senza posa il tremor che in sue vene si propaga. Voi sembrate colui che si compiace spiando in volto ad un febbricitante i segni d'un sottil morbo vorace. E gode a udir su quelle labbra amare, arse dallo stupore delirante, un solo nome, il suo nome tornare. l'imagine Come perisce preziosa istoria se fiamma assai sue miniate pagine, così s'offusca, spar la vostra imagine rôsa dal muto ardor della memoria. D'altri ricordi la già vecchia scoria vi dirama un'inutile propagine, pure è impotente la più assorta indagine a trovarvi una vostra ombra illusoria. Io v'ho smarrito per fervor soverchio di ritenervi. Il cuor vi sa; v'oblia la mente, chiusa in troppo breve cerchio. Ond'io vi cerco e non vi vedo. Ascolto parlar di voi, di voi l'anima mia e più non trovo il dileguato volto. anima errante Se il mio signore segue la sua via con cuore assorto o con sereno volto, sol con sè solo crede andar, raccolto nel suo pensier, senz'altra compagnia. Ed ei non vede alcuno che lo spia, passo passo, alla sua mèta rivolto, alcun che sta del suo cuore in ascolto e gli parla con tenera follia. Ecco: al suo piede un'ombra or lunga or breve accanto o dietro o innanzi a lui cammina, nè mai la stanca quel suo andar sì lieve. Essa è colei che troppo sola muore, è la notturna anima pellegrina che persegue il suo sogno ed il suo amore. lamento vano Piccolo cuore folle, a che ti lagni? Tu che sfidavi a prova la tortura più cruda, or soffri di poc'ansia oscura, lasci che vano affanno ti guadagni. Il male che ti tien sotto grifagni artigli, come sua preda sicura, t'avvilisce così che la paura e il dubbio ormai ti son soli compagni. Ora tu sai che non disseta il duolo, sai che a quetare il tuo lagno furtivo ti basterebbe un piccol bene, un solo. E piangi, curvo su la tua ferita, e invano tenti saziar nel vivo suo sangue la tua sete aspra di vita. un desiderio Piangere piano piano, con la faccia contro la vostra spalla io vorrei bene, come una bimba che più non sostiene il segreto che l'arde e che l'agghiaccia, ma restare così finch'io mi taccia nella vaga atonìa d'un sonno lene, finchè il maligno incanto che mi tiene si smaghi e in me non ne rimanga traccia. Il cuore io sentirei farmisi immoto, vanire leggermente entro il mio seno e lasciar dove pesa un nero vuoto. Dolce allor mi sarebbe d'improvviso ritrovar il mio spirito sereno, rialzarmi e fuggir, squillando un riso. una preghiera La pietà del silenzio io solo imploro, freddo spirto, da voi, cui fu gradita vista l'aprirsi della mia ferita, cui piacque un dolorar senza ristoro. Certo il riso sottil, ch'io non ignoro, a un prudente tacer me pure incita; ma è l'aspra gioia di mia chiusa vita spargerne al vento l'unico tesoro. Morbosa voluttà in cui s'umilia ogni baldanza, in cui oggi più duole la pena già sopita alla vigilia. Ben io vorrei, ma il desiderio è folle, esacerbar di mie vane parole tanto come chi amò, chi amar non volle. la mèta fallace Chiusa è la casa dov'io giungo alfine, spossata dall'asprezza ardua dell'erta. Ai cardini s'abbrancano le spine, la casa è chiusa e la soglia è deserta. Par ch'essa punga d'un suo muto e fine sdegno chi sta fra timida ed incerta, col petto ansante e con le ciglia chine, e che del folle suo inganno l'avverta. Che val sostare? Anima mia, che vale piangere con la bocca sul gradino dove si posa il piede di chi sale? Che val chiamar chi è sordo o non ascolta? A ritroso facciam ora il cammino... Non tremare così, anima stolta. PROFILI le oscure Negli angoli discreti degli altari scorron corone fra le dita snelle figure curve come vecchierelle, cui lumeggian di scorcio i lampadari. Tutte han gli stessi movimenti rari, gli stessi volti scarni di zitelle. Si salutan con occhi di sorelle, cercando un riso in fondo ai cuori amari. Sembran celare con gelosa cura il male di sentire a ogni ora farsi più vuoti i polsi e l'anima più oscura. E ciascuna furtiva si dilegua, senza rumore, quasi per sottrarsi a un dileggio sottil che la persegua. mater inviolata Come avvisaron suora Benedetta che la sua dolce alunna era partita, senza un addio a chi nella sfiorita ombra, materno cuor, l'ebbe diletta, ella restò a fissar la finestretta graticolata e a torcer fra le dita il suo rosario, un poco impallidita, quasi in un cerchio di stupor costretta. L'oratorio era vuoto. Fuori un volo di rondini saliva ed ella rise un riso bianco come il suo soggolo. — La mia bambina volò via stamani, sapete? — rise fievole, e s'assise: — Ora l'aspetto, tornerà domani. l'amico Per noi l'amico sconosciuto vive una sua vita tenue e profonda, quando un bianco stupore ancor ci inonda ma già al volo addestrammo ali furtive. A noi con le sue risa suggestive, lo trasse il sogno quasi a fior di un'onda, come il cigno traeva ad Elsa bionda Lohengrin lungo le fiorite rive. Cavalier di leggenda, o eroe antico, mistico sposo, ignoto fidanzato, l'ombra di un'ombra è solo il dolce amico. Ma è tal che sdegna un meno puro altare, tal che la carne già desta al peccato vede, effimero amore, dileguare. Suora Rosaria Suora Rosaria, bionda in velo nero, mai sazî sguardi rivolgeva al monte de' Capuccini e la sua liscia fronte s'adombrava di un trepido pensiero. Le palpebre chiudeva, in atto austero, quasi ardesse al suo pallido orizzonte un sogno troppo dolce, e troppo pronte pupille ne accogliessero il mistero. E ancora sollevando al chiostro pio in vetta al monte le sue ciglia chiare, ella chiedeva la sua pace a Dio. Ma udiva dello stesso suo dolore pianger, là in alto, a' piedi d'un altare, chiuso nel saio, il suo perduto amore. la sfinge Il pensier più sagace invano indaga la purezza di tua fronte scultoria, turbato dalla bocca derisoria, dagli occhi bui di maliarda maga. Pur, questa tua seduzione vaga di bell'enigma che ti rechi a gloria, copre sol una oscurità illusoria d'anima ambigua ch'ombra fredda allaga. L'intima vanità mente a te stessa: tu presumi l'assenza del pensiero profondità di un'anima complessa. E mentre un occhio osservator ti scruta tu, certa di celar qualche mistero, t'atteggi a sfinge impenetrata e muta. virgo fragilis Un languor di stanchezza io riconosco nel volger delle tue pupille schive. Fragil tu sei com'edera di bosco che solo a un tronco avviticchiata vive. Come l'acqua tu sei, che in ogni chiosco verde si lagna e geme in fratte e in rive, finchè tremando, giù pel greto fosco, sposi al fiume le sue acque giulive. Si porgono le tue docili mani, sè stesse offrendo a una catena grave con fervor d'umiltà nei gesti piani. L'anima tua in fondo a' tuoi sfuggenti occhi, saprà sorridere soave sol quando per amare s'annienti. tediata Tu t'abbandoni, o pallida indolente, nella ricca mollezza de' cuscini, e in sonnolenta voluttà reclini le ciglia gravi tediosamente, quasi un'ebrezza tenue la tua mente oziosa per strane ombre trascini, o velino i tuoi verdi occhi felini soporiferi aromi d'oriente. O sei come una bella agile tigre, che s'allunghi a giacer sotto una palma, con sue movenze regalmente pigre. Ma non t'insidia il serpe tentatore, e tu per scuoter la tua uggiosa calma ti lasceresti pur suggere il cuore. frutti maturi Venne al frutteto l'anima superba cui non pur anche amore avea sorriso: l'ombre assorte tacean, le fronde, l'erba quasi in un orto muto dell'Eliso. Come colei che un suo mistero serba ella era grave. E col suo sguardo fiso, fosco d'un velo di tristezza acerba contrastava il languor molle del viso. Poi ch'estate era al sommo, tra le foglie porgea ogni frutto la sua gota rosa alla man che carezza e che raccoglie. Ma il più perfetto, a un tenue tremore del ramo, cadde a' piè della Pensosa: ella sentì cadere anche il suo cuore. sposa bianca Nessuno mai passò ne' tuoi capelli fluenti la carezza di sue dita, nè reclinò la tua faccia smarrita a chiuder con le labbra gli occhi belli. Ma invano amor t'ordì vaghi tranelli; la virtù del godere ha in te esaurita mestizia assidua. Brama non t'irrita di spezzarne gl'immobili suggelli. Desiderio di gioia non t'assale. Tu custodisci un'unica dolcezza sì intensa, che a pensarla ti fa male. È la tua fedeltà silenziosa rampogna a chi t'offese. A te è l'ebrezza, la gioia nuziale, o bianca Sposa! vendicatrice Tu che inasprisci di superbi scherni e strazî di freddezze noncuranti l'uomo già altero, che t'umilia avanti il duol dei giorni alle sue ansie eterni, tu che il suo lungo desiderio alterni fra viltà disperate e stolti pianti, non sai che lacci hai con un gesto infranti, qual vendetta tu compia non discerni. Costui che fra le tue sottili dita fatte artigli tu stringi, e soffre, e duolsi, schiavo d'amor che il tuo negar più incita, ingiustamente espìa, con una pena cruda, il gioir di chi fragili polsi, per suo trastullo perfido, incatena. le deluse Io vidi queste tendere le braccia in vana attesa d'anime deluse, con ciglia di febbrili ombre soffuse, con labbra accese nell'esangue faccia. Con quelle labbra su cui par si taccia il gemito scorato delle accuse, ma tremi la dolcezza che le schiuse, quasi fiori che nuovo alito allaccia. Le vidi premer sopra il cuor conserte le dita e susurrargli: — O folle, taci! — con la voce che han l'anime deserte. E reclinare la turbata fronte, come assetati ch'odono loquaci rider l'acque e non trovano la fonte. la respinta In te fu sospettata la nemica subdola, quella ch'arti e audacie aduna a irretir l'ingannevole fortuna d'amore, e nelle sue reti s'intrica. Fosti respinta. Come una mendica che insista nel suo chiedere, importuna, fosti respinta. E tu ben taci: niuna parola esiste che il tuo male dica. Non ti fu vista la tua morte in viso. Si rinchiuse il tuo cuor pieno di strida. Su se stesso piegò, come un ucciso. Pur, s'addolcì benigna la ripulsa. Di pietà si velò la voce infida... Come ride la tua bocca convulsa! serena Male s'umiliò la tua serena fronte, o Sorella, perchè a te compose gaia fortuna i suoi serti di rose e ti protesse contro ogni aspra pena. Meglio inseguir per una strada amena le libellule a volo, flessuose, che ricercar per ombre insidiose il fior che dolce odora e che avvelena. Non ti stupir se con la voce amara, il mio folle disdegno non ripeta, beffardo il riso di tua bocca ignara. Più dona gioia il pueril tuo giuoco che desiderio d'anima inquieta morsa e bruciata dal suo stesso fuoco. VERITÀ peregrinando... Peregrinando pe' sentieri umani, tra i rivi, chiare verità raccolsi, quando in quell'acqua io amai temprare i polsi, sorseggiarla nel cavo delle mani. Talora ne gustai ben acri e strani sapori. Pure non me ne distolsi. Dissi: — Oggi è amara, — e un poco me ne dolsi. Poi risi: — Dolce mi parrà domani. Buona lusinga è cara a giovinezza, ma, per il gioco della vita forse, l'amaro soverchiava la dolcezza. Se una vena sottil d'acque migliori sgorghi in cammini che il mio piè non corse, ch'io la trovi e con gioia l'assapori. il miraggio Sorelle, presto dileguò il miraggio che c'illudeva nelle notti inquete di nostra chiusa adolescenza, a maggio, quando l'anima ardea d'ignota sete, e la vita annunziavasi un viaggio meraviglioso di venture liete e dolci e folli... Con pensier più saggio ora guardiamo a nostre oscure mète? Ah no! L'illusione in noi non posa, come il rosaio, fin che primavera dura, non cessa di fiorir la rosa. Supremo è il bene che non giunge mai. L'illusione incuora: — Attendi e spera. Ma non dàn frutto steli di rosai. gli inganni D'inganni ha sete la natura nostra s'anche un suo amaro diffidar la invade. Innamorata del suo error, se cade si solleva. S'abbatte, non si prostra. Una lusinga sempre ancor dimostra che un bene attende in non lontane strade, e non addita le taglienti spade che cozzeranno in qualche incerta giostra. Misero, o forte, del suo dubbio stesso il cuor che spento già si crede, aspetta, pur dal coperchio di sua bara oppresso. Meglio il dolor fra le sue crude spire lo soffocasse in una sola stretta, che agonizzare, e non saper morire. virtù incauta Noi ci affidiamo incautamente, forse, alla vita sì corta e sì meschina. Ogni bene il suo mal seco trascina e taluna di ciò già ben s'accorse. Contr'essa già la vita cieca torse punte acute di scherni, e la confina dove un gelo solingo di rovina già la costringe in sue tenaci morse. Solo nocque a costei l'esser migliore di molte, e attender dal destino infido un dono pieno ed unico d'amore. Troppo ingenua virtù di salde tempre ripetere a un Atteso a un Solo il grido: — Tutto o nulla per te. Giammai o sempre. l'ora sospesa Questa, o Sorelle, è della nostra vita l'ora più ricca e più vibrante. È l'ora sospesa, in cui chi tutto brama e ignora, su tutto il folle desiderio incita. V'è nell'ombra un'altr'ombra che c'invita con un sorriso sì dolce che accora. L'anima attende in sua chiusa dimora una promessa ancor non profferita. Tutte le nostre facoltà son come ali, anelanti un volo periglioso, allo slancio già pronte e ancora indome. L'anima nostra è un ciel raccolto in sè che, di sue stelle al tremor radioso, aspetta il sole, il donatore, il re. esaltazione Un'ora di rivolta mi flagella, nè mai io seppi un'ora come questa, nè mai con sensi ed anima in tempesta mi sentii tanto forte e tanto bella. Il marchio del mio duol si dissuggella perch'io goda la mia più dolce festa: mi par d'alzarmi sopra una funesta ombra e brillar come una chiara stella. O Vita, il piè m'è lieve e il cuor m'è forte per salire la tua scala vermiglia e per varcar le tue incantate porte. Aprimi, io vengo... Ah no! Qualcun mi fissa dalle tue soglie, ostil, con fredde ciglia e nel mio lungo strazio m'inabissa. l'enigma Enigma oscuro della vita questo: che lo straniero, ancor lunge all'aurora, a sera, nel tremor muto di un'ora, l'imper più dolce imponga e più funesto. Così il fanciullo, con un piccol gesto imprigiona la lucciola che indora l'ombra di maggio, ed egli stesso ignora s'ei le dirà: — Mi piaci — o: — Ti calpesto. Enigma oscuro, che uno sol fra cento tragga da un chiuso cuor virtù d'amore tal, da farlo di sè quasi sgomento. E l'indoma s'ammansi, e la superba si faccia schiava d'un crudel signore, nuocendo a sè, come nemica acerba. ironia Quando amor vuole imporre aspra catena si compiace affinar sua tirannia e su le ignare vittime balena un sottile sogghigno d'ironia. Ei fa del saggio un misero che pena e arranca ed ansa per un'ardua via, sopra l'orme di chi, con pari lena, dietro altri passi, indocile, s'avvia. — Ama chi t'ama è fatto antico — insegna messer Francesco. Per destin talvolta sprezziam chi ci ama e amiam chi ci disdegna. Questi a noi porge supplicanti braccia. Noi un altro invochiam che non ci ascolta. E l'ironia ci ride allegra in faccia. contrasto intimo Dove un dolente amore si nasconde un odio sordo quivi pur s'annida; l'uno inasprisce di sue acerbe strida l'altro smarrito fra mal note sponde. L'odio superbo spesso si confonde all'amor che s'umilia e che diffida, poi che un'eguale passione guida entrambi, ciechi, per sue vie profonde, V'è in noi, forse, una martire che gode del suo martirio, ed una prigioniera che si rivolta e le sue corde rode. L'una vorrebbe baciar quella mano che contr'essa si fa sempre più fiera. L'altra avventarle un morso disumano. l'arte Più che tremor di pianti trattenuti, più che improvviso impallidir, che sguardi gravi d'angoscia, che sorrisi tardi, dalla pietà del proprio mal spremuti, giovan gl'inganni blandamente astuti di sapienza, che avvicenda ai dardi i balsami negli occhi maliardi e veste i lacci d'ori e di velluti. Sincerità non val, sol arte giova. Destreggiarsi e regnar saprà l'esperta quando vinta cadrà l'anima nova. L'arte non è sottil; diletta forse. Disperde i sogni e tien gli spirti all'erta. Facile è l'arte, dove amor non morse. bellezza della vita Bellezza della vita, io non ti trovo. Pure ti cerco in me, pure ti spio su fronti di sorelle. Ombre d'oblio or tento ed or gelosi veli io smuovo. Il primo balenar d'un riso nuovo scruto, m'insinuo in qualche spirto pio, indago ogni speranza, ogni desio, ma a scoprirti con vana ansia mi provo. Tu esisti forse in spiriti virili esperti in trar da ciascun fiore ebrezza, o in chiara gioia d'anime infantili. Non nel nostro anelar d'anime inermi: inquete fiamme, chiuse da saggezza d'antiche norme fra leggiadri schermi. l'attesa Di questa lunga attesa che vi snerva non vi dolete, o anime fraterne. Dolce è ondeggiar fra le lusinghe alterne d'un sogno che nessun vincolo asserva. La vita, non ancor fatta proterva, ci vezzeggia con sue grazie materne. E un'alba fausta, forse, in sè discerne quella che intatto un bene suo conserva. Costei ha ancora all'arco suo la freccia della fortuna e quella dell'amore: cerca il suo segno e a sè corone intreccia. Si faccian sterpi i fiori del giardino, tragga l'arco ad un segno ingannatore. Noi non mancammo, a noi mancò il Destino commiato Del suo primo esitar non va disciolta pur sul tacersi la tentata lode, chè, Sorelle, con duolo intimo l'ode colei che si godea d'ombra raccolta. Per senno scarso e per malizia molta chi poco intende, assai sogghigna e gode. Vigilava uno spirito custode muto, il mister di vostra bianca accolta. Pur, d'ogni velo fatta impaziente, anime acerbe, macerate, rôse, io vi snudai con mani violente. Perdono io trovi. E se la mia parola ghirlanda temeraria vi compose, possa il suo ardire umiliar me sola. INDICE PREFAZIONE di G. A. Borgese Pag. v LE SEDUZIONI » 3 QUELLA CHE VA SOLA » 5 Le seduzioni » 7 Dolcezze » 8 La giovinezza » 9 CIÒ CHE FU » 11 L'antico pianto » 13 L'antico desiderio » 14 L'antico male » 15 La guarigione » 16 Incertezze » 17 NUOVI INCANTI » 19 L'ingannatore » 21 Occhi ignoti » 22 Le nuove attese » 23 INCITAMENTI » 25 Mollezze » 27 I doni » 28 Avidità di vivere » 29 INDUGI » 31 Fascini » 33 Al mare » 34 Una mano » 35 Vecchio parco » 36 Perplessità » 37 TENTAZIONI » 39 Le gemme » 41 La meraviglia » 42 Cose maliose » 43 ELEGANZE » 45 Le essenze » 47 I profumi » 48 Un frutto » 49 Le sete » 50 SENSAZIONI » 51 Una voce » 53 La sera » 54 La libertà » 55 Insegnamenti » 56 OSTILITÀ » 57 Un rancore » 59 Una carità » 60 OMBRE » 61 Doppio gioco » 63 Gelosia » 64 Un incontro » 65 Una prudenza » 66 ONDEGGIAMENTI » 67 La felicità » 69 Incertezze » 70 Qualche amarezza » 71 La rivale » 72 Schermaglie » 73 La menzogna » 74 ORE FOLLI » 75 Il capriccio » 77 Un cuore » 78 Notte » 79 Chi ti vuole » 80 Oblio » 81 INQUIETUDINI » 83 Seguace » 85 Chi era » 86 Un grido » 87 DESIDERI » 89 Vortice » 91 Un addio » 92 L'ignoto » 93 INFERMITÀ » 95 La crisi » 97 La convalescenza » 98 Pallore » 99 VORAGINI » 101 L'etèra » 103 Multiforme » 104 L'abisso » 105 PROFILI » 107 Un discreto » 109 Un pauroso » 110 L'INVITO » 111 L'attesa » 113 L'accoglienza » 114 Il saluto » 115 BELLE ISTORIE » 117 I romanzi » 119 Le favole » 120 Il poema » 121 VIBRAZIONI » 123 Un dubbio » 125 Mattini » 126 Asprezze » 127 LE LETTERE » 129 Il giardino segreto » 131 Lettere intime » 132 Lettere rese » 133 LA VITA » 135 Dimenticare » 137 Il tributo » 138 I sogni » 139 Il domani » 140 Il desiderio » 141 SONETTI » 143 ROSSO E NERO » 145 No » 147 Se voi moriste » 148 Crudeltà » 149 La parola » 150 Il destino » 151 UN RITORNO » 153 I » 155 II » 156 III » 157 IV » 158 V » 159 ABBANDONI » 161 Un inganno » 163 Una dedizione » 164 È tardi » 165 SOLILOQUI » 167 Vagabondaggi » 169 L'altro volto » 170 La curiosità » 171 COMMIATO » 173 La mia voce » 175 LE VERGINI FOLLI » 177 ANIME » 179 Sorelle » 181 Le più lodate » 182 Colei che tace » 183 Colei che dispera » 184 Il sereno canto » 185 Ignare » 186 La rinunzia » 187 La fedeltà » 188 Per amore » 189 Disdegno » 190 Mistiche » 191 Pellegrine » 192 L'invocazione » 193 SPIRAGLI » 195 Il convento » 197 Il risveglio » 198 Il mistero » 199 Notturno » 200 Il pianto » 201 L'ombra » 202 Vigilia » 203 Il silenzio » 204 Sera di vento » 205 Un'amarezza » 206 La malinconia » 207 Al sonno » 208 Creta indocile » 209 IL SIGNORE » 211 Catene » 213 Il male » 214 Spirito ostile » 215 Ebrezza » 216 In cammino » 217 Rammarico » 218 Gioco di sguardi » 219 L'imagine » 220 Anima errante » 221 Lamento vano » 222 Un desiderio » 223 Una preghiera » 224 La mèta fallace » 225 PROFILI » 227 Le oscure » 229 Mater inviolata » 230 L'amico » 231 Suor Rosaria » 232 La sfinge » 233 Virgo fragilis » 234 Tediata » 235 Frutti maturi » 236 Sposa bianca » 237 Vendicatrice » 238 Le deluse » 239 La respinta » 240 Serena » 241 VERITÀ » 243 Peregrinando » 245 Il miraggio » 246 Gli inganni » 247 Virtù incauta » 248 L'ora sospesa » 249 Esaltazione » 250 L'enigma » 251 Ironia » 252 Contrasto intimo » 253 L'arte » 254 Bellezza della vita » 255 L'attesa » 256 Commiato » 257 Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. End of the Project Gutenberg EBook of Le seduzioni - Le vergini folli, by Amalia Guglielminetti *** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 61548 ***