Project Gutenberg's Il Concilio, by Ferdinando Petruccelli della Gattina

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Title: Il Concilio

Author: Ferdinando Petruccelli della Gattina

Release Date: August 31, 2014 [EBook #46736]

Language: Italian

Character set encoding: ISO-8859-1

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IL
CONCILIO

DI

F. PETRUCELLI DELLA GATTINA


MILANO

E. TREVES, EDITORE
1869.

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IL CONCILIO

IL

CONCILIO

DI

F. PETRUCELLI DELLA GATTINA


MILANO

E. TREVES, EDITORE.
1869.

[4]

Quest'opera, di proprietà, per l'Italia, dell'Editore E. Treves di Milano, è posta sotto la salvaguardia della Legge per la proprietà letteraria.


Tip. E. Treves.[5]


INDICE

CAP.   PAG.
I. 5
II. 7
III. 10
IV. 13
V. 17
VI. 19
VII. 21
VIII. 24
IX. 26
X. 28
XI. 30
XII. 34
XIII. 38
XIV. 40
XV. 43
XVI. 44
XVII. 47
XVIII. 49
XIX. 55
XX. 56
XXI. 58
XXII. 60
XXIII. 62
XXIV. 63
XXV. 66
XXVI. 68
XXVII. 69
XXVIII. 71
XXIX. 74
XXX. 77
XXXI. 80
XXXII. 83
XXXIII. 86
XXXIV. 90
XXXV. 94
XXXVI. 98
XXXVII. 101
XXXVIII. 105

IL CONCILIO


c1

I.

Sinodo a Costantinopoli, sinodo a Pietroburgo, sinodo a Belgrado, sinodo in Irlanda, Concilio ecumenico a Roma. La Chiesa, di temperamento linfatico, è tutta in moto.

Questo fatto straordinario produsse, di contraccolpo, alcune preoccupazioni nel mondo laico, e le potenze cattoliche le provarono alla lor volta.

Il principe di Hohenlohe è stato il primo a ben considerare questo argomento ed a richiamarvi l'attenzione degli altri Governi. L'Italia s'è tosto allarmata; e la scossa si è comunicata alla Francia, al Belgio, al Portogallo, all'Austria e persino alla Prussia. La sola Inghilterra ha conservato la sua calma, per la ragione che il suo papa, sir Gladstone, ha conceduto indirettamente ai cattolici del Regno-Unito più che tutti i Concilii e i Concordati con Roma abbiano loro mai conceduto,—e per giunta la libertà. La Spagna non ha preso la parola, ma lo farà. Pel momento, essa ha ben altre gatte a pelare: i partigiani dei Borboni e i repubblicani, i quali colà, come in Italia, mostrano quel tatto di opportunità ch'è loro proprio.

L'immenso punto interrogativo che si eleva sulla situazione egli è questo: La Chiesa si lascerà trascinare dalla[6] civiltà del mondo moderno? Ovvero indietreggerà? O si immobilizzerà nella sua dichiarazione d'inammissibilità, dicendo: Nè il mio regno nè io siamo di questo mondo?

Il mistero conservato dai membri della Congregazione direttrice dei lavori del Concilio e da quelli delle Commissioni speciali produce una mal celata agitazione tra i Governi europei. L'episcopato, che deve intervenire all'assemblea, è privo, come tutti gli altri, di qualunque lume. S'ignorano le materie che saranno presentate alla discussione de'Padri; ignorasi se questi Padri saranno chiamati a discutere, o soltanto a sancire de'canoni già stabiliti prima; se il potere laico sarà invitato ad assistere ai dibattimenti, non essendo stato preventivamente interrogato intorno alla convocazione del sinodo; e con qual titolo, con quali facoltà, i rappresentanti delle potenze parteciperebbero alle deliberazioni.

Malgrado le affermazioni contrarie, gli Stati cattolici rappresentati a Roma hanno fatto qualche passo per essere illuminati su questi diversi problemi. Ma non ottennero alcuna soddisfazione, sotto il pretesto che gli atti delle sezioni non erano ancor terminati e che il programma non era ancora pronto.

E siamo a questo punto.

Si domanda inoltre: quali saranno le tendenze del Concilio? in qual senso saranno le sue risoluzioni? e sotto qual forma verrà fatta la proclamazione dei canoni? Il sinodo si occuperà di dogma o di disciplina?

Il potere laico avrà diritto di censura, di osservazione, di emendamento? I vescovi sono convocati come rappresentanti delle diocesi, ovvero come mandatarii del papa presso queste diocesi? Avranno essi un voto deliberativo e il diritto di respingere le proposte che offendono la loro coscienza? La votazione si farà per nazione o per individuo? Il popolo cattolico, che deve accettare come[7] infallibili i decreti del Concilio, come e per mezzo di chi vi sarà rappresentato, poichè i vescovi non hanno preventivamente ricevuto il loro mandato nei comizi de'fedeli, o nei sinodi diocesani o provinciali? Il potere papale sarà superiore o subordinato al potere costitutivo de'Padri?... Sono questi ed altri i quesiti, che il mondo cattolico si pone innanzi, e sui quali i Gabinetti stessi paiono ansiosi di ricevere una risposta.

Ma la Corte di Roma si tace.

Ha essa ragione di tacere? E c'è ragione d'esserne ansiosi?

Diciamolo a prima giunta; il silenzio è forse sconveniente, ma l'apprensione è fuor di luogo.

Una riunione di teologi non è nè un Congresso di diplomatici, che tiene in mano la pace e la guerra; nè un Parlamento doganale, nè un Congresso di economisti, che possono, al postutto, influire colle loro deliberazioni sulla prosperità d'una nazione. I canoni di Roma non s'imporranno come i cannoni della Francia s'imposero all'Austria a Solferino, e come quelli della Prussia s'imposero alla Germania a Sadowa. Nondimeno bisogna prenderne atto e tenerne conto, poichè la Chiesa domina ancora su quella parte della popolazione che i Governi sottraggono all'istruzione primaria, e su quella che i mariti ed i padri non sanno tenere entro il santuario della famiglia.


c2

II.

Per apprezzare ciò che sarà il Concilio ecumenico del 1869, o piuttosto ciò che può essere, bisogna rivolgere addietro il nostro sguardo e rammentarci quello che furono i Concilii che lo precedettero. Nella Chiesa nulla decàde, nulla si[8] distrugge. Essa vive del passato; essa impiega tutte le sue forze a modellare il presente su questo tipo: il che non vuol dire ch'essa non cammini. La Chiesa si rassegna ai fatti compiuti ed alle nuove teorie, ma come ad una necessità, e rimanendo sempre abbrancata ai vecchi principii, come un uomo che stesse in piedi sopra una zattera rimorchiata da un battello a vapore.

Infatti, egli è soltanto mediante il raffronto col passato che noi possiamo intendere il significato dell'attitudine della Corte di Roma in questa circostanza, di fronte al corpo episcopale ed alle potenze. Non è che interrogando la storia de'Concilii che noi possiamo indovinare quale estensione la Chiesa attuale intende dare a'suoi decreti, e quale importanza essa attribuisce a coloro che devono eseguirli. Questa indagine storica è utile altresì per ricordare attraverso quali vicissitudini è passata la dottrina romana prima di costituirsi: non foss'altro, per insegnare a'nostri dottori della 6.ª Camera con quanta circospezione bisogna giudicare in materia teologica. E poi, quanti lettori sanno veramente che cosa è un Concilio?... Dopo questa rassegna, noi potremo cavare l'oroscopo del prossimo Concilio e presentare le nostre conchiusioni come il verdetto dell'esperienza e della ragione.

La storia dei Concilii è la storia stessa del cristianesimo, o piuttosto del cattolicismo, che n'è la burocrazia. La nuova assemblea dee registrare le perdite, le riforme, i dogmi nuovi, la liturgia nuova, le concessioni fatte ed ottenute ...—in una parola, la fase nella quale la Chiesa è entrata, confermando tutto, non distruggendo nulla, attestando il diritto, ma piegando la testa dinanzi al progresso, che non risparmia la religione di ieri, più che non risparmii la scienza di stamane.

Questi Stati generali del mondo cattolico sono talora assemblee costituenti, ma più spesso sono Camere di registrazione.[9] Essi seguono sempre i grandi cataclismi che scuotono il mondo laico, e che producono delle rovine nel mondo religioso, già tarlato.

Vi sono più specie di Concilii: i provinciali, i nazionali, i diocesani, e gli ecumenici, ossia generali.

I Concilii particolari, per consueto, si dicono sinodi.

Il numero di queste riunioni non si conosce esattamente. Noi ne abbiamo notato trecentotrentanove tra quelle che spiccano di più, senza tener conto delle due o tre assemblee degli apostoli a Gerusalemme, nel primo secolo, chiamate da Wathely conferenze, nè di quella riunione di vescovi a Roma, a cui Pio IX annunciò da ultimo la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione.

Oh ben si vede che la Chiesa è ancora molto lontana dal mondo moderno, in cui l'idea sociale della maternità primeggia sull'idea afrodisiaca orientale della virginità! La Chiesa è rimasta asiatica.

Di codesti sinodi ve n'ebbero tre nel II secolo, undici nel III, dodici nel IV, dodici nel V, trentasette nel VI, venticinque nel VII, quindici nell'VIII, quarantasette nel IX, undici nel X, trentaquattro nell'XI, ventidue nel XII, quaranta nel XIII, ventisei nel XIV, dieciotto nel XV, quindici nel XVI, uno nel XVII, cinque nel XVIII, cinque nel XIX.

L'ultimo Concilio tenuto a Parigi fu quello del 1811, per sottrarre al papa l'istituzione de'nuovi vescovi. V'intervennero novantanove Padri, presieduti dal cardinale Fesch. L'ultimo sinodo tenuto in Europa fu, io credo, quello di Nevers o di Langres, nel 1843, per istabilire l'uniformità della liturgia; e l'ultimo nel mondo è stato quello d'Australia (1844), per rimondare i costumi e la disciplina.

Tra codesti Concilii, venti sarebbero stati ecumenici, secondo la Chiesa di Roma. Ma in realtà non furono che[10] otto, poichè dopo quello di Costantinopoli (869), la Chiesa orientale non si mescolò più con la latina, ed al nono Concilio ecumenico, detto Lateranense (1122), convocato da papa Calisto II, l'imperatore d'Oriente e i Padri greci non intervennero. L'ultimo Concilio ecumenico, secondo Roma, fu quello di Trento (1545-63).


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III.

I Concilii de'quattro primi secoli ebbero per oggetto le cerimonie del culto, anzichè il dogma. I dogmi cristiani nacquero verso la metà del terzo secolo, nella scuola d'Alessandria, dal miscuglio della filosofia platonica colle semplici tradizioni degli apostoli. L'insegnamento di questi dogmi procreò l'eresie, e le eresie stabilirono i dogmi. Da ciò la necessità di convocare dei sinodi per discutere le dottrine che pullulavano con grande vigore, per accettare le une e respingere le altre. E perciò, nel sinodo di Pergamo (152) si condannò Colarbasio, gnostico ed astrologo; in Sicilia, Eracleone, il quale insegnava che il battesimo toglie la possibilità di peccare; a Jerapoli, Teodoto, conciapelli, che aveva sacrificato agl'idoli, e credeva Gesù un uomo ordinario; ed altri eretici. A Cartagine, a Roma, ad Arles furono condannati Novato e Novaziano, che rifiutavano ogni perdono ai Caduti o Lassi; il manicheo Manete, Donato e i donatisti, i puritani della disciplina; Montano, Marcione, Valentino e le loro sètte gnostiche—specie di mistici sognatori, del resto molto calunniati, i quali proscrivevano il matrimonio, ma non disdegnavano la comunità delle donne[1].

[11]

Tutti questi sinodi erano specie di meetings, pressochè come i nostri Consigli provinciali, determinati, circoscritti in un luogo e da un argomento; meno però il Concilio d'Antiochia contro Paolo di Samosata, che voleva scalzare il fondamento stesso della nuova religione. Questo Concilio, tenuto nel 264, condannò l'ardito vescovo, che combatteva il dogma della divinità di Gesù.

Codeste eresie, codesti dogmi male coordinati, ammessi dagli uni, contestati dagli altri, mantenevano una viva agitazione nell'Impero, e disturbavano Costantino, il quale aveva[12] accordato il suo imperiale favore ai Cristiani per fare dispetto al suo rivale Licinio, sostenuto dai Gentili. Ma Ario sconvolse tutta la dottrina, e sedusse le menti. Egli insegnava «che il Figlio fu generato, ebbe principio, ed è di una sostanza diversa da quella del Padre, il quale è eterno; ch'egli è stato fatto dal nulla, è variabile, e può anche avere dei vizi». Il popolo correva dietro a questa dottrina, che non era quella dell'imperatore e dei[13] suoi partigiani. Si tenevano sinodi contraddittorii. I pagani deridevano il cristianesimo. Costantino risolse di por fine a siffatta opposizione, che poteva avere delle conseguenze politiche. Egli fece redigere il simbolo del suo cristianesimo ufficiale, e nell'anno 325 convocò un Concilio ecumenico a Nicea nella Bitinia.


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IV.

Per impegnare i vescovi a rispondere al suo appello, Costantino li fece invitare da corrieri particolari, latori della lettera imperiale scritta da Osio. Poi, lungo tutte le[14] vie, fece approntare cavalli e carrozze, e mise a disposizione de'prelati il denaro pel viaggio. Duemila e quarantotto vescovi si recarono all'invito dell'imperatore, accompagnati da un meraviglioso numero di diaconi e di preti, colle mogli e figli loro, e di curiosi. Una parte de'Padri era ammogliata. Il vescovo di Roma, Silvestro I, non v'andò, «Questi Padri, dice lo storico Socrate, erano ignoranti e rozzi», in modo che l'imperatore pose al loro fianco sofisti ed avvocati per dirigerli. La formula del dogma era pronta, e si cominciò a discuterla nelle riunioni preparatorie.

Mille settecento e trenta vescovi la respinsero, e non parteciparono al Concilio; trecento e dieciotto, più compiacenti, l'accettarono. La sessione generale fu fissata.

L'adunanza doveva aver luogo in una sala del palazzo imperiale, poichè a quell'epoca non v'erano le maestose cattedrali che sorsero più tardi. Le chiese, in generale, erano come certe sale odierne di Londra, le quali, durante la settimana, servono ai balli pubblici ed ai meetings d'ogni sorta, e la domenica si trasformano in cappelle[2]. V'erano collocate delle sedie uniformi pei Padri del Concilio, ed una sedia, allo stesso livello, per l'imperatore, ma in oro massiccio e tempestata di pietre preziose.

I vescovi entrarono nella sala, e rimasero in piedi. Costantino, coperto di porpora, d'oro e di gemme, giunse più tardi, traversò solennemente l'assemblea, e andò a[15] collocarsi al suo posto in capo alla sala. Fe' segno ai vescovi di sedere, e sedette. Non v'erano designati nè presidenti nè segretaria ma, in realtà, l'imperatore diresse le discussioni.

Singolare organo dello Spirito Santo! poichè, a quell'epoca, Costantino era supremo pontefice de' pagani, non intendeva che imperfettamente il greco parlato da'vescovi, e non era ancora cristiano.

Valesio tenne nel Concilio le funzioni equivalenti a quelle di Gentz nel Congresso di Vienna: egli redigette gli atti. Appena furono tutti seduti, Eustazio d'Antiochia fece un complimento all'imperatore. Costantino rispose, leggendo un discorso d'apertura, che doveva valere di programma per la sessione, ed esortò i Padri alla moderazione ed alla concordia. Questo invito non fu però molto ascoltato, poichè, appena la seduta fu aperta, essa si mutò in uragano. Tutti i vescovi presero a parlare ad un tempo per accusarsi reciprocamente; ma l'imperatore li calmò, e gettò sul fuoco le denuncie che gli erano state presentate dagli uni contro gli altri. E le discussioni sulla dottrina incominciarono.

Costantino non impose apertamente alcuna opinione: si limitò a proclamare le decisioni prese ed a considerarle come definitive. Del resto, egli aveva formulato la sua fede ufficiale, e non fu che dopo averla accettata che i Padri poterono partecipare al sinodo.

Nondimeno ventidue vescovi ariani erano riesciti a penetrare nell'assemblea, ed a presentare un simbolo ariano. La maggioranza, non solo lo respinse, ma lo fece a brani. Venti di que'vescovi abiurarono, persuasi forse da un motto spiritoso di Costanza, sorella di Costantino ed ariana. All'omusios, che significa consustanziale, essa consigliò di sostituire omiusios, che significa simile in quanto alla sostanza. Prodigio d'un iota! tutti si arresero.

[16]

Due soli vescovi ariani, Secondo di Tolemaica e Teonate di Marmarica, ricusarono di accettare codesta transazione, malgrado la pena dell'esilio, minacciata da Costantino ai dissidenti.

E fu così che la parola consustanziale, condannata nel Concilio d'Antiochia contro Paolo di Samosata, fa adottata dal Concilio di Nicea! Ario fa condannato ed esiliato. Costantino, con una circolare, notificò al mondo cattolico le decisioni del Concilio, e il cristianesimo imperiale fu fondato. È però vero che più tardi Costantino richiamò Ario dall'esilio, e morì ariano.

Il matrimonio de'preti fa rispettato.

Lo Spirito Santo fu trattato assai nobilmente, secondo l'espressione di Voltaire; poichè di lui si disse soltanto: «Crediamo nello Spirito Santo».

Due Padri ariani non sottoscrissero gli atti.

In compenso, due Padri ch'erano morti durante la sessione non vollero mancare al loro cómpito. Si posero nottetempo gli atti suggellati entro le loro tombe, e la mattina seguente si trovarono firmati.

Il Concilio fu chiuso il 24 di luglio. Costantino diede ai Padri uno splendido banchetto, in cui Eustazio d'Antiochia fece un suntuoso brindisi in suo onore.

Costantino aveva sostenuto tutte le spese del viaggio e mantenimento de'vescovi. Inoltre ei li colmò di doni, e li rimandò pure a sue spese.

Ecco il tipo d'un Concilio ecumenico. Vedremo come le cose andarono in appresso.


[17]

c5

V.

Il Concilio di Nicea aveva promulgato una specie di Costituzione dell'anno VIII. Costantino, avendo fondato il cristianesimo ufficiale e dogmatico, credeva aver decretato la pace de'suoi Stati e l'armonia delle anime. Ma non fu così. I trecento dieciotto vescovi, che l'imperatore aveva scelto tra' duemila quarantotto Padri giunti al Concilio, erano una minoranza compiacente, che non poteva imporre nè la sua volontà nè il rispetto del suo verdetto. La maggioranza dell'Impero era ariana; la dottrina ariana era la più filosofica; non si volle dunque rassegnarsi. D'altra parte, le idee sono naturalmente elastiche: più si comprimono, e più si dilatano. Una conflagrazione generale scoppiò nell'Impero: si faceva a gara per protestare con maggiore energia, per difendersi con maggiore accanimento. E però, un Concilio ad Antiochia favorevole agli ariani; un Concilio ariano a Tiro, che condannò sant'Atanasio di Nicea, malgrado l'appoggio potente di Costantino, che v'intervenne con la forza—poichè era sempre lui che convocava queste assemblee;—un Concilio a Gerusalemme, che trovò buona la professione di fede di Ario, presentata dall'imperatore medesimo—il quale si compiacque questa volta di trovarla eccellente;—i Padri del Concilio di Tiro, chiamati a Costantinopoli dall'imperatore, che condannarono di nuovo Atanasio; un Concilio a Costantinopoli, convocato da Costanzo, figlio di Costantino, ariano; ed un nuovo Concilio ad Antiochia.... sempre contrarii alla professione di fede di Nicea, ch'è la nostra odierna.

Poi un Concilio a Roma in favore di questa professione di fede; un Concilio a Milano contro Fotino, che negava[18] la Trinità e la divinità di Gesù; un Concilio a Costantinopoli (360) contro Macedonio, che nell'esilio fondò la sètta dei Pneumatomachi[3]; un Concilio a Sardica, nel 347, convocato dai due imperatori, in cui i vescovi orientali, in minoranza, rifiutarono di sedere, deliberarono a parte in favore dell'arianismo, scomunicarono di nuovo i Padri occidentali, niceani, che li avevano scomunicati, e cominciarono quello scisma che divise la Chiesa cattolica in Chiesa greca e in Chiesa latina, Chiesa d'Oriente e Chiesa d'Occidente.

Il Concilio di Sirmico tentò una transazione, togliendo dal simbolo il famoso omusios, non meno che l'omiusios—consustanziale, e simile in quanto alla sostanza,—e persino la parola sostanza. Ma Costanzo fece un decreto, che[19] cassò questa formula, e impose a' suoi sudditi il semi-arianismo. Liberio, vescovo di Roma, si oppose: Costanzo lo mandò in esilio. Liberio si ritrattò, si conformò alla volontà imperiale, e fu richiamato. Ed ecco un papa eretico!

Del resto, son trentacinque gli eretici[4].


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VI.

Aezio ed Eudossio predicarono la differenza assoluta del Padre e del Figlio. Costanzo firmò la loro condanna nel[20] Concilio d'Ancira, e convocò un Concilio a Rimini per gli Occidentali, a Seleucia per gli Orientali. I Padri di Rimini accettarono la fede della Corte; quelli di Seleucia, tutti ariani, resistettero. Il Concilio di Costantinopoli, composto di delegati delle due assemblee, sancì la formula di Rimini.

Giuliano, salito al trono, riaperse i tempii degli dei per tenersi neutrale in mezzo a tutti i culti. Ma ei non teneva conto de'partiti. Altri Concilii si riunirono; ed in fine, l'Occidente rimase pressochè fedele alle dottrine di Nicea, l'Oriente si divise tra le differenti sètte ariane.

Gioviano, benchè consustanzialista, lasciò piena libertà a tutte le sètte. Il Concilio d'Antiochia (363) si uniformò alle credenze di Rimini, e, risalendo alla formula di Nicea, tenne per l'omiusios. Il semi-arianismo trionfò.

La tolleranza di Valentiniano diede buon giuoco ai consustanzialisti.

Il Concilio di Lampsaca diede un forte colpo all'arianismo orientale. Il Concilio di Roma decise il trionfo, estendendo la consustanzialità sino allo Spirito Santo. Quello d'Illiria confermò queste decisioni: e Valentiniano, notificandole alle Chiese dell'Asia, ordinò di rendere i vescovi, più ch'era possibile, ereditarii.

Graziano fu tollerante come il padre.

L'ondulazione della fede seguiva la credenza degl'imperatori, che davano il tono alla Chiesa. Il vescovo di Roma prudentemente la subiva. E però la pace stava forse per istabilirsi, allorchè Teodosio impose a tutto l'Impero il consustanzialismo professato dal vescovo di Roma. Ma le sètte ariane si opposero a quest'ordine; e Teodosio convocò il secondo Concilio ecumenico a Costantinopoli, per far prevalere le sue dottrine e dare all'Impero l'unità della fede.

Centocinquanta Padri si affrettarono, come sempre, ad[21] adempiere la volontà imperiale. Nel 381 essi ratificarono la formula di Nicea, e conservarono sulla sedia di Costantinopoli Nettario, un vecchio non ancora battezzato, ma protetto dall'imperatore. Poi usarono allo Spirito Santo la cortesia di dichiararlo signore vivificante, che procede dal Padre.

Più tardi, la posizione della terza persona, «che prima degli Ariani era stata poca cosa», dice Potter, fu regolata dal Filioque, aggiunto al simbolo, prima in Spagna nel 447, poi in Francia, nel Concilio di Lione, l'anno 1274; e finalmente a Roma, che lo fece procedere anche dal Figlio.

Teodosio convertì in legge dello Stato i decreti del Concilio, e li promulgò. San Gregorio Nazianzeno chiamò codesto Concilio scena da taverna. Roma non lo considera come ecumenico.

Proscritta l'eresia per decreto sovrano, Teodosio credeva di poter incrociare le braccia; ma la sua gioia non durò più di quanto duri codesto genere di decreti—otto giorni di terrore! La reazione succedette in breve: l'arianismo mutò forma in Asia, ma si stabili in Europa ed in Africa.

Teodosio capi d'essere ridicolo ed impolitico, e moderò il proprio zelo.


c7

VII.

Il cristianesimo orientale prese allora tendenze mistiche. Queste tendenze produssero un numero considerevole di sètte, tutte comprese sotto il nome di gnosticismo. Le credenze de' gnostici, mescolate di sogni i più strani e di pratiche carnali le più esagerate, dovevano naturalmente[22] sedurre le donne. Esse si diedero quindi a praticare, propagare e predicare le dottrine gnostiche, ne divennero le apostole e le sacerdotesse.

I Concilii cominciarono l'opera loro, ed apersero il fuoco del combattimento. Il Concilio di Saragozza condannò i Priscilliani. Questa condanna diede alla sètta un forte impulso, e la consolidò nelle Gallie ed in Italia. L'imperatore Massimo la fece giudicare dal Concilio di Bordeaux. Priscilliano e sei altri gnostici furono giustiziati, altri esiliati—e il priscillianismo prosperò[5].

Venne poi una serie di Concilii per sostenere o per combattere le opinioni di Origene e la corporeità di Dio; poichè parecchi Padri credettero Dio materiale, tra gli altri san Giustino martire, Lattanzio, Melitone e Tertulliano, che diceva: Nihil est incorporale nisi quod non est....

Nestorio ed Eutiche, che entrarono in iscena, fecero dimenticare la controversia di Origene e dell'antropomorfismo, il primo distinguendo, il secondo confondendo le due nature di Cristo.

San Cirillo, l'assassino d'Ipazia, accusò Nestorio all'imperatore di non ammettere la divinità di Gesù e di ricusare a Maria il titolo di madre di Dio, «non potendo[23] (egli diceva) essere nello stesso tempo la madre del Figlio e del Padre». L'imperatore Teodosio II convocò il terzo Concilio ecumenico ad Efeso l'anno 431. Nestorio fa il primo a giungervi con due ministri di Stato dell'imperatore, uno per assistere al Concilio, l'altro per difenderlo colla forza. Cirillo, che doveva presiedere, vi giunse alla sua volta. Nestorio e i commissarii imperiali domandarono che l'apertura fosse rimandata sino all'arrivo dei vescovi d'Antiochia e delle altre sedi dell'Oriente e dell'Italia; ma Cirillo tirò innanzi.

Il commissario imperiale protestò, e si ritirò. Nestorio non volle comparire dinanzi un tribunale incompleto, composto soltanto de' suoi nemici. Ma la condanna di Nestorio fu pronunciata a tamburo battente. Il commisssario imperiale e Nestorio spedirono all'imperatore la narrazione di quella procedura.

L'arrivo del vescovo d'Antiochia e degli altri vescovi peggiorò le cose. Essi si dichiararono contro Cirillo, e il commissario imperiale si schierò con loro. Allora il Concilio si divise in due, una parte sotto la presidenza di Cirillo, l'altra sotto quella di Giovanni d'Antiochia. Cirillo fu condannato alla sua volta; il che, dice Voltaire, imbarazzò molto lo Spirito Santo—il quale era in causa. L'imperatore, confermando pure la condanna di Cirillo e Nestorio, richiamò dinanzi a sè la discussione; e il nuovo commissario imperiale rimandò i Padri alla Corte, che allora risiedeva a Calcedonia.

Ecco ora la volta di Eutiche. Egli aveva combattuto Nestorio ad Efeso. Ora spinse più innanzi la sua dottrina, e disse che, dopo l'unione, l'umanità e l'essenza divina di Gesù non formavano che una sola natura. Il Concilio di Costantinopoli condannò questa dottrina. Eutiche ne appellò all'imperatore; poichè l'imperatore, che sosteneva la parte principale nella confezione del dogma cristiano, era altresì giudice supremo in materia di fede.

[24]

I commissarii imperiali sedettero co'vescovi in un nuovo Concilio, il quale confermò i decreti del primo; ond'essi indissero una terza assemblea, che doveva riunirsi egualmente ad Efeso, nel 479.

E fu questo il famoso Concilio del brigantaggio.

Centoventotto vescovi vennero in esso alle mani—come avevano fatto i loro predecessori a Cirta, nel 355, e nel piccolo Concilio di Cartagine. I Padri gridavano «che bisognava tagliare in due tutti quelli che dividevano in due Gesù-Cristo». E due Padri calpestavano il patriarca Flaviano, che morì per le ferite ricevute.

Eutiche fu riabilitato.

L'imperatrice Eudossia l'aveva ordinato.

Pur troppo le imperatrici, dappertutto e sempre, s'immischiano in tutto—in un dogma, del pari che in un'acconciatura.


c8

VIII.

Il quarto Concilio ecumenico fu convocato. Marciano, o piuttosto Pulcheria sua moglie, rimasta vergine nel matrimonio, devota al vescovo di Roma, Leone, riunì il Concilio a Calcedonia nel 451. Questo Concilio fu l'ultimo degli ecumenici che fondarono la dottrina della Trinità.

Seicentotrentasei Padri si arresero agli ordini dell'imperatrice.

I legati romani furono i presidenti del Concilio.

Le dottrine di Nestorio e di Eutiche furono condannate, e fu proclamato «che il Cristo godeva di due nature, ciascuna delle quali conservava la sua proprietà essenziale, benchè formanti una sola persona».

I monaci presenti alle discussioni grugnirono, urlarono.[25] Si volle metterli alla porta, ma essi minacciarono di strangolare i vescovi. Gli agenti dell'imperatore ristabilirono l'ordine. Quand'ecco, non si sa più quale delle due formule sottoscrivere, se quella dei legati di Roma, o quella degli Eutichiani. Si pensò di metterle ambedue nel sepolcro di Santa Eufemia. All'indomani si aprì il sepolcro: la santa, dice Zonaro, aveva respinto a' suoi piedi lo scritto eutichiano, e teneva nelle mani la formula cattolica, ch'essa presentò graziosamente all'imperatore. Allora Marciano si recò al Concilio, e pronunciò il discorso di chiusura.

Questo Concilio, come gli altri, diede origine ad una serie d'altri Concilii e d'altri torbidi.

Il Concilio di Cartagine aveva già condannato la dottrina di Pelagio, monaco bretonne, e quella di Celestio, prete scozzese, che affermavano la libertà e dignità dell'uomo, respingevano la dottrina del peccato originale, e rendevano, per conseguenza, nulli il battesimo e la redenzione. Ma il Concilio di Diospoli cassò quel decreto. Egli è vero che i Latini intendevano poco il greco, e che i Greci non intendevano punto il latino. Il Concilio di Milevo confermò in appresso la sentenza di quello di Cartagine.

La Chiesa non esitò mai a pronunciarsi contro la libertà, qualunque sia la forma che questa prenda, politica, scientifica o religiosa.

Il Concilio d'Efeso (477) annullò le decisioni emesse a Calcedonia. Tutto l'Oriente si agitò per o contro codesto Concilio, e si suddivise in sètte e scismi infiniti. Le città furono turbate da sommosse; il sangue corse in Antiochia, a Costantinopoli ed altrove. Giustino perseguitò coloro che non pensavano come lui. Giustiniano, che si piccava di teologia, decideva in fatto di dogmi—malgrado l'imperatrice Teodora, che seguiva una credenza diversa dalla sua.

[26]

Giustiniano convocò poi un quinto Concilio ecumenico, raccolto a Costantinopoli nel 455, e fece condannare di nuovo alcune opinioni di Origene e le teorie di Ario, di Eunomio[6], di Macedonio, di Apollinare e di altri. Vigilio, vescovo di Roma, non volle assistere al Concilio, benchè si trovasse a Costantinopoli. Giustiniano lo maltrattò, e ne ottenne quello che volle.

Il quinto Concilio ecumenico non è accettato come tale dalla Chiesa latina.


c9

IX.

Dopo, la quistione delle due nature, sorse la quistione delle due volontà.

A quell'epoca tutti si occupavano di teologia, come noi ci occupiamo di politica; e le donne discorrevano insieme delle due ipostasi, come oggidì discorrono di stoffe.

I monoteliti non ammettevano che una volontà ed un'azione sola nella natura del Cristo. L'imperatore Eraclio, essendo di quest'avviso, volle sapere che cosa ne pensava il suo vescovo di Roma. Onorio ammetteva invece due volontà, ammettendo le due nature. Eraclio non si arrese a questa opinione. E perciò, subito un Concilio monotelita ad Alessandria e un Concilio contrario a Gerusalemme.

Ma egli era il padrone, e il papa piegò.

Eraclio proibì, con editti, di parlare delle due nature[27] e delle due volontà, ed impose il monotelismo all'Occidente.

Il Concilio di Roma condannò questa dottrina.

Costante II strappò il papa Martino dalla sua sede, non meno che altri vescovi, e li mandò a morire in esilio.

Costante II fa poi assassinato in Sicilia.

Costantino Pogonato volle imporre a' suoi sudditi d'Oriente le dottrine di quelli d'Occidente, per realizzare l'armonia della fede nell'Impero e cancellare lo scisma. Egli convocò dunque il sesto Concilio ecumenico.

Circa duecento vescovi si riunirono a Costantinopoli l'anno 680. Costantino presiedette il sinodo, avendo alla sua destra il patriarca di Costantinopoli, alla sinistra i legati di Roma.

Il monotelismo fu condannato, il papa Onorio riprovato, e proclamato il dogma delle due volontà.

Alcuni cattolici confondono questo Concilio con quello detto in Trullo, che i protestanti dichiarano il settimo Concilio ecumenico.

Questo Concilio, ordinato da Giustiniano, si raccolse a Costantinopoli l'anno 692, in una torre o salone del palazzo imperiale. Più di duecento vescovi risposero all'appello dell'imperatore. Roma non mandò a questo sinodo alcun legato speciale, ma vi si fece rappresentare dagli agenti ordinarii che il vescovo di Roma manteneva alla Corte.

Giustiniano presiedette l'assemblea, ne firmò e notificò gli atti. Vi fu lasciato il posto per la firma del papa; ma Sergio ricusò la sua segnatura, a cagione di sei canoni consacrati dal Concilio e respinti dalla Chiesa latina—tra gli altri, quello del matrimonio de' preti.

Altri Concilii impugnarono, per ordine dell'imperatore Filippico, le decisioni di questo.

Lo scisma tra'Greci e Latini si estese.

[28]

Il monotelismo rimase sommerso dalla controversia delle immagini, che prese posto nell'attenzione e nelle preoccupazioni pubbliche.

Inoltre il maomettanismo ed i barbari stringevano sempre più da presso il mondo imperiale.


c10

X.

La controversia delle immagini cominciò dall'editto di Leone Isauro, che proscrisse le immagini, ad esempio dei Maomettani. Il papa Gregorio II fece delle rimostranze, ma Leone insistette. Il papa riunì un sinodo, scomunicò l'imperatore, e gli tolse la sovranità dell'Italia. Leone tentò di far assassinare il papa; ma questi fece alleanza co'Franchi, e consegnò loro Roma e l'Italia.

Gregorio stabilì il principio che l'imperatore non aveva ad immischiarsi nelle cose della Chiesa: Non oportere imperatorem de fide facere verbum.

Lo scisma religioso prendeva quindi proporzioni politiche e nazionali.

La controversia si rincrudì, e provocò sommosse e proscrizioni. Il potere del papa si consolidò ed ingrandì; quello de' signori d'Oriente, già tanto spregevoli, perdette ogni giorno terreno.

Nuovo Concilio a Roma, che scomunicò i nemici del culto delle immagini. Costantino Copronimo convocò il settimo Concilio ecumenico a Costantinopoli nell'anno 754.

Trecento trentotto vescovi, dopo aver tenuto, per ordine dell'imperatore, delle assemblee provinciali in tutto l'Impero, sedettero nel palazzo imperiale di Ieria. La sessione[29] teologale durò sei mesi, e l'idolatria delle immagini fu condannata.

Ma Roma rispose. Il Concilio di Stefano IV scomunicò quello di Costantino e gl'iconoclasti greci. Un mutamento succedette però ben presto nel Bosforo. L'imperatrice Irene, donna atroce e pia, che uccise il marito e fece acciecare il figlio, si dichiarò iconolatra, ossia partigiana degli adoratori delle immagini.

Irene era donna, quantunque devota; e le immagini sono un ornamento, un oggetto di toeletta. Una donna non può essere iconoclasta.

Irene riunì un Concilio a Nicea nel 787, il settimo ecumenico de' Latini. Trecento cinquanta Padri vi accorsero. Irene li arringò, e il Concilio condannò gl'iconoclasti. Ma Carlomagno gli oppose un sinodo di trecento vescovi, riuniti a Francoforte (794), e, più tardi, Luigi il Buono una seconda assemblea, che decise tutto il contrario, e proscrisse gl'iconolatri.

Un Concilio, indetto da Leone Armeno, non solo proibì le immagini, ma ordinò di bruciarle. Parigi ebbe nello stesso senso un Concilio nell'824. Si dovette cedere. Il papa Anastasio, sempre infallibile come i Concilii, fece, spezzare le statue e raschiare le pitture di San Pietro.

Nondimeno la controversia non s'acquetò; e fu soltanto più tardi, in un Concilio convocato dall'imperatrice Teodora a Costantinopoli nell'842, che, dopo una lotta di centodieci anni, il culto delle immagini fu definitivamente riconosciuto.

Così le belle arti devono a due donne, Irene e Teodora, la conservazione di questo campo glorioso de'loro trionfi—e noi non ce ne lagniamo.


[30]

c11

XI.

Ma i Concilii mutarono natura. Finora essi erano stati quasi tutti dogmatici; d'ora in poi diverranno quasi tutti politici o disciplinari.

La Chiesa latina aveva anch'essa mutato carattere. Erasi emancipata dall'autorità degl'imperatori d'Oriente, e mostrava la sua superiorità di fronte a quelli d'Occidente. Essa non aveva, quindi, più bisogno di discutere le sue dottrine: le formulava, le promulgava e le imponeva. Chi resisteva era appiccato od arso.

Lo scisma, per conseguenza, erasi complicato con l'elemento politico.

L'imperatore d'Occidente si levava contro quello d'Oriente, e lo respingeva in Asia.

Un Concilio ecumenico, l'ottavo dei Latini, sancì per un momento l'unione delle due Chiese, sotto Adriano II; ma ben presto l'ottavo ecumenico dei Greci (879) ruppe l'accordo, cassò i canoni del sinodo latino, e l'anatomizzò, alla presenza stessa dei legati di quel papa Giovanni VIII, ch'era stato scacciato dal popolo romano, e che, poco dopo, da uno de' suoi parenti venne ucciso a colpi di martello.

La rottura fu allora compiuta e per sempre. I Padri delle due Chiese non si riunirono mai più, sino alla famosa mistificazione del Concilio di Firenze (1439).

Il potere laico godeva frattanto di un'assoluta supremazia sull'ecclesiastico. Un Concilio tenuto a Roma, sotto Adriano I, aveva riconosciuto in Carlomagno e ne' suoi successori l'autorità di nominare il vescovo di Roma—detto il papa.

Carlomagno non s'era servito di questa autorità, ma aveva esercitato il diritto di controllare e confermare[31] la scelta fatta dal popolo e dal clero romano, di sorvegliare il clero e le forme del culto, e di tassare i beni ecclesiastici. D'altra parte, il Concilio aveva il diritto di decidere in quanto ai dogmi ed alle discipline.

Il Concilio era un potere costituente, al di fuori e al disopra del potere pontificio, così in Occidente come in Oriente. Il solo imperatore era al di sopra del Concilio, in quanto poteva convocarlo, scioglierlo, presiederlo, ratificarne e proclamarne i decreti; ma non già imporre, per diritto, questa o quella formula di credenza, più che il papa o il patriarca. Ora si trattava di rovesciare, per mezzo dei Concilii od altrimenti, codesta autorità laica del re, codesta supremazia del Concilio sul papa. Inoltre trattavasi di ottenere l'autorità suprema sulla monarchia, sulla Chiesa, sul popolo e sul mondo. E fu questa impresa che produsse tutte le sciagure de' secoli successivi.

Gli scismi, per lo più, provennero dalla parte de' papi; i Concilii, dalla parte de' principi. Ecco perchè i papi li hanno sempre temuti e respinti; ecco perchè essi cercarono di sovrapporre la loro autorità a quella del Concilio.

Sarebbe superfluo il continuare a tessere la storia particolareggiata de' Concilii, dopochè abbiam visto in quale strano modo, da quali mani e con quali materiali la dottrina di Cristo venne alterata e la dottrina cattolica fabbricata. I costumi essendo mutati, non sarebbe oggidì che a titolo di curiosità storica che noi potremmo raccontare come il sacerdozio è stato rimondato, reso docile e servile a'vescovi ed al papa, e come i papi hanno a poco a poco costruito la propria autorità[7].

[32]

Ma, siccome per la Chiesa, del pari che per la diplomazia, un canone o un trattato, che cessò di aver forza di legge, rimane sempre in vigore come precedente, utile ad essere ricordato in certe eventualità, così noi abbozzeremo ancora il racconto di qualche Concilio. D'altra parte, se la Chiesa s'è cristallizzata sovra un banco di dottrine ch'essa dice ortodosse, l'eresia—cioè l'opposizione, la riforma, il progresso—non ha punto abdicato;[33] ieri ancora la Congregazione dell'Indice condannava dei libri eretici, e domani il ventunesimo Concilio ecumenico di Roma deciderà sulla incompatibilità della scienza e della civiltà col dogma. Seguiamo dunque di lontano codesta permanente protesta dell'eresia, l'usurpazione del potere spirituale sul temporale, e la resistenza laica contro l'invasione ecclesiastica.


[34]

c12

XII.

Il Concilio di Magonza (848), poi quello di Cressì sulla Sara, alla presenza di Carlo il Calvo, ed altri posteriori proscrissero la dottrina di Gottescalco, il quale, basandosi su S. Agostino, professava il fatalismo sotto il nome di predestinazione, e insegnava il dogma d'una triplice divinità nella trinità.

La dottrina della grazia e del libero arbitrio fu fondata.

Quattro Concilii si tennero a Costantinopoli (859-869): i Greci e i Latini vi si scomunicarono a più potere. Fozio vi fu, alla sua volta, eletto e deposto; Martino II vi fu deposto da Fozio; e Fozio fu riconosciuto da Giovanni VIII, il quale dichiarò Giuda tutti coloro che dicevano che lo Spirito Santo procedeva dal Padre e dal Figlio—sempre infallibilmente!

Ottone convocò un gran Concilio nella basilica di San Pietro a Roma (963) per porre un termine ai disordini del papa Giovanni XII, cui il Concilio accusò d'omicidio, d'incesto e di sacrilegio. Il papa rispose, scagliando la scomunica al Concilio; ma il Concilio gli fe' notare ch'egli aveva commesso un errore di grammatica nel suo interdetto, e lo condannò. Giovanni scomunicò l'imperatore Ottone; ma questi lo destituì, ed elesse in sua vece un laico, Leone VIII[8]. Un marito geloso che, trovando Giovanni[35] presso sua moglie, lo uccise a colpi di martello, non semplificò la situazione: un altro successore fu dato a codesto bel vicario di Cristo!

Leone VIII, nel Concilio di Roma (964), depose Benedetto V, e confermò che il solo imperatore ha il diritto di eleggere i papi. Dichiarazione inutile! Tutti elessero, specialmente le cortigiane, che fecero nominare i loro figli e i loro amanti[9].

Nel Concilio di Pavia (996), Gregorio V scomunicò il papa Giovanni XVI ed il tribuno Crescenzio[10]. Altri Concilii scomunicarono i preti maritati. Enrico III, e Clemente II da lui eletto[11], fecero condannare i simoniaci nel Concilio[36] di Sutri (1047). Poichè tutto si vendeva a quell'epoca[12]; e i costumi ecclesiastici erano così infami, che non oso citare nemmeno in latino le indignate parole di S. Pier Damiano.

Il Concilio di Tours (1055) condannò Béranger e Giovanni Scott; e il dogma della presenza reale nelle due specie fu sancito. Stefano IX[13] e Niccolò II rinnovarono i Concilii (1057-1059) contro il matrimonio dei preti e i simoniaci; ma i fabbricatori de' Concilii erano essi medesimi così incancreniti, che il papa Alessandro II fu costretto a giurare dinanzi al Concilio di Mantova (1067), che non era un simoniaco, come il suo competitore Cadulo[14].

[37]

Nel Concilio Lateranense (1076), Gregorio VII scomunicò l'imperatore Enrico IV, lo dichiarò decaduto dall'Impero, e sciolse i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà. Quattro anni dopo (1080), nel settimo Concilio di Roma, egli riconobbe Rodolfo come capo legittimo degli Stati germanici, e fondò il potere dei pontefici romani sulle corone delle cristianità.

Enrico IV rispose al Concilio di Bressanone, e depose il papa.

Così i Concilii di Roma, sotto Gregorio VII, annullarono quello che il Concilio di Roma, sotto Leone VIII, e quello di Sutri, sotto Clemente II, avevano stabilito circa l'elezione de' papi e la supremazia del poter temporale sullo spirituale.

Il Concilio di Magonza scomunicò poi il Concilio di Quedlimburgo.

Nel Concilio di Clermont (1095), Urbano II benedisse la prima Crociata, predicata nel Concilio di Piacenza da Pietro l'Eremita; ed assolse l'imperatrice Prassede, la quale pubblicamente si confessò, senza arrossire (dice il papa), delle immonde pratiche, a cui suo marito, come essa affermava, l'aveva assoggettata—tantas spurcitias non tam commisisse quam invitam pertulisse. E nessuno de' Padri arrossì.

Ma, dopo tutto, Prassede era brutta, ed aveva tutte le smanie d'una donna di quarant'anni.

E non fu canonizzata.


[38]

c13

XIII.

Passo oltre il Concilio di Roma (1099), in cui Urbano scomunicò il suo rivale; quello Lateranense contro i Greci separati dalla comunione latina, a proposito della procedenza dello Spirito Santo, sempre in quistione; quello di Reims, in cui Calisto II scomunicò «Carlo-Enrico, imperatore nemico di Dio, e Burdin, falso papa[15]»; quello Lateranense, il primo ecumenico indetto dai papi dopo la loro separazione dai Greci (1122), nel quale Calisto III accettò la rinuncia delle investiture, consentita da Enrico V alla Dieta di Worms: il che però non troncò la controversia tra il sacerdozio e l'Impero.

Nel Concilio Lateranense, X ecumenico (1139), il papa Innocenzo II dichiarò di diritto divino le decime ecclesiastiche, e condannò Valdo e i Valdesi, Pietro de Bruys, che negava la validità del battesimo ai bambini—i quali non possono credere per procura,—e Arnaldo da Brescia, che combatteva il poter temporale ed annunciava parecchie dottrine, insegnate più tardi da Abelardo e Lutero.

Il Concilio di Sens, infatti (1140), condannò Abelardo, del quale il violento san Bernardo diceva: «che parlava della[39] Trinità come Ario, della grazia come Pelagio, e della persona di Cristo come Nestorio».

Il Concilio di Pavia, riunito da Federico Barbarossa, scomunicò Alessandro III, e riconobbe Vittore, malgrado il parere della Chiesa, che lo designa come antipapa.

Alessandro non si rassegnò. Riunì un Concilio ad Anagni, si fe'dichiarare eletto canonicamente, e scomunicò il suo rivale, l'imperatore e i Padri di Pavia. Fu questo papa che, secondo la leggenda, mettendo il piede sulla testa di Barbarossa, vinto dagli Italiani alla battaglia di Legnano, esclamò: Super aspidem et basiliscum ambulabis!

—Non tibi, sed Petro! rispose il Barbarossa umiliato.

—Et mihi et Petro! replicò Alessandro.

Il terzo Concilio Lateranense, XI ecumenico (1179), fulminò gli eretici con pene atroci. Essi erano già stati terribilmente trattati al Concilio di Reims (1148), in cui S. Bernardo, divinamente feroce, aveva fatto condannare Gilberto de la Porée, eterodosso circa la dottrina della Trinità, ed Eone, il quale, basandosi sul testo per eum (per Eon) qui venturus est, spacciavasi un po' come un Messia.

Gli eretici erano già stati posti al bando dell'umanità dal Concilio di Verona (1184) contro i Paterini—specie di Manichei;—da quello di Parigi (1210), che condannò Amaury, e fece bruciare i libri d'Aristotile—poichè Amaury aveva fatto ogni sforzo per maritare la filosofia aristotelica col cristianesimo, come nel terzo secolo erasi amalgamata la dottrina di Gesù con quella di Platone; e nel Concilio di Laterano (1215), XII ecumenico, in cui Innocenzo III, circondato da ambasciadori di imperatori e di re, indisse una Crociata contro i Vodesi, e specialmente contro gli Albigesi, e scomunica l'imperatore Ottone, per aver chiamato re dei preti il suo rivale, quello stesso Federico II che vedremo scomunicato alla sua volta.

La parola transustanziazione non fu conosciuta che dopo[40] questo Concilio. Fu vietato di fondare nuovi Ordini religiosi; il che non tolse che se ne fondassero poscia altri novanta, i quali si accasarono meglio che poterono nel mondo, ove i loro predecessori avevano già preso i migliori posti:

Bernardus montes, colles Benedictus amabat,
Nemora Franciscus, dives Ignatius urbes.

(Bernardo amava le montagne, Benedetto le colline, Francesco i boschi, ed Ignazio le ricche città.)

Il dodicesimo e tredicesimo secolo furono fecondi di eresie, non meno del terzo, quarto e quinto; e furono, per giunta, insanguinati. Il braccio secolare si tuffò senza posa nel sangue, ed accese i roghi, sempre per ordine del potere ecclesiastico.


c14

XIV.

Federico II era stato scomunicato per la prima volta nel Concilio di Roma (1227). Egli aveva risposto con un manifesto ai popoli ed ai sovrani cristiani; e, passand'oltre, erasi recato a combattere gl'infedeli—mentre Gregorio IX gli faceva la guerra in Italia, ed eccitava il figlio Enzio e i suoi sudditi alla ribellione. Federico ottenne Gerusalemme dai Maomettani, e consenti ad una tregua. Gregorio—cui i Romani avevano cacciato dalla loro città, poichè allora erano ancora Romani quelli che adesso non sono che sudditi del papa—Gregorio, dico, considerò l'atto di Federico come un delitto, lo scomunicò con maggior solennità, e predicò una crociata contro il vittorioso crociato.

Innocenzo IV fu eletto. Questo terribile Genovese cercò[41] di far avvelenare Federico dai Francescani; ma, andato fallito il colpo, se ne fuggì in Francia, e convocò un Concilio a Lione nel 1248.

Cento quarantaquattro Padri si raccolsero nella cattedrale. Innocenzo presiedette, avendo alla destra l'imperatore di Costantinopoli ed alla sinistra gli ambasciatori di Francia e d'Inghilterra. Taddeo da Sessa e Pier Delle Vigne, inviati di Federico II, si tennero in disparte: il primo, altiero, superbo, come un uomo che dice a sè stesso: «Io lotterò!»; il secondo, abbattuto e scoraggiato. L'aspetto del Concilio era cupo: tutti capivano che vi si trattava qualche cosa di grave, di terribile e d'illegittimo.

La prima seduta, del resto, designò assai chiaramente il cómpito del Concilio. Innocenzo IV aveva invitato i Padri, non già per consultarli, ma per renderli complici dell'atto che aveva risolto e preparato. Il silenzio fu così profondo, che, se lo Spirito Santo fosse disceso, tutti lo avrebbero udito. Innocenzo prese la parola, ed accusò l'imperatore: d'essersi fatto crociato, e di non esser partito che assai tardi per la Terra Santa, «senza provvedersi del consenso del papa, e dopo essere stato scomunicato»; d'essersi posto in lotta col legato apostolico, che comandava in capo la spedizione; di aver trattato cogl'infedeli; d'esser entrato a Gerusalemme e d'esservisi incoronato da solo; d'essere ritornato in Europa senza l'ordine del papa; d'aver nominato re di Sardegna suo figlio Enzio; d'aver espulso da' suoi Stati i monaci ecc., ecc. Il vescovo di Catania si levò poscia, ed aggiunse, tra l'altre cose: che Federico voleva ridurre il clero alla povertà degli apostoli; che non aveva assistito mai alla messa; che teneva delle concubine saracene; che aveva detto con Averroè, il mondo essere stato ingannato da tre impostori: Mosè, Maometto e Gesù, l'ultimo de' quali era il meno glorioso.

[42]

Queste accuse, che oggidì ci paiono ridicole e sconvenienti, erano a quell'epoca capitali e formidabili. Esse fecero, infatti, fremere l'assemblea e impallidire tutti i volti—meno due, quello d'Innocenzo IV e quello di Taddeo da Sessa.

Pier Delle Vigne, cancelliere di Federico, uomo di grande dottrina ed eloquenza, che doveva prendere la parola, non fiatò. Taddeo capì che il papa l'aveva guadagnato, lo chiamò traditore, e si alzò per parlare.

Ed egli fu meravigliosamente splendido, dice Matteo Paris. Nondimeno non fece che narrare la vita e gli atti del suo signore, il principe più grande del medio-evo.

L'assemblea pareva scossa.

Taddeo domandò la pace in nome di Federico, facendo magnifiche promesse per il bene della cristianità, ed offrendo come garanti di tali promesse i re di Francia e d'Inghilterra, i principi di Germania e le città ghibelline d'Italia.

Alle parole di Taddeo, l'assemblea fu côlta da profonda costernazione.

Ma Innocenzo ricusò.

Taddeo allora esclamò: «Io m'avveggo, finalmente, che la condanna del mio nobile signore è decisa. Il mondo intero lo saprà. Lo spirito di Dio non è in questo Concilio, ove non si trovano che de' servi, e da cui è assente la maggior parte de' vescovi della cristianità. Noi ce ne appelliamo ad un altro Concilio, più completo e più giusto, ad un altro pontefice meno appassionato; e in nome del mio signore, della giustizia eterna, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, io protesto. Voi condannerete, ma la vostra sentenza non sarà registrata in cielo».

Innocenzo non lasciò all'emozione il tempo di manifestarsi. Si alzò, e soffocando colla voce tutti i suoi rimorsi, pronunciò la sentenza, «alla presenza del Concilio», e non[43] «con l'approvazione del Concilio», secondo la formula. Egli scomunicò l'imperatore, e lo dichiarò decaduto e spogliato di tutti i suoi Stati. Dopo di che, i Padri spensero i ceri, che avevano tenuto accesi finchè il papa leggeva l'anatema, e li gettarono in mezzo alla sala.

Allora, mentre Innocenzo intonava il Dies irae, Taddeo da Sessa, con voce terribile (dice Matteo Paris), esclamò: Sventura! Sventura! Questo è il giorno della collera, delle calamità e delle miserie!

Allorchè la notizia del decreto del Concilio giunse a Federico, egli sorrise, e ponendosi in capo la corona, disse: «Essa non è perduta!»

Innocenzo cercò di farlo avvelenare da Pier Delle Vigne; ma ciò essendo stato scoperto, Piero si suicidò per isfuggire al castigo,

Credendo col morir fuggir disdegno.

Dante la collocò nell'Inferno.


c15

XV.

Finora il Concilio è stato lo strumento del papa contro l'imperatore; ora entriamo nella fase della reazione del Concilio contro il papa. Ma prima ricordiamo, di passaggio, che il Concilio di Lione ebbe un'eco caratteristica in Danimarca.

Nel 1256, il vescovo Jacob radunò un Concilio a Vedel, nel Jutland, il quale dichiarò «che i vescovi erano inviolabili, quand'anche fossero convinti del delitto d'alto tradimento, sotto pena, in caso che il re ordinasse di punirli, di porre il regno sotto l'interdetto». L'infallibile Alessandro IV approvò i decreti di questo Concilio; ma[44] l'infallibile Urbano IV depose il vescovo Jacob. Egli è vero che Jacob, oltre la sua ribellione al re, s'era permesso di correggere l'orazione domenicale; ma è evidente che questa orazione contiene buon numero di eresie, in modo che, se Gesù avesse vissuto al tempo di S. Domenico, questo santo e i suoi successori lo avrebbero fatto bruciar vivo. Il Concilio ecumenico di Lione (1274), per lo contrario, non meno infallibile dei due papi, condannò il re di Danimarca, e decretò una retribuzione al vescovo Jacob.

Gregorio X presiedette questo Concilio di Lione, in cui fu decretata l'istituzione del Conclave per la elezione del papa.

Il cardinale di Theya disse che i papi sono come i pasticci: per esserne contenti, bisogna non vederli fare.

E fu di questo processo di cucina che il Concilio si preoccupò, e stabili: che i cardinali rimarrebbero sotto chiave, sequestrati dalle influenze mondane, e discuterebbero tra loro la scelta del papa. Se nel terzo giorno non si fossero accordati, si limiterebbe il loro pranzo ad un solo piatto; e, passato il quinto giorno, sarebbero posti a pane, acqua e vino, sino al momento dell'elezione.

Adriano V sospese l'esecuzione di questo canone. Giovanni XXI lo abrogò, trovandolo troppo rigoroso è pernicioso. Infatti, dei cardinali ridotti a pane e vino! Eresia! enormità!

Il canone nondimeno rimase, e Benedetto XII lo raddolcì.


c16

XVI.

La controversia tra Bonifazio VIII e Filippo il Bello fu anch'essa feconda di Concilii. Quello di Roma (1302) stabilì, con la bolla Unam sanctam, i diritti della Santa Sede[45] sul potere laico, e scomunicò il re. Filippo il Bello ribattè l'oltracotanza del Concilio di Roma con un'assemblea riunita al Louvre, in cui Guglielmo di Plasian provò che Bonifazio era uno strano pontefice; che aveva una concubina, chiamata donna Cola, poi la figlia di donna Cola, poi le cameriere della madre e della figlia, delle quali usava non tamquam muliere sed tamquam puero inter crura; che tra le altre cose diceva: «Che i peccati carnali non sono peccati; che desiderava che Dio gli facesse del bene in questa vita, poichè egli non si curava punto dell'altra; che l'anima degli uomini è simile a quella degli animali; che è ridicolo il credere che Dio possa essere uno e trino nel medesimo tempo; che il santo sacramento è una ciurmeria; che aver commercio con una fanciulla e con mulieribus et viris è un atto indifferente, come lo stropicciarsi una mano con l'altra; ch'egli non credeva in Maria più che in un'asina, e nel figlio più che in un asinello.... Virgo Maria non fuit plus virgo quam mater mea; non credo in Mariola, Mariola, Mariola....[16]»

Nel Concilio di Vienna, Clemente V purgò la memoria di Bonifazio da queste assurde abbominazioni, abrogò la bolla Clericis laicos, scomunicante i sovrani che tassavano il clero; assolse Filippo il Bello, soppresse l'Ordine dei Templari, fece ardere 56 cavalieri, e ordinò di bruciare[46] altresì le beghine e i beghini, a' quali s'imputavano tutti i delitti di cui erano un tempo accusati i primi cristiani.

Il Concilio di Marciac (1326) dichiarò nullo il giuramento prestato contro la Chiesa, sola competente in materia di giuramenti. In quello d'Avignone (1327), Giovanni XXII condannò il suo rivale, Pietro di Corbière, eletto canonicamente, ma che sosteneva che nè Gesù nè i suoi discepoli avevano nulla posseduto, nè in particolare, nè in comune. Quello di Londra (1381) condannò le dottrine protestanti di Viclef. Ma più notevole fu il Concilio di Pisa (1409).

V'erano due papi nello stesso tempo: Gregorio XII e Benedetto XIII. Ventiquattro cardinali si riunirono a Pisa, e poscia un migliaio di Padri e parecchi ambasciatori, poichè alcuni de' sovrani europei riconoscevano Gregorio, altri Benedetto. Alla prima seduta, il Concilio si dichiarò ecumenico; alla quattordicesima, condannò, depose, scomunicò i due papi, e ne elesse un terzo, Alessandro V, dinanzi al quale si bruciarono delle stoppe, cantando: Sic transit gloria mundi! Diluvio di scomuniche da ogni parte! Tutti ne furono colpiti, e specialmente il povero Alessandro V—il quale non ebbe altro difetto che la gola, e segnalò il suo passaggio nella Chiesa con la preziosa invenzione dei manicaretti di perniciotti e delle salse alla marinaresca.

[47]

Baldassare Cossa lo avvelenò, si fece nominar papa in sua vece, e fu quel gaio Giovanni XXIII, che vedremo al Concilio di Costanza.


c17

XVII.

Questo Concilio fu indetto dall'imperatore Sigismondo; il Santissimo Signore Giovanni, come questi lo chiamava, lo subì. Ne seguì l'apertura nel 1414. Più di centomila forestieri accorsero a Costanza; ed inoltre parecchi principi, un migliaio di Padri, quattrocento cortigiane pel servizio del Concilio, e, secondo il P. Nider, domenicano, una piccola schiera di demoni o fantasmi notturni si mescolò tra loro.

Gregorio XII e Benedetto XIII si guardarono bene dal mostrarvisi. E furono destituiti.

Giovanni XXII ebbe a pentirsi di aver acettato l'invito. I Padri italiani presentarono una lista di settanta capi d'accusa contro di lui, de' quali i Padri ultramontani, più pudichi, ne cassarono cinquanta. Teodorico di Niem ci dà la lista quasi intera. Come saggio di tali infamie, io mi limito a citar questa: «Multos juvenes destruxit in posterioribus, quorum unus in fluxu sanguinis decessit; violavit très virgines sorores et cognovit matrem et filium, et pater vix evasit». Giovanni confessò una parte di questi delitti, ma si vantava con orgoglio che nessuno d'essi era eresia! Egli tentò allora di comperare i Padri italiani. E il Concilio s'aprì.

Eransi innalzati nella chiesa tre troni. Sigismondo, dopo aver cantato il vangelo alla messa, vestito da diacono, si assise sul trono di mezzo, avendo a destra il papa ed a sinistra l'imperatrice. Il Concilio decise che si voterebbe per nazione e non per individuo, e fu accordato il voto[48] deliberativo ai dottori laici. L'assemblea si dichiarò costituente, costituita, Concilio ecumenico, indipendente, superiore al papa, e con autorità ricevuta da Gesù Cristo.

Giovanni tremò.

Litigò quindi con Sigismondo, che dominava il Concilio; e, vedendosi perduto, promise d'abdicare; poi si allontanò, travestito da palafreniere. Il Concilio gli mandò l'intimazione di ritornare. Ma Giovanni ricevette i legati de' Padri, stando a letto e grattandosi inferius inverecunde, dice Teodorico di Niem; e pose condizioni stravaganti, tra l'altre l'impunità de' falli che potesse commettere per l'avvenire.

Il duca d'Austria lo consegnò; il Concilio lo depose; e tutto fu finito.

Un laico sarebbe stato appiccato cento volte.... Ma un uomo che lega e scioglie nel cielo quello che lega e scioglie sulla terra.... Bah! Ei fu rinchiuso a Gotleben, presso Costanza—nella stessa prigione in cui, oppresso e torturato, marciva Giovanni Huss.

Ma due anni appresso, l'ex-papa se ne fuggì, e si recò a Firenze, presso quel Martino V, sotto le cui finestre i monelli fiorentini dovevano poi cantare:

Papa Martino
Non vale un quattrino!

Martino V nominò di nuovo Giovanni cardinale e decano del Collegio.

Allora Giovanni domandò i suoi tesori, deposti presso il suo banchiere Cosimo de' Medici, il quale rispose: che ei non poteva restituire al cardinale Cossa quello che aveva ricevuto dal papa Giovanni XXIII! E fu questo il primo fondamento della ricchezza dei Medici.

Il Concilio di Costanza formulò un piano radicale di riforme della Chiesa e del papato, che rimase però ineseguito. Elesse Martino V, e condannò ad essere arsi vivi[49] Giovanni Huss e Girolamo da Praga, quantunque provveduti d'un salvo-condotto.

È noto con quale coraggio morirono questi martiri.

«È cosa strana, osserva Voltaire, che in questo Concilio un uomo accusato di tutti i delitti, Giovanni XXIII, non perdesse che alcuni onori, e che due uomini, accusati di aver fatto delle false argomentazioni, venissero dannati alle fiamme».

Roma disapprovò i canoni del Concilio di Costanza; ma l'assemblea raccoltasi a Parigi nel 1682 li adottò.

Il Concilio di Vienna (1423) condannò gli Hussiti.


c18

XVIII.

La lotta tra i papi e i Concilii non doveva limitarsi a questo, anche dopo aver distrutto lo scisma. Il Concilio di Basilea sancì i decreti di quello di Costanza.

Il Concilio di Basilea si raccolse nel 1431, sotto la presidenza del carnefice della Boemia e degli Hussiti, il cardinale Cesarini, legato di Eugenio IV.

Eugenio fu spaventato dello spirito democratico dei Padri—i quali combattevano le rendite, i beneficii, le tasse e tutte le simonie di Roma, riformavano i costumi, ristabilivano l'eguaglianza dei prelati e del basso clero nei sinodi, dichiaravano che i suffragi riuniti esprimono la volontà dello Spirito Santo, e domandavano un Concilio per ogni sette anni, secondo il canone del Concilio di Pisa, al quale Concilio si doveva tutto riferire, sottomettendo la Chiesa alla volontà di queste assemblee.... Eugenio, cui non andavano a grado siffatte teorie repubblicane, sostenuto da Sigismondo, ordinò di trasferire la sede del Concilio a Bologna. Ma non fu obbedito. E nell'anno appresso,[50] nella seconda riunione, appoggiandosi ai decreti della quarta e quinta sessione del Concilio di Costanza, i Padri di Basilea decretarono che il Concilio è superiore al papa, e minacciarono Eugenio IV delle pene canoniche, s'egli pensava a sciogliere, o soltanto a trasferire altrove l'assemblea. Poi si obbligarono a presentarsi al Concilio, e fecero dei decreti, che restringevano essenzialmente l'autorità pontificia.

Eugenio barcheggiò. Indisse un altro Concilio in Basilea stessa. I Padri si dichiararono costituenti e in permanenza.

Sigismondo, ch'erasi fatto incoronare a Roma, s'interpose come conciliatore. Il papa finse di sottomettersi, e pubblicò anzi una bolla dettata dai Padri del Concilio; poichè lo Sforza gli aveva tolto una parte degli Stati della Chiesa, e il popolo romano lo costringeva a fuggire da Roma in una barca, travestito da monaco, ed inseguito a colpi di freccie.

Quel popolo aveva già ucciso a colpi di pietre Lucio II e parecchi altri papi. Del resto, sopra 262, furono 64 quelli che perirono di morte violenta[17].

[51]

Il Concilio continuò la sua opera di riforma. Eugenio non si contenne più. I Padri lo citarono a comparire in persona dinanzi a loro per render conto della sua condotta e sottomettersi alle riforme della Chiesa. I legati del papa si ritirarono; ed Eugenio IV, sciolto il Concilio, lo riconvocò a Ferrara, invitandovi i Greci scismatici. Alcuni Padri[52] obbedirono agli ordini del papa, quelli tra'prelati italiani che opinavano la Chiesa non dover essere una democrazia governata dal voto universale, ma una clerocrazia rappresentativa, dipendente da un capo assoluto ed infallibile. I Padri di Basilea condannarono questo conciliabolo di scismatici, e spogliarono il papa d'ogni autorità.

[53]

Eugenio si recò a Ferrara, preceduto dal santo sacramento, secondo l'uso de' papi in viaggio. Poi, con nuova audacia, scomunicò il Concilio di Basilea, e trasferì quello di Ferrara a Firenze (1439).

Il Concilio di Basilea raccolse la sfida; depose Eugenio, ed elesse un laico, Amedeo VIII, duca di Savoia, ritirato nell'eremitaggio di Ripaglia, e che prese il nome di Felice V. Amedeo riunì la Savoia al Piemonte. «Fu questo il ventesimo settimo ed ultimo scisma considerevole, eccitato dalla cattedra di S. Pietro», dice Voltaire. Ed aggiunge: «che il trono di nessun regno è stato così sovente disputato».

Eugenio scomunicò naturalmente Felice, i cardinali nominati da questo papa, e i Padri del Concilio. La Francia e la Germania ricevettero nondimeno come canonici i decreti di Basilea—specialmente nel celebre Concilio di Bourges (1438), che formulò la Prammatica Sanzione, e nella Dieta di Magonza (1437). Eugenio, «l'ultimo papa espulso dalla ribellione del popolo romano», osserva Gibbon, morì respingendo l'arcivescovo di Firenze, che si recava ad amministrargli l'estrema unzione.

Alfonso d'Aragona, ricevuta tale notizia, esclamò: «È forse da meravigliarsi che quest'uomo abbia voluto combattere contro Francesco Sforza, contro i Colonna, contro la Germania, contro di me, contro l'Italia, contro la cristianità intera, se ha osato combattere la morte stessa, e se appena potè esser vinto da lei!» Il cardinale Vitelleschi, il quale per ordine di Eugenio prometteva cento giorni d'indulgenza a' suoi soldati per ogni pianta d'olivo che strappassero dal territorio del re d'Aragona, fu poi assassinato per ordine dello stesso Eugenio, divenuto suo nemico. Luca Pitti gl'infisse una sonda nel cervello, mentre il medico scandagliava la ferita che il cardinale aveva ricevuto combattendo.

[54]

Nicolò V gli succedette. Protetto dall'imperatore Federico III—l'ultimo imperatore incoronato a Roma re d'Italia—, Nicolò riescì a domare lo spirito democratico dei Padri di Basilea. La rimanente parte di questo Concilio, riunita a quello di Losanna (1449), riconobbe e rielesse Nicolò, e abbandonò Felice V—che fece la pace col più forte.

Nicolò V firmò, nell'ebbrezza, il decreto di morte dei rivoluzionarii, a cui aveva venduto un salvo-condotto, e li ridomandò all'indomani al guardiano del castel Sant-Angelo.

Il tentativo di riunione della Chiesa greca colla latina non riescì punto, malgrado il decreto emanato nella decima sessione. I Padri greci abbandonarono il Concilio, senz'accettare il famoso Filioque, nè il celibato, malcontenti d'essere stati ingannati, e più che mai sicuri della superiorità del loro Credo.

Il Concilio di Firenze continuò a sedere; ma, secondo i Padri francesi, cessò d'essere ecumenico.

Non bisogna dimenticarlo: i vescovi stranieri di quest'epoca erano quasi tutti cadetti di grandi famiglie, e perciò superbi e indipendenti; non già figli di contadini, come la maggior parte de' vescovi dei giorni nostri, avvezzi sin dalla prima età all'obbedienza.

I delegati degli Hussiti furono ascoltati nel Concilio di Basilea. Essi domandarono, tra le altre cose, che la proprietà e il potere civile fossero per diritto divino interdetti al clero, e che la predicazione della parola di Dio fosse libera per tutti. Essi ottennero alcune concessioni; ma l'accordo non durò molto, e nuovi eccidii insanguinarono la Boemia. Il grande cieco Giovanni Ziska, della cui pelle i Boemi avevano fatto un tamburo, continuò a battere la raccolta per la libertà di coscienza.


[55]

c19

XIX.

Citiamo ora di passaggio il Concilio di Tours (1510); quello di Pisa, convocato da Luigi XII contro Giulio II; il Concilio di Laterano (1817), XIX ecumenico, convocato da Giulio II e continuato da Leone X. Giulio II scomunicò solennemente il re, scagliò l'interdetto alla Francia, citò il Parlamento a comparire dinanzi a lui, anatemizzò i filosofi che avevano preso il partito di Luigi XII. Non aveva egli detto a Michelangiolo, che modellava la sua statua, di mettergli una spada e non un libro tra le mani, poichè egli non era letterato—non sapeva leggere? Non aveva anche detto: Fuori i barbari, e col trattato di Cambrai aveva convocato tutta l'Europa in Italia?—«Nondimeno, osserva Voltaire, questo Concilio non ha il titolo di brigantaggio, come quello di Efeso e quello di Embrun».

La Prammatica Sanzione fu condannata.

Poichè v'ha un fatto strano da segnalare nella storia della Chiesa: cioè che nessuna nazione ha fatto tanto male all'Italia, nessuna nazione ha reso tanti servigi ai papi, quanto la Francia; e nessuna nazione è stata tanto odiata e maltrattata dai papi, quanto la figlia primogenita della Chiesa.

Se ne fosse, almeno, fatta l'emenda!

Il clero francese non riconobbe il Concilio lateranense.

Ed eccoci finalmente al Concilio di Trento, l'ultimo ecumenico, il ventesimo, secondo la Chiesa di Roma, e l'ultimo che noi abbozziamo.

I Concilii di Basilea e di Costanza non erano stati che assemblee, quello di Trento fu un Corpo legislativo. Esso[56] non inaugurò, ma legalizzò e organizzò il poter temporale, che è il poter personale del Napoleone III dei cattolici.

Quando Luigi XIV disse: «L'État c'est moi», il papa aveva già detto e decretato a Trento: «L'Eglise c'est moi!»


c20

XX.

«Egli è in mezzo a tante guerre di religione e tanti disastri, che si convocava il Concilio di Trento, dice Voltaire. Esso fu il più lungo che siasi mai tenuto, e nondimeno il men burrascoso. Esso non produsse alcuno scisma, come il Concilio di Basilea; non accese punto i roghi, come quello di Costanza; non pretese di deporre degl'imperatori, come quello di Lione; si guardò dall'imitare il Lateranense, che spogliò il conte di Tolosa del retaggio de'padri suoi, e meno ancora quello di Roma, in cui Gregorio VII destò l'incendio dell'Europa, osando spodestare l'imperatore Enrico IV. Il terzo e quarto Concilio di Costantinopoli, il primo e il secondo di Nicea erano stati campi di discordia; il Concilio di Trento fu pacifico, od almeno le sue quistioni non levarono rumore nè ebbero conseguenze».

La grande breccia aperta nella Chiesa dalla Riforma aveva reso necessario il Concilio; Carlo V lo desiderava per meglio padroneggiare il partito cattolico in Germania, padroneggiando il papa in Italia. Ma Clemente VII, che aveva avuto dei bastardi da una negra, e non era stato eletto canonicamente, ne aveva sempre eluso la proposta, temendo d'esser deposto dai Padri. Paolo III, quantunque non avesse meno a temere per cagione de'suoi bastardi, aveva dovuto cedere; e nel 1538 aveva indetto il Concilio a Vicenza. Ma i Veneziani vi si opposero, dicendo che il[57] Sultano poteva prender ombra di codesta assemblea di cristiani sul territorio della repubblica. Paolo designò allora Mantova; ma il duca declinò quell'onore, non volendo nel tempo stesso ricevere una guarnigione straniera, la quale avrebbe potuto, alla fine del Concilio, trovarsi troppo bene in casa di lui. Paolo scelse, in fine, Trento per far piacere all'imperatore, il quale gli faceva intravedere il ducato di Milano pel suo bastardo Pier-Luigi Farnese.

I protestanti, riuniti a Spira, respinsero ad un tempo il Concilio e la scelta di Trento per la riunione.

Carlo V si raffreddò; tanto più che il papa non voleva che il Concilio trattasse della riforma della Chiesa, ed ordinò si tirasse in lungo la discussione dei dogmi.

I legati recavano una bolla, che dava loro autorità assoluta sul Concilio, in luogo di procedere in ogni cosa col suo consenso. Paolo regolava da Roma i più minuti particolari delle conferenze, per mezzo di lettere a'suoi tre legati insieme ed a ciascuno d'essi personalmente, lettere pubbliche, private e in cifra col cardinal Monti—forma di dispacci che molto si usavano in tale circostanza.

Paolo III aveva invitato al Concilio l'imperatore, il re di Francia e gli altri principi. Carlo V si adontò, vedendosi così ridotto al livello di Francesco I, alleato de'Musulmani[18]. Ma Paolo aveva bisogno di Francesco, il quale prometteva l'investitura del ducato di Parma e Piacenza a Pier-Luigi Farnese.

L'apertura del Concilio fu dunque solennemente fissata al 13 dicembre 1545.

[58]

I protestanti, riuniti alla Dieta di Worms, ricusarono di recarvisi. E la guerra contro di loro fu risolta tra il papa e l'imperatore.


c21

XXI.

Il Concilio di Trento ebbe 25 sessioni: una nel 1545, quattro nel 1546, tre nel 1547; e fu nell'ottava sessione che il Concilio venne rimandato a Bologna. Alla undecima sessione, Giulio III restituì il Concilio a Trento, il 14 dicembre 1550. Nel 1551 v'ebbero quattro sessioni, compresa la continuazione dell'undecima. Il 23 gennaio e il 28 aprile ebbero luogo la quindicesima e sedicesima sessione; dopo di che, il Concilio fu aggiornato, e non si riaprì che il 18 gennaio 1562. Sei sessioni si tennero in quell'anno: la ventesima terza, ventesima quarta e ventesima quinta nell'anno successivo.

Il Concilio cominciò con quattro arcivescovi, venti vescovi, un cardinale, oltre i tre cardinali legati, e cinque generali capi d'Ordini religiosi, assistiti da alcuni teologi francescani e domenicani, più scaltri che dotti. La materia dei dibattimenti giungeva, come s'è detto, tutta preparata da Roma e per istaffetta; il che die'luogo al motto: «che lo Spirito Santo viaggiava nella valigia del corriere».

Leggiamo, infatti, questo motto in una lettera dell'abate di Lansac a Caterina de'Medici e in un discorso di Andrea Dudycz, vescovo ungherese. Questi paragona i vescovi del Concilio ai pifferi, che cessano di suonare quando si cessa di soffiarvi dentro. Egli dice inoltre che in questo Concilio: omnia erant humana consilia; che si spedivano giorno e notte dei corrieri, e si attendeva la risposta da[59] Roma, come quella degli oracoli di Delfo e di Dodona; che lo Spirito Santo viaggiava tabellarii manticis inclusus, e ch'egli doveva fermare il volo, se per caso un fiume era gonfio—d'onde avveniva che Spiritus non super aquas, come nella Genesi, ma secus aquas ferretur[19].

Il vescovo di Bitonto recitò il discorso di apertura, e provò che il Concilio era necessario, poichè parecchi Concilii hanno deposto re e imperatori, e poichè, nell'Eneide, Giove raccolse il Concilio degli dei; che i prelati doveano recarsi a Trento come nel cavallo di Troja; e che la porta del Concilio e quella del paradiso sono eguali....

Si pregò per Carlo V. Duprat, vescovo di Clermont, domandò si pregasse anche pel re di Francia; ma gli fu risposto che bisognerebbe allora pregare egualmente pegli altri re, e che quello che fosse nominato l'ultimo si terrebbe offeso.


[60]

c22

XXII.

Nella seconda sessione si decretò che i voti si raccoglierebbero per individuo e non per nazione—il che assicurava al papa la direzione dell'assemblea, ove gli Italiani erano tre contro uno;—che il Concilio s'intitolerebbe ecumenico, senza la clausola «rappresentante la Chiesa universale», la quale avrebbe potuto inorgoglire i Padri e far dubitare della supremazia del papa;—e che, in fine, le quistioni sarebbero discusse in congregazioni particolari, si risolverebbero in congregazioni generali segrete, e sarebbero poi pubblicate nelle sessioni, delle quali si farebbero conoscere soltanto gli atti per mezzo della stampa.

Paolo aveva ordinato a'suoi legati di mostrarsi assai corrivi nella discussione dei dogmi, purchè nella formula si adoperassero espressioni vaghe ed ambigue; ma di non ceder punto allorchè si trattava dell'autorità e delle prerogative del papa. Nondimeno il primate di Portogallo aveva detto: «Gl'illustrissimi cardinali devono essere illustrissimamente riformati». Poichè la riforma era la cosa la più desiderata dai Padri stranieri, e la più temuta dai legati.

Pietro Danès, ambasciatore di Francia, giunse, ed arringò il Concilio.

—Questo gallo canta bene! esclamò un de'legati—giuocando di parole sul Gallus (gallo e Francese).

—Piacesse a Dio, rispose l'ambasciatore, che Pietro si pentisse di nuovo al canto del gallo!

I Padri parlavano in latino, come parleranno nel prossimo Concilio di Roma. Figuratevi quale Babele, con un[61] latino imperfettamente conosciuto, pronunciato alla francese, all'inglese, alla tedesca, da Italiani, Spagnuoli e Polacchi! come dovevano intendersi bene!

Le sessioni si succedevano. Le decisioni erano prese sempre secondo il voto de'legati inspirati da Roma. Malgrado ciò, le discussioni furono tempestose, poichè i teologi dei diversi Ordini non s'intendevano punto, specialmente intorno la Grazia e il peccato originale. Nella discussione sulla giustificazione, il vescovo di Cava, il quale pensava, come S. Paolo, S. Agostino e i protestanti, che basta la fede per salvarsi, strappò a piene mani la barba al vescovo di Cheronea, il quale coi cattolici obbiettava che la fede non valeva nulla senza le opere.

I protestanti, alla Dieta di Ratisbona, respinsero i primi decreti del Concilio. Carlo V ne proscrisse i capi, ed armò l'esercito.

Nel tempo stesso, Lutero moriva tranquillamente (18 febbraio 1546), vedendo la sua opera perseguitata, ma per nulla in pericolo.

I principi protestanti risposero alla sfida di Carlo V con la lega di Smulkalda. Il papa mandò il suo esercito all'imperatore; ma questi, curandosi mediocremente de'settarii, voleva schiacciare i principi ribelli per consolidare il proprio Impero in Germania. Al contrario, il papa voleva creargli degl'imbarazzi politici in Germania per indebolirlo in Italia.

I protestanti furono vinti a Mühlbourg.

Il papa, spaventato da questa vittoria, ordì intrighi in Italia.

Carlo V pesò alla sua volta sul Concilio, e minacciò il cardinale Santa-Croce, che parlava della traslazione dell'assemblea, di farlo gettare nell'Adige.

Ma Paolo III, approfittando delle febbri che regnavano a Trento, fece decretare la traslazione de'Padri a Bologna.[62] Però i vescovi ultramontani, i quali dicevano «che il papa era un vecchio ostinato, che lavorava a mandar a male la Chiesa», non si mossero.

Carlo V protestò per mezzo de'suoi ambasciatori; e poi rispose col suo decreto dogmatico, conosciuto sotto il nome d'Interim—una specie di compromesso conciliativo tra la dottrina protestante e quella dei cattolici, il quale fece tutti malcontenti.

Paolo III si limitò a riprovare il matrimonio de'preti e la comunione sotto le due specie, e reclamò la restituzione dei beni confiscati al clero in Germania.

Il Concilio di Bologna, ridotto a sei arcivescovi e trentasei vescovi, senza la presenza degli ambasciatori de'principi, non poteva più procedere. Paolo si apparecchiava a chiamarlo a Roma, quando fu côlto dalla morte.


c23

XXIII.

Giulio II, già legato a Trento, convocò di nuovo il Concilio in questa città nel 1550.

Enrico II, che abbruciava gli Ugonotti in Francia, si dichiarò contrario ad un Concilio tenuto contro i protestanti, ed inviò il famoso Amyot, il traduttore di Plutarco, per protestare. Egli richiamò poscia i Padri francesi, ed intimò un Concilio nazionale, affine di far nominare un patriarca di Francia.

La Dieta d'Augusta propose un Concilio libero, al di fuori di qualunque vincolo col papa, giudice nello stesso tempo degli uomini e delle dottrine; e fece redigere due professioni di fede: l'una da Melantone, l'altra da Brenzio.

Le dottrine riformate guadagnavano ogni giorno terreno. Giulio III non si scoraggiò punto. Il Concilio riprese[63] i suoi lavori; e vi si attendevano persino i teologi protestanti. Infatti, Melantone si avanzò sino a Norimberga. Ma poi si arrestarono, spaventati dalla sorte di Giovanni Huss e di Girolamo da Praga, bruciati, come abbiam detto, malgrado il salvo-condotto di cui erano muniti. I teologi protestanti inviarono invece la loro professione di fede.

La redazione di quest'atto scatenò la tempesta, la quale non si sarebbe forse limitata a sole grida, se l'Assemblea non fosse stata sciolta in tutta fretta.

In mezzo ad una festa da ballo, che i Padri diedero a colui che fu poi Filippo II ed all'erede del duca di Savoja, «—nella qual festa i Padri ballarono, dicesi, con molta gravità e decenza»,—giunse la notizia che Ferdinando I aveva fatto assassinare il cardinale Martinusio in Ungheria, che i Turchi minacciavano questo paese, che Enrico II mandava truppe in Germania ed in Italia; e che Carlo V e suo fratello Ferdinando, sorpresi in una gola del Tirolo presso Innspruck, erano stati battuti e costretti a fuggire.

Il Concilio rimase sospeso per dieci anni. Pio IV lo riconvocò a Trento nel 1562.


c24

XXIV.

Cinque legati pontificii, in qualità di presidenti, due altri cardinali, tre patriarchi, venticinque arcivescovi, centosessanta vescovi, sette abati, sette generali di Ordini e più di cento teologi, bene scelti, sfilarono in mezzo a due ale di moschettieri, e si recarono alla chiesa.

Tra gli ambasciatori sorsero gravi dispute di preminenza: quelli di Baviera volevano precedere quelli di Venezia, e quelli della Svizzera volevano andare innanzi[64] a quelli di Firenze; il conte di Luna, ambasciatore di Spagna, voleva essere incensato alla messa, e voleva baciare la patèna prima di Ferrier, ambasciatore di Francia. Poco mancò si ponesse mano alle spade in chiesa: il servizio divino ne fu turbato.

Il vescovo di Reggio arringò i Padri, e provò che la Chiesa di Roma è superiore a Dio stesso, «poichè la Chiesa ha distrutto la circoncisione e il sabbato, che Dio aveva istituiti e ordinati».

Il papa diede sessanta scudi d'oro ai prelati italiani, che votavano come.... gli arcadi del Corpo legislativo. Il nuncio Simonetta manteneva una schiera di prelati interruttori, i quali, come scrive l'abate di Lansac a Caterina de'Medici, turbavano le sedute con grida e motteggi.

I Gesuiti esercitavano sui Padri la più alta influenza, e la facevano da giannizzeri del papato. Il P. Lainez, loro generale, aveva avuto il coraggio di esclamare in piena seduta: «Che le altre Chiese non potevano riformare la Corte di Roma, poichè lo schiavo non istà al disopra del suo signore». I vescovi italiani applaudirono; i vescovi spagnuoli si unirono ai francesi, condotti dal cardinale di Lorraine, per controbilanciare il partito romano. Un prelato italiano esclamò: «Il Concilio è caduto dalla rogna spagnuola nel mal francese».

Nella decimasettima seduta si trattarono i libri col massimo rigore; di modo che, dice fra Paolo Sarpi, non rimaneva più nulla che si potesse leggere: lo Spirito Santo aveva decretato l'idiotismo universale.

I Governi d'Europa si scossero alle idee che predominavano nel Concilio, assolutamente contrarie allo spirito de'popoli. L'Austria, per mezzo de'suoi ambasciatori, propose venti punti di riforma, tra'quali l'abolizione delle indulgenze, che si vendevano a lotti a Roma, e si rivendevano a quattro soldi al pezzo nelle osterie della Svizzera e della[65] Germania. Ferdinando I domandò il calice pei laici e il matrimonio pei preti. Ferrier, con le lettere della stessa Caterina de'Medici, esigeva il matrimonio de'preti, la messa in lingua volgare, un Concilio ecumenico libero, come lo intendevano i protestanti. La Baviera domandò tutto questo e più ancora.

I legati si spaventarono.

Pio IV inviò un supplemento di Padri italiani per rinforzare la maggioranza; fece comprare il dottor Hugonis, che gli riferiva i segreti del Comitato francese; e scrisse allo stesso cardinale di Lorraine (il quale fu così crudele verso gli Ugonotti per politica, non già per fede): «non esser bene che il popolo abbia la piena intelligenza dei misteri della religione, ma esser piuttosto necessario che esso creda ed obbedisca per fede».

Ma siccome insistevasi sulla riforma della Corte di Roma, così i legati proposero si cominciasse dal riformare i Governi secolari e l'episcopato medesimo.

Questo colpo inatteso troncò le rimostranze.

Il papa si ammalò in seguito di eccessi d'ogni genere. E poco appresso ne morì; e Pasquino disse: «In odio visse, e si morì d'amore!»

I cardinali volevano accostarsi a Roma: essi temevano che il Concilio, imitando quello di Costanza, nominasse il successore di Pio IV. Fu dunque affrettata la chiusura del Concilio. Si decretò in gran fretta una infornata di dogmi, venuti bell'e pronti da Roma; si scomunicò gli eretici, come al solito; e nella ventesima quinta seduta fu proclamata la chiusura. Vi si adoperò la formula: «Alla presenza dello Spirito Santo, ci parve bene....», anzichè la formula consacrata: «Parve bene allo Spirito Santo ed a noi».

Questo Concilio aveva durato ventun'anno. I teologi non v'ebbero voto deliberativo: essi spiegarono i dogmi. I prelati[66] pronunciarono. I legati del papa diressero, e furono sempre i padroni.

Il papa approvò in un concistoro i decreti del Concilio, dietro la proposta del cardinale Buoncompagni, che il papa solo poteva interpretare i decreti e le decisioni sinodali, sui quali era severamente vietato di fare alcuna glossa o commento.

La Francia e la Germania non riconobbero il Concilio di Trento. Ed allorchè più tardi, all'epoca della reazione cattolica, esse vi aderirono, non si sottomisero che alla parte dogmatica, respingendo sempre la parte disciplinare, contraria agli usi ed ai privilegi di ciascuna nazione.


c25

XXV.

Il prossimo Concilio di Roma sarà pressochè calcato su quello di Trento. Aggiungo dunque altri curiosi particolari, principalmente in quanto alla forma stessa, alle pratiche, ai regolamenti, alle ordinanze del Concilio.

I Concilii dei primi nove secoli della Chiesa erano stati convocati e tenuti dagl'imperatori ed altri principi. Essi li avevano presieduti in persona, o vi avevano delegato appositi commissarii. Infatti, ad Efeso, fu il conte Candidiano che presiedette per l'imperatore; a Calcedonia, presiedettero l'imperatore Marciano, Pulcheria sua moglie, e i suoi commissarii; al Concilio di Costantinopoli, detto in Trullo, Costantino il Barbuto ordinava quello che bisognava trattare, dava la parola, dirigeva la discussione, troncava le contestazioni. Costantino presiedette a Nicea; Teodosio al secondo di Costantinopoli.

I Padri di Calcedonia ammisero nondimeno due specie[67] di presidenza del Concilio: quella del principe e quella del pontefice o patriarca.

Quando il papa o il patriarca assisteva al Concilio, sedeva alla destra dell'imperatore. I papi ebbero gran cura di far credere più tardi che l'imperatore sedeva alla loro sinistra.

A partire dal nono secolo, parecchi Concilii furono indetti e presieduti dai papi. Gregorio VII tenne il Concilio Lateranense; Innocenzo III un altro Lateranense; Innocenzo IV e Gregorio X presiedettero i Concilii di Lione; Clemente V quello di Vienna di Francia; Alessandro V quello di Pisa; Eugenio IV quello di Firenze; Giovanni XXIII e Martino V quello di Costanza.... A poco a poco si stabilì poi la pratica della preminenza del patriarca o del papa in queste riunioni ecclesiastiche.

Tale preminenza aveva tre scopi principali: la prerogativa della sessione, il diritto di raccogliere i voti, la ratificazione di tutto ciò ch'era stato fatto—ratificazione che non doveva nuocere alla libertà del suffragio, ch'era assolutamente necessaria.

Nei primi Concilii, i diaconi e i preti prendevano posto tra'Padri, ed avevano gli stessi diritti dei vescovi. Più tardi, allorchè prevalse la dottrina della supremazia del vescovo sul prete, essi furono esclusi. Nel Concilio di Nicea (314), i Padri sottoscrissero gli atti, non per ordine di dignità, ma per anzianità di sede. Più tardi i vescovi si conformarono alla data della loro ordinazione, secondo Graziano, tanto pel rango che occupavano nella sessione, quanto per quello della sottoscrizione. Nondimeno i vescovi di alcune sedi privilegiate furono eccettuati da questa regola.


[68]

c26

XXVI.

Siccome tutto quello che si dee trattare in un Concilio non si può terminare in un giorno, così si prese la deliberazione di dividere gli affari in varii tempi, e si distinsero le diverse riunioni in sessioni—o azioni, come si chiamarono ne'primi secoli. Più tardi ciascun affare ebbe una congregazione speciale, che nominò i Padri per formulare i decreti o schemi di decreti.

Ciascuno aveva il diritto di esporre nella congregazione generale il proprio avviso intorno al decreto proposto dai legati. Questi si contentavano di opinare nelle sessioni.

Si proponevano i quesiti o i decreti nelle congregazioni ristrette—o Comitati, o Ufficii, o Commissioni, come diciamo noi oggidì—; dimodochè i Padri deliberavano prima tra loro per commissione. Si presentava poi in una congregazione generale—in Inghilterra si direbbe Comitato segreto—la relazione sul quesito preparata dalla Commissione, e tutti potevano assistere ai dibattimenti e discutere, e poscia si prendeva una decisione definitiva. Finalmente si presentava questa decisione alla sessione generale per essere votata. Tale regolamento, del tutto recente, era stato adottato per evitare al più possibile gli alterchi tra'vescovi, e dare maggior forza all'azione dei promotori dei Concilii e maggior decenza all'assemblea.

Ne'primi secoli, tutto si discuteva in comune ed in pubblico. Si registrava il voto di ciascun membro, lasciando la più compiuta libertà di suffragio. Ma questa libertà di suffragio essendo stata violata negli ultimi tempi, allorchè i papi cominciarono a servirsi dei Concilii come[69] di strumenti della loro politica, il Concilio di Costanza risolse di adottare il voto per nazione—cioè che ogni vescovo opinasse tra'vescovi della propria nazione, e poi si portasse nella sessione il voto dei Padri della nazione, pronunciato nella riunione nazionale.

Sino all'undecimo secolo, non si pensò gran fatto al consenso del papa pei decreti del sinodo. Si dava bensì gran peso a questo consenso; ma se il papa ricusava di sottoscrivere al Concilio, s'egli non adottava la decisione della Chiesa universale, si passava oltre. Era dottrina che il Concilio generale poteva esercitare la propria autorità verso i papi e i patriarchi, come verso gli altri membri della Chiesa. Il Concilio di Costanza espresse di nuovo solennemente questa dottrina nella terza sessione, e quello di Basilea nella sua seconda sessione: Synodus, in Spiritu Sancto legittime congregata, generale concilium faciens, potestatem habet a Christo immediate.... cui, quilibet cujuscumque status.... etiamsi papalis existat, obedire tenetur.


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XXVII.

Tra gli assistenti ad un Concilio, gli uni vi sono in qualità di giudici per pronunciare sulle materie che si discutono; altri soltanto per prender parte alla discussione ed esprimere un voto consultivo; altri infine per compiere diverse funzioni, come quelle di segretarii o di promotori, o per difendere il Concilio e vigilare al mantenimento dell'ordine. In alcuni Concilii, i laici ebbero anche voto, e persino voto deliberativo. Ma questo diritto appartiene omai esclusivamente ai vescovi. Gli abati, i generali di Ordini, i teologi ebbero anch'essi talvolta[70] diritto di suffragio, ma sono principalmente membri consultivi.

Il Concilio si apriva un tempo con la lettura del regolamento, di cui ecco i punti principali, stipulati in un canone del Concilio di Toledo del 633:

«Nella prima ora del giorno si farà uscir tutti dalla chiesa, e se ne chiuderanno le porte. Tutti gli uscieri si ridurranno a quella per la quale devono entrare i vescovi, i quali saranno introdotti tutti insieme, e prenderanno posto secondo il loro rango di ordinazione. Dopo i vescovi, si chiamerà quelli tra'preti e diaconi che si crederà dover far entrare. I vescovi staranno seduti in giro, i preti seduti dietro a loro, e i diaconi in piedi dinanzi ai loro seggi. Infine si farà entrare i laici, che il Concilio crederà degni, ed i notaj per leggere e scrivere quello che sarà necessario, e si farà poi guardare le porte. Allorchè tutti avranno preso posto, il primo de'diaconi dirà: «Pregate», e tosto essi si prostreranno successivamente, e pregheranno per qualche tempo in silenzio; poi uno dei vescovi più anziani si alzerà per fare una preghiera ad alta voce, rimanendo gli altri prosternati. Finita l'orazione, e dopochè tutti avranno risposto: Amen!, l'arcidiacono dirà: «Alzatevi». Tutti allora si alzeranno, ed osserveranno un profondo silenzio. Poscia un diacono, indossata la stola, leggerà il Vangelo; dopo di che porterà in mezzo all'assemblea il libro de'canoni, e leggerà quelli che trattano della tenuta dei Concilii. Il vescovo metropolitano prenderà quindi la parola, ed esorterà quelli che hanno richiami od altre quistioni, a proporle. Non si passerà ad altro argomento, senza che il primo sia esaurito. Se qualcuno dal di fuori, chierico o laico, volesse indirizzarsi al Concilio, farà conoscere il suo affare per mezzo dell'arcidiacono della metropoli, ed allora gli sarà permesso d'entrare. Nessun vescovo uscirà[71] dalla seduta prima che sia finita; nessuno si allontanerà dal Concilio prima che tutto sia terminato; affine di poter sottoscriverne le decisioni».

I decreti son pubblicati nelle sedute solenni, che ricevettero il nome di sessioni.

Talvolta la discussione sorge nella sessione, benchè i decreti sieno stati preparati nei Comitati e nelle Congregazioni generali, come ho detto. Allora si nomina una Commissione per deliberare sulla redazione del decreto, il quale è sottoposto all'esame ed all'approvazione della sessione successiva.

A Trento, tutti erano chiamati alle discussioni preparatorie del secondo grado.

A Trento pure i prelati e i dottori erano divisi in tre congregazioni, che si tenevano separatamente presso ciascuno dei legati. Tutte le materie v'erano discusse a lungo, e vi si preparavano i decreti. Le tre assemblee si riunivano poi in congregazione generale per deliberare in comune. Preparati così i decreti, venivano letti nella sessione solenne, e ricevevano una sanzione definitiva.

Nelle congregazioni, i vescovi non portavano che il berretto; nelle sessioni, la mitra.


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XXVIII.

L'ultimo di novembre del 1545, appressandosi il tempo dell'apertura del Concilio a Trento, i legati inviarono un corriere a Roma per avere una bolla che loro ingiungesse di aprirlo, dicendo che, per conservare l'autorità della Santa Sede, era d'uopo che codesta bolla fosse letta e registrata nella prima seduta. La bolla giunse, infatti, l'11 dicembre, e all'indomani i legati ordinarono un digiuno[72] ed una processione, e tennero una congregazione generale, in cui fu letta la bolla e determinato quello che si doveva fare nella sessione.

Il vescovo d'Astorga, Diego d'Alava, disse che si doveva leggere nella congregazione anche il breve della Legazione e presidenza, affinchè tutti potessero mostrare obbedienza alla Santa Sede. Quasi tutta l'assemblea approvò questo parere, ed anzi ciascuno v'insistette particolarmente. Ma il Santa-Croce, considerando le conseguenze di tale domanda, e che, se si faceva pubblica l'autorità della Legazione, ciò poteva invogliare a limitarla, trovò più a proposito di tenerla segreta, per consigliare secondo l'occasione. Egli rispose dunque subito: che tutti i prelati non formavano che un corpo solo nel Concilio, e che se si leggeva il breve dei poteri dei legati, bisognava leggere altresì le bolle d'ogni vescovo per far fede della sua istituzione; dimodochè si dovrebbe sempre ricominciare di volta in volta ne venissero di nuovi. Con tale pretesto egli salvò l'onore della Legazione, che consisteva nel non aver limiti[20].

I legati di questa prima parte del Concilio di Trento furono: il cardinal Monti o Del Monte, dell'ordine de'vescovi; il cardinal Santa-Croce, dell'ordine dei preti; e il cardinal Poole, della casa reale d'Inghilterra, dell'ordine de'diaconi. Però i legati portavano tutti gli stessi distintivi.

Paolo III mandò suo nipote, il cardinal Farnese, a Carlo V, affinchè consentisse all'apertura del Concilio e desse i suoi ordini ai cattolici.

Fu deliberato che la sala delle sedute fosse coperta di tappezzerie, per timore che il Concilio non paresse un'assemblea di persone abbiette.

[73]

Il cardinale Madrucio, parente dell'imperatore e vescovo di Trento, fece parte del Concilio, e die'luogo ad una contesa; poichè Mendoza, nella sua qualità di rappresentante dell'imperatore, voleva avere un seggio al di sopra di lui. Si pensò di collocare le sedie in modo che la preminenza tra loro non si potesse discernere. Madrucio ebbe anche quistione col Del Monte; ma gli fece poi delle scuse, e il Del Monte rispose con un segno del capo.

—Monsignore, disse Madrucio, prendetela come volete, mi è indifferente: io sono cavaliere di nascita.

—Ed io saprò andare, rispose il legato, là dove i nobili non potranno mai insultarmi.

Infatti, egli andò a Roma, e fu papa.

Si chiamarono corridori i Padri che si affrettarono a recarsi a Trento. E siccome vi si annoiavano, così chiesero il permesso, sotto un pretesto qualunque, di andare a Venezia o a Milano per distrarsi. I legati concedevano di rado tale permesso, ma, per raddolcire il rifiuto, davano del denaro.

Tre vescovi francesi giunsero in sul principio. Il re li richiamò; ma essi mandarono il vescovo di Rennes a pregare S. M., in nome del papa, di permetter loro di rimanere. E così due soltanto assistettero all'apertura del Concilio.

Per lo addietro, il titolo di Atti del Concilio comprendeva tutto. A Trento si diede questo titolo ai decreti, e si tacque del resto.

Per lo addietro, i notaj assistevano al Concilio per raccogliere i suffragi. Se i vescovi opinavano senza contraddizione, essi scrivevano: «Il santo Sinodo ha pronunciato». Allorchè parecchi vescovi erano dello stesso avviso, i notaj scrivevano: «I vescovi hanno proclamato o dichiarato»; e questo teneva luogo di decisione. Quando non si potevano[74] punto accordare, i notaj registravano il voto di ciascuno, e il presidente decideva.

Nulla di tutto questo fu fatto per gli atti del Concilio di Trento.


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XXIX.

Giunto il 13 di dicembre, il papa pubblicò a Roma una bolla di giubileo, in cui diceva: ch'egli aveva convocato il Concilio per sanare le piaghe aperte alla Chiesa da detestabili eretici; che ciascuno in particolare doveva pregar Dio pei Padri raccolti a Trento; e per rendere efficaci queste preghiere, digiunare tre giorni ed assistere alle pubbliche processioni; poi confessarsi e comunicarsi, in grazia di che egli accordava loro il perdono dei loro peccati.

Nello stesso giorno, a Trento, i legati e venticinque vescovi, indossati gli abiti pontificali ed accompagnati dai teologi, dal clero della città e da tutto il popolo di Trento e dei dintorni, si recarono processionalmente dalla chiesa della Trinità, ove s'erano riuniti, alla cattedrale, dove il primo legato celebrò la messa dello Spirito Santo. Il vescovo di Bitonto, il francescano Musso, pronunciò un discorso, in cui si rivolse ai boschi ed alle foreste di Trento, scongiurandole ad invitare tutti gli uomini a sottomettersi al Concilio, per timore non si dicesse che, essendo venuta al mondo la luce del papa, gli uomini avevano preferito alla luce le tenebre.... Egli invitò poscia la Grecia, la Francia, la Spagna e l'Italia, tutta la cristianità alle nozze. Infine, rivolgendosi a Gesù Cristo, lo pregò, per intercessione di san Vigilio, patrono della vallata di Trento, di voler assistere al Concilio.

[75]

Il papa, la cui luce era venuta al mondo, era quel cardinale Farnese, che Alessandro VI aveva fatto uscire dal Castel Sant'Angelo, in cui era rinchiuso come falsario di brevi pontificii, in grazia della sorella Giulia Farnese, della quale Alessandro VI aveva fatto la sua concubina, e che fece dipingere dal Pinturicchio come una Madonna—in the sacred character of the Virgin, dice Roscoe—, appendendola poi al capezzale del suo letto. La luce del mondo era quel Paolo III che aveva comperato i voti del conclave; quel papa di cui Benvenuto Cellini diceva: «che non credeva in nulla, nè in Dio nè in altra cosa, fuorchè nell'astrologia»; quel Paolo III che, come Alessandro VI, aveva sedotto sua figlia Costanza prima di maritarla allo Sforza, e che aveva in seguito avvelenata, perchè si opponeva alla continuazione dell'incesto; quel papa che aveva già avvelenato i rivali che gli dava sua sorella; quel papa che nominava cardinali i suoi nipoti, dell'età di quattordici e sedici anni, e Crispo ch'era stato cavalleggero; quel papa che aveva fatto costruire una macchina infernale per assassinare Carlo V; quel papa che sancì l'Ordine dei Gesuiti; quel papa ch'ebbe mano nell'avvelenamento del cardinale Ippolito de'Medici, che l'aveva nominato papa, in casa della sua concubina Giulia Gonzaga; quel papa ch'era padre di quel Pier Luigi Farnese, che violava i vescovi.—Paolo III diceva: «Io imparai dalla storia e dalla mia propria esperienza che la Santa Sede non fu mai potente e felice se non quando fu alleata alla Francia». E piegò verso la Francia; in modo che Carlo V diceva di lui: «Altri prendono il mal francese in gioventù, ma questo papa lo prende nella vecchiaia». Egli morì in un accesso di bile, forse avvelenato dal cardinale Farnese, suo nipote.

Dopo il discorso del vescovo di Bitonto, i legati fecero leggere una lunga esortazione così concepita: che essendo loro cómpito di ammonire i prelati durante il Concilio,[76] essi credevano doverlo fare sin dalla prima seduta, ma in guisa da non consigliare mai nulla di cui non dessero essi medesimi l'esempio, essendo in tutto eguali agli altri; che il Concilio si teneva per tre scopi principali: l'estirpazione dell'eresia, il ristabilimento della disciplina ecclesiastica, e il ricupero della pace; che per riuscire nel pio intento, bisognava avere il profondo sentimento che codesti mali erano stati provocati dal peccato dell'eresia—non già per averla suscitata, ma bensì per aver mancato al proprio dovere di seminare la buona dottrina e di estirpare la zizzania; che, rispetto alla corruzione de'costumi, non era mestieri parlarne, poichè nessuno ignorava che i pastori ed il clero erano i corruttori e i corrotti: in punizione di che, Dio aveva loro mandato la terza piaga, cioè la guerra al di fuori coi Turchi, e al di dentro tra'cristiani; che senza questo vero riconoscimento de'loro falli, essi invocherebbero invano lo Spirito Santo e comincierebbero invano il Concilio; che le sventure della cristianità provenivano da un giusto giudizio di Dio che la puniva, quantunque con pene ben minori delle sue colpe; che per calmare la sua collera, bisognava confessare queste colpe, ad esempio di Esdra, di Nehemia e di Daniele, senza di che lo Spirito Santo non discenderebbe sopra di essi; che Dio faceva loro una grazia particolare nel porli in grado di cominciare il Concilio per riparare ai danni della Chiesa; che Dio era spettatore delle loro azioni, insieme con gli angeli e tutta la Chiesa. Infine, i legati raccomandavano ai vescovi mandati dai principi di servire i loro padroni, in modo che il servizio di Dio fosse preferito a qualunque altra cosa.

E questo sarà il testo preciso dell'allocuzione che Pio IX dirigerà al Concilio, aggiungendovi le rapine del razionalismo e gli attentati dei rivoluzionarii, che hanno spogliato la Santa Sede di ciò che aveva ricevuto da Dio;[77] e facendo una tirata contro la pubblica educazione e l'insegnamento avvelenato dalla libertà.... Il tutto condito di pecore, di ovili, di lupi voraci, di corrucci del cuore paterno, di persecutori della Chiesa, di figli scellerati di Satana ..., che già sappiamo. Il gergo ecclesiastico è stereotipato!


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XXX.

Dopo la suddetta rimostranza, i legati di Trento lessero la bolla di convocazione del Concilio, con un breve della semplice deputazione dei togati, e la bolla spedita per aprire il Concilio.

Alfonso Zorilla, segretario di Mendoza, presentò di nuovo ai legati l'ordinanza dell'imperatore, con una lettera particolare del suo signore, il quale si scusava della momentanea assenza per una indisposizione. I legati accolsero tale scusa; e quanto all'ordinanza, dissero: che, benchè essi avessero già risposto, pure volevano rispondervi un'altra volta, per mostrare maggiore rispetto verso l'imperatore.

S'inginocchiarono poi tutti, e fecero prima una preghiera a bassa voce, come s'usa in ciascuna sessione, in conformità al ceremoniale romano; poscia il presidente Monti recitò ad alta voce quella: Adsumus, Domine Sancte Spiritus, ecc. Cantate quindi le litanie, il diacono lesse il vangelo: Si peccaverit in te frater tuus. Finalmente, cantato il Veni Creator, i Padri sedettero secondo il loro rango, e il presidente lesse il decreto, domandando se loro piaceva d'ordinare che il Santo Concilio di Trento fosse aperto, e di dichiararlo aperto, per la gloria di Dio, la estirpazione delle eresie, la riforma del clero e del popolo, e l'estinzione dei nemici del nome cristiano. I[78] Padri risposero tutti: Placet!—primi i legati, poi i vescovi e gli altri Padri. Dopo di che, lo stesso legato domandò se, a cagione delle feste di Natale che si avvicinavano, piaceva loro che la sessione si tenesse all'indomani della Epifania. Ed essi di nuovo risposero: Placet! Ercole Severoli, promotore del Concilio, fece istanza ai notaj di erigere sopra ciò un atto pubblico. In fine, si cantò il Te Deum.

Nel recarsi alla cattedrale, gli Ordini religiosi erano stati a capo della processione, preceduti dalla croce, e seguiti dai Capitoli collegiali e dal resto del clero, e poi dai vescovi, dai legati e dagli ambasciatori del re dei Romani. Nel ritorno, i legati, con la croce alla testa, uscirono pei primi, poi gli ambasciatori e poi i Padri, i quali avevano deposto gli abiti pontificali.

Ciascuna sessione si aprì con le stesse cerimonie.

Si tennero parecchie congregazioni. Del Monte propose i regolamenti per il buon ordine e la tenuta del Concilio, e fu stabilito si esaminerebbero anche le materie che dovevano esser trattate nelle congregazioni. Qualunque sorpresa d'una quistione importuna rimase così cansata.

I legati ottennero che il papa nominasse gli ufficiali pel Concilio.

Nella seconda congregazione, l'arcivescovo d'Aix e il vescovo d'Agde pregarono i legati di non trattar nulla d'essenziale, prima dell'arrivo degli ambasciatori del re di Francia. Ma non furono ascoltati.

Fu accordato voto deliberativo agli abati e generali di Ordini, per aumentare la maggioranza del papa.

Nella sessione non si discuteva, e si opinava soltanto per formalità.

Per la seconda sessione, i prelati, vestiti co'loro abiti ordinarii, si riunirono in casa del primo legato Del Monte, donde poi si recarono alla cattedrale, preceduti dalla croce e passando in mezzo a trecento soldati di fanteria. Appena[79] i Padri entrarono in chiesa, i soldati fecero sulla piazza una scarica, e si tennero in guardia durante tutta la sessione. I teologi rimasero in piedi. Gli ambasciatori occupavano il loro banco, con alcuni gentiluomini del vicinato, scelti dal cardinale di Trento. Il vescovo di Castellamare cantò la messa; quello di S. Marco fece il discorso.

Dopo la messa, i prelati indossarono le vesti pontificali, e fecero la preghiera come nella sessione precedente. Quando furono seduti, il vescovo celebrante lesse la bolla, che proibiva di ammettere il suffragio dei procuratori e degli assenti; e lesse poscia alcuni decreti del Concilio, tra gli altri quello di parlare modestamente nelle sedute. I Padri risposero: Placet.

I Francesi insistettero di nuovo per l'aggiunta di universalem Ecclesiam repræsentans, da apporre al titolo del Concilio. I legati se ne lagnarono nella congregazione successiva, dicendo: ch'era sconveniente il mostrare diversità d'opinione nelle sedute, mentre le congregazioni segrete si tenevano espressamente per lasciare a ciascuno la libertà di dire il proprio avviso, affine di mostrare nelle sessioni pubbliche la conformità dei pareri.

I legati avevano ragione.

Lo Spirito Santo, ivi presente, non poteva inspirare bianco agli uni e rosso agli altri. E però in una sessione si discusse sulla famosa colomba da porre sul suggello del Concilio. I legati opinavano che, se il Concilio aveva con sè lo Spirito Santo, non v'era alcun bisogno di ricorrere al papa pegli schiarimenti.

E il povero Cristo, nel Paradiso di Dante, si lagna che il suo vicario abbia fatto di lui un segnacolo in vessillo e una figura di sigillo!....


[80]

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XXXI.

Dopo l'ottava sessione, l'11 marzo del 1547, il Concilio fa rinviato a Bologna, ove tenne l'intermezzo della nona, decima e undecima sessione, senza nulla decidere.

Giulio III, ch'era succeduto a Paolo III, restituì il Concilio a Trento il 14 dicembre del 1550.

Giulio III era quello stesso cardinale Del Monte, che era stato il primo legato al Concilio, nominato papa malgrado la stessa candidatura di Carlo V, e quantunque avesse detto, ridendo, in un gruppo de'più giovani dei suoi elettori: «Se voi mi fate papa, vi dò per confratello il prevostino».

Il prevostino era uno de'suoi molti figli, ch'egli aveva fatto allevare insieme con uno scimiotto ed una bambina, sua figlia anch'essa, «e l'aveva tenuto dapprima nella sua camera, e poi nel suo letto», secondo la narrazione del Dandolo, ambasciatore di Venezia. Del Monte era un allegro compare, dedito agli amori. «Il cardinale di Trani, scriveva Mendoza a Carlo V, ha sempre la sua casa piena di puttane e monti di garzoni». Egli era stato l'amante della famosa cortigiana Beatrice Ferrarese, che servì di modello per tante Madonne. Egli viveva come un sibarita, e bestemmiava come un carrettiere. Un giorno, mentre bestemmiava contro un maggiordomo, a proposito d'un pavone mal cotto, ed un cardinale essendosene scandalizzato, Giulio III esclamò: «Che se Dio era montato in collera per un cattivo pomo, egli, che n'era il vicario, poteva bestemmiare per un pavone, che valeva molto di più». Enrico Estienne assicura ch'egli abusava de'suoi giovani cardinali more sodomitico, non[81] meno che di suo figlio il prevostino, che aveva fatto cardinale, e che Paolo IV degradò pei suoi delitti. Giulio III fu sul punto di far cardinale l'Aretino, ch'egli baciò in bocca. Morì poi quasi di fame, per ordine dei medici.

Il cardinale di San Marcello, Marcello Crescenzio, fu mandato legato alla riapertura del Concilio, aggiungendogli, in qualità di nunzii, l'arcivescovo di Siponte e il vescovo di Verona.

Il 28 di aprile del 1552, alla sedicesima sessione, il Concilio fu di nuovo interrotto.

Giulio III morì nel 1555, ed ebbe per successore il suo collega al Concilio di Trento, il cardinale Santa-Croce, Marcello Cervini. Questi volle conservare il proprio nome, e si chiamò Marcello II.

Il mutamento di nome dei papi datava da Sergio II (844), il quale, chiamandosi Boccaporci, Os porci, come dice Onofrio Panvini, ob turpitudinem cognomenti, prese un altro nome.

Corse voce che Marcello II fosse stato avvelenato, a cagione della rigidità de'costumi che voleva imporre agli ecclesiastici. Adriano VI fu certo avvelenato per la stessa causa.

Il suo successore, l'inquisitore Caraffa, Paolo IV, minacciava di mostrarsi ancor più severo. Egli metteva paura alle persone della sua Corte, e diceva: Uxorem non habentes sæpe verberant—«i celibatarii percuotono volontieri». E percosse molto, anche de'cardinali, e strappò la barba all'ambasciatore di Ragusa. Le prime parole dette da Paolo IV, appena nominato, furono: «Io non devo la mia tiara a nessuno». E quando gli fu domandato come voleva esser trattato: «Da gran principe», egli rispose. Paolo mangiava molto—- venticinque piatti—, e beveva forte: rimaneva a tavola tre ore. Egli era accuratissimo, siccome d'alto lignaggio. L'Inquisizione fu la sua più[82] grande occupazione. Odiava profondamente gli Spagnuoli e l'imperatore, «Io sono Italiano!—diceva egli con più verità che Giulio II—ed in Italia non v'ha che una tiara ed un berretto: Roma e Venezia». Ei li odiava talmente cotesti Spagnuoli, che si collegò coi protestanti di Germania, e chiamò in Italia Solimano per discacciarne i marrani.

Questo papa fece paura allo stesso duca d'Alba. Ma Paolo IV era stato terrificato da Filippo II.... Quando egli fu eletto, andò scritto il seguente feroce epigramma:

Sixtum lenones, Julium rexere cinædi,
Imperium vani scurra Leonis habet.

Clementem furiæ vexant et avara cupido;
Quæ spes est regni, Paule, futura tibi?

(I lenoni governarono Sisto, i cinedi Giulio; i buffoni guidarono il leggero Leone; le furie, l'avarizia, la cupidigia possedettero Clemente. Quale specie di regno ci riservi tu, o Paolo?)

Alla sua morte, mentre i Romani ne spezzavano la statua, un poeta componeva un epitaffio sanguinoso, che terminava con questi versi:

Hostibus infensis supplex, infidus amicus:
Scire cupis cætera? papa fui!

«Egli fa papa»—ciò dice tutto[21].

Paolo non si curò punto del Concilio.

Per lui, i Padri non erano che semplici consiglieri del pontefice, al quale appartiene ogni autorità e dinanzi al quale tutto si piega.


[83]

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XXXII.

Il Concilio si riunì di nuovo il 29 novembre del 1562, sotto Pio IV, e cominciò dalla sessione decima settima, malgrado le rimostranze di alcune potenze e di alcuni Padri, i quali avrebbero voluto considerare la nuova riunione come un nuovo Concilio. Il cardinale di Mantova, Ercole Gonzaga, fu mandato come legato, aggiungendogli Giacomo de Puy, nizzardo, eccellente giureconsulto. Poco appresso, Gonzaga morì, e Pio IV mandò a Trento il cardinale Navagero e il cardinale Morone, fatto uscire allora dal castel Sant'Angelo, ove lo aveva fatto rinchiudere in compagnia del cardinale Foscarini, come eretici, per aver lasciato passare il libro degli Esercizi spirituali di Sant'Ignazio di Loiola!

I legati domandarono al papa dieci buone teste per opporle ai vescovi di Spagna.

Pio IV aveva pochissima stima del Concilio. Allorchè gli si rimproverava di non lasciare ai Padri, «a que'vescovetti, a que'fanciulli,» bastante libertà, egli rispondeva: «È vero, ma i loro re ne lasciano loro ancora meno». Ed agli ambasciatori diceva: «che i sovrani gli sarebbero molto più cari, se lo aiutassero a liberarsi dal Concilio, anzichè ad esterminare gli Ugonotti».

Quando il conte di Luna rimproverava al Morone la servitù del Concilio, e che si chiamassero nelle congregazioni molti Italiani e due soli Francesi e due Spagnuoli, e che si estorcessero i voti, il Morone non negava punto la cosa, ma rispondeva: che nessuno si lagnava di codesta servitù, e che le cose andavano proporzionatamente, essendovi al Concilio centocinquanta Italiani e soli sessanta[84] stranieri. «Voi non tenete conto delle nazioni, soggiunse un giorno il duca di Luna; ma, in fine, le contate».

Pio IV, ch'era lo Spirito Santo del Concilio, aveva due figlie ed un figlio. Cosimo de'Medici lo aveva fatto eleggere a forza di scudi, comprando i cardinali al conclave. Pio IV diceva all'ambasciatore di Venezia, che non v'era un cardinale che sapesse resistere a 500 scudi di pensione. Ed egli condusse il Concilio col denaro: vi spese, infatti, 600,000 scudi, circa 5 milioni di franchi.

Egli pendeva pel matrimonio dei preti. Fece imprigionare uno de'nipoti di Paolo IV, il cardinale di Napoli, e strangolare l'altro, il cardinale Carlo Caraffa, che l'aveva fatto papa. Pio V, suo successore, ordinò la revisione del processo, fece appiccare il giudice d'istruzione, che aveva trovato colpevoli i due cardinali—sempre infallibilmente—, e fece distruggere gli atti del processo.

Pio IV fece dipingere dal Salviati, nella sala dei re al Vaticano, la scena di Alessandro III, che pone il piede sulla testa del Barbarossa.

Dopo tutto, bisognava finirla con l'assemblea di Trento. Alcuni vescovi spagnuoli si opposero alla chiusura; ma il Morone ingannò il Luna per farlo acconsentire.

L'ambasciatore di Francia, Ferrier, diceva che, se il Concilio nominava un papa, la Francia non ne riconoscerebbe giammai altri. Ora, il papa era malato, e il Morone aveva speranza d'essere eletto. La chiusura fu dunque decisa, affrettata. Il venerdì 3 dicembre del 1563, alla ventesimaquinta sessione, si lessero tutti i decreti del Concilio; e non essendosene terminata la lettura il primo giorno, si tenne seduta all'indomani prima dell'alba.

Il cardinale di Lorraine si fece l'acclamatore generale: il che spiacque, essendo questo l'ufficio d'un diacono, anzichè di un cardinale. Egli cominciò le sue acclamazioni[85] con augurare lunga vita al papa, e poi facendo voti pel riposo delle anime di Paolo III e di Giulio III. E continuò benedicendo la memoria di Carlo V, ed i re in massa, ma non nominando Francesco I ed Enrico II; aggiungendo augurii di lunga esistenza all'imperatore Ferdinando ed agli altri principi, obbliando però Carlo IX, ed augurii di lunga durata alle repubbliche.

Ferrier non era presente: senza di che, egli avrebbe indubbiamente protestato.

Il di Lorraine ringraziò, da ultimo, i legati, ed applaudì ai decreti del Concilio. I Padri risposero tutti insieme, con le sole parole: Anatema agli eretici!

I legati comandarono allora ai Padri, sotto pena di scomunica, di firmare di proprio pugno tutti i decreti; e la domenica successiva vi fu tutta impiegata.

Gli ambasciatori, che dovevano firmare alla lor volta, non sottoscrissero punto. De Luna voleva sottoscrivere con restrizione, non avendo Filippo II acconsentito alla chiusura del Concilio. E però questo re diceva: «Che i Padri erano andati vescovi al Concilio, e n'erano ritornati semplici curati».

Tutti i cardinali approvarono, in un concistoro, i decreti del Concilio, fuorchè il cardinale Cicanda e il cardinale Ghislieri (che fu in appresso l'abbominevole e atroce Pio V), trovando essi che i vescovi avevano conservato troppa autorità. Si scongiurarono i principi a far eseguire ne'loro Stati i decreti del Concilio; ma Carlo IX non fu scongiurato nominatamente. Diecinove Padri, tra quelli che avevano mostrato maggior zelo, furono promossi al cardinalato.

E qui poniam fine al nostro esame retrospettivo dei Concilii, già troppo lungo, e giungiamo alle conchiusioni.


[86]

c33

XXXIII.

In quale circostanza l'idea d'un Concilio venne al mondo, o piuttosto sgorgò dal divino cervello dell'angelico Pio IX?

L'8 dicembre del 1864, il decimo anniversario della «definizione dogmatica della immacolata concezione della Vergine madre di Dio», la Cancelleria romana partorì una lettera enciclica ed il famoso Sillabo, opera di un Gesuita tedesco, il P. Schroder, il quale in 10 capitoli e 80 paragrafi, trattò degli errori principali della sfortunata epoca nostra.

Il 6 di giugno del 1867, diecisette quesiti, specialmente risguardanti gli eretici, il matrimonio civile, ecc., furono con una lettera circolare diretti ai vescovi.

Il 26 dello stesso mese, il papa pronunciò un'allocuzione in un concistoro segreto, alla presenza di cinquecento vescovi, nella quale annunciava loro il suo desiderio di convocare un Concilio generale, mediante il quale la Chiesa cattolica compirebbe i suoi più bei trionfi, convertirebbe i suoi nemici, e proclamerebbe il regno del Cristo su tutto l'orbe abitato ed abitabile.

I vescovi risposero con un indirizzo—a Roma non si teme punto l'indirizzo—, che «il loro cuore era colmo di gioia alla prospettiva di codesto Concilio ecumenico, il quale non poteva essere che una sorgente infallibile di unità, di santità e di pace».

Il papa ricevette l'indirizzo con entusiasmo, e, secondo il voto de'suoi fedeli mandatarii, mise il Concilio sotto la protezione di Colei che aveva calpestato la testa del serpente, e promise che, allorquando il Concilio si riunisse,[87] verrebbe inaugurato nell'anniversario dell'Immacolata Concezione.

Il 29 di giugno del 1868, la bolla della convocazione del Concilio fu canonicamente promulgata.

L'8 di settembre dello stesso anno, comparve la lettera apostolica diretta a tutti i vescovi di rito orientale separati da Roma, invitandoli a presentarsi al sinodo, «come i loro predecessori erano stati presenti al secondo Concilio di Lione ed a quello di Firenze»,—dove però non ebbero il permesso di votare, e sedettero in disparte.

L'abate Testa fu poi incaricato di portare personalmente questa lettera ai vescovi e patriarchi scismatici.

Infine, il 13 di settembre, comparve la lettera apostolica ai protestanti, con la quale il caritatevole Padre de'fedeli li esortava «ad abbracciare l'opportunità di questo Concilio»—occasionem amplectantur hujus concilii. Ma il cuore indurito degli scismatici orientali non parve commosso dalla gentilezza dell'invito. La grazia proveniente da Roma li toccò ben poco!

Il patriarca di Costantinopoli non volle nemmeno guardare quella lettera, benchè essa fosse legata in marocchino rosso con lo stemma e col suo nome in cifre d'oro. Ei ne aveva saputo abbastanza da'giornali, e prevedeva che i Padri del Concilio non potrebbero riescire che ad assalirsi con ogni violenza ed a strapparsi la barba e i capelli, come altre volte.

Ora quel prudente patriarca, essendo calvo, ci tiene molto alla sua barba; e perciò il superbo volume fu posto sopra un cuscino, e restituto al delegato, che fu salutato cortesemente, e ricondotto al confine.

Il metropolita di Calcedonia restituì la lettera con una semplice, ma energica apostrofe in greco, la quale significava soltanto: lasciatemi in pace!

[88]

Il vescovo di Varna pensò che non avrebbe potuto accettare ciò che il suo superiore aveva respinto; e rimandò l'enciclica.

Il vescovo di Salonicco non addusse meno di cinque ragioni per declinare l'invito: 1.º Che ne direbbe il patriarca? 2.º Perchè un Concilio a Roma, piuttosto che in Oriente? 3.º Perchè il papa vuole attirarci tra'suoi artigli? 4.º Il papa porta una spada, ch'è stata vietata dalle Scritture: egli la lasci, senz'altro, e sciolga il suo esercito. 5.º Egli rinunci al Filioque, e prenda moglie; ed allora non vi saranno più gravi differenze dogmatiche tra'Greci e Latini.

Il vescovo di Trebisonda, più burlone, alla vista dell'enciclica, si atteggiò come una fanciulla dinanzi ad un ricco dono di nozze. Egli ricevette la lettera, la guardò con piacere, l'ammirò, se l'appressò alla fronte, alla bocca ed al petto: la fe'toccare, insomma, un po'dappertutto, la voltò e rivoltò tra le mani, ed alzò alcune piccole grida di gioia: Oh Roma! oh S. Pietro! oh il Santo Padre! Ma finì col dichiarare che non sapeva leggere i caratteri latini, che ignorava questa lingua, e che non vedeva la necessità nè aveva punto la curiosità di recarsi al Concilio.

Così l'ecumenicità, consacrata dalle parole di sant'Agostino: Securus judicat totus orbis, se n'andò in fumo. Il Concilio di Roma non sarà ecumenico che pei Latini.

I protestanti, più capziosi, più battaglieri, si rivolsero al cardinale Patrizi, segretario del Concilio, per sapere «se in quest'assemblea essi avrebbero la libertà di parlare e di formulare le cause per le quali si sono separati dalla Chiesa romana», poichè essi desiderano, come dicono nobilmente, to give a reason for the hope that is in them—di dare ragione della speranza ch'è in loro.

L'eminente presbiteriano John Cumming, che aveva preso[89] questa iniziativa pei protestanti del Regno Unito, ha ricevuto una risposta negativa, aspramente e sgarbatamente categorica, fatta da Pio IX medesimo e diretta a mons. Manning[22].


[90]

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XXXIV.

Nessun invito è stato diretto ai Governi, che rappresentano il corpo laico de'fedeli.

Con tale contegno, Pio IX fa il suo piccolo colpo di[91] Stato. Egli convoca un Concilio al di fuori e all'insaputa della società laica e de'suoi capi, re e imperatori, i quali finora avevano preso o imposto l'iniziativa di codeste riunioni; e si frega le mani.

Pio IX si rivolge ai vescovi, sudditi di Stati indipendenti, come a'suoi propri subordinati, violando così, di proposito deliberato, le leggi della convenienza diplomatica[92] e della indipendenza degli Stati. Quest'atto è la dichiarazione più assolata che finora siasi fatta dal «vicario del Dio dei Faraoni», come l'intendeva Innocenzo III:—citra Deum, ultra hominem, minor Deo, maior homini—al di qua di Dio, al di là dell'uomo, inferiore a Dio, superiore all'uomo.

Questo modo di agire, per affermare l'indipendenza assoluta della Chiesa, ha offeso alcuni Stati cattolici—l'Italia, la Germania del Sud e la Spagna—; ne lasciò altri pressochè indifferenti—la Francia, la Svizzera e l'Austria. Ma gli uni e gli altri si posero innanzi la questione: quale attitudine devono prendere i Governi di fronte a codesta sfida della Chiesa?

Il signor Baroche rispose al Corpo legislativo, nel mese di giugno del 1868: che il Governo non opporrebbe alcuna difficoltà alla riunione del Concilio, ma che non vi manderebbe rappresentanti; importargli poco che l'Imperatore non fosse stato invitato; che la Chiesa e lo Stato non sarebbero separati; ch'egli ripudiava le dottrine del Sillabo; che non ammetteva l'infallibilità del papa; che si teneva fermo al Concordato ed agli articoli organici—l'arsenale delle armi antipapali, che vieta la pubblicazione di tutto ciò che emana dal papa, senza l'autorizzazione governativa.

L'Austria ha stracciato il Concordato, e, com'è noto, giudica e condanna i vescovi.

La Spagna medesima ha proclamato come principio la libertà di coscienza.

Il Governo bavarese ha interpellato le Facoltà teologiche delle Università, per sapere se il Sillabo intaccava le prerogative dello Stato. I professori hanno risposto: che il Sillabo, accettato nude et pure, materialiter, negativo o positivo, secondo la redazione del P. Schroder (il[93] quale sta già lavorando per trasformare il Sillabo negativo in una specie di Magna Carta dogmatica), od altrimenti, implicava colle sue dottrine de'mutamenti considerevoli nelle relazioni tra la Chiesa e lo Stato. E la Baviera ha preso le sue misure.

Gli altri Stati, sino al cattolicissimo Belgio, hanno dichiarato, l'uno dopo l'altro, ch'essi non interverrebbero al Concilio e non s'immischierebbero nell'opera sua.

E il papa rallegrossi di siffatta emancipazione del potere spirituale, e si felicitò della propria indipendenza. L'isolamento in cui lo lascia il mondo laico, non ispaventa Pio IX. Questo sprezzo, questa indifferenza, questa noncuranza per le cose ecclesiastiche, «egli la chiama un trionfo sull'ingerenza secolare»! È la pace di Tacito: solitudinem faciunt et pacem appellant.

Constatiamo però con piacere che nessuno Stato ha vietato ai propri vescovi di accettare l'ingiunzione romana, come nessuno di essi vietò a'propri medici di recarsi al Congresso medico che si è tenuto testè a Firenze.

Nondimeno, siccome il papa non è soltanto un capo religioso, ma anche un sovrano temporale; siccome la Chiesa non è un'associazione nazionale, ma una corporazione internazionale, soggetta ad una gerarchia compatta e violenta, gli amministratori della quale non sono scelti dai soci, nè sottoposti al loro controllo, ma imposti da una volontà dispotica, infallibile, che non risponde nemmeno a Dio della condotta dei propri agenti, così è necessario provvedere.

Come provvedere? Su che provvedere?


[94]

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XXXV.

La costruzione dell'anfiteatro pel Concilio in S. Pietro è già terminata, dietro il progetto del Vespignani, dopochè fu scartato quello del Sarti, troppo grandioso. Il trono del papa è ad una estremità. L'altare del Concilio è nel centro. All'ingiro vi sono sette ordini di stalli per circa 650 Padri.

Se ne attendevano molti di più.

Nel numero dei presenti, gli Italiani saranno come cinque a sette; il che assicura la maggioranza papale.

Una grande tenda nasconde codesto teatro. Essa verrà alzata al momento delle apoteosi, per offrire al pubblico una santa occasione d'applaudire e di buscarsi un cantuccio di paradiso. Il paradiso è la ricompensa ufficiale della Chiesa romana.

Furono scelti degli stenografi di tutte le nazioni, affinchè possano accomodare un po' il latino de'Padri. Lo Spirito Santo non è responsabile degli errori di lingua: egli guarda soltanto alla sostanza della dottrina.

Sette Commissioni, presiedute da sette cardinali, spinsero innanzi le faccende preparatorie, malgrado il caldo, le vacanze e la malaria. Il papa riceve giornalmente un rapporto sul lavoro che si va preparando.

Una Commissione speciale, composta di otto dignitarii, esercita le funzioni di quartier-mastro, e prepara gli alloggi pei vescovi, e i divertimenti—spirituali, s'intende—pei profani.

La Polizia garantisce la modestia immacolata del corpo di ballo del teatro Argentina. Si pregarono poi i Transteverini[95] di astenersi dal coltello, e le Transteverine di farsi più belle, per la maggior gloria di Dio.

Il discorso d'inaugurazione brulica nel cervello del P. Luigi da Trento, arcivescovo d'Icona e predicatore apostolico al Vaticano.

Il più profondo mistero copre la lista del Concilio. Ma siccome Roma è sempre la città Là dove Cristo tuttodì si merca, così il Times ha potuto sapere come sarà composta la festa.

«Tre cose, esso dice, saranno trattate nel Concilio, il quale durerà tre settimane al più. Queste tre cose sono: la dichiarazione dell'infallibilità del papa, la quale sarà proposta, al principio della sessione, da un prelato inglese; il Sillabo dogmatizzato sarà convertito in legge; e finalmente sarà proclamato il dogma dell'Assunzione e dell'Immacolata Concezione, desunto da due scritti apocrifi del quinto secolo. Noi speriamo che tutto ciò riescirà a seconda dei desiderii».

Questo Concilio non rassomiglierà agli altri. Dal Concilio di Nicea sino a quello di Trento, codeste riunioni ebbero sempre uno scopo determinato da raggiungere, un nemico speciale da combattere, cominciando da Ario e terminando con Lutero,—ora Enrico IV di Germania ed ora Federico II, ora i Saraceni, i Templari, o gli Ebrei. Ma il Concilio attuale a qual fine è convocato?

L'enciclica dice: «È già noto da quale orribile tempesta è agitata la Chiesa.... La Chiesa cattolica e le sue salutari dottrine, il suo venerabile potere e la suprema autorità della Sede apostolica sono assaliti e calpestati dai più abbominevoli nemici di Dio e degli uomini; tutte le cose sacre disprezzate, i beni ecclesiastici saccheggiati, i vescovi e i più alti dignitarii della Chiesa vessati in tutte le forme, gli Ordini religiosi espulsi, ed ogni sorta[96] di libri empii e di giornali pestiferi ... largamente diffusi.... In questo Concilio ecumenico, tutte queste cose saranno accuratamente esaminate, e sarà determinato ciò che, in questi tempi sommamente difficili, può riuscire alla maggior gloria di Dio alla integrità della fede, alla degna celebrazione del culto divino, alla salute eterna degli uomini, alla disciplina ed all'istruzione solida e salutare del clero, all'osservanza delle leggi ecclesiastiche, al perfezionamento della morale, all'educazione cristiana della gioventù, alla pace ed alla concordia universali. E noi dovremo sforzarci con la maggior energia ed allontanare il male dalla Chiesa, non meno che dalla società civile» ...

Con un programma così vasto e così vago, il Concilio può dunque entrare in tutte le quistioni, e portare il suo giudizio sul dominio del pensiero, non meno che su quello della fede e del sentimento, sui governi e sulla società. Quale sarà la condotta del mondo laico di fronte ad un giudice che non è stato chiamato a giudicare, ed al quale non si riconosce alcuna autorità, alcuna missione, alcuna competenza?

Si può considerare la domanda da tre punti di vista:

1.º Dal punto di vista della soggezione della Chiesa allo Stato;

2.º Dal punto di vista del concetto del conte di Cavour: libera Chiesa in libero Stato;

3.º Dal punto di vista della costituzione dell'avvenire: il prete libero nello Stato libero.

La Chiesa soggetta allo Stato è una teoria che perde giornalmente terreno. Questa teoria non è più scusabile se non nel paese in cui il clero è stipendiato sul bilancio, e perciò pubblico funzionario, come in Francia. Essa non ha più ragion d'essere che in un solo paese, l'Italia, ove il papa non fa soltanto dei Concilii, ma dei Mentana;[97] non solo convoca dei vescovi, ma anche degli eserciti stranieri; non solo proclama dei dogmi, ma pronuncia inoltre delle sentenze di morte per causa politica; non solo s'appoggia ai Santi Apostoli, ma altresì ai sovrani stranieri. In fine, codesta teoria cesserà di avere da per tutto il menomo valore, appena La Chiesa cesserà d'essere una monarchia tory, e diventerà una democrazia nazionale.

Il conte di Cavour era una mente troppo elevata per crederlo capace di aver formulato seriamente la teoria di uno Stato libero entro uno Stato libero; perocchè la Chiesa, col suo attuale organismo, non è meno di uno Stato—anzi uno Stato cento volte più autorevole che l'Impero degli czar. Quando codesta teoria fu proclamata dinanzi al Parlamento italiano, io la combattei naturalmente—mi sia permesso questo ricordo personale—, e perorai per l'indipendenza del vescovo di fronte al papa, per l'indipendenza del prete di fronte al vescovo: il prete libero nello Stato libero! Trovatomi, dopo la seduta, col conte di Cavour nei corridoj della Camera, io presi a scherzare sul suo bon-mot. Ed ei mi rispose, col suo sorriso così finamente malizioso: «Domandando ai cattolici quella ch'essi chiamano la lor capitale, Roma, bisognava bene prometter loro un compenso!»

E però l'apoftegma, che fa applaudito come un principio politico, non era in realtà, nella mente del suo autore, che un diplomatico: «passatemi la sena, ch'io vi passerò il rabarbaro».

Del resto, la Chiesa libera è già stata sperimentata in Ispagna da Filippo II, «il gran mangiatore di lardo, di cui faceva il suo pasto principale», a quanto raccontano le Ambassades de M. de Nouilles.

Ora, sappiamo benissimo quello che fece in Ispagna il regime della Chiesa libera. Pochi giorni sono, un Inglese venne quasi ucciso a Lorca come uccisore di fanciulli,[98] de'quali prendeva il grasso per spalmarne i fili del telegrafo! I due terzi dei partigiani di Carlo VII, dice il Semplice, sono preti.

Semplice davvero!

Finalmente la teoria del prete libero nello Stato libero è la dottrina democratica e nazionale dell'avvenire; quella che lascierà ai fedeli scegliere, pagare e controllare il loro curato, ed ai curati scegliere il loro vescovo, secondo l'interesse e la fede del loro paese, all'altezza de'bisogni morali ed intellettuali del popolo, ed in armonia con ciò che la scienza e la civiltà impongono alle credenze.

Scartando, per conseguenza, il principio della Chiesa soggetta, la soluzione pacifica e degna, che i Governi cercano, è tosto trovata.


c36

XXXVI.

L'infallibilità dei papi, l'infallibilità dei Concilii non provocano più, ai giorni nostri, l'epigramma che si scagliava volentieri contro di esse a'tempi di Voltaire. Dalla storia de'Concilii abbiamo veduto un papa condannare quello che un altro papa aveva sancito; il Concilio decretare contro il papa, e il papa pagare il Concilio colla stessa moneta; un papa contraddire ad un altro papa, ed un Concilio scomunicare un altro Concilio; la discordia essere lo stato normale della Chiesa cattolica—concordia discors, la più disunita della cristianità. John Cumming premetteva che, se avesse assistito al Concilio, avrebbe opposto a tutto quanto decretavano i Padri, un decreto contrario d'un altro Concilio, o d'una bolla o d'una enciclica. Abbiamo veduto come la Chiesa possa accettare una parte[99] de'canoni d'un Concilio e respingerne un'altra; come una nazione può ricusare in massa tutte le dottrine d'un Concilio, senza essere per ciò scismatica; come uno Stato possa vietare a'suoi sudditi l'adozione de'canoni d'un Concilio, anche ecumenico, e rimanere cattolico.

Ora, il Concilio si pronuncierà sopra due principali categorie di fatti: il dogma e la disciplina. Noi abbiamo, per conseguenza, due criterii assicurati: la libertà della coscienza, l'eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.

Si tratterà di proclamazione di dogmi? Siccome ciò risguarda il sentimento intimo della coscienza, e rimane sotto il nome di fede, così nessun Governo ha il diritto di violarla, penetrandovi. Il credente accetta o respinge il nuovo dogma, a suo beneplacito, secondo la propria intelligenza, salvo al Governo il combattere l'errore logico, come può, mediante l'istruzione gratuita ed obbligatoria.

Si tratterà di disciplina? Siccome ciò risguarda il clero—ed il prete è anch'egli uomo e cittadino—così lo Stato ha il diritto e il dovere di provvedere, affinchè codesta disciplina non rechi alcun torto, alcuna offesa ai diritti ed alle libertà di questa classe sociale, a cui esso deve protezione non meno che alle altre.

Ecco dunque lo Stato armato del diritto di difesa, senza ricorrere alla misura preventiva del divieto ai vescovi di recarsi al Concilio, senza imporsi la necessità d'immischiarvisi per inspirarlo, dirigerlo, controllarlo.

Il Concilio deve aver luogo al di fuori d'ogni ingerenza laica. Quando poi l'opera sua sarà terminata, se le dottrine proclamate feriscono la società nella sua dignità, nel suo sviluppo materiale o morale, nel suo lavoro, nel suo benessere, ne'suoi diritti, nelle sue libertà, lo Stato ha il diritto di respingere l'opera del Concilio, come la Francia e l'Inghilterra respinsero l'opera del Concilio di Trento,[100] come Roma rinnegò l'opera dei Concilii di Costanza e di Basilea, come gli Stati misti lascieranno concordemente in disparte l'opera del Concilio di Roma, non riconoscendo pei loro sudditi altra direzione legittima fuori di quella che emana dai rappresentanti del paese e dalle leggi della nazione.

E questa è la condotta che osserveranno l'Inghilterra, la Germania del Nord, la Svizzera, l'Italia, e crediamo anche l'Austria.

Formulino pure i cattolici la loro fede, com'essi la intendono; si accomodino nel loro foro interiore intorno al Credo ch'essi più desiderano. Ma qualora tutto ciò prendesse una forma e si manifestasse all'esterno con un atto—la parola, lo scritto, l'insegnamento, il culto—, codesta manifestazione esterna dovrebbe subire, come gli altri atti della vita pubblica de'cittadini, il controllo delle leggi del paese e dei regolamenti di polizia.

E perciò, nessuna inquietudine preventiva; nessuna agitazione politica o diplomatica per porsi d'accordo, circa la resistenza; nessun intervento, o per mezzo d'ambasciatori speciali al Concilio, o per mezzo d'istruzioni speciali ai vescovi, come ai cardinali protettori nei conclavi; nessun consiglio dato, o timore espresso, o minaccia lanciata, o diritti eventuali evocati; ma dopo il fatto, se esso è biasimevole o pericoloso, la maggior fermezza nel proibirlo, come si proibiscono le derrate malsane per motivo d'igiene.

Il Concilio è come l'Accademia d'un sovrano straniero, che tiene le sue sedute: i membri corrispondenti delle nazioni europee vi si rechino pure, e ciancino in pace. La logica e il senso comune hanno sostenuto ben altro!


[101]

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XXXVII.

Ma le sinistre previsioni sul Concilio di Roma si realizzeranno?

Non si può giurare di nulla.

I tempi, è vero, non sono inclinati alle stravaganze collettive. Il papa ha potuto pubblicare il suo piccolo Sillabo come un fatto personale; ma un Concilio, nel secolo decimonono, indietreggerà forse davanti l'enormità di proclamare codeste follie come principii di fede.

Noi siamo, in realtà, più serii e più positivi de'nostri antenati—così nel mondo laico, come nel mondo ecclesiastico.

Se un Bonifazio VIII si pensasse oggidì di trattare il regnante Filippo il Bello come quella del decimoterzo secolo, il sig. Rouher non lo accuserebbe dinanzi l'Assemblea nazionale delle villanie formulate da Guglielmo di Plasian; ma piuttosto d'aver fatto uccidere, conficcandogli un chiodo nella testa, quel povero Celestino V, il quale, dopo la sua elezione, osò entrare in Roma sopra un asino, come Gesù in Gerusalemme; che visse sulla sedia papale come in una gabbia ripiena di vipere; che si affrettò ad abdicare, non potendo risolversi a vivere da Sardanapalo, e cui Dante rinchiuse nel suo Inferno, appunto perchè egli aveva vilmente abdicato: «Che fece per viltade il gran rifiuto».

Pio IX viaggia, in ferrovia[23], in una carrozza colle tende[102] mirabilmente dipinte da Gérôme, mentre il suo predecessore non credeva nemmeno alle strade ferrate. Quando il principe di Piombino, reduce da un viaggio a Londra, gliene parlò, Gregorio XVI rispose: «Non è possibile: Aristotile ha detto: Quidquid movetur ab alio movetur[24]. Ora, chi muove il vapore?» E siccome il principe, dotto come il papa, si limitava a replicare: «Ma, Santo Padre io ho viaggiato così»; e per meglio spiegargli la meraviglia, aggiungeva: «Figuratevi che in poche ore si andrebbe da Roma a Firenze, da Firenze a Torino, e da Torino a Parigi»; Gregorio rimase stupefatto; poscia in tuono melanconico osservò: «E dove andremo noi di questo passo?»

Il successore di Pio IX risponderà alla domanda di Gregorio XVI.

I vescovi, meno i romani, giungono tutti da paesi liberi, e la libertà è come la luce: essa rallegra chi la vede, e riempie di dolore coloro che non possono contemplarla.

Il vescovo di Fulda, dirigendosi ad una riunione di vescovi, sopra la tomba di S. Bonifazio, disse: «Non crediate che il Concilio abbia ad essere una guarigione magica di tutti i mali, abbia a scongiurare tutti i pericoli[103] e mutare la faccia della terra.... Giammai un Concilio generale potrà stabilire un dogma, che non sia contenuto nelle Scritture e nelle tradizioni apostoliche.... Giammai un Concilio ecumenico potrà proclamare delle dottrine in contraddizione coi principii della giustizia, del diritto dello Stato e della sua autorità, della cultura generale—Gesittung—e degl'interessi della scienza—Wissenschaft—in contraddizione colla libertà legittima e col benessere delle nazioni.... Nè alcuno deve temere che il Concilio generale prenda alla leggiera ed in fretta delle risoluzioni che lo metterebbero necessariamente in antagonismo colle circostanze attuali e coi bisogni de'tempi moderni: ovvero ch'esso voglia, al modo degli entusiasti, trapiantare nel tempo presente idee, costumi, istituzioni dei tempi passati»....

Noi pure siamo un poco di questo avviso, malgrado la dichiarazione dell'ultimo paragrafo del Sillabo, il quale condanna come un errore la semplice supposizione che il papa «potesse o dovesse riconciliarsi e venire ad un componimento—reconciliare et componere—col progresso, col liberalismo e colla civiltà moderna».

Malgrado la sua immobilità, la Chiesa è trascinata come un edificio situato sopra una frana. Essa condannò un tempo il rispetto ai parenti, il sentimento dell'onore e della patria, l'amore della vita, la dottrina della proprietà. Lattanzio considerò il commercio come un furto, perchè vi era lucro; S. Ambrogio, il prestito ad interesse come un omicidio per strangolazione; Alessandro III proibì di seppellire gli usuraj; Tertulliano disse che un cristiano non potreb'esser re, più che un re possa essere cristiano. S. Clemente Alessandrino insegnò essere pel cristiano un sacrilegio il radersi, il bere vino, il mangiar carne, il fare dei bagni. La tragedia e la commedia furono condannate[104] dallo stesso Tertulliano, come un impegno preso col demonio. S. Gregorio il Grande assicurò che un cristiano non può, senza empietà, leggere gli autori profani, imparare ed insegnare la grammatica. S. Ambrogio professò essere il matrimonio essenzialmente cattivo, e l'adulterio non essere criminoso, se non da quando la legge ne fece un peccato....

La Chiesa non ha smentite queste dottrine ed altre ch'io ometto, ma essa non le professa più; essa non condanna più coloro che non vi si conformano.

Pio IX si rade ogni mattina. Il suo predecessore, non solo aveva un barbiere, ma questo barbiere componeva per il papa de'libri teologici[25], mentre il papa accarezzava i figli del barbiere. Innocenzo VIII, quello stesso ch'ebbe sedici figli e di cui un poeta disse:

Octo Nocens pueros genuit totidemque puellas,
Hunc merito poterit dicere Roma patrem,

Innocenzo non solo faceva dei bagni, ma, côlto da una malattia di languore, faceva de'bagni di sangue umano, secondo Infessura. Gregorio XVI beveva vino in grande abbondanza; anzi, per usare una gentilezza all'acqua e per non mancare di rispetto al vino, mescolava questo con dello Sciampagna. Giulio II fece commercio di cipolle, quand'era semplice marinaio di Artizuola. Sisto IV vendette come beneficio ai preti ed ai vescovi tres putanas in burdello, quæ reddunt singulis hebdomatibus julios viginti. Non solo il titolo di re non è più inconciliabile con quello di cristiano, ma Gregorio VII e i suoi successori si chiamarono re dei re! Un battuto di pollo, condito con essenze, che Pio IV prese come afrodisiaco, gli cagionò una[105] indigestione, che accelerò la sua morte. Leone X fece rappresentare davanti a sè la Mandragora di Machiavelli. Nessun papa penserebbe più a scomunicare, come Innocenzo III, la Magna Carta e i baroni inglesi. I papi non leggevano molto gli autori profani; nondimeno Urbano VIII si dilettava della lettura di Petronio, di Marziale e persino dell'Aretino e di Marini. Pasquino diceva di lui: «Il papa è cattolico?—No, egli è cristianissimo», per indicare ch'egli pendeva piuttosto verso la Francia, che verso la Spagna. I papi non sono ammogliati, ma essi hanno largamente usato dell'adulterio e del concubinato con le loro cognate, come Innocenzo X, e colle loro nipoti, come Pio VI. V'ebbero inoltre due papi figli di papi: S. Silvestro, figlio di papa Milziade; e Giovanni XI, figlio di Sergio III.

Noi siamo inoltre convinti che il Concilio di Roma sarà forse meno eccentrico di quel che s'immagini, e che i Padri stranieri—lontani dal loro paese, dove la loro ostinata credenza è un'arma politica di un partito contro un partito—faranno udire ai Padri romani consigli di saggezza.

Finalmente bisogna contare su ciò che si chiama altrove l'impreveduto, ed a Roma lo Spirito Santo, il quale rappresenta una sì gran parte in tutte le riunioni, meeting, parlamenti, Conclavi o Concilii. Ma, malgrado tutto ciò, l'intrapresa del Concilio è un pericoloso cimento, a cui la vanità di Pio IX espone la Chiesa.


c38

XXXVIII.

San Gregorio Nazianzeno disse (lettera LV): «Io non ho mai veduto un Concilio che abbia avuto un buon fine[106] e che non abbia accresciuto i mali, anzichè guarirli. L'amore della disputa e l'ambizione regnano al di là di quanto si può dire in qualunque assemblea di vescovi».

Noi non crediamo che il Concilio di Roma avrà gli stessi risultati; ma esso non potrà sfuggire ad una di queste due conseguenze:

O la Chiesa si metterà a rimorchio della civiltà, e lascerà andare per la corrente l'infallibilità del papa e del Concilio, la supremazia di questo su quello, il poter temporale, l'ingerenza nell'educazione pubblica, gli Ordini religiosi, i dogmi contrarii alla logica, alla fisica, alla chimica ed al senso comune;

Ovvero la rovina della Chiesa cattolica è compiuta.

Le nazioni, non potendo seguire il Concilio nelle sue aberrazioni, che mirano alla distruzione di tutto ciò che il mondo ha guadagnato colla scienza—l'astronomia, le scienze naturali, la fisiologia del cervello, le scienze fisiche e chimiche—, respingeranno i canoni malaugurati che condannano il progresso. Ed allora accadrà: che gli Stati si separeranno dalle credenze della Chiesa universale, come i protestanti del secolo decimosesto; che ciascuna nazione avrà il suo Credo; e che le Chiese nazionali, come la gallicana di un tempo, si stabiliranno dappertutto.

La Chiesa nazionale è l'ultima tappa per giungere al prete libero nello Stato libero, ch'è la costituzione definitiva della Chiesa dell'avvenire; poichè, non bisogna dimenticarlo, la gerarchia uccide la fede.

La fede non è più un fiore spontaneo dell'anima, ma una consegna, una servitù.

Laonde non più Chiesa, ma le Chiese; non più episcopato, ma il vescovo; non più clero, ma il prete—tutti[107] godenti della libertà e della eguaglianza di tutti nella nazione[26].

Ecco la formula dell'avvenire, l'ultima parola del cristianesimo.

Noi ne siamo ancora lontani, ma progrediamo.

Nel 1848, Pio IX uccise il papato; nel 1870, egli ucciderà la Chiesa.

Il Concilio di Roma è il Solferino del potere spirituale.

Parigi, agosto 1869.

FINE.

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PREZZO DEL PRESENTE VOLUME
Una lira.


D'IMMINENTE PUBBLICAZIONE


PER IL XX. CONCILIO ECUMENICO
MDCCCLXIX


APPELLO AI PARROCHI, CANONICI, PROFESSORI
E MODERATORI DEI SEMINARI, E SACERDOTI ITALIANI


LIRE 1. 50.


LE MEMORIE DI GIUDA

DI

F. PETRUCELLI DELLA GATTINA


LIRE 5.


Dirigere commissioni e vaglia all'editore E. Treves, in Milano.

[111]

NOTE:

[1] Novaziano era un prete della Chiesa di Roma, istrutto ed eloquente, di carattere duro e di costumi severi, che ricusava di riammettere nella Chiesa que'cristiani che, durante la persecuzione di Decio, avevano abiurato. Egli si oppose alla elezione del papa Cornelio, e fu il primo antipapa. Cornelio radunò un Concilio (254), in cui Novaziano e i suoi partigiani furono scomunicati. Un altro prete di Cartagine, per nome Novato, contribuì alla propagazione della dottrina. Vedi: Milner, Hist. of the Church; Buston, Lect. on the Ecc. Hist.; Mosheim, Comment. de Reb. Christ.; Walch, Hist. der Ketzer; Eusebius, Hist. Eccl.; Kenckel, De Haeresi Novatiana.
Manete era un dotto persiano, pittore e filosofo, che mirò a conciliare le dottrine de'Magi con quelle di Cristo. Egli diceva che Cristo non aveva compiuto la redenzione, e che lui, Manete, era il Paracleto promesso dal Salvatore a'suoi discepoli. Oltre gli storici suindicati, vedi: Neander, Kirkenges; Von Reichlinn Meldegg, Die Theologie des Manes; D'Herbelot, Biblioth, Orient., art. Mani; Wolf, Manich. ante Manicheos; Beausobre; Hyde, De Relig. veter. Persarum.
Due Donati, uno numida e vescovo di Casa Negra, l'altro vescovo di Cartagine. I donatisti non erano eretici dal punto di vista del dogma, fuorchè un ramo della loro sètta detto dei Circumcellioni. Il loro errore era di credere che la Chiesa d'Africa era decaduta dal grado e dalla condizione di vera Chiesa, e ch'essa non possedeva più i doni dello Spirito Santo, per aver eletto il vescovo Ceciliano senza il concorso dei vescovi della Numidia. Essi, per conseguenza, credevano che gli ordini, le dottrine, le cerimonie fuori della loro Chiesa non erano nel vero e non avevano efficacia. Vedi: Valesio, De Schis. Donat.; Ittig, Hist. Donat.; Noris., Hist. Donat.; Leng, Hist. of Donat.; Walch, Hist. der Ketzer.
Montano era un visionario frigio, che si dava come un Messia di Cristo e degli Apostoli, i quali non avevano spiegato abbastanza chiaramente certi punti della dottrina, a cagione della debolezza de'popoli del loro tempo. Egli distingueva il Paracleto dallo Spirito Santo, condannava come illecito il matrimonio de'vedovi e delle vedove, proscriveva tutti gli ornamenti del lusso muliebre, voleva che l'istruzione e la filosofia fossero bandite dalla Chiesa, e che le vergini dovessero portare un velo.... Vedi: Burton, Lect. on the Eccl. Hist. of First Three Cent.; Wornsdorf, Comment. de Montan.; Matter, Hist. Crit. du Gnost.; Gieseler, Lehrbuch; Milman, Hist. of Christ.; Ritter, Geschichte der Christ. Philos.; Döllinger, Lehrbuch der Kirchengesch., tradotto in inglese da Cox.
Marcione era stato preceduto da Cerdone, un Siro. Egli ammetteva che vi fossero due cause prime d'ogni cosa: una assolutamente buona, l'altra assolutamente cattiva. In mezzo a queste due divinità sta l'architetto del mondo, detto Dio, il quale non è nè assolutamente buono, nè assolutamente cattivo, ma di natura mista, ossia giusta. Questo Dio e il male sono in perpetua guerra, a cagione della loro supremazia nel mondo.... Il Cristo non aveva che un'apparenza di corpo, Marcione condannava il matrimonio, il vino, la carne e tutto ciò che piace al corpo. Vedi: Tertulliano, e le note del suo traduttore in inglese; Books against the Marcionites; Massuet, Hist. du Manichéisme; e gli autori citati qui sopra.
Valentino era romano, della famiglia dei gnostici, e prese il titolo di gnostico. Egli propagò un romanzo sull'origine del mondo. Nel Pleroma, residenza di Dio, vivono trenta Eoni, quindici maschi e quindici femmine, ed altri quattro Eoni, che non sono maritati: Horus—il portinajo del Pleroma—Cristo, lo Spirito Santo e Gesù. Sofia, la più giovane delle Eoni, è una fanciulla; Hachameth—la filosofia,—che fu espulsa dalla residenza divina, divenne materia, e, coll'aiuto di Gesù, ebbe un figlio, Demiurgo, l'artefice e signore del mondo. All'uomo manipolato da Demiurgo, la madre Hachameth aggiunse una terza sostanza, tutta spirituale. Demiurgo si considerò come un vero dio. Allora, per reprimere la sua insolenza, Dio mandò Cristo, che passò attraverso il corpo di Maria, «come l'acqua attraverso un canale»; e Gesù, uno de'più alti Eoni, s'accoppiò con lei quando fu battezzato da Giovanni nel Giordano.... La filosofia dei gnostici si riduce a questo: che il mondo è un composto di bene e di male; che il bene deriva da Dio padre, dalla luce, e ritorna a lui; il male sarà distrutto col mondo. Valentino procreò parecchie sètte: i Tolomeiti, i Secundiani, gli Eraclioniti, i Marcositi, gli Adamiti, i Cainiti, gli Abeliti, i Serpentiani od Ofiti, ecc., tutti gnostici. Vedi: Ritter, ubi supra; Faydit, Eclairciss. sur l'Hist. Eccles. des deux premiers siècles; Buddens, Diss. de Haeresi Valentiniana; Bayle, Diz. art. Adamiti, Prodicus, Cainites, ecc.; e le opere suindicate.
[2] Queste cappelle, più tardi, si chiamarono Tituli. Le belle chiese erano soltanto i tempii antichi adattati al culto cristiano. Dopo la conversione di Costantino, questa trasformazione de'tempii e la costruzione delle basiliche si compirono con ardore, e ben presto ve n'ebbe a profusione. Vedi: Codex Théodos. lib. IX; Jerome, Chronicon ad an. 332; Du Cange, Gloss., voce Titulus; De Croy, Les trois conformités.
[3] Noeto aveva insegnato che Dio Padre aveva preso personalmente la natura umana di Cristo.
Sabellio diceva che soltanto una certa energia, emanante dal Padre supremo, od una certa porzione della natura divina, staccandosi da lui, s'era unita al Figlio, ossia l'uomo Cristo. Lo Spirito Santo era una parte consimile del Padre Eterno. Insomma, una persona sola sotto tre forme, e malgrado ciò, una separazione tra queste forme.
Berillo opinava che Cristo non esistesse prima della sua nascita da Maria, e che alla sua nascita, una particella di Dio stesso penetrò in lui in forma d'anima.
Paolo di Samosata ammetteva che il Figlio e lo Spirito Santo esistevano in Dio, come la ragione e la volontà esistono nell'uomo; che il Cristo nacque semplice uomo, ma che la sapienza—logos—- del Padre discese in lui, e lo pose in grado d'insegnare, non meno che di far miracoli; e che a cagione del logos, la parola del Padre, il Cristo poteva passare per Dio.
Apollinare diceva che il Cristo non aveva bisogno d'anima, avendo già la sua natura divina. Un'anima razionale implicava una dualità nella natura del Cristo.
Marcello considerava il Figlio e lo Spirito Santo come due emanazioni del Padre, le quali, essendo ritornate in lui dopo il compimento delle rispettive funzioni, non possono più stabilire una differenza tra le tre persone.
Fotino supponeva che Gesù fosse nato dalla Vergine e che una certa emanazione divina, detta la Parola, si fosse unita a lui, e fu perciò chiamato Figlio di Dio. Lo Spirito Santo era una virtù od una energia, procedente da Dio, e non una persona.
Macedonio intendeva lo Spirito Santo come una energia divina diffusa nell'universo, e non come una persona distinta dal Padre e dal Figlio. San Basilio, del resto, ricusava allo Spirito Santo il nome di Dio.
Vedi le opere già citate: Wormio, Hist. Sabelliana; Leclerc, Ars critica; Chauffepié, Nouv. Dictionn. hist. crit.; Voigt, Biblioth. Hæresiologica; Bayle, Art. Apollinaris; Vogel, De Marcello Ancyræ episcopo; De la Roque, De Photino, ecc.; Ittig., Hist. Photini.
[4] I primi tredici papi, che non credettero nella divinità di Cristo. Poi Zefirino, Cornelio, Marcellino, Marcello, Silvestro I, Melchiade, Liberio, Damaso, Eleuterio, Innocenzo I, Bonifazio II, Vigilio, Zozimo, Felice III, Onorio I, Ormisida, Giovanni II, Anastasio, Gregorio il Grande, a proposito del culto delle immagini; Adriano I, Leone III, Giovanni VIII, Silvestro II, e lo stesso Gregorio VII, il quale pendeva verso la dottrina di Béranger, il luterano precoce. Vedi: Petruccelli della Gattina, Hist. diplomatique des conclaves, t. I, p. 198.
[5] Priscilliano era press' a poco un manicheo. Egli negava la realtà dell'incarnazione e nascita del Cristo; sosteneva che il mondo non era la creazione d'un Dio, ma l'opera d'un demonio o spirito maligno; predicava l'esistenza degli Eoni, ossia emanazioni di Dio; dichiarava che il corpo umano è una prigione fabbricata dall'autore del male per gli spiriti celesti; condannava il matrimonio; negava la risurrezione de' corpi. Mosheim pretende che i Priscilliani furono calunniati, in quanto alle loro orgie licenziose ed altre accuse mosse contro di loro. Vedi: Simon de Vries, Diss. crit. in Priscillian; Girvesius, Hist. Priscill. chronolog.; Lardner, Credibility, ecc.; Lübkert, De Haeresi Priscill.; e le opere già citate, in particolare Matter, Walch, Beausobre.
[6] Aezio, orefice, medico e vescovo, pretendeva che il Cristo era una semplice creatura. Il suo segretario Eunomio aggiungeva che Gesù era un essere creato, e di una natura diversa da quella di Dio. (Vedi gli autori sunnominati).
[7] Ecco nondimeno alcune curiose disposizioni dei Concilii, che non possiamo passare sotto silenzio. Il Concilio d'Elna proibisce di dipingere sui muri delle chiese le immagini che si adorano. Quello di Sardica proibisce ai vescovi di andare alla Corte e di rimanere più di tre settimane assenti dalle loro diocesi. Quello di Toledo (400) proibisce alle religiose d'avere famigliarità co'loro confessori. Il Concilio di Besanzone depone il vescovo Celidonio, che aveva sposato una vedova (444). Il Concilio d'Arles (452) scomunica gli attori. Quello d'Angers scomunica i chierici, che abbandonano la chiesa per farsi soldati. Quello d'Agde (506) fissa a quarant'anni l'età di una donna per prendere il velo religioso; a venticinque per farsi ordinare diacono, a trenta per divenir prete. Il Concilio d'Albone (517) vieta alle persone clericali di visitare donne dopo il mezzodì, ai vescovi di aver cani da caccia e falconi, agli abati di liberare i servi, «non essendo conveniente che i laici riposino, mentre i monaci lavorano». Quello d'Orléans (533) proibì di ordinare prete un diacono che non sapesse leggere; e quello di Orléans (538), d'ammettere agli onori ecclesiastici un servo o un colono. Quello di Tours (567) ordinò ai vescovi maritati di riguardare la vescova (episcopa) come sorella. A Mâcon si discusse se conveniva comprendere la donna sotto il nome homo; e si condannò i vescovi che facessero guardare dai cani le loro case (585). Il Concilio d'Auxerre proibì di mascherarsi da cervo o da vacca nelle calende di gennaio. Il papa Teodoro, nel Concilio di Roma (648), firmò la condanna di Pirro, vescovo di Costantinopoli, col sangue di Cristo mescolato con inchiostro. Il Concilio di Toledo (680) dichiara decaduti dal trono i re condannati dalla Chiesa; e quello di Saragozza (691) condanna al chiostro, pel resto della loro vita, le regine rimaste vedove. Il Concilio di Verberia (753) permette ad un marito, che uccise un assassino mandatogli da sua moglie, di allontanarla da casa e di rimaritarsi. Se un marito è costretto a partire per un lungo viaggio, e se la moglie non vuol seguirlo, essa può rimaritarsi, e così il marito. Un marito oltraggiato può prendere un'altra moglie. Il Concilio di Parigi (829) notifica ai re, ch'essi non hanno ricevuto il trono dai loro antenati, ma da Dio. Il Concilio di Nantes (898) vieta alle vedove ed alle religiose di frequentare le pubbliche assemblee, dove le donne parlavano molto, senza il consenso del vescovo. Quello di Selingstadt ordina a' preti di non dire più di tre messe al giorno. Ad Avignone si proscrive il canto di poesie amorose ed il ballo nelle chiese, alla vigilia dei Santi. Quello di Laterano ordina ai medici di non dare alcuna medicina agli ammalati, prima d'aver chiamato il confessore. Quello di Tolosa proibisce alle persone sospette d'eresia di esercitare la medicina. I sinodi francesi di Tolosa, Arles, Narbona, Béziers, Lione e Pamiers si scagliano con furore contro gli eretici. Quello di Nantes ordina di non servire ai vescovi più di due piatti nelle loro visite diocesane. Quello di Vienna, presieduto da Clemente V, vieta agli ecclesiastici di esercitare il mestiere di beccaio, albergatore, commerciante di oggetti contrarii alla decenza, e di vestire abiti di colore o di seta. Nondimeno questo papa conduceva seco pubblicamente la sua concubina, la contessa di Périgord. Il Concilio di Toledo ordina agli ecclesiastici di radersi almeno una volta al mese; e quello d'Avignone (1326) condanna coloro che scomunicavano i vescovi, che li avevano scomunicati. Il Concilio di Nantes (1431) proscrive il costume di sorprendere gli ecclesiastici nel loro letto, probabilmente con una donna, di condurli nudi per la città, di porli sull'altare e di aspergerli d'acqua benedetta.
[8] Voltaire dice: «Se si crede alle parole di Arnoud, vescovo d'Orléans, Leone non era nè ecclesiastico nè cristiano». Egli fuggì in Germania, ritornò con Ottone, e fece degradare ed esiliare Benedetto V. Egli è Leone VII per coloro che non ammettono come canonico Leone V, che fu una donna e morì di parto al Laterano. Peperit papissa papillam!
[9] Parlo delle Rosmunde, delle Teodolinde, della stessa contessa Matilde, e specialmente di Ermenganda, di Teodora e di Marozia. Teodora amava l'arcivescovo di Ravenna; ma siccome, per la distanza da Roma, essa non poteva giacere col suo amante—rarissimo concubitu potiretur (dice Liutprando)—essa lo fece nominare papa, e si chiamò Giovanni X. Egli fa un papa guerriero come Giulio II. Marozia, figlia di Teodora, che lo odiava, lo fece gettare in un carcere; e dopo avergli fatto soffrire la tortura e la fame, lo fece soffocare come Desdemona: cervical super os ejus posuerunt. Marozia fece altresì morire in un carcere papa Leone VII ch'essa aveva fatto eleggere per attendere che il proprio figlio, avuto dal papa Sergio III, avesse raggiunto i ventidue anni. Ella fece, infatti, nominar papa questo giovane, che fu Giovanni XI, e che morì alla sua volta avvelenato (Vedi: Hist. diplom. des conclaves, t. 1).
[10] Questo Gregorio V, un lanzichenecco tedesco, non si contentò della scomunica: sorprese il suo rivale a Roma, lo fece spogliar nudo, porre sopra un asino, trascinare in berlina e orribilmente mutilare.
[11] Clemente II fu avvelenato da Benedetto IX. Questo papa, minacciato d'essere rovesciato dal trono per le sue scelleraggini, lo aveva venduto a Gregorio VI. Costretto a combattere i suoi due rivali, Benedetto IX e Silvestro II, Gregorio VI aveva ottenuto che i Romani gli dessero un coadiutore per lo spirituale; in modo che i tre papi si divisero la città di Roma. Fu allora che Enrico III fece eleggere Clemente II dai Concilio di Sutri; ma essendo Clemente perito, l'imperatore nominò Damaso II. Benedetto IX lo avvelenò, e poi abdicò.
[12] I parenti di Giovanni XX gli avevano comperato il trono, in età di 10 anni, da Benedetto VIII, espulso; e divenne papa in età di dodici o quindici anni. Ma i Romani lo scacciarono. Giovanni ritornò co'Tedeschi; e fu cacciato di nuovo. Ritornò in fine con de'parenti e partigiani, e costrinse Silvestro III, che aveva comperato la tiara, a prender la fuga.
[13] Questo Stefano IX fu il primo ch'ebbe il sentimento dell'unità dell'Italia, e volle creare suo fratello re di tutta Italia. Alessandro VI ebbe anch'egli questo sentimento per Cesare Borgia. Ma Stefano IX fu così maltrattato e malmenato in una sommossa, che non potè più mostrarsi in pubblico. E fu in seguito avvelenato in un calice consacrato.
[14] Il vescovo d'Alba chiama Alessandro II Asinandrellus. Ildebrando, figlio del falegname di Soano, che fu poi Gregorio VII, aveva fatto nominare questo papa senza la sanzione imperiale, istituita dai Concilii. Alessandro voleva abdicare; ma Ildebrando s'impadronì con violenza della sua persona, soppresse le rendite della Chiesa, e non gli lasciò pel suo mantenimento che cinque soldi di Lucca al giorno. (Vedi card. Beno; Hist diplom. des conclaves).
[15] Calisto non si limitò alla scomunica del suo rivale Gregorio VIII, ma l'assediò nella fortezza di Sutri, lo fece prigioniero, lo colmò di mali trattamenti, e lo condusse a Roma, coperto di pelli di bestie ancor sanguinose, seduto a rovescio sur un cammello, con la coda in mano in luogo di briglia, facendosi da lui precedere come un ornamento trionfale. Dopo di che, fu rinchiuso in una gabbia di ferro nel cortile d'una fortezza, e un po'più tardi avvelenato. (Vedi Pandulph. Pisan, Vit. Calix. II; Falco Benev.; Suger abb.)
[16] Bonifazio si credeva infallibile, ma non credeva alla infallibilità de' suoi predecessori. Egli fece bruciare tutti gli atti di Celestino V, e tolse il cappello ai cardinali Colonna, suoi nemici. Nel giorno della ceneri, allorchè Porchetto Spinola, arcivescovo di Genova, si pose a' suoi piedi per ricevere la croce, Bonifazio gli disse: «Ricordati che tu sei ghibellino, e che morrai coi ghibellini». E gli gettò la cenere negli occhi. Egli aveva avuto figli dalle sue due nipoti e dalla moglie di suo nipote, che avea creato cardinale mentre essa viveva. Ricusò la corona ad Alberto d'Austria, ricevendone gli ambasciatori seduto in trono, con la corona sul capo e colla spada nel pugno, esclamando. «Io sono Cesare, io sono l'imperatore!» E noto che Sciarra Colonna le schiaffeggiò con la mano guantata di ferro, che Napoleone Orsini lo rinchiuse, e che egli si condannò dapprima a morire di fama, poi si spezzò il cranio contro il muro. Dante lo collocò nell'Inferno, al pari di Nicolò III e Clemente V. Benedetto XI cassò, alla sua volta, tutti gli atti di Bonifazio.
[17] Il papato, da Simone Bar Jonas, detto S. Pietro, sino a Pio IX, ebbe duecento novantatrè capi, o papi. Trentuno di essi furono designati come usurpatori—antipapi—, nel modo stesso che i Borboni consideravano usurpatore Napoleone I, e Pio IX considera usurpatore Vittorio Emanuele. Sui duecento sessantadue papi detti legittimi, se ne contano ventinove morti violentemente, ed aventi pieno diritto al titolo di martiri, come lo avrebbe avuto Mazzini, se fosse stato preso ed appiccato dal re Carlo Alberto dopo la sua spedizione di Savoia, e Garibaldi dopo il suo sbarco a Marsala. Poi altri trentacinque papi, morti anch'essi di morte violenta, e che sono i seguenti: dieciotto avvelenati, Giovanni XI, Clemente II, Damaso II, Stefano IX, Giovanni XIII, Pasquale II (quello stesso che dissotterò ed insultò i cadaveri di Enrico IV di Germania e di Clemente II), Gelasio II, Benedetto IX, Alessandro V, Pio III, Alessandro VI, Adriano VI, Marcello II, Urbano VII, Clemente VIII e Clemente XIV, Leone XI e Leone XII, secondo Bianchi-Giovini; e finalmente Leone X, di cui è ignoto se morì di veleno o di malattia venerea. Quattro papi furono assassinati: Giovanni VIII, Leone VI, Leone VII e Giovanni XII. Poi tredici altri morirono di morti diverse: Stefano VI strangolato, Leone III e Giovanni XIII mutilati, Giovanni X soffocato, Benedetto VI ucciso con un laccio al collo, Giovanni XIV morto di fame, come Gregorio XVI, secondo Gualterio; Lucio II fu ucciso a colpi di pietre, Gregorio VIII rinchiuso in una gabbia di ferro, Celestino V mediante un chiodo infisso nelle tempie, Bonifazio VIII suicida, Clemente V arso sul suo letto d'agonia, Urbano VI precipitato da cavallo e ucciso per la caduta, Paolo II schiacciato sotto il peso della tiara, Pio IV morto di eccesso libidinoso in braccio ad una donna. Sessantaquattro papi, adunque, su duecento sessantadue, perirono in modo straordinario, senza contare una ventina d'altri morti improvvisamente di crepacuore, in seguito di rovesci toccati, in particolare Gregorio IX, Innocenzo IV, Paolo III e Paolo IV, e Gregorio XIII. Ventisei papi furono deposti, espulsi o esiliati, senza contare i papi d'Avignone. Essi sono: Sergio III, Benedetto V, Leone VIII, Giovanni XIII, Benedetto VIII, Silvestro III, Gregorio V, VII, IX, XII, Alessandro III, Urbano V e VI, Pasquale II, Gelasio II, Innocenzo II e IV, Eugenio III e IV, Adriano IV, Lucio III, Martino IV, Pio VI, VII e IX, Giovanni XXIII, a cui Martino V diede la caccia, come fosse una bestia feroce. Trentacinque papi furono eretici: li abbiamo già nominati più sopra. Parecchi papi furono accusati di assassinio. Leone V fu una donna.
Ventotto papi chiamarono lo straniero in Italia, per farsi sostenere sul loro seggio: Stefano II chiamò i Franchi e Pipino; Adriano I, Carlomagno; Giovanni VIII, i Franchi e Carlo lo Scilignato; Formoso, Arnolfo imperatore di Germania; Giovanni XII, Ottone I; Giovanni XV e Gregorio V chiamarono Ottone III; Leone IX chiamò Enrico III di Germania; Gregorio VII, Enrico IV e Roberto Guiscardo; Nicolò II vi attirò Lottario II; Eugenio III, Federico Barbarossa; Urbano IV e Clemente IV vi attirarono Carlo d'Angiò; Bonifacio VIII, Carlo di Valois; Giovanni XXII, gli Austriaci di Federico il Bello; Innocenzo VI, Carlo IV di Germania; Urbano VI, Luigi d'Ungheria; Giovanni XXIII, Sigismondo; Sisto IV, i Turchi per la distruzione di Venezia; Innocenzo VIII, Carlo VIII di Francia; Alessandro VI, i Francesi di Luigi XII e gli Spagnuoli di Ferdinando il Cattolico; Giulio II, i Francesi, Massimiliano d'Austria, gli Spagnuoli, gli Inglesi; Leone X, Carlo V, Enrico VIII d'Inghilterra, Ferdinando d'Austria; Clemente VII, Carlo V; Paolo IV, Enrico II e Solimano; Gregorio XVI, due volte il principe di Metternich; Pio IX, gli Austriaci, gli Spagnuoli, due volte i Francesi, i Napoletani di Ferdinando II, le bande nere di Lamoricière, i briganti di Francesco II, e i volontarii del mondo cattolico ed anche eretico, che formano oggidì il suo esercito.
Nicolò III aprì la serie dei papi nepotisti.
Insomma, novanta papi morti violentemente, espulsi, deposti, esiliati; trentacinque che avrebbero meritato la stessa sorte, siccome infedeli all'istituzione pontificia; ventotto che avrebbero subito lo stesso castigo, se lo straniero non fosse intervenuto per salvarli. In complesso: centocinquantatrè papi, sopra duecento sessantadue, che furono indegni. Qual dinastia, quale istituzione nel mondo ebbe una simile storia! E nondimeno, ecco il principe che dal Concilio sarà dichiarato infallibile e superiore ad esso; ecco l'istituzione che sarà elevata al grado di dogma! (Vedi Hist. diplom. des conclaves, t. IV, p. 512.)
[18] Carlo V rimproverava a Francesco I di aver chiamato i Turchi in suo aiuto. Ma il re rispose: «Poichè i lupi erano venuti in casa mia, mi era permesso di chiamare i cani per discacciarneli».
[19] Ecco il passo singolare di questo vescovo di Tinia: Erant episcopi illi conducti plerique ut utres, rusticorum musicum instrumentum, quos ut vocem mittant, inflare necesse est. Nil habuit cum illo conventu S. Spiritus commercii; omnia erant humana consilia, quæ in immodica et sane quam pudenda pontificum tuenda dominatione consumebantur. Cursitabant Romam nocte dieque veredarii, omnia quæ dicta consultaque essent, quam celerrime ad papam deferebantur. Illinc responsa tanquam Delphis aut Dodona expectabantur; illinc nimirum Spiritus ille S. quem suis conciliis præesse jactant, tabellarii manticis inclusus mittebatur: qui quod admodum ridiculum est, cum aliquando, ut fit, aquas pluviis excrescebant, non ante advolare poterat quam inundationes desedissent. Ita fiebat ut Spiritus non super aquas, ut in Genesi, sed secus aquas ferretur. (Reuter, Orat. Dudithii in Conc. Trid. habitæ).
[20] Paolo Sarpi, traduzione di De la Mothe Josseval.
[21] Pei ritratti di questi papi, vedi l'Hist. diplom. des conclaves, e i documenti ivi citati.
[22] Il rev. dott. John Cumming, il famoso esegesista dei Profeti sul testo ebraico, annuncia alcuni degli articoli sui quali desiderava, a nome del partito protestante inglese, di avere delle spiegazioni—to have light—dal Concilio. Questi articoli sono:
1.º «Io devo ammettere fermamente ed abbracciare le tradizioni apostoliche ed ecclesiastiche». Sarebbe assurdo domandare ad un convertito di ammettere e di abbracciare cose che ignora. Io domando rispettosamente al Concilio di redigere e pubblicare codeste tradizioni, il che non è stato fatto ancora.
2.º «Io non prenderò e non interpreterò mai le Scritture se non in conformità al significato che la Chiesa attribuì ed attribuisce loro». La Chiesa non ha pubblicato quello che il presente articolo ci permetteva di attendere, cioè un significato infallibile di ciascun capitolo della Bibbia. Io prego il Concilio di farci noto tale significato. Finchè la Chiesa non l'avrà fatto, nessun lettore della Bibbia potrà interpretarne un solo versetto, senza «incorrere nella collera dei santi apostoli Pietro e Paolo».
3.º Qualunque convertito dichiara inoltre che «non interpreterà le Scritture se non secondo il consenso unanime de'Padri». Pochi cattolici romani sono in grado di dare una lista de'Padri, da Policarpo e Ignazio sino a S. Bernardo, che fu l'ultimo e che visse nel dodicesimo secolo. Ma siccome i Padri si contraddicono spesso e apertamente tra loro, e talvolta un Padre contraddice sè stesso, così i cattolici romani non possono attribuire alcun significato ai passi più importanti delle Scritture. Per esempio: il cardinale Bellarmino mostra che i Padri hanno un'opinione opposta sopra ciascuna clausola dell'orazione domenicale, e per conseguenza nessun cattolico romano intende nè può interpretare questa orazione. V'ha inoltre parecchie opere apocrife attribuite ai Padri. Il Breviario, p. es., contiene un discorso detto di S. Agostino, in cui la Vergine è chiamata «nostra sola speranza». L'editore benedettino dimostrò che ciò è apocrifo, e che fu scritto molto tempo dopo S. Agostino. Io vorrei domandare al Concilio di pubblicare una edizione autentica e fedele delle opere dei Padri.
4.º Nello stesso simbolo del Concilio di Trento, del 1563, qualunque convertito dichiara, come articolo di fede, che la Chiesa di Roma «è la madre e la direttrice di tutte le Chiese». Io sarei molto grato al Concilio, se volesse spiegare in qual modo ed in quale significato la Chiesa di Roma è la madre dalla Chiesa greca, e dove possiamo trovare il documento ed il fatto, mercè il quale la Chiesa di Roma è stata così divinamente costituita. Se v'ha siffatta tradizione, ci si dichiari, o ci si mostri ch'essa è apostolica.
5.º Qualunque convertito, recitando il simbolo di Trento, «promette e giura obbedienza a Pio IX, come il successore di S. Pietro». Io invito il Concilio ad informarci, noi eretici, dove e da chi i cristiani dell'epoca degli Apostoli furono istrutti di dover obbedire a S. Pietro, e dove e quando S. Pietro chiama sè stesso «Vicario di Cristo e capo della Chiesa universale». Io prego altresì il Concilio di pubblicare qualche documento provante che Pietro visse e morì in Roma; che il papa attuale è il suo successore diretto; che le prerogative di Pietro furono trasmesse al vescovo di Roma; e che, durante i primi cinque secoli, una sola volta questa Chiesa ricevette giurisdizione spirituale ed ecclesiastica su tutta la Chiesa. E ciò è tanto più necessario, che i papi, per più secoli, sostennero tale pretesa con decretali, che oggidì i cattolici romani istrutti dichiarano essi medesimi false.
6.º Il Concilio di Trento ha decretato infallibilmente che i libri apocrifi di Tobia, di Giuditta, di Baruch e de'Maccabei sono sacri e canonici. Ora, siccome il Concilio interpreta secondo il consenso unanime de'Padri, io prego il Concilio medesimo di spiegare alla cristianità perchè Melitone, a. D. 177, non ammise alcuno di questi libri; perchè Origene, a. D. 200, li respinse tutti; perchè Atanasio li respinse anch'egli tutti, meno quello di Baruch; perchè Epifanio, a. D. 368, li respinse tutti egualmente; perchè Gregorio Nazianzeno, a. D. 370, non ne ammise alcuno, come S. Girolamo; e finalmente perchè il papa Gregorio il Grande, essendo infallibile, respinse i Maccabei, mentre Pio IX, non meno infallibile, li accetta tutti come inspirati e canonici?
7.º Io vorrei domandare inoltre al Concilio, se il Salterio di S. Bonaventura è stato respinto e messo all'Indice. Questo cardinale canonizzato, che ha l'onore di una preghiera speciale nel Messale, cancella il nome di Signore o Dio in tutti i salmi di David, e vi sostituisce il nome di Maria o la Vergine o Nostra Signora.
8.º Il Concilio di Nicea pubblicò un simbolo, un po' alterato dal Concilio di Costantinopoli. Ora il Concilio d'Efeso, posteriore ai due, decretò il canone seguente: «Se qualcuno osa comporre un simbolo diverso da questo, e presentarlo a coloro che vogliono convertirsi alla verità, questa persona, se è un vescovo, sarà spogliato dalle funzioni episcopali; se appartiene al clero, dalle sue funzioni clericali». Ora ciascun cattolico romano, vescovo o prete, ciascun convertito del protestantismo, s'obbliga a riconoscere ed a ripetere il Credo di Pio IV, fabbricato nel 1563, e la metà del quale consiste in articoli nuovi, che non si trovano punto nel simbolo di Nicea....
[23] Allorchè Pio IX andò a Firenze nel 1855, egli fece il suo ingresso solenne sopra una magnifica chinea bianca, preceduto dalla croce ed avendo alla destra il paterno granduca Leopoldo II. I Fiorentini, naturalmente beffardi, esclamarono al suo passaggio: «Oh come l'è grasso!»; e il papa, che li ascoltava, borbottava a bassa voce al granduca: «Sono ben poco rispettosi!...» Si fecero allora molti epigrammi; ma io non ricordo che il seguente d'Emiliani Giudici:

«O esempio di virtù sublime e raro!
Entrò Cristo in Sion sopra un somaro;
Entrò in Firenze il suo vicario santo,
Col ciuco anch'egli, ma l'aveva a canto!»

[24] «Tutto ciò che si muove è mosso da un altro.»
[25] Il Dizionario di teologia, di Gaetano Moroni.
[26] Le nostre conclusioni sono affatto contrarie a ciò che domanda mons. Maret, il quale vorrebbe fare del papa un «porco all'ingrasso» costituzionale, come diceva Napoleone, e dell'episcopato un corpo costituente in permanenza. Mons. Maret s'attiene al Concilio di Basilea. È un progresso, senza dubbio; ma un progresso sul passato, non verso l'avvenire. Affrettate il passo, o monsignore: i morti vanno veloci!

NOTE DEL TRASCRITTORE:


—Corretti gli ovvii errori tipografici e di punteggiatura.

—L'indice non è compreso nell'opera originale. Ne è stato prodotto ed aggiunto uno dal trascrittore.

—La copertina è stata creata dal trascrittore e posta in pubblico dominio.






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Ferdinando Petruccelli della Gattina

*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK IL CONCILIO ***

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Section  2.  Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
electronic works in formats readable by the widest variety of computers
including obsolete, old, middle-aged and new computers.  It exists
because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from
people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the
assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg-tm's
goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
remain freely available for generations to come.  In 2001, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations.
To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4
and the Foundation information page at www.gutenberg.org


Section 3.  Information about the Project Gutenberg Literary Archive
Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
Revenue Service.  The Foundation's EIN or federal tax identification
number is 64-6221541.  Contributions to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent
permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S.
Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered
throughout numerous locations.  Its business office is located at 809
North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887.  Email
contact links and up to date contact information can be found at the
Foundation's web site and official page at www.gutenberg.org/contact

For additional contact information:
     Dr. Gregory B. Newby
     Chief Executive and Director
     [email protected]

Section 4.  Information about Donations to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

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