The Project Gutenberg EBook of Liriche, by Giuseppe Montanelli This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you'll have to check the laws of the country where you are located before using this ebook. Title: Liriche Author: Giuseppe Montanelli Release Date: October 21, 2019 [EBook #60549] Language: Italian Character set encoding: UTF-8 *** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LIRICHE *** Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive)
LIRICHE
DI
GIUSEPPE MONTANELLI
Firenze
CO' TIPI DELLA GALILEIANA
1837
al mio dolce amico
GIOVANNI BERTOLLI
di pisa
tolto sul fiore della vita
alla italia alle lettere
questi miei versi
consacro
O GIOVINE ADORNO D'OGNI ELETTA VIRTÙ
CHE DEI FILOSOFICI E POETICI STUDI
CULTORE ARDENTISSIMO
GRANDE SPERANZA DI TE SUSCITASTI
E NELLA ELVIRA TUA FESTI APERTO
QUANTO DI MELANCONICO E DI LEGGIADRO
ALLETTASSI NEL CUORE
QUESTO TARDO
MA SINCERO TESTIMONIO DI AFFETTO
IO DEPONGO SUL TUO SEPOLCRO
BAGNATO DALLA LACRIMA
DI QUANTI HANNO
INTELLETTO DI AMORE.
[5]
Alta è la tenebra,
Torbido è il cielo,
L'aria è di gelo.
Sui figli l'aquila
L'ali distende,
Ma quella misera
Con che difende
Il pargoletto
Che accoglie al petto?
Sopra le soglie
D'un tempio assidesi;
E il rigido aere
Or col respiro
Or colla mano
Gli tempra — invano!
[6]
«Qual se m'avesse maledetta Iddio
«La gente mi scacciò!
«Crudeli! supplicando il labbro mio
«Che mai vi domandò?
«Un ricovero a questo sventurato
«Che il suo destin non sà;
«Lo vedeste dal gelo assiderato,
«E non trovò pietà!
«Sol, che avvivi nel mattino
«Il più languido tra i fior,
«Sul mio povero bambino
«Spargi un raggio animator.
Prima che spunti il sole
L'aere è più crudo: e l'infelice mira
Pietosamente senza moto il figlio
Che qual reciso giglio
Piega il capo sul petto, e non respira.
[7]
Se mai di quel delubro un dì le soglie
Varchi il mio stanco frale, ed il riposo
Della tomba colà vegliato aspetti,
Forse anche allor sarà limpido il cielo.
Olezzante la terra, e rallegrato
L'aere dai canti. — Il viator solingo
Tra i cipressi vedrà splender la face
Alla mia bara accesa; e quando il sole
Schiari la terra scenderò nel fondo
Della scavata fossa. — O primo raggio
Che rider fai la valle, il monte, il fiume
D'un riso che somiglia all'innocenza,
Sulla gelida mia fronte ti posa!....
E già la matutina aura vivace
Svegliò il languido fior; già tra le amate
Frasche l'ilare augel cantando il giorno
Svolazza, e al suono delle sacre torri
Il cittadino romorìo s'innova;
Io sol fra tutti non mi sveglio, e intanto
La terra sopra il mio sonno si chiude.
Ah mi rimembra i dì che fanciulletto
Presso alla madre mia dinanzi a queste
Mura passando ella dicea: — De' nostri
Cari parenti le ossa han qui riposo,
[8]
Preghiam pace agli estinti; — e inginocchiato
Colle man giunte mormorai la prece
Che m'insegnò quella gentile. — Un giorno,
Mentre i monti tingea raggio morente,
Appressarsi vedemmo al cimitero
Stuol di fanciulle in bianco velo; a due
A due moveano il piè tardo per via
Sommessamente orando, e sulla bara
Dalle più giovanette sostenuta
Tra ghirlande di gigli e di viole
Era un fanciullo... A quella vista il tetro
Pensier di morte m'assalì la mente,
Strinsi la mano della madre, e piansi.
[9]
A SILVESTRO CENTOFANTI.
A Te fu soglio il giogo d'Appennino,
E sul capo di Lei che ti diè guerra
Qual tuon s'avvolse un cantico divino.
Sparsero i quattro venti sulla terra
Quante bestemmie, preghiere, concenti
Il trino spirital mondo rinserra;
E forse un giorno i sacri monumenti,
Che sorgon quai montagne adamantine
Del tempo a rintuzzar l'onde irrompenti,
Fien sassi ingombri d'edera e di spine,
Tra i quai melode spargerà notturna
L'alato abitator delle ruine.
Ma finchè non s'accenda la diurna
Lampa sopra la terra inabitata,
Qual face nell'orror muto dell'urna,
Come sul mar serenità stellata
Risplenderà sull'alme la novella
Parola dal tuo raggio illuminata,
O Imperator dell'itala favella.
[10]
Come usignolo che soave canti
Allor ch'estivo raggio il suol percuote
È dolce al viator su' cui sembianti
Scherzano le ombre che la brezza scuote;
Tal se malinconia chiama gli erranti
Miei passi in valli a profan piede ignote,
De' tuoi diversi modulati pianti,
O Petrarca, m'è dolce udir le note.
E allora dalla pagina dolente
Levando il guardo all'irraggiato empiro,
Che si curva su me serenamente,
Esclamo — Italia! oh con quanto sospiro
Ei ti bramò più lieta; e ancor la gente
Sospirando ripete il bel desiro.
[11]
O prima età del rinnovato mondo,
Rigogliosa d'eventi e di valore,
In cui fremea qual del caosse in fondo
La battaglia dell'odio e dell'amore;
Poichè Italia restò, come infecondo
Arbor, spogliata dell'antico onore,
A lei si pose tua grand'ombra accanto,
E dei poeti le parlò col canto.
Lieve volando come augel sull'onde
Lodovico vedea correre armati
Per mar, per monti e tra selvose fronde
Gli antichi cavalieri innamorati;
E femmine lascive e vereconde,
E spechi e larve e corridori alati
Agitava nell'alta fantasia
Tutta ardir, tutta luce e melodia.
Vide Torquato abbandonate ai venti
Le sacre insegne della gloria avita
Per gli assiri vagar campi fiorenti,
Mentre la fede il gran Sepolcro addita. —
D'amore inebbriato in carmi ardenti
Armonizzò la tempestosa vita;
E il genio in lui com'aquila in ritorte
Tanto si scosse che gli diè la morte.
[12]
Come due torri poste sul confine
Che una dall'altra region diparte
Spirto voi daste, o fantasie divine,
A tromba che squillò per ogni parte;
E della spenta età, le cui ruine
Giaccion quai membra di gigante sparte,
A noi, crescente procellosa etate,
La fè, il valor, le cortesie narrate.
[13]
A G. P. VIEUSSEUX.
Il povero alla luce apre le ciglia
Sotto la chioma d'una querce annosa,
E lentamente colla sua famiglia
Vassene alla città che ancor riposa. —
Supplicando il signore a cui somiglia
Perchè si stenda a lui mano amorosa
Unico omaggio gli consacra — il pianto,
E i grami figli che gli stanno accanto. —
Presso alle strade ond'ei passa si desta
Intanto la famiglia dei cultori;
Qual con ampio cappello sulla testa
Ricomincia nel campo i suoi lavori;
Ed altri va con più pulita vesta
Alla città recando e frutta e fiori:
Lieta come armonia di primavera
Del popolo campestre è la preghiera.
Ma si risveglia sul diserto mare
Malinconicamente il navigante,
Cui tristezza maggior punge se appare
Nuvola minacciosa al sole innante;
Che teme più non riveder le care
Sembianze di colei che mesta, ansante
Al nuovo giorno va sul lido, e guata
Se ancor biancheggi la vela invocata.
[14]
Oh quanto ad ambidue tarda il momento
Che una medesma squilla li risvegli!
Ella alzando le braccia al firmamento
Sola davanti all'Oceano, ed egli
Sua voce unendo al supplice concento
D'altri raminghi giovanetti e vegli,
Muovon preci, che giunte oltre le stelle
Si dan l'amplesso come due sorelle. —
E ben di lor più misero è il giacente
Su nudo legno prigionier che scuote
La grave testa, allor che fiocamente
D'alto cadendo un raggio lo percuote.
Mentre d'intorno a lui l'astro nascente
È festeggiato da giulive note,
Giunte le palme, l'inno della spene
Egli accorda al fragor delle catene.
Oh, te beata, che in solinga cella
Di nero saio le tue membra ammanti,
Appena dal dì vinta è la facella,
Che per te veglia a sacra effigie innanti
Come astro cui non vela la procella,
Queta in mezzo a città romoreggianti
Invochi il giorno che il tuo bianco velo
Al serto ceda che s'intreccia in cielo.
E or lassù di cherubi eletto stuolo
Alla Madre di Dio s'aggira intorno;
Qual le reca la lacrima del duolo,
Quale una rosa che spuntò col giorno;
Altri sciogliendo roteante volo
Di canti allegran l'immortal soggiorno:
Ma più d'ogni altro don cara a Maria
De' matutini preghi è l'armonìa.
[15]
A PIETRO BASTOGI.
E che lo nuovo peregrin d'amore
Punge se ode squilla di lontano
Che paja il giorno pianger che si muore.
Come sospir di vergine amorosa,
Che lontan sente il suo fedele e plora,
M'aleggia intorno un'aura rugiadosa
Che di malinconia l'anima irrora:
E in vagheggiar la nube vaporosa
Rosseggiante nel ciel, che si scolora,
E nell'udir dei villanelli il canto
Sento un piacer che si distempra in pianto.
E mentre piango, e l'occhio lacrimoso
Scorre sulla mestissima campagna,
Il colono che torna al suo riposo
Umile mi saluta e m'accompagna.
Or del soverchio ardore, or del piovoso
Tempo in semplice dir meco si lagna;
E dopo breve tratto un nuovo addio
Mi volge, e resta nel casal natio.
[16]
Solo il cammin proseguo — e la campana,
Che annunzia l'agonia del dì che muore,
Qual voce di notturna eco lontana
Va per gli orecchi flebilmente al cuore;
Ai lenti tocchi la famiglia umana
Supplice il pensier leva al suo Fattore,
E nella dubbia luce vespertina
Alle imagini sue l'alma è divina. —
Il giovinetto a cui ride speranza
Come sole in estivo etere ardente,
Benchè mesta del ciel sia la sembianza
Palpitar di mestizia il cor non sente;
E mentre il passo irrequieto avanza
Abbandonato ad estasi ridente,
Nel paradiso suo di gloria ornato
Splender vede un bel volto innamorato. —
Tempo forse verrà che alto cimento
Lunge lo tragga dalle sue dimore,
E forte di magnanimo ardimento
Seguirà lo stendardo dell'onore;
Ma quando fia che lieto ondeggi al vento
Il segno di vittoria annunziatore,
Sul consorte destrier farà ritorno
Alle dolcezze del natio soggiorno.
E nell'ora che il bruno aere percuote
La squilla della notte messaggiera,
Rischiarerà sembianze a lui già note
Il moribondo raggio della sera.
Calde di pianto le rugose gote
Tra i fidi amici dell'età primiera
Lo accoglieranno i genitor cadenti.
Alternando coi baci i lieti accenti. —
[17]
In altra etade mentre il sol declina
Vago di respirare aura più pura,
La procellosa cura cittadina
Queterà nel silenzio di natura;
E dal declivo della sua collina
Lieta di sparse ville e di verdura,
Colla consorte al fianco e i figli intorno
Udrà l'addio che dan le torri al giorno.
Ma l'uom, che al tempo dell'età fiorita
Tai speranze allettò nel vergin core,
E poscia nel cammin di nostra vita
Fra mille spine non rinvenne un fiore,
Tal che sovente a lacrimar lo invita
Una tristezza che non è dolore,
Ad altre fantasie l'alma abbandona,
Mentre la squilla lentamente suona.
E le ore impazienti di riposo
Rimembra del mattin di sua giornata;
E il palpitar del core impetuoso,
E i sogni della mente inebbriata;
E della madre lo sguardo pietoso,
E le sembianze della donna amata;
Ed il piacer che gli piovea nel petto
Lo stringer d'una mano, un guardo, un detto.
Ah troppo presto mosse la procella
Ad offuscar di sua vita il sereno,
E della lode la gentil favella
Ch'eccitatrice gli scaldava il seno;
E l'amistà che intemerata e bella
Gli dava il bacio di dolcezza pieno,
Poichè il sospetto se gli pose allato,
Più non ebber per lui l'incanto usato.
[18]
Or di grave mestizia lo confonde
L'idea dei cari che la morte ha spenti;
Ed alla terra che il lor fral nasconde
Immoti affisa i rai di pianto ardenti.
Poi se vicino a lui tra fronde e fronde
L'usignol rinnovella i suoi concenti,
Quasi d'un'immortal bellezza in traccia
Novellamente al ciel leva la faccia.
E gli astri vede.... ma simili al fiore
Che era l'amor dell'aura mattutina,
E che or senza vermiglio e senza odore
Il capo al suol languidamente inchina,
Perderanno le stelle il lor fulgore
Nella notte dell'ultima ruina....
E spenti del maggior lume vivace
I rai saranno come inutil face.
Oh mille volte più infelice e mille
Quei che lontano dall'ostello avito
Ode suonar le vespertine squille,
Mentre del mar solingo erra sul lito.
Ai mesti tocchi, dalle sue pupille
Scoppia il dolor dell'animo smarrito,
E va dicendo tra i sospiri e i lai,
— O patria mia non ti vedrò più mai! —
La campana che ascolta ah non è quella
Che il pargoletto orecchio gli molcea,
E quando al tempo della vita bella
D'amorosi pensier l'alma pascea;
E nell'ora che appar la prima stella
La sua diletta riveder solea:
Un'altra squilla gli suonava in core
Il sospirato istante dell'amore.
[19]
Sull'ali della speme egli sen vola
Alle bramate invan sponde natie,
E di soavità l'alma consola
Col dolce aspetto delle patrie vie:
Vede i più cari, e n'ode la parola
Qual per lui risuonava in altro die,
Ed il monte rimira e la vallea
Ond'estatico il guardo al ciel volgea.
Ma simile a colui che da molesta
Cura turbato al sonno chiuse i rai,
E allor che esterrefatto si ridesta
Più acerbi sente rinnovar suoi guai,
Al tornar dell'imagine funesta
L'esule ricomincia i primi lai,
E vede ovunque volga umido il ciglio
La dolorosa terra dell'esiglio.
O Poeta dell'italo destino,
Tu ben provasti quanto sia dolente
All'orecchio del nuovo pellegrino
Una squilla che pianga il dì morente.
Ed io, che al raggio del Cantor divino
Con giovanil disio scaldo la mente,
Spesso del mesto cor nel più segreto
Quei lamentosi tuoi carmi ripeto.
Parmi vederti della patria mia
Sdegnoso correr la pianura, il monte,
E mentre del pianeta che va via
L'ultimo raggio ti balena in fronte,
Sgorgan torrenti d'itala armonia
Del genio tuo dall'agitato fonte. —
Bella, ardente, immortale al par del sole
Sarà la luce delle tue parole.
[20]
A GINO CAPPONI.
Addormentata tace la campagna,
E il villan del lavoro si riposa
Seduto al fianco della sua compagna.
E mentre con melode lamentosa
Nel pargolo giacente che si duole
Alletta il sonno la madre amorosa;
Intorno al fuoco con antiche fole
Ricurva ed abbronzata vecchiarella
Trattien del figlio la più adulta prole.
Sovente il suon di supplice favella
E i latrati del vigile mastino
Interrompon la flebile novella;
E dal digiuno vinto e dal cammino
Di fuor sommessamente un vecchio esclama:
— Date asilo allo stanco pellegrino. —
Ti consola, o buon vecchio, ogni tua brama
Sarà contenta nell'umile ostello
Dove in ruvide spoglie è un cuor che ama.
Ma nelle vie più quete del castello,
Da lampada notturna rischiarate,
Invan cerca un albergo il poverello. —
E con note dal pianto accompagnate
Oh quante volte un fanciulletto ansante
Affretta il passo ad implorar pietate,
[21]
Mentre la vedovella lacrimante
Ristà più lunge, e quel prego seconda
Con interrotta voce tremolante.
Ora che popoli
Di stelle il cielo,
E della tenebra
Distendi il velo
Sulle città,
Tu sei propizia
Al masnadiero
Che dietro al cespite
Presso al sentiero
S'appiatterà.
E per te provido
Sonno le ambasce
Queta, e di rosei
Sogni si pasce
Giovin beltà;
Ma il genio indomito
Dell'inspirato
Veglia, e per l'ampio
Campo stellato
Volando và.
Allor che il cigolar delle quadrighe
Più non s'udrà, nè calpestio d'umani,
Ma sol del gufo il gemito interrotto
E l'abbajar dei veltri, e il gorgoglío
Delle fontane, e lo stormir dei rami
Turberanno la queta aura notturna
Rapito anch'io viaggierò nel cielo.
[22]
Or lo squillo lento lento
Che per l'aere si diffonde
Degli estinti par l'accento,
E c'inviti a lacrimar.
O cadente genitore,
Che sostegno più non hai,
I misteri del dolore
Vien fra le urne a celebrar.
Come spica verdeggiante
Il diletto tuo crescea,
E il tuo crine biancheggiante
Parea nato a carezzar;
E a fruir de' tuoi sudori,
E a donarti il bacio estremo,
E di lacrime e di fiori
La tua polve a consolar.
Veni, o donna sconsolata,
Nello squallido ricinto
Dove un'aura innamorata
Mestamente carezzò
La viola scolorita,
Che sul cener del tuo fido
Di tue lacrime nutrita
Soavissima spuntò.
Sotto un salice piangente,
Tra un cipresso ed una croce
Della vergine dolente
È sepolto l'avvenir;
E quel nome che nel petto
Ti scolpia la man d'amore.
Che del padre nel cospetto
Non osavi proferir;
[23]
Che dipinse il tuo sembiante
Mille volte di vermiglio
Quando il core palpitante
Dall'altrui labbro lo udì:
Ah quel nome! a questo e a quello
Or domanda una preghiera,
E la morte, d'un avello
Sulla pietra lo scolpì.
O voi tutti, da crudele
Fato umano combattuti
Che quai navi senza vele
Viaggiate in questo mar,
Sulla tomba in cui riposa
Un diletto a voi rapito
In quest'ora tenebrosa
Deh venite a lacrimar.
E tu perchè sì presto, o Madre mia,
Abbandonasti sulla terra un figlio
Che dolorosamente ti desia?
Involontaria lacrima sul ciglio
Mi spunta, e il cor mi palpita nel petto
Se a ragionar di te mi riconsiglio.
O rimembranze del sereno aspetto,
E delle voci dall'amor dettate,
E degli amplessi del materno affetto;
Voi nell'anima mia vi riposate,
Come nel sen di giovinetto ardente
Verginali sembianze innamorate.
E quando favellar soavemente
Odo una madre coll'amata prole,
Che nel medesmo palpito consente;
[24]
E il suon delle dolcissime parole
In quell'età beata mi trasporta
Che con rammarco rimembrar si suole,
Una voce repente mi sconforta
E mi dice — colei che le tue voglie
Allor quetava, ah troppo presto è morta! —
Ma più non ci attristi l'orror della fossa.
Vedete quegli astri? — qui polvere ed ossa....
I nostri diletti saliron lassù.
E già de' futuri già sanno il destino,
Proteggon le genti che sono in cammino,
Compreser gli arcani del tempo che fu.
Il gemito, o Padre, che t'esce dal seno
Fra gl'inni che allegran l'eterno sereno
Del figlio beato s'accoglie nel cor,
E mentre lo credi qui dentro sepolto
Ei dice all'Eterno con supplice volto
— Consola il martiro del mio genitor. —
Non muore disperso sull'aura notturna
Che lene sussurra tra i salci dell'urna,
O Donna, il sospiro del petto fedel;
E al par dei sospiri che al tempo giocondo
Sfogavan la piena del sen verecondo
È caro al tuo fido che t'ama dal ciel.
E suona oltre il regno dei mondi lucenti
O madre, la voce degl'inni gementi
Ond'io disacerbo l'immenso martir:
Mi vedi se assorto m'ispiro al creato,
Mi vedi se ai mesti favello inspirato,
Mi vedi se fervo di santo desir.......
[25]
E quando varcate le nubi e le stelle
Non cupo rimbombo d'umane favelle,
Ma l'eco dei cieli per noi suonerà:
Udremo la voce de' nostri diletti. —
O spirti, diranno, tra gli angeli eletti
Venite alla gioia che fine non ha —
Siccome il torrente precipita al piano,
E il fiume va in traccia del vasto oceano,
E un porto sospira la nave nel mar,
Sospinte nostr'alme da vago disio
Sospiran la pace ch'è in grembo di Dio.
Ah quando i diletti potremo abbracciar?
[26]
O care soglie dell'ostello avito!
Dite, dite i consigli
E i voti e i preghi che con mesto affetto
La Madre a me volgea,
Allor che fui rapito
Ancor fanciullo al suo grembo diletto.
— Fuggi, sclamò, i perigli
Ond'è piena la vita, e qual partisti
A me ritorna affettuoso e puro; —
Poi nell'estremo istante
Per man mi prese; il suo congiunse al mio
Labbro tutta tremante,
E fra i singulti risuonò l'addio.
Cigolaron le rote; il guardo estremo
Diedi al tetto paterno,
E coi cenni del volto e della mano
Al suon risposi dell'addio lontano.
Ma tu, giorno sereno,
Che il figlio sospirato
Della donna gentil rendesti al seno,
Dal confin del passato
Sfolgorante t'affaccia al mio pensiero.
Quando il bramato raggio
Sulla vegliata coltre alfin battea,
[27]
Salve, salve, io dicea,
Beatissimo dì! nel tuo viaggio
Mi vedrai consolato!
Perchè di penne armato
Il cavallo non era, e qual baleno
Non volai sul terreno?
Allor che di lontano al guardo apparve
Il nativo castello, e sulle antiche
Torri, e sui rudi tetti,
E sulle verdi collinette apriche
Morir vidi del sole il raggio estremo,
La piena degli affetti
Con più tumulto m'ondeggiò nel seno.
Forse chi m'era appresso
Nelle tronche parole in quell'istante
Il commosso sentia spirto ondeggiante.
Tregua, tregua al disio — la man percuote
L'umil porta degli avi; e a quel rimbombo
La Madre si riscuote. —
Nella sala paterna il nome mio
Festeggiato risuona, e tre dilette
Sorelle picciolette
Muovon dall'alto frettolose il piede. —
Qual mi si slancia al collo, e quale il fianco
Colle palme m'abbraccia, e qual si vede
Saltellarmi dinante:
Nel materno sembiante
Alfin l'alma si sazia, e la consola
Una dolcezza che non ha parola.
[28]
La tua fronte il ciel non guata;
Baci il suol languidamente;
E sei l'arbor destinata
I sepolcri ad ombreggiar.
Di tue foglie il verde è bello
Se si specchia in queto rio,
Ma sul marmo d'un avello
L'ombra tua più sacra appar.
Ah! dai colpi lo difendi
Di procella struggitrice!
Solo il varco non contendi
Della luna allo splendor;
E mentr'ella qual pietoso
Volto guata il cimitero
Su te canti lamentoso
Il notturno volator.
Un magnanimo Possente
Cui fu carcer l'oceano
La sua tomba mai non sente
D'un sospiro consolar.
Ma tu pieghi i rami mesti
Su quell'urna illacrimata,
Tu che un giorno lo vedesti
Penseroso in riva al mar.
[29]
Spesso memore nocchiero
Tra le sacre aure s'aggira
Che dell'esule Guerriero
Ebber l'ultimo sospir;
E se all'urna s'avvicina
Ode i passi d'una scolta,
L'ulular della marina,
E de' tuoi rami il fremir.
[30]
Infelice trovatella!
Malinconico sorriso
Sorvolando il tuo bel viso
Con amor mi salutò.
Quante cose a me dicea
Quel sorriso in sua favella!
Sì t'intesi, o trovatella,
E il mio ciglio lacrimò.
Non hai nome, non hai tetto
E non sai qual sen t'accolse....
Nata appena ti ravvolse
Entro un velo ignota man:
E lasciata nella notte
Sulle selci del cammino
Fin al sorger del mattino
Invocasti aiuto invan.
Qui raccolta fra gli stenti
Sei cresciuta, o trovatella:
Ah la faccia tua sì bella
Come presto impallidì!
Non suonò sulla tua cuna
Mai di madre il pio concento;
Sventurata! al tuo lamento
Mai niun cor s'intenerì.
[31]
E tra poco vagherai
Sola sola tra le genti
Come foglia in preda ai venti,
Come sperso viator.
Forse.... ah l'orrido pensiero
Che nell'anima si desta
Crudelmente mi funesta!....
Deh su lei veglia, o Signor.
[32]
(Concepito da Pietro Martini di Fucecchio, giovine architetto di alte speranze, morto sul fiore dell'età, ed eseguito con proprio disegno da Ridolfo Castinelli di Pisa. Durante l'esecuzione, a questo ultimo mancarono due cari figli, onde rimase sconsolatissimo senza prole. Il ponte è collocato in luogo da cui si vede Vinci, patria di Leonardo, i poggi di Cerreto, villa Medicea celebre per la morte d'Isabella, ec., ec., Empoli ove Farinata si oppose al ghibellino disegno di spianare Firenze).
Ed io lo vidi nell'estremo istante!
Io lo udii delirante!
E mentre i cari amici
Facean corona al doloroso letto,
E il Dio degli infelici
Gli posava sul petto,
Ei la turba vedea degli operanti
Nel lavoro sudanti,
Ed or con rauca voce
Quella turba animava,
Or con le scarne braccia
Le contrapposte forze equilibrava. —
[33]
La gente allor dicea
— Con lui morrà la generosa idea. —
Ma tu, Ridolfo mio,
Tu di morte all'artiglio la rapisti
Poichè in grembo di Dio
L'ali raccolse il giovine compianto;
E con nuovo artificio
La grand'opra compisti
Onde ti vien da mille labbri il vanto.
Oh qual strale tremendo,
Mentre vegliavi sulla cara mole
Come una madre sull'infante prole,
Nel più vivo dell'alma ti trafisse!
Sì t'intendo, t'intendo.........
Ma lascia, o Padre orbato,
Lascia allo stuolo degli amici il pianto
E dell'Arte nel seno
Sfoga gli affetti onde il tuo core è pieno.
Queste colline apriche
Ov'è sì dolce l'agonia del giorno,
Queste castella antiche
Tra la verdura torreggianti intorno,
Allegreranno i rai
D'estranio viatore
Che arresterà sul nuovo Ponte i passi.
A questo aere sereno
Di Leonardo il seno
S'apria qual rosa al matutino albore;
E su quella pendice
Strangolata peria dal suo tiranno
Una sposa infelice;
E là seduto a cittadino scranno
[34]
Farinata salvava
Dall'incendio delle ire ghibelline
Le gigantesche moli fiorentine.
Allor che il verno infurierà più crudo,
E scalzo contadino,
E industre mercatore,
E stanco pellegrino,
Non più da questi liti
Su lenta nave il fiume varcheranno
Tremanti irrigiditi,
Il nome tuo fra gl'inni dell'affetto
Suonerà benedetto.
Ah perchè lo straniero
Che dall'alpe discende
A meditar sull'italo mistero;
Sorger non vede a mille
Le moli delle antiche emulatici?
E spreca i suoi tesori
La tralignata gente
In lascivie di mimi e di cantori?
Quando nella più cupa ora tacente
A quei delubri aviti
Che immoti al par del sole
Aspetteranno i secoli, m'inspiro,
In lor della gigante
Età che li creò l'ombra rimiro.
Ma che dirà dinante
Alla fragil beltà di nostre mura
Che mai dirà la poesia futura?
[35]
Il Giovine
Qual chi seduto al rinascente giorno
D'una montagna sull'aurata cima
Ampio vede orizzonte a sè d'intorno
Che arcanamente l'anima sublima;
Tal'è il mio spirto. — O immenso azzurro vano
Inondato di raggi e di concenti,
O bei colori onde si veste il piano,
O flutti, o alpestri gioghi, o monumenti,
Virtù superna al vostro aperto sole
Mi sollevò da tenebroso fondo,
E a lei và l'ala delle mie parole
In mezzo a tutte l'armonie del mondo.
Il Sospetto
Quei che sembra a te dinante
D'ogni gioia tua goder,
Ha il sorriso nel sembiante
E il dispetto nel pensier.
La Morte
Non vedesti quella schiera
Che vicina a te passò
[36]
Mormorando una preghiera?
Vieni al tempio ov'ella entrò.
S'alza il panno d'una bara,
Ed un lugubre splendor
Faccia immobile rischiara
Che par vinta nel sopor.
T'avvicina — egli fioria
Giovinetto al par di tè,
Quanto senti ei pur sentia
Cadde infermo, e più non è.
La Distruzione
Ve' quel monte? ai nuovi rai
In vermiglio pinto appar;
Ma tra poco lo vedrai
Infuocata onda eruttar.
E saette il ciel disserra
Sull'altera umanità;
Nelle sue febbri la terra
Trema, e inghiotte le città.
Il Giovine
Floride piaggie, azzurro ciel raggiante
Sognava inebbriato il mio pensiero:
Ma sol scheletri vede a sè dinante
Or che dal sogno si destò nel vero.
E me tranquillo qual marina calma
Crede chi guata la fronte serena;
Ah non sa il mondo che mi piange l'alma,
Mentre il riso sul volto mi balena!
[37]
La Speranza
E perchè a terra pieghi la fronte
Nel bel teatro che Dio ti fè?
Degli inspirati vieni sul monte
E il tuo destino saprai qual'è.
Vedi quegli astri! Son mondi erranti
Perennemente d'intorno al sol;
E sopra gli astri schiere di santi
E di cherubi spiegano il vol.
Dal ciel discesa l'alma immortale
Di prova in prova passa quaggiù,
E quando all'alta patria risale
Le fan ghirlanda le sue virtù.
Pria che tu levi l'ala da terra
In gran battaglia dovrai pugnar:
Sarà tremenda l'ultima guerra,
Ma lieto giorno vedo albeggiar.
Allor dei templi tra le colonne
Incoronati tutti di fior
Vecchi, fanciulli, giovani e donne
Alterneranno canti d'amor;
E la parola degli inspirati
Sopra le genti si spanderà
Qual sui marini flutti placati
Ampia si spande serenità.
[38]
Al verecondo raggio
Della sorgente luna
Alta magion si specchia
In placida laguna.
Delle ampie sale l'aere
Profondamente tace;
Sol di notturna face
Al debile chiaror
In solitaria stanza
Siede una giovin sposa,
E sulla destra in languido
Atto la fronte posa.
Aperte son le pagine
Onde tentava invano
Porger conforto arcano
Al combattuto cor;
E solo in quel silenzio
Lene alitar si sente
D'addormentato parvolo
L'anelito frequente.
Oh qual pesa sull'anima,
Di lei crudel martiro!
Difficile il respiro
Sprigionasi dal sen.....
[39]
Sorge, al balcon s'affaccia
Cercando aura più pura,
E pensierosa, immobile
Contempla la natura —
Suona delle onde il murmure
E un odoroso fiato
il crine inanellato
Ad agitar le vien.
«Perchè festevole
«Al mio pensiero
«T'affacci, o vergine,
«Dal piè leggiero
«Dal vel che ogn'aura
«Lieve carezza
«Dal crin che olezza
«Come il mattin?
«Quando di rosea
«Veste ammantata
«Varchi di splendida
«Sala l'entrata,
«S'alza nell'ilare
«Stuolo un bisbiglio,
«Ed ogni ciglio
«S'affisa in te.
«Son io la stessa? oh come disadorna
«È la pianta che lieta un dì fioria!
«La stagione dei fiori a me ritorna....
«Ma dove andò la primavera mia?
«Infelice! il genitore
«Qual vil merce m'ha venduta
«Alle voglie d'un signore
«Che sua sposa mi nomò.
[40]
«E nel dì che trasportato
«Da brittannici destrieri
«Alto cocchio inargentato
«Al palagio mi recò
«Del novello mio consorte,
«Chi non disse — Oh lei felice
«Che varcate quelle porte
«Non saprà che sia dolor! —
«Ma che val della ricchezza
«Lo splendore invidiato
«Se non è la giovinezza
«Consolata dall'amor?
«Era a questa simigliante
«Quella notte avventurosa
«Che in quell'astro tremolante
«Il mio sguardo si fissò
«Teco, o C..., e si smarria
«La nostr'alma nell'empiro;
«In sul sen la fronte mia
«Lievemente si posò!
«. . . . . . . . . . . . . . . .
«. . . . . . . . . . . . . . .
«. . . . . . . . . . . . . . .
«. . . . . . . . . . . . . . .
«O Fanciulla dei campi abitatrice
«Quanto sei più felice!
«Nel dì che un umil tetto
«S'allegrerà del tuo riso di sposa,
«Di gemme peregrine
«Ghirlanda non avrai sul biondo crine,
«Ma porterai sul petto
«D'aprile il più bel fiore
«Rapito ai campi dalla man d'amore.
[41]
Da un improvviso tremito
Perchè scossa è la bella,
Qual per fragor di fulmine,
Smarrita tortorella?
Diè un rimbombo la porta dorata,
Nel grand'atrio il mastino latrò,
Suona un'ora di notte avanzata,
Il consorte dall'orgia tornò.
[42]
A G. BATTISTA NICCOLINI
Il Poeta
La faccia mia sia volta all'oriente: —
E tu dimmi che vedi, or che la brezza
Del sol foriera mormorar si sente.
Il Fanciullo
Vedo una barca
Che il lago varca.
Là sulla via
Un villanello
Và lento lento
Verso il castello.
Di pianta in pianta
L'augel che canta
Svolazza, e limpide
Stille dai rami
Cadono al suol.
[43]
A noi di fronte
Sol vedo il monte
Che appar turchino
Come tranquillo
Flutto marino:
Inargentato
Splendidamente
E l'oriente....
Vedo una nuvola!...
Ah padre mio
Si leva il sol!
Il Poeta
Sì lo sento — e allor che il nuovo
Sole, o patria, in te fiammeggia
Come dio nella sua reggia,
Il tuo ciel, le tue montagne
Il tuo pian, le tue marine
I castelli, le ruine,
Svegliano aura di speranza
Nel poeta che in suo core
Teco piange al tuo dolore!
Il caro pargolo
Che ancor riposa
Già l'amorosa
Madre guardò.
Al prigioniero
Nel duolo antico
Come un amico
Il dì tornò.
[44]
E l'uom dal debile
Fianco or non sente
L'età cadente
Su lui gravar.
Anche l'infermo
Cui speme è morta
Si riconforta
Nel sol che appar.
Tu pur lieve com'ala, o salma mia,
Diventi al matutino aere novello:
Ma che giova all'estinto che gli sia
Lieve la polve sparsa sull'avello?
Si spanderà dinanzi al gran pianeta
L'alito vaporoso della terra
Ora in vista scherzevole e quieta,
Or con tremendo sonito di guerra;
Rapidi come i palpiti del core
Gli uni sugli altri scoppieranno i lampi;
Poi l'arco del sereno annunziatore
Sorriderà sui desolati campi;
Coronerà le torri il sol cadente
D'un bel vermiglio dolcemente fioco;
Azzurro il monte, roseo l'occidente,
Tutte le nubi diverran di fuoco;
Gli astri confusi alle riverse piante
Tremoleranno in sen della laguna;
Or emula del sole, or simigliante
A lucid'arco sorgerà la luna;
Pria squallide le valli e la pianura,
Poi la virtù che terra e ciel trasmuta
Risveglierà le rose e la verzura....
Ma per quest'alma ogni sembianza è muta!
[45]
Dei fanciulli lo stuol folleggiante
S'apre obliquo sentier clamoroso
Tra vegliardi dal fronte pensoso,
Tra garzoni dal volto seren,
Mentre il cieco rasenta le mura,
Col bastone tentando il terren.
Il Fanciullo
Giovine donna avvolta in bianco velo
Vicina a noi passò,
E le pupille sue color del cielo
Pietosa in te fissò,
Disse — Infelice! e pianger la mirai!
Il Poeta
Io non la vidi e non la vedrò mai!
Un picciolo piede com'aura leggiera,
Un guardo ove brilli sereno il pensiero,
Un crine diffuso su candido petto,
Un pallido aspetto,
Il cor del poeta facean palpitar! —
Ed or se voce intorno a me sonante
Com'arpa tocca da mirabil'arte
M'invoglia di conoscere il sembiante
Onde il soave accento si diparte,
[46]
L'alma dal sen si svelle disiante
Quasi l'abisso che da lui mi parte
Varcar s'affidi; e poi franta la spene
Riman qual prigionier nelle catene.
Ma ben del poeta lo sguardo si serra
Davanti ai codardi che calcan la terra
Impressa dell'orme d'antico valor,
Con fronte ombreggiato da crine odoroso
In cui non lampeggia pensier generoso,
Con riso che insulta dei forti al dolor. —
Chi tragge un sospiro guardando il sereno
Del ciel che si curva d'Italia sul seno
Qual volto d'amico su spenta beltà?
E invan tra l'olezzo di floridi piani,
O a piè di montagne che nutron vulcani
Danno ombre di gloria le antiche città. —
[47]
Il Fanciullo
Alla torre noi siam dei prigionieri! —
Il Poeta
E che vedi sul mar? —
Il Fanciullo
Vele lontane! —
Il Poeta
Ma dove l'onda al ciel si ricongiunge
Non si stende una striscia porporina
Lungamente sui flutti?
Il Fanciullo
— Ah quanto è bella!
E un'altra striscia sopra lei si posa
Che somiglia al color della viola. —
Il Poeta
Or guarda il ciel — splende la luna?
[48]
Il Fanciullo
Un lieve
Velo di cerchio in guisa la circonda,
E a lei vicina tremola la stella.
Il Poeta
Qui ci arrestiam — di queste aure marine
Quanto m'è grato inebbriarmi il petto! —
E presso al mar s'asside — il figlio intanto
Va sull'arena di conchiglie in traccia,
O in barca irrequieta al lido avvinta
Entra, e coll'agil remo si trastulla.
Un Pescatore (cantando)
«Sempre vicina al lido
«Và questa navicella,
«Italia è troppo bella
«Io non la vuo' lasciar. —
«Prima che l'alba nasca
«Lasciando il tetto mio
«Degli astri al tremolio
«Gitto le reti in mar.
«E al mio ritorno i figli
«Con ilare sembiante
«La preda ancor guizzante
«Accorrono a mirar.
[49]
«Vada il nocchiero ardito
«Incontro alla procella:
«Italia è troppo bella
«Io non la vuo' lasciar.
Un Prigioniero (cantando)
«M'hai rapita la bellezza
«De' miei poggi, del mio sole,
«Della sposa la carezza,
«II sorriso della prole.
«Perchè l'ala del pensier
«È rimasta al prigionier?
Poi di lontane
Voci armonia
Suona sull'onde,
E a lor risponde
Altra armonia, —
Son naviganti
Son prigionieri
Che della sera
Fan la preghiera
Sacra a Maria. —
L'augel notturno
Flebilemente
Cantar si sente;
E i doppi ferri
Della prigion
Da mano vigile
Percossi mandano
Lugubre suon.
[50]
Il Poeta
Del pescator la melodia si tace,
Muore sull'aura il prego del nocchier;
Quetò la rondinella il vol loquace,
E più non si lamenta il prigionier.
Ah conosco la notturna
Ora all'aere taciturna,
Interrotta sol dal murmure
Del tranquillo mar che frange,
Simigliante ad uom che piange.
La conosco: e questa è l'ora
Che ricurvo sulla prora
Il nocchier pensa più flebile
Della patria le pendici,
E l'addio dei cari amici!
Mare! allor che il tuo vergine zaffiro
Era alle stelle e al sol specchio lucente,
E di natura al matutin respiro
I tuoi flutti turgean candidamente,
Nè ancor dei venti al procelloso spiro
S'unía la voce del nocchier morente,
Te delle madri il disperato affetto
Non avea maledetto.
Ministro ai voli dell'uman desio
L'ardimentoso pin lottò coll'onde,
E l'inquieto spirto discoprio
Quanto mistero il velo tuo nasconde.
Ala d'italo genio il sol seguio
Anche nel ciel di sconosciute sponde,
E qual gemma rapita al tuo profondo
Fu dissepolto un mondo....
[51]
Al marin suolo instabile
Somiglia l'inquieta
Anima del poeta,
Che più scolpito sente
Il verbo della mente,
Allor che delle tenebre
Entro la pace immensa
Piange, s'allegra, e pensa.
Mentre serene rilucean le stelle
Sui taciturni alberghi dei cultori,
Quai solitarie e più d'ogni altra belle,
E quai ristrette in variati cori,
Lo spirto mio da questa bassa stanza
A voi s'ergea tra i mondi, e queti i vanni
Dove degl'infelici è la speranza,
Il terror dei codardi e dei tiranni,
Vedea da quell'eterna aura sicura
Qual lento verme su fiorito stelo
Il tempo passeggiar sulla natura
Stampando orma di morte in terra e in cielo.
E in altre notti, allor che il firmamento
Era da spesse folgori solcato,
E si spandea col sibilar del vento
Il muggito del mare infuriato,
Oh quante volte di funereo cinto
Sulla soglia inspirato m'arrestai!
E antico grandeggiar popolo estinto
Fuor delle scoperchiate urne mirai.
Poscia quando tra brani di procella
Azzurreggiava il ciel novellamente,
E a lui tornava la smarrita stella
Quai pensier dolce a disperata mente;
[52]
E della notte il queto orror profondo
Sol da cadenti stille era turbato,
Esser mi parve abitator d'un mondo
Dal sole e dalla gente abbandonato.
Veglie di gaudio arcano
Inebbriate — addio!
Or come il vulgo umano
Invoco il sonno anch'io.
Nè davanti a marmoreo
Vetusto monumento,
Allorchè rinnovellano
Le upupe il lor lamento,
M'assiderò stupito
Pensando ai corsi secoli,
Al nulla, all'infinito.
[53]
Il Poeta
A me ti appressa, o figlio — oh come dolce
Mi fia sentir sulle ginocchia il peso
Delle tue membra, e aver la mano avvolta
Entro la chioma tua! — voi, figlie, intanto
Addormentate il mio dolor col canto.
Le figlie (cantando sull'arpa)
«In densa nube avvolto
È il nostro genitor,
E sempre di pallor
Dipinto ha il volto.
«Non vede il nostro aspetto,
Non vede i nostri fior,
Ma l'inno dell'amor
Gli molce il petto.
«Compagne e notte e die
Sarem del suo dolor,
Gli allegreremo il cor
Coll'armonie,
«E alfine i nostri lai
Ascolterà il Signor;
La luce, o Genitor,
Tu rivedrai.
[54]
Poi chetamente
Ciascuna aspetta
Che i labbri s'aprano
Del genitor:
Anche il fanciullo
Lo guarda immoto
Per lo stupor.
Il Poeta
Matutino il Poeta un dì sedea
Al rezzo aprico di fiorita altura,
E a sè dinanzi folleggiar vedea
Due fanciullette d'un egual statura;
Neri sguardi elle avean, guancie rosate
E bionde chiome al vento abbandonate.
Repente alta caligine
Gli s'addensò d'intorno. —
«O Figlie mie, la nebbia
«C'invidia i rai del giorno! —
«Padre travedi; un velo
«Sarà negli occhi tuoi;
«Sempre sereno è il cielo,
«Risplende il sol per noi. —
Tacquero; e la caligine
Più folta si facea,
Al fianco suo le figlie
Stringendo allor dicea: —
«Ogni creato oggetto
«Invola al guardo mio,
«Ma dei figli l'aspetto
«Nò non rapirmi, o Dio —
[55]
Ah fu vano il pregar, fu vano il pianto,
Crebbe la nebbia, e le due fanciullette
Quell'infelice più non vide accanto. —
Dove ne andaste? — Padre,
Risposero, Siam qui! —
Ma qual da un altro mondo
Ei la risposta udì.
Or sono adulte, ogni gentil le adora:
Egli le vede pargolette ancora.
Delle due figlie quella
Che al padre e più vicina
A lui s'appressa, e in volto
Lo bacia affettuosa.
Egli a quel bacio sente
Sua guancia lacrimosa.
Oh dell'amor la lacrima
Perchè non ha virtù
D'animar la pupilla
Di chi non vede più?
E poi l'altra sorella
Si stringe al padre anch'ella,
E sui ginocchi il figlio
Riposa; nel silenzio
Solo alitar si sente
Un sospirar frequente.
[56]
In questo umano esiglio
Compagna io sol non ho.
Sempre la cerca il ciglio,
Dove la incontrerò?
Forse in festiva stanza
Tra vergini beltà,
Commosso dalla danza
Il crin le ondeggierà?
O a rai del sol cadente
Avvolta in bruno vel
Nel tempio mestamente
Leverà il guardo al ciel?
Oh se mi fosse accanto
Quella gentile, allor
Che in armonia di pianto
Saluto il dì che muor!
Oh se con lei le stelle
Potessi vagheggiar,
Mentre infinite e belle
Si specchiano nel mar!
Quanto maggior la piena
Saria del mio piacer,
E quanto più serena
La luce del pensier!
[57]
Ma questa assidua guerra
D'indomiti desir
Che il petto mio rinserra,
Accelera il morir!
E forse il nuovo aprile
Su tomba fiorirà
Che niun ciglio gentile
Di pianto bagnerà.
[58]
La giovin rigogliosa età serena
Fugge per me qual odoroso spiro,
E i procellosi affetti ond'è ripiena
In dolce nota modular desiro.
Benchè il pensier mi gravi aspra catena,
Spesso tra lievi fantasie m'aggiro,
Ma del cor l'armonia cessata appena
Sento il dir fioco, e col sermon m'adiro.
Tu di conforti a me deh sii cortese,
O Generoso, perchè in altri petti
Serpeggi il fuoco che di sè m'accese:
Tu per cui dal sepolcro delle istorie
Escono a risvegliar sopiti affetti
Vergogne antiche, Scelleranze e Glorie.
[59]
Non stenda la mano sull'arpa del vate
Chi ferver, quai fiamme dai venti agitate,
Magnanimi affetti non sente nel cor!
E qui più vivaci scintillan le stelle,
Qui sboccian le rose più grate, più belle,
Qui splenda nel Verso più luce d'amor.
Somigli all'olezzo dei floridi piani,
Somigli alla lava dei nostri vulcani,
Somigli al sereno dell'italo ciel.
Ah fosse scintilla di luce divina
Quest'alma inquieta che va pellegrina
Qual'umile vela su flutto crudel!
Vorrei dell'afflitto sul languido core
Passar dolcemente qual brezza sul fiore
Il vile, il superbo vorrei fulminar....
E queste montagne che bacian l'empiro,
Le nubi, le stelle, l'immenso zaffiro,
Gli antichi castelli, la voce del mar;
Le note d'un'arpa lontana lontana,
Il suon di campestre notturna campana,
La foglia cadente su queto ruscel;
[60]
Un raggio tra gli archi del tempio languente,
La pallida gota di bella dolente,
Il canto solingo di flebile augel;
La luna tra i fiori d'antica ruina,
La croce tra i salci d'aperta collina,
Un serto appassito su marmo feral;
Di supplice veglio le palme tremanti,
Di vispo fanciullo le chiome ondeggianti,
La rosa caduca, la querce immortal;
E i molti fantasmi di vinti nemici,
Di prodi esultanti, di prodi infelici
Che vagan tra l'urne dell'italo suol;
E questo rimbombo di grida di pianti,
Di preghi e bestemmie che all'inno dei santi,
Si mesce varcando la spera del sol;
Arcani concenti mi svegliano in petto;
E come a fanciulla se vide il diletto,
E come alla terra se il giorno sentì.
Un lampo m'arride di gioia immortale
Allor che dei vati la febbre m'assale....
Ardenti quai raggi di fervido dì
Traboccan gli affetti... già tutto m'inonda
La piena... ma come del verso la sponda
Il turgido fiume raccoglier potrà?...
O caro usignolo che in selva tacente
La luna novella dal balzo sorgente
Saluti coll'inno che pianger mi fà,
[61]
O caro usignolo!... qual corda di cetra
Te scoton le brezze vaganti nell'etra,
Il raggio degli astri, l'oleggio dei fior:
E come dal monte perenne fontana,
Dal pieno tuo core prorompe l'arcana
Notturna melode che inebbria d'amor.
Io come saetta nel nembo raccolta,
Io come facella nell'urna sepolta,
Ho fiamma nel petto che irromper non può.
E al par della nube che in cielo viaggia,
E al par della nave che cerca una spiaggia
Varcando la vita senz'orma morrò.
FINE.
[63]
A Giovanni Bertolli | Pag. 3 |
La Madre Povera | 5 |
Davanti al cimitero della terra natale | 7 |
Saluto a' quattro Poeti italiani | 9 |
L'Ave Maria della mattina | 13 |
L'Ave Maria della sera | 15 |
La Campana del Deprofundis | 20 |
Rimembranze d'infanzia | 26 |
Il Salice | 28 |
La Trovatella | 30 |
Per un nuovo Ponte sull'Arno | 32 |
Il Giovine | 35 |
La Sposa del Ricco | 38 |
Il Poeta cieco | 42 |
Lamento | 56 |
A G. B. Niccolini | 58 |
La Poesia | 59 |
Nota del Trascrittore
Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.
Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
End of the Project Gutenberg EBook of Liriche, by Giuseppe Montanelli *** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LIRICHE *** ***** This file should be named 60549-h.htm or 60549-h.zip ***** This and all associated files of various formats will be found in: http://www.gutenberg.org/6/0/5/4/60549/ Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive) Updated editions will replace the previous one--the old editions will be renamed. Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright law means that no one owns a United States copyright in these works, so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United States without permission and without paying copyright royalties. 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Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state's laws. The Foundation's principal office is in Fairbanks, Alaska, with the mailing address: PO Box 750175, Fairbanks, AK 99775, but its volunteers and employees are scattered throughout numerous locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation's web site and official page at www.gutenberg.org/contact For additional contact information: Dr. Gregory B. Newby Chief Executive and Director [email protected] Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide spread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS. The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. 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