The Project Gutenberg EBook of Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol., by Giuseppe Bertini This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org Title: Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 3 (of 4) Di tutte le nazioni sì antiche che moderne Author: Giuseppe Bertini Release Date: September 21, 2012 [EBook #40819] Language: Italian Character set encoding: UTF-8 *** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK DIZIONARIO STORICO-CRITICO, VOL 3 *** Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive)
DIZIONARIO
DEGLI SCRITTORI DI MUSICA
L. — R.
DI TUTTE LE NAZIONI
SÌ ANTICHE CHE MODERNE
DELL'AB. GIUSEPPE BERTINI
MAESTRO DELLA REGIA IMPERIAL CAPPELLA PALATINA
In medio omnibus
Palmam esse positam qui artem tractant musicam.
Ter. Prol. in Phor.
TOMO TERZO
PALERMO
DALLA TIPOGRAFIA REALE DI GUERRA.
1815.
LA - LE - LI - LO - LU - MA - ME - MI - MO - MU - NA - NE - NI - NO - NU - OD - OE - OG - OL - ON - OR - OT - OU - OV - PA - PE - PF - PI - PL - PO - PR - PS - PU - QU - RA - RE - RH - RI - RO - RU
Errata corrige
Laag (Enrico), viveva ancora nel 1783, benchè in un'età molto avanzata a Osnabruck, come maestro di cappella della chiesa di S. Maria. Egli scrisse e pubblicò in sua lingua, Elementi di cembalo e del basso continuo, Osnabruck in 4º, 1774 e Cinquanta canzonette con melodie per il forte-piano, Cassel 1777. I cembali da lui costruiti sono ancora in gran pregio.
Lacassagne (l'abate de), nel 1766 pubblicò in Parigi: Traité général des elemens du chant, dedié a Monseign. le Dauphin in 8vo. L'autore si è prefisso in quest'opera di esporre semplicemente e facilmente il metodo usitato d'imparare la musica, ponendo ad ogni precetto un esempio, per far vedere, che tutte le diverse misure si possono con facilità ridurre a due, e le chiavi ad una sola. Egli sviluppa meglio questa materia in un altro libro, cui diè per titolo: L'unicleffier musical, pour servir de supplement au Traité général, etc. La R. Accademia delle Scienze sulle relazioni de' Sig. d'Alembert, e de' Fouchy giudicò, che questo Trattato è chiaro, metodico e atto a conseguire l'intento dell'autore. V. l'artic. Boyer.
Lacépède (il conte Stefano de), membro dell'Instituto nazionale delle Scienze ed Arti, nacque a Angen l'anno 1756. Egli pubblicò in Parigi nel 1778, alcune sinfonie a piena orchestra, ed altre concertanti. Nel 1785 diè al pubblico la sua Poétique de la musique, in 8vo. L'autore applica i suoi precetti alle sue opere musicali non ancora impresse; avrebbe certamente fatto meglio se preso avesse i suoi esempj nelle produzioni ben note di qualche illustre compositore, come Gluck, Piccini ec., ciò sarebbe stato realmente più utile a' giovani studiosi. Quest'opera è scritta tutta via con molto fuoco e sensibilità. Il dotto Carpani la loda moltissimo, e con ragione (v. lettre 4, e 10). Nel primo libro ricerca [2] l'autore da profondo filosofo l'origine della musica: egli dice che noi dobbiamo quest'arte al dolore ed alla triste malinconia; che nata in mezzo a' pianti conserva tuttora l'impronta della sua origine, e che ella non dipinge con successo se non i dolorosi eventi, le penose vicende, i disagiosi sentimenti o le affezioni profonde. Nel secondo con maestrevol mano disegna la carriera che percorrer dee l'Artista sotto 'l rapporto dello spirito di cui bisogna investirsi. È gran pena che quest'opera non sia conosciuta abbastanza.
Lachnith (Luigi-Venceslao), nato in Praga nel 1756 venne in Parigi nel 1773, a perfezionare i suoi talenti nella musica, ed ebbe quivi per maestro nella composizione il cel. Philidor. Egli ha scritto più drammi in musica, molte sinfonie e quartetti per violino molto stimati in Francia. Ha formato un gran numero di allievi, e compose con M. Adam Une Méthode de doigté pour le forte-piano, che è stato adottato dal conservatorio.
Lacombe (Giacomo), avvocato in Parigi può con ragione esser annoverato tra i migliori autori, che hanno scritto sulla letteratura e le arti. Egli pubblicò quivi le Spectacle des beaux-arts, in 12º, ove si trovano delle giudiziose osservazioni sulla musica, e le Dictionnaire portatif des beaux-arts in 12º, in cui dà notizie di molti musici. Lacombe era cognato del cel. M. Gretry, ed è morto sul principio del presente secolo.
Laffilard (Michele) è autore di un'opera intitolata: Principes très faciles, qui conduisent jusqu'au point de chanter toute sorte de musique à livre ouvert, dediés aux Dames religieuses, Paris 1710. Vi si trova la prima idea d'un cronometro, o pendolo destinato a misurar esattamente i movimenti nella musica: egli avea posto alla testa di alcune arie altrettante cifre ch'esprimevano il numero delle vibrazioni del suddetto pendolo durante ciascuna [3] misura: (V. Diderot, Observat. sur le Chronometre). Progetto inutile, che non ha avuto giammai luogo nella pratica.
Lago (Gio. del) veneziano, autore di una Breve introduzione di musica misurata, Venezia 1540. (Martini, Stor., tom. 1)
Lagrange (Giov. Luigi de), nato a Torino nel 1736, vien riguardato come il più gran geometra che dopo il Newton sia stato in Europa. “Ancor giovinetto, dice l'ab. Andres, entrò coraggiosamente nel campo dell'Acustica dopo il Newton, il Taylor, i due Bernoulli, il d'Alembert e l'Eulero, e toccò a lui il raccorne gli allori. Egli esamina la dottrina del Newton su la propagazione del suono, espone l'analisi pura ed esatta del problema secondo i primi principj della meccanica, e fa conoscer l'insufficienza e la falsità del metodo newtoniano, e propone un'altra via per la soluzione fondata su principj sicuri ed incontrastabili. Discute le teorie del Taylor, dell'Alembert, dell'Eulero, e le riforme, e le obiezioni di Daniele Bernoulli; e pesate le ragioni degli uni e degli altri, conchiude, che i loro calcoli non bastano a decidere tali questioni, e propone una soluzione, che sembra avere tutto il merito della sodezza e della generalità. Passa poi a sviluppare la teoria generale de' suoni armonici, degli stromenti da corda e da fiato, e per una formola semplice determina il suono fisso ed i suoni armonici, che propose il Sauveur, con quell'esattezza e facilità, a cui quegli non potè giungere; e dà nuovi e sicuri lumi per la cognizione del suono, applicabili anche alla pratica della costruzione, e del maneggio degli stromenti, alla teoria dell'eco semplice e composto, e ad altri curiosi e difficili punti dell'acustica. Le formole sì semplici e generali, l'integrazione di tante equazioni, l'analisi sì fina, chiara ed esatta, la penetrazione del suo ingegno, la sodezza del suo [4] giudizio chiamarono l'attenzione di tutti i geometri: gli stessi atleti di quella nobile lizza, l'Eulero, il d'Alembert e il Bernoulli, i venerati oracoli di questa scienza ascoltarono con rispetto la voce del nascente geometra, nè sdegnarono di metterlo al loro lato nel seggio, ch'essi occupavano nel matematico impero. Tutti e tre scrissero tosto al giovine Lagrange, abbracciando molti punti della sua dottrina, domandando d'altri maggiori rischiaramenti, e venerandolo in tutti quasi come loro arbitro e giudice; e se l'Accademia di Berlino era stata poc'anni prima il campo di battaglia fra que' tre illustri campioni, l'Accademia di Torino divenne nel suo nascere il teatro d'onore, dove fecero luminosa comparsa l'Acustica e l'algebra, e dove concorsero, si può dire a corteggio del Lagrange, l'Eulero, e il d'Alembert, i sovrani e principi delle matematiche discipline. Qual gloria per un giovin geometra vedersi alla prima produzione portato sull'ali della fama per tutte le accademie e le scuole ricevere gli applausi de' più applauditi geometri, e gl'incensi e le adorazioni di tutti gli altri? Questa singolar gloria, che ottenne allora il Lagrange, l'ha sempre mantenuta, ed accresciuta costantemente perfino a' nostri dì, spargendo ognor nuovi lumi su la presente materia, che sì copiosamente avea illustrata.” (Andres Origine ec. tom. 4, c. 8). M. Montuela, il dotto autore della storia delle matematiche, ha dato una dettagliata analisi della bella Dissertazione del Lagrange sulla propagazione del suono, che comparve al pubblico nel 1º vol. delle Memorie di Torino, 1759. Noi rapporteremo solo l'estratto dell'ultimo capitolo, in cui Lagrange applica la sua analisi a diversi punti della teoria del suono: 1. Come l'aria trasmette senza confusione i differenti suoni; 2. Come due suoni ne producono un terzo, il che rende ragione dell'esperimento che [5] serve di base alla teoria del Tartini. Solamente Lagrange trova un suono all'ottava bassa di quello di Tartini. Il nostro geometra fissò quindi la sua dimora in Parigi, dove viveva ancora nel 1811, membro della classe delle scienze dell'Istituto nazionale, e senatore.
Lahoussaye (Pietro), uno de' migliori allievi del Tartini, nacque in Parigi nel 1735. Fornito di un'organizzazione adatta alla musica, all'età di 7 anni, da se solo senza maestro, sonava già assai soavemente di violino; ancor giovinetto ebbe la fortuna di sentire spesso i primi virtuosi su questo stromento, che abitualmente radunavansi presso il conte di Sennetterre; questi erano Pugnani, Giardini, Gaviniès, Pagin e Ferrari, e sonando ancor egli ne riscosse da' medesimi i più grandi elogj. La buona fortuna di cui godeva Lahoussaye non lo distolse dalla brama che aveva avuta sempre di vedere il gran Tartini. Egli attaccossi al principe di Monaco, e profittò d'un viaggio di questo principe in Italia per andar in Padova e render omaggio a quel sublime maestro. Sul punto ch'egli entrava in chiesa, cominciava Tartini il suo concerto, non può spiegarsi la sorpresa, l'ammirazione che gli produssero la purità, la giustezza, la qualità del suono, il sublime incanto dell'espressione, la magia dell'arco, tutte le perfezioni dell'arte di cui l'esecuzione del Tartini gli offrì per la prima volta il modello: non si sentiva più la forza di farglisi innanzi, vi si arrischiò non per tanto. Tartini lo ricevette con bontà, e riconoscendo in lui la sua maniera e la sua scuola, gli diè delle lezioni seguite. Lahoussaye, richiamato dal principe di Monaco, fu, con suo gran disgusto, obbligato a lasciar Padova. Le circostanze per alcun tempo lo stabilirono a Parma ove ebbe la fortuna di piacere all'infante D. Filippo e a tutta la corte. Quivi fu ch'egli apprese la composizione dal cel. Traetta, [6] e dove la sua musica de' balli ebbe gran successo, come in Venezia. Ricolmo delle beneficenze dell'infante lasciò Parma per far ritorno in Padova presso Tartini, da cui fu con tenerezza accolto, e proseguì a prender lezioni sino al 1769. Egli ha diretto le più famose orchestre d'Italia, d'Inghilterra, di Francia. Alla fama de' successi del suo scolare, Tartini diceva con soddisfazione: Io non ne son niente sorpreso, ho sempre detto che Pietro il mio scolare sarebbe un giorno il terror de' violini. Ecco come descrive elegantemente il Bettinelli il carattere di questo gran Genio nella musica: Il Sig. Lahoussaye, egli dice, senza quello stromento era uomo quieto, modesto, amico d'ozio e di pace. Ma preso il violino, eccolo un altro. Si risveglia, si scuote, e s'accende co' primi arpeggi, come un amico, ed un amante all'incontro, e al possesso del suo caro bene. Par che l'abbracci, e s'interni e si perda in quel suono, non bada ad altro con una forza, una rapidità, un'applicazion di trasporto, che par fuor di se, ed io presente son da lui trasportato, nè mi ricordo più il suonatore, non veggo più l'arco e lo stromento, non ho altro senso, fuorchè l'orecchio, e l'anima è tutta armonia. Le note a lui non servono, che di un disegno o modello, su cui dipinge, vola, inventa, crea, signoreggia a talento, ed io non sentj da un violino giammai tante cose, poemi, quadri, affetti, contrasti, e non mi stanca per quanto pur suoni. Mi dicono ch'ei non si stanca in casa suonando da se; e passa l'intere giornate con l'idolo suo. Ben riflettei, conversando con lui che diviene eloquente parlando dell'arte sua, ch'è superiore ai pregiudizj della musica italiana o francese, che senza parzialità le concilia, ed è tutto fuoco parlando dell'armonia generosa, profonda e passionata, odiator della fredda, affettata e corretta (Dell'entusiasmo delle belle arti, part. 2, t. [7] 4 delle op.). Lahoussaye viveva ancora l'anno 1810. “Padre ed avolo di una numerosa famiglia, consacra gli avanzi di un gran talento, di cui la tradizione di giorno in giorno va a perdersi, in una scelta compagnia di veri amici, che sa apprezzarlo, e si reca a maraviglia come non abbia ricevuto ancora dalla Francia una pensione a tanti titoli da lui meritata” (Fayolle nel suo artic.).
Lalande (Girol. de), celebre astronomo, morto in Parigi nel 1807. Madama la contessa de Salm ne ha pubblicato l'Elogio istorico, in 8.º 1810, nel quale alla pag. 16, ella dice, che M. Lalande nel 1751, pubblicò un'opera su la musica col titolo: Principes de la science de l'armonie et de l'art de la musique, che non è alla nostra cognizione. Nel suo Voyage en Italie in 8 vol. in 12º, Lalande ha inserite alcune osservazioni sulla musica di questo paese, ed alquanti aneddoti intorno a' suoi musici. Parlando di Napoli: La musica, egli dice, è in qualche modo il trionfo de' Napoletani: pare che il timpano dell'orecchio è in questo paese più delicato, più forte che nel resto dell'Europa. Tutta la nazione è cantante. Fin qui va bene. Ogni gesto, ogn'inflessione di voce degli abitanti, e anche la maniera della prosodia nelle sillabe conversando, respirano l'armonia e la musica. Il d. Burney, professore di musica inglese, che viaggiando pure per l'Italia venne in Napoli, tratta a ragione di enfatiche coteste espressioni del Lalande; Questa relazione, egli dice, è così lontana dall'esser esatta, che mette il suo lettore nell'alternativa di supporre l'una di queste due cose; o ch'egli non vi ha usata alcuna attenzione, o ch'egli non aveva orecchio in istato di ben giudicare. (Travels, ec. tom. 1).
Lalande (Mich. Riccardo de), cel. compositore francese su i principj dello scorso secolo, nato in Parigi, fu scelto da Luigi XV per [8] maestro di cembalo delle due principesse sue figlie, e ne ebbe il collare dell'ordine di s. Michele. Egli morì in età di 67 anni nel 1726, de' quali 45 avevane impiegati in servigio di Luigi XIV e del suo successore, avendo dato in questo spazio di tempo 60 mottetti a gran cori, oltre molta musica pel teatro. Ne' suoi salmi o mottetti, dice l'ab. Laugier, Lalande ci offre delle bellezze di composizione più meditate e di più studio (che quelle di Camprà). Non vi si trova il naturale grande, facile, grazioso, elegante, ma egli è riuscito eminentemente nel divoto: vi si trova il tenero, il grave, l'augusto, il maestoso, il terribile. Si rimarca in tutto una singolare espressione delle grandi idee della Religione: de' nobili e teneri sentimenti ch'ella ispira a coloro, che profondamente l'hanno impressa nel cuore. (Apolog. de la Mus. franc. p. 128) V. l'artic. Camprà nel 2º tomo.
Lallemant, dottore in medicina e direttore di questa Facoltà in Parigi nel 1751 pubblicò Essai sur le mécanisme des passions en général. In questo trattato, parla degli effetti della musica, ed analizza principalmente la maniera, con la quale il canto e la musica istromentale influiscono sulle passioni.
Lamark (M.). Nel tomo 49, del Giornale di Fisica del 1799 in Parigi, vi ha di costui: Mémoires sur la matière du son, pag. 397.
Lambert (Giov. Enrico), nato a Malhause nel 1728 d'una famiglia francese quivi rifuggita per motivo di religione, coltivò con successo la fisica, le matematiche, la meccanica ed altre scienze. Egli era membro della Società R. di Berlino, nelle cui Nuove memorie nel vol. 31 vi ha di lui: Observations physiques sur les flûtes, an. 1776, Observations sur la vitesse du son. Nel vol. 30, del 1774, Remarques sur le tempérament en musique. “La difficoltà di accordare esattamente per quanto è possibile, le quinte e le terze nell'ottava (egli dice), [9] ha in ogni tempo esercitato i musici sia teorici, sia pratici. Si cercò di giungervi a tastone, senza rimaner soddisfatti di quel che si era trovato, perchè prima dell'invenzione de' logaritmi non era possibile di risolvere metodicamente questo problema. Io impiegherò questi logaritmi per comparare insieme le quinte e le terze, e per avere un termine di comparazione fisso e costante metterò il temperamento medio per base.” M. Chladni loda molto gli sperimenti di M. Lambert nel suo Tratt. d'Acustica, pag. 74, e 310. Lambert morì in Berlino nel 1775.
Lamotta (Martino) siciliano, di cui rapporta Adami da Bolsena nella sua Storia della cappella pontificia, di cui era maestro di musica, che Lamotta nel 1610 era in quella uno dei tenori, dove veniva molto stimato a motivo de' suoi gran talenti.
Lampe (Feder. Adolfo), dottore e professore in teologia a Brema dove morì nel 1729, in età di 46 anni. Egli è autore di un trattato in latino de Cymbalis veterum, Utrecht 1703, in 12º con molti rami: vi si trova erudizione immensa, e sostenuta dalle testimonianze di antichi scrittori.
Lampro d'Eritrea, celebre musico filosofo dell'antichità, ebbe la gloria di essere stato uno de' maestri nella musica di Aristosseno, che fu capo-scuola in questa scienza. Suida dice, che le più pregiate tra le sue opere erano quelle, che egli aveva scritto sulla musica, e che per disavventura si sono perdute. In una di queste opere egli trattava della musica in generale, in un altra De' suonatori di flauto, de' flauti e d'altri stromenti, e finalmente nella terza Sulla maniera di bucare, e costruire i flauti. Egli fioriva cinque secoli innanzi l'era volgare. Non bisogna confonderlo con un altro Lampro di lui più antico, e poeta-musico, di cui presso Platone (in Menex), dice Socrate di avere appreso la musica. Ateneo in oltre rapporta [10] (lib. 1, Deipnos) che da questo Lampro apprese Sofocle la danza e la musica, e Corn. Nepote nella vita di Epaminonda, c. 2, dice che questo Lampro fecesi gran nome tra' musici.
Lampugnani (Giov. Batt.). Milanese, eccellente melodista nella prima metà dello scorso secolo, scrisse la musica di più drammi serj, come l'Ezio nel 1737, il Demofoonte nel 1738, Tigrane nel 1747, e Amor contadino nel 1760. Egli fu il primo che cominciò a lussureggiare negli accompagnamenti delle arie, come dice il Carpani (Lettera 4), e a dare maggior movimento agli stromenti.
Landini (Francesco), cittadino di Firenze divenuto cieco dall'infanzia, si diè per diporto allo studio del canto e de' musicali istromenti specialmente dell'organo, nel quale così valente egli era, che non veniva con altro nome chiamato che Francesco degli organi. Filippo Villani afferma nella sua vita, che al 1364 un re di Cipri il coronò d'alloro in Venezia come il più celebre organista del suo secolo (V. Bettinelli Risorgimento ec. Cap. 3 della Poesia t. 2, p. 150). Fu anche inventore di più stromenti. Egli non occupossi in oltre così della musica, che riuscito non fosse del pari illustre nella grammatica, nella dialettica, e nella poesia sì italiana che latina. Nella biblioteca Riccardiana in Firenze di lui conservansi manoscritti otto latini poemetti. L'ab. Mehus ne ha dato un saggio, come ancora pubblicò un di lui sonetto; alcune sue Rime trovansi sotto il nome di Franc. degli organi nella raccolta dell'Allacci. Lo stile de' suoi versi latini, a giudizio del Tiraboschi, non è di molto inferiore a quello del Petrarca. Morì in Firenze al 1380.
Langlé (Onorato Francesco), nato a Monaco nello stato di Genova nel 1731, all'età di 15 anni fu mandato in Napoli dal principe di Monaco, per apprendervi la composizione; entrò [11] nel conservatorio della Pietà, e studiò sotto Caffaro uno de' migliori allievi del cel. Leo. Restò quivi otto anni, e ne divenne il primo maestro di cappella. Vi fece eseguire delle messe e de' mottetti, che meritaronsi gli applausi de' primi maestri dell'Italia. Nel 1768 venne a stabilirsi in Parigi, dove la musica ch'egli ha scritto per que' teatri acquistato gli hanno gran fama. Langlé è morto membro e bibliotecario del Conservatorio li 20 settembre del 1807, in età di 66 anni. Come teorico ha dato al pubblico molti trattati, che gli han fatto somma riputazione: 1.º Traité d'harmonie et de modulation, 1793; 2. Traité de la basse sous le chant, 1797; 3. Traité de la fugue, 1800; 4. Nouvelle méthode pour chiffrer les accords, nel 1801. (V. Mémoir. de l'Instit. Nation. tom. 2, e 3)
Lanzi (Petronio), maestro di cappella in Bologna, nel 1770 fu eletto a presedere il concorso, che i membri della Società Filarmonica, ed i compositori son usi di dare annualmente nella chiesa di S. Giovanni in monte, per l'esecuzione delle composizioni loro. Era questa la seconda volta che egli presedeva a questa lotta; ed i Kyrie e Gloria, che da prima eseguironsi, erano da lui composti. Da un suo Confitebor a 4 voci, che io ho avuto sotto gli occhi, si vede ch'egli scriveva con molta scienza, ma con poco gusto. Burney parla di lui nel 1º tomo de' suoi viaggi, p. 176.
Lasalette (Pier-Giov. de), antico generale di brigata, ispettore d'artiglieria, membro residente della Società Accademica di Grenoble, nel 1811 pubblicò in Parigi: Considérations sur les différens systèmes de la musique ancienne et moderne, et sur le genre enharmonique des grecs; avec une dissertation préliminaire, relative à l'origine du chant, de la lyre et de la flûte attribuée à Pan, in 8º. Abbiamo notizia di questa opera da un articolo di M. Champolion nel Magasin [12] Encyclopédique an. 1811, e da un altro di M. Roquefort (Moniteur 21 mai 1811), dove si dice, che sia questa un'opera delle più importanti, che si siano scritte sinora sulla musica. M. Lasalette è autore eziandio d'una Sténographie musicale ou manière abrégée d'écrire la musique, in 8º, Paris 1805, che non ha avuto gran successo; e d'una Lettre sur une nouvelle manière d'accorder les forte-piano, ou plus généralement les instrumens à clavier, in 8.º, Paris 1808.
Lasceux (Gugl.), nato a Paissy nel 1740 di molto buona famiglia, allievo di M. Noblet per la composizione e maestro di cappella di S. Stefano del monte in Parigi, dove viveva ancora nel 1810, colla riputazione di buon compositore, specialmente per chiesa. Nel 1804 egli fece eseguire in S. Gervasio per la festa di S. Cecilia una sua messa a grande orchestra, e nel 1810 aveva disposto per le stampe Essai sur l'art de l'orgue, posto all'esame della classe delle Belle-Arti dell'Instituto.
Laso d'Ermione, poeta-musico assai celebre fiorì sei secoli innanzi l'era cristiana, e fu il maestro di Pindaro, e scolare di Pitagora. Egli fu il primo a scriver de' libri sulla musica che più non esistono. Teone di Smirna (De mus. cap. 12), dice che Laso ermionese, ed Ippaso di Metaponto tentarono e pubblicarono lo sperimento de' bicchieri or più, or meno pieni d'acqua, giusta i numeri armonici di Pitagora; e fecero palese ai Greci, suonandoli col bacchettino, la verità delle osservazioni del loro maestro intorno alle quantità proporzionali, corrispondenti a numeri, con cui aveva egli contrassegnati i tagli della corda armonica per la misura delle sei consonanze (V. Requeno, t. 1). Intorno alla verità di questo sperimento potrassi consultare il dottissimo ab. Andres nel 4º vol. dell'eccellente sua opera.
Lassus (Roland de), detto degli Italiani Orlando di [13] Lasso, nacque a Mons nel 1520; apprese la musica e venne giovane in Italia, dimorò per alcun tempo in Sicilia, in Milano ed in Napoli, e vi fu maestro di musica. In Roma divenne maestro di cappella di S. Giov. Laterano. Errigo VIII lo accolse con onore in Inghilterra, e finalmente dopo aver ricevuto delle onorevoli distinzioni dall'Imperatore Massimiliano II, morì a Monaco nel 1594, colla riputazione di essere il primo soggetto dell'arte sua in un tempo, in cui la musica non era quel che è oggidì. I suoi contemporanei lo chiamarono la maraviglia del suo secolo, superiore ad Orfeo e ad Amfione. Il magistrato di Mons fecegli innalzare una statua nella parocchia di S. Niccolò, ove ragazzo aveva servito da cherico corista. Rodolfo de Lassus suo figlio pubblicò dopo la di lui morte, nel 1664 a Monaco l'opera la più stimata dagli intendenti, col titolo: Magnum opus musicum etc. Negli archivj musicali di Munich si conserva ancora un manoscritto prezioso delle opere di Orlando, adorno di superbi freggi e pitture. Forkel ha scritto la sua biografia nell'Almanacco di musica del 1784.
Latilla (Gaetano), maestro di cappella in Venezia, nacque in Napoli circa 1710. Giovane fu il rivale di Jommelli e di Galuppi nelle sue composizioni da teatro: ma conservò poi più che essi la maniera semplice e seria dell'antica scuola. Gl'Italiani l'hanno in conto de' migliori moderni contrappuntisti. Il d. Burney lo rincontrò in Venezia nel 1770. Egli era zio del cel. Piccini.
Latre (don Thomas-Sebastian), consigliere di stato di S. M. Cattolica, e suo secretario, nato circa 1740, e morto nell'anno 1804, faticò con successo alla riforma del teatro della sua nazione spagnuola. Egli è autore d'un'Istoria del teatro greco e romano, in 3 vol. in 4º, Madrid 1804, scritta in sua lingua, dove molte notizie egli raccoglie intorno alla musica di queste due nazioni. [14] Il dotto Signorelli nella sua Storia de' Teatri antichi e moderni, l. 3, c. 6, parla con elogio del patriottismo di Latre per la riforma del teatro nazionale.
Lavalle (Raffaele). Palermitano, costruttore celebre di organi, di cui molti ve n'ha di sommo pregio in più città della Sicilia, e tra' quali per la sua grandezza, per la qualità del suono e per la quantità dei registri è con ispezialità rimarchevole quello della Cattedrale di Palermo, comecchè nel trasporto, che ne fu fatto dopo la riedificazione della medesima, sia deteriorato alquanto per la negligenza e poca capacità di coloro, che per adattarlo al nuovo sito, ne sminuirono le canne, ed altre ne sostituirono non lavorate con quell'arte ed industria, in cui primeggiò sempre questo valentuomo. La fama di sua celebrità in quest'arte giunse in Roma sino a Paolo V; che lo invitò a portarsi colà per fabbricarvi de' nuovi organi: ma glielo impedì la sua morte avvenuta a dì 7 aprile del 1621 all'età di 78 anni. Questo grand'artista fu onorevolmente sepolto dinanzi al grand'altare della chiesa di S. Maria Maggiore, cui la sua pietà ricolmato aveva di doni, col seguente epitafio: Raphaeli Lavalle Punorm. organario eminentissimo, ob artis peritiam Romam a Paulo V S. P. evocato; de majoris Pan. ecclesiæ illustribus editis operibus opt. merito. liberorum pietas grati animi monumentum posuit, et. (Mongit. MS. ap. Bibl. Senat. p. 399).
Laugier (l'ab. Marc-Antonio) di Provenza, fu da prima gesuita, ma lasciò quest'ordine per alcuni disgusti che ne ricevette, e si rivolse alle belle arti, e alle lettere. Il primo giornale di musica, che sia comparso in Francia, fu da lui pubblicato con questo titolo: Sentiment d'un armoniphile sur différens ouvrages de musique, Lyon 1756. Quest'opera non fu poi continuata. Egli scrisse ancora contro M. Rousseau, Apologie [15] de la Musique Française, a Paris 1754, con quest'epigrafe: Nostras qui despicit artes — Barbarus est. Questo scritto dell'ab. Laugier può riguardarsi come il migliore tra tutti quelli, che comparvero in quella crise musicale, cosichè è stato inserito nelle opere del filosofo di Ginevra, tom. 2 dell'edizione di Neuchâtel 1764. Vi si trovano delle ottime riflessioni sulla musica in generale ed eccellente n'è lo stile. L'ab. Laugier è morto nel 1769.
Lavigna, maestro napoletano de' nostri tempi, ha composto per lo più la musica di opere buffe secondo il moderno gusto. Nel magazino musicale del Ricordi in Milano si trova di lui impresso, l'Impostore avvilito.
Lavit (J. B.), antico allievo della scuola politecnica di Parigi, nel 1808, ha dato quivi al pubblico: Tableau comparatif du système harmonique de Pythagore et du système des modernes.
Lebeuf (Giov.), dell'accademia delle iscrizioni, morto in Parigi nel 1769 pubblicò più opere di erudizione, tra le quali un Traité historique et pratique sur le chant ecclésiastique, a Paris 1741, in 8vo, pieno di ricerche curiose ed istruttive sopra questa materia.
Leblond (l'abate), intimo amico dell'illustre ab. Arnaud, e suo confratello all'accademia delle Iscrizioni, ha pubblicato les Mémoires pour servir à l'histoire de la révolution musicale opérée en France par le chev. Gluck, Paris 1781, in 8vo. Non è questa che una collezione molto interessante di più pezzi de' migliori scrittori, che presero parte allora a quella guerra musicale o in contro, o in pro della musica di Gluck.
Leboeuf, organista nella badia di S. Genovefa a Parigi, fece imprimere l'anno 1768, un'opera col titolo: Traité d'harmonie et règles d'accompagnement, suivant le système de M. Rameau, [16] in 8vo.
Lebrun, eccellente suonatore di corno di caccia, nel 1785 era in Parigi, dove facevansi i più grand'elogj del suo talento. Egli è autore dell'articolo Cor nella parte musicale dell'Enciclopedia metodica. Sua moglie Francesca Danzy era celebre nell'arte del canto, e nella composizione. La sua voce sorpassava d'una terza il fa più alto del cembalo, e tutte le sue inflessioni aveano un'indicibil grazia. Nel 1771 cominciò a farsi ammirare sul teatro di Manheim sua patria; alquanti anni dopo venne in Milano, e cantò nell'Europa riconosciuta di Salieri: era ella nel fior degli anni, ed i suoi talenti, e le sue grazie le meritarono gli universali applausi a gran dispetto della Balducci, allora prima donna in quello stesso teatro. Cantò colla stessa gloria in Londra da prima-donna nel 1783, e quattr'anni dopo in Napoli nelle opere di Paesiello. Vi ha anche di Mad. Lebrun tre sonate pel forte-piano con violino, impresse a Offenbach nel 1783, che vengono stimate moltissimo.
Leclerc (M.), dell'Istituto nazionale di Francia, pubblicò nel 1798 in Parigi, Essai sur la propagation de la musique en France. V. Memoir de l'Instit. Litterat. etc. tom. 1.
Ledran (M.) nel 1765, diè al pubblico un'opera nella quale propone de' nuovi segni per notar l'armonia sul basso continuo. Il di lui sistema è così complicato che si sono dovute preferir le cifre già usate.
Leduc (Pier-Ant. Augusto), ha in Parigi, insieme con alquanti socj, una casa di commercio de' più considerevoli di quella gran città, e che singolarmente è assai commendevole agli occhi degli artisti pei servigi, che ella ha reso all'arte musica. Se le dee, oltre a più oggetti, la pubblicazione de' Principj di composizione delle scuole d'Italia, l'opera più ragguardevole che sia comparsa nel commercio di musica, e nella quale l'incisione [17] sottomessa alle forme della tipografia, offre una nitidezza ed un'eleganza, di cui non vi era ancora verun modello (V. l'art, di M. Choron, nel 2º t.). Se le deve inoltre la Collezione dei classici musici, che forma la continuazione di que' Principj; una collezione delle sinfonie di Haydn in partitura; un'edizione delle opere di musica di Marpurg, la più bella e la meglio disposta di tutte, coll'aggiunta d'un trattato del contrappunto semplice del medesimo autore; ed una serie di opere, la più elegante e la più compiuta che possa desiderarsi su tutte le parti della composizione. Questa casa possiede oltracciò una bellissima biblioteca di trattati e d'opere di musica, di cui ne ha formato un gabinetto di lettura; ed è questa l'unica in cui si trovino in ogni tempo tutte le notizie possibili intorno a tutte le opere antiche e moderne; nazionali, o estere di musica, e relative a quest'arte. Con tai mezzi, e colla comodità d'una così ricca biblioteca di musica accessibile a chiunque, reca pur meraviglia come ne abbia tratto così poco profitto M. Fayolle per il suo Dizionario, non presentando egli che notizie assai superficiali e sterili delle opere e degli autori.
Legipons (Olivieri), benedettino del monastero di Rayhraden nella Moravia, godeva di gran rinomanza per la sua rara erudizione. Nelle sue Dissertationes philologico-bibliographicæ, in quibus de adornandâ Bibliotecâ ac musices studio, ec. ch'egli pubblicò a Norimberga in 4º nel 1746 si trova una Dissertazione de musicâ, ejusque proprietatibus, origine, progressu, cultoribus et studio bene instituendo, di cui fa grandi elogj il dottor Forkel.
Lemaire, maestro di musica verso la medietà del secolo 17º. Brossard a lui attribuisce l'opera, che reca per titolo: Méthode facile pour apprendre à chanter la musique, par un maître célèbre de Paris, 1666 in 8vo. [18] Egli fu, soggiunge Brossard, non già l'inventore, ma il primo che insegnò nella Francia a far di meno de' cambiamenti, con aggiungere la nota si: fu dapprima contraddetto dagli antichi maestri di musica, per il che fu senza dubbio costretto a nascondere il suo nome; ma la facilità di questo metodo fece ben presto adottarlo, e si tolsero via i cambiamenti.
Lemoyne (Giov. Batt.), nato a Eymet nel 1751, fece i suoi studj di musica a Perigueux, passò quindi in Germania, e studiò la composizione sotto i cel. Graun, e Kirnberger. Fece gran fortuna in Berlino, fu maestro del teatro del principe reale di Prussia, e il gran Federico, a cui ebbe egli l'onore di dare alcune lezioni di musica, fecene moltissima stima. In Varsavia la cel. Mad. Saint-Huberty, che quivi cantò per la prima volta un di lui dramma in musica, volle da lui ricevere la sua educazion teatrale, e ne divenne poi così rinomata in Francia. Lemoyne è il solo compositore francese di cui le opere siansi sostenute accanto a quelle del Piccini, del Gluck, del Sacchini, che furono i rigeneratori del teatro lirico de' francesi. Egli morì in Parigi nel dicembre del 1796. Gabriele Lemoyne di lui figliuolo nato in Berlino nel 1772, è un celebre sonatore di forte-piano attualmente in Parigi, dove vi ha di lui impresse più sonate, e romanzi per quest'instromento.
Leo (Leonardo), nato in Napoli nel 1694, divide con lo Scarlatti, col Pergolesi, e alcuni altri suoi contemporanei la gloria di aver fatto levare tant'alto in tutta l'Europa la scuola di Napoli per la musica teatrale. Tra i primi autori di sì felice rivoluzione, dice Arteaga, debbono annoverarsi Alessandro Scarlatti, e Leonardo Leo, nelle composizioni de' quali incominciarono le arie a vestirsi di convenevol grazia, e melodia, e fornite si veggono d'accompagnamenti più copiosi e brillanti: Il loro andamento [19] è più spiritoso, è più vivo che non soleva essere per lo passato: donde spicca maggiormente il divario tra il recitativo, e il canto propriamente detto. Le note però, e gli ornamenti sono distribuiti con sobrietà in maniera, che senza toglier niente alla vaghezza dell'aria, non rimane questa sfigurata dal soperchio ingombro (t. 2). Leo fu per più anni maestro del Conservatorio della Pietà, dove ebbe per discepoli Trajetta, Jommelli, Caffaro e moltissimi altri celebri compositori del secolo 18º, che quali novelli prodigj ammirar si fecero da tutta l'Europa. Comechè il genio di questo grande artista lo portasse per preferenza alle composizioni nobili, e patetiche, ebbe anche del successo nelle opere buffe, e tra le di lui opere in questo genere si distingue quella che aveva per titolo: Il cioè. Erane il soggetto un uomo, il cui abitual ghiribizzo era di aggiungere un cioè a tutto quel che diceva, e per volere spiegar tutto, ne diveniva più oscuro. Egli scrisse ancora molta eccellente musica per chiesa. Il distintivo carattere di questo gran maestro era il grandioso, il sublime. Cotesta qualità eminentemente riluce nel suo Miserere, ove si ammira una scienza profonda del contrappunto, una nobiltà, e chiarezza di stile, l'arte di condurre con naturalezza ed abilità insieme le imitazioni, e le modulazioni, che danno alla scuola di Napoli una distinta maggioranza su tutte le altre scuole di musica. Leo aveva somma diligenza nel far eseguire la sua musica. Dicesi che dovendo far sentire questo suo Miserere nella settimana santa, cominciavane i concerti nel mercordì delle ceneri, e proseguiva così tutt'i giorni colla massima attenzione sino al termine stabilito. Egli morì immaturamente di apoplesia nel 1745, di sua età 51. Mio padre, ch'ebbe la sorte di averlo avuto per maestro, raccontava che egli era stato trovato morto una mattina sul suo cembalo, e [20] che fu incredibile il lutto di tutto il conservatorio alla nuova di sua morte: che egli non lasciava mai di portare al dito un anello d'ingente somma statogli regalato dall'imperatrice delle Russie, e che era di bella figura, e di nobil portamento.
Leona, cortigiana ateniese, celebre per la grande sua abilità sulla lira e nel canto, e famosa ancora per i suoi intrighi con due giovani uniti insieme colla più tenera amicizia, Armodio e Aristogitone. Congiurarono costoro contro Ippia ed Ipparco tiranni d'Atene, e figli di Pisistrato; Leona benchè al fatto del secreto de' suoi amanti preferì la morte alla viltà di tradirli: temendo di non poter resistere a' tormenti della tortura, ella medesima fece in pezzi coi denti la sua lingua, perchè si togliesse infino la possibilità di dire alcuna cosa contro i suoi amici. Gli Ateniesi, ricuperata appena la libertà, resero sommi onori alla memoria di tutti e tre, innalzaron a' due giovani delle statue sulla pubblica piazza: e per evitare al tempo stesso il rimprovero di avere eretto un pubblico monumento ad una cortigiana, scolpir fecero per allusione, al di lei nome una lionessa senza lingua (Plin. l. 34). Conservasi questa tuttora sulla porta dell'arsenal di Venezia, dove è stata trasferita da Atene.
Lepileur d'Apligny, nel 1779 pubblicò in Parigi Traité sur la musique et sur les moyens d'en perfectionner l'expression. Quest'opera è ben scritta, ma piena di viste superficiali.
Leprince (Mr.), morto nel 1781, era, non che eccellente pittore, ma eziandio un piacevolissimo musico. Sonava molto ben di violino: essendosi imbarcato in Olanda per andare in Pietroburgo, un corsare inglese venne ad attaccare il vascello, che fu costretto a rendersi prigioniero. Leprince prese allora il suo violino, e cominciò a sonarlo con la più gran disinvoltura [21] del mondo. I corsari sbalorditi sospesero il saccheggio, e gli restituirono tutte le sue robe; nello stesso tempo lo pregarono di farli ballare, e di accompagnar col suono la loro danza. Fortunatamente per gli altri passaggieri, la presa fu dichiarata nulla nel primo porto.
Lesueur (Giov. Franc.), nato a Ponthieu di un'antica e distinta famiglia circa 1766, fece i primi suoi studj di musica in Amiens, ed entrò poco dopo nel collegio di quella città per terminare il suo corso di lingue antiche, e di filosofia. Egli è stato maestro di cappella di molte cattedrali della Francia e precisamente di quella di Parigi, per la quale ha composto un gran numero di messe, di oratorj e di mottetti. I straordinarj successi che la sua musica ha ottenuti in quella metropoli, e gli elogj, che se ne sono pubblicati ne' giornali da Piccini, Sacchini, Philidor e Gretry, han posto M. Lesueur da trent'anni in quà nel primo rango de' compositori di Europa. Io non conosco in Italia, diceva di lui il Sacchini circa 1785, che due maestri di cappella che possono uguagliarlo. M. Lesueur era allora assai giovane. Paesiello nel 1805 gli scrisse una lettera molto onorevole, congratulandosi seco del buon successo della sua musica sul dramma les Bardes. In occasione di questa musica sono stati tutti d'accordo gli intendenti nell'asserire che il sublime e 'l grande sono il carattere della medesima scritta colla semplicità e il gran gusto dell'antico. Quì il compositore si propose di rinnovare le impressioni, che i suoi uditori hanno provato nella lettura delle opere d'Ossian; e la stranezza medesima della sua melodia produsse l'effetto che dovevasene attendere. La morte di Adamo, tragedia lirica in tre atti, fu rappresentata nel 1809. S'intende benissimo quanto un tal soggetto abbia dovuto offrire delle difficoltà a un compositore del volgo. La sola musica adatta [22] era quella de' primi uomini: doveva respirare dunque quel carattere di nativa semplicità, da cui i nostri costumi e la perfezion medesima dell'arte vie più ci discostano. Lesueur, che possiede un genio musicale eminentemente Biblico, trattò questo soggetto d'una maniera sublime, e stabilì per sempre la sua riputazione. Questa musica è semplice, energica e solenne. La grandiosità che Lesueur ha saputo spargere in tutte le sue opere per teatro e per chiesa, gli ha meritato il favor del governo, e l'onorevole posto di successor di Paesiello. Egli si è fatto conoscere ancora come autore di più scritti sulla musica. Nel 1787, diè al pubblico, Exposé d'une musique une, imitative, et particulière à chaque solennité, in 8º. Tra i diversi elogj accordati a quest'importante opera, quello del conte de Lacépède, gran scrittore, e gran compositore insieme, è certo di gran peso agli occhi de' lettori. M. Lesueur non si è contentato (scriveva nel 1787 M. de Lacépède) di dare una forma drammatica alla musica di chiesa componendola di quadri sempre analoghi alle cerimonie della religione: ha voluto in oltre (e questa è un'idea molto bella e tutta nuova), che presentasse un particolar carattere alla solennità per la quale sarebbe composta; per giungervi, egli ha ideato di situare ne' differenti pezzi della sua musica, la dipintura delle diverse circostanze della Storia sacra richiamate alla memoria da ciascuna particolare festività. Conoscendo in oltre, che se i quadri offerti della musica rappresentano con forza i diversi sentimenti, ed eziandio i differenti loro ombreggiamenti, mancano sempre della precisione necessaria perchè si possano, senza un soccorso straniero, riconoscer tutte le intenzioni del compositore, egli ha creduto dover far sentire assai spesso le arie sacre, che dopo gran tempo unite a delle parole note abbastanza, hanno [23] acquistato, per così dire, una determinata espressione, e fissar possono i significati vaghi a rischiarar le intenzioni oscure. Ecco il piano di M. Lesueur. (Poétique de la musiq.) Vi ha oltracciò di questo eruditissimo artista: Notice sur la Melopée, la Rhythmopée, et les grandes caractères de la musique ancienne, impressa nella traduzione di Anacreonte di M. Gail. Molti scrittori periodici, fra quali M. Ginguené, l'han trovata dottissima, e adatta a spargere una nuova luce sulla storia, ancora molto oscura, della musica de' Greci. Nel 1802 M. Lesueur pubblicò una Lettera al suo amico M. Guillard, divisa in sei parti. I compositori vi trovano dell'eccellenti vedute intorno all'arte, e particolarmente sulla musica scenica: ha gran tempo ch'egli prepara una più lunga opera col titolo: Traité général sur le caractère méthodique de la musique théâtrale et imitative.
Levens (Carlo), compositore e maestro di Bordeaux, ha dato al pubblico: Abrégé des règles de l'harmonie, pour apprendre la composition, 1743 in 4º. Quest'opera è divisa in due parti: la prima riguarda la composizione; l'altra offre un nuovo sistema di suoni, ma non ha avuto il merito di far fortuna.
Liberati (Antimo), da Foligno, cantore della cappella pontificia, ed organista della SS. Trinità de' Pellegrini, maestro di cappella finalmente di S. Maria dell'anima della nazione Teutonica in Roma, viveva nell'ultima medietà del sec. 17º. Nel 1784, pubblicò Lettera in riposta ad una del Sig. Ovidio Persapegi, che chiesto gli aveva il suo parere intorno a cinque candidati, che aspiravano al posto di maestro di cappella in una chiesa di Milano. Questa lettera contiene moltissime osservazioni sulla musica che fecero allora gran sensazione. Si ha in oltre di Liberati Epitome della musica, eccellente manoscritto della Biblioteca Chigi. [24]
Lichtenthal (Pietro), dottore di medicina tedesco, ma stabilito in Italia dove fece i suoi studj in questa facoltà sotto il cel. D. Frank. Gli si dee un eccellente libro, che cinque anni prima da lui pubblicato in sua lingua fu applaudito in Germania, e quindi alle istanze di alcuni celebri professori di medicina in Italia, da lui stesso in questa lingua tradotto ed accresciuto fu stampato in Milano nel 1811, con questo titolo: Trattato dell'influenza della musica sul corpo umano, e del suo uso in certe malattie, in 8º. L'introduzione è il vero Si quæris miracula della musica, benchè dichiari l'autore di essere ben avverso dall'introdurre chimere nell'arte medica. I soggetti su cui egli si versa, sono: 1. Analisi storica e ragionata dell'effetto della musica sull'uomo sano, con alcune osservazioni sopra certi animali. 2. Prospetto istorico di tutti gli esperimenti empirici che si fecero nella medicina sino dagli antichissimi tempi. 3. Ragionamento come si debba considerare l'effetto della musica. 4. Quali sono le malattie in cui possiamo prometterci un buon uso della musica. 5. Quando si abbia a far uso d'una musica dolce e d'una musica strepitosa. 6. Finalmente alcuni cenni sul modo d'intendere una buona musica. Noi rapporteremo alcune di lui riflessioni, il che non sarà discaro a' lettori. Nella caratteristica, ch'egli dà di varie specie di musica, ecco com'egli parla di quella di chiesa. Egli è senz'altro la specie più sublime di musica. Il suo oggetto è un ideale che porta l'impronta della divinità e della virtù, emanazione di quella. La sua tendenza è di concentrare i sentimenti diversi in un solo, cioè la divozione. Nella Caratteristica delle voci cantanti egli avverte da prima, che generalmente ogni voce, se tiene le ottave di mezzo fa più bell'effetto di quelle che cantano colle ottave alte o basse. Che il Soprano d'un castrato lusinga soltanto l'orecchio le prime volte che [25] viene ascoltato, ma non giunge sino al cuore, quando anche il cantore eunuco fosse eccellente. Che il Soprano di una donna o ragazza formata è pieno di sentimento e produce un grand'effetto: che il Soprano di un ragazzo corista è raramente di molto effetto. Che il contralto d'una donna è espressivo e virile, e invade perfettamente l'animo degli ascoltanti. Il Contralto d'un ragazzo è alquanto più da riputarsi che il soprano di esso. Ma tra gli uomini non c'è voce più bella del tenore. Essa è la pittrice vera di tutte la passioni: i suoi quadri portano il sigillo della verità. Il tenore è pieno di forza, e il suo effetto è grandissimo. Un'altra voce degli uomini è il Basso: il suo carattere è grande, sublime, solenne e pieno di serietà. Ciò ch'egli ha di terribile e di ardito sembra non produrre un effetto sulle anime deboli. Nella caratteristica degli stromenti, il clarinetto, egli dice, è il più bello stromento da fiato, e merita senz'altro il primo ordine nella musica istromentale. Egli corrisponde nel suo ambito a tutte le bellezze d'un pezzo musicale. Il suo respiro è molle, pieno di forza, tenero e soave. Il suo tuono non è quel grido penetrante ch'è l'anima dell'oboè, ma un sentimento diffuso in amore, il tuono de' cuori sensibili trasportati. Il Corno di bassetto è assai vicino alla dolcezza del clarinetto, se non che ha un tuono alquanto malinconico. Ne' corni di caccia i tuoni escono dolci e teneri, e danno la più bella ombra a' quadri musicali: eccellente è l'effetto de' quartetti per 4 corni di caccia, composti dal Sig. Belloli. I meriti del fagotto distano poco da quelli del clarinetto: ambidue ci dipingono gli effetti teneri. Il flauto ha un tuono ingenuo e di natura incorrotta e campestre. Diviene solo d'incarico ove si sente troppo sovente. Gli oboè hanno un tuono molto penetrante e non durevole. I soli abilissimi oboisti possono rendere questo stromento veramente grato a [26] chi lo sente. (Qui in Palermo ne abbiamo un esempio nel Sig. Cukel, sonator di oboè di una singolare dolcezza ed agilità). I tromboni stromenti antichissimi giungono a un più gran fine. Esprimono il sublime, il grande, il solenne, fanno alzare dalle loro tombe gli spiriti, e parlare co' vivi. Maraviglioso è il loro effetto ne' cori. Le trombe hanno un suono eroico, guerriero ed esultante. Un organo tenero spesse volte non lo sopporta. Mozart aveva nella sua gioventù un'antipatìa contro questo stromento, e una volta cadde per esso in convulsioni. Il violoncello agguaglia co' suoi pregi que' del fagotto. Ha un tuono assai dolce, che s'accorda per lo più col tenore: il suo effetto riesce grande s'egli passi a vicenda dalla voce di basso a quella di tenore e di soprano. (Noi possiamo vantarci in Palermo, d'avere un sonatore di quest'istromento, che gareggiar può co' più celebri di tutta Europa. Egli è il Sig. Massettina, che ha formati molti bravi allievi, e che al suo gran talento e scienza musicale unisce una vera pietà e singolare modestia). La viola fa il contralto, e corrobora il basso della musica istromentale, il suo effetto non è dissimile da quello del violoncello, e fa la transizione ai violini. Il violino fa il soprano della musica strumentale; e un buon sonatore produce con esso un ottimo effetto. Nel Pianoforte tutto è melodia e armonia; se non ch'esige sempre un contrappuntista capace onde comunicargli quella maestà, che dee corrispondere a tutto quel grande e bellissimo effetto che può produrre. Quest'istromento è amico dell'uomo in qualsivoglia circostanza delle passioni umane, e la sua efficacia è riconosciuta. Il contrabbasso regge tutto il carico dell'armonia, parla con arditezza, e scuote fortemente nell'unisono col suo organo strepitoso, ec. Intorno al diverso gusto de' tedeschi e degli italiani: Abbiamo egli dice, nelle grandi città di Germania, [27] quasi in ogni casa, quartetti, concerti ec.: perchè sì poca musica vocale? Io dubito esserne questo il motivo: 1.º perchè si manca in Germania di buoni poeti d'opera. 2.º perchè la lingua tedesca non è troppo favorevole. E però direi in Italia esservi più musica vocale che istromentale, perchè la lingua arride sommamente, e vi abbondano buoni poeti d'opera. I suoi cenni sul modo d'intendere una buona musica sono veramente di un ottimo amatore di quest'arte, e filosofo insieme, e possono leggersi con profitto.
Lingke (Giorgio-Federico), consigliere del re di Polonia, fecesi ricevere nel 1742 nella società di musica di Mitzler, alla quale presentò egli nel 1744, un quadro degli intervalli, che fu adottato dalla società. Nel 1766, pubblicò Die sætze, ec. cioè Teoremi degli assiomi musicali. Nel 1779 pubblicò in Lipsia una seconda opera: Kurze ec. cioè Istruzione di musica, nella quale si dà a conoscere l'affinità di tutte le scale de' tuoni, e i principj dell'armonia proprj a ciascuna di loro, con esempj. Lingke nel 1790 viveva a Weissenfels.
Linguet (Simone Nic. Arrigo), nato a Rheims nel 1736, scrittore rinomatissimo di più opere, dopo lunghi viaggi ed esilj, dopo infinite fatiche letterarie fu dal tribunale rivoluzionario condannato a morte a 27 giugno del 1794 in età di 58 anni, ch'egli soffrì con coraggio, per avere lodati ne' suoi scritti l'imperatore e il re d'Inghilterra. Delle sue opere non faremo menzione, che di quella che ha per titolo: Journal politique et littéraire depuis 1774 jusqu'en 1778, dove vi ha più articoli intorno alla musica, e dell'Histoire du siècle d'Alexandre, la cui prima edizione è d'Amsterdam in 8.º 1762. L'autore, benchè allora assai giovane, scelse quest'epoca interessante dello spirito umano per presentare da filosofo, da critico, da storico [28] il governo, i costumi, gli usi, le arti degli antichi popoli dell'Asia e de' Greci: questo soggetto forma l'ultima parte dell'opera. Egli vi tratta eziandio dello stato della musica in quell'epoca: spiega gli effetti maravigliosi che le attribuiscono gli antichi, e particolarmente ciò che dissero dell'efficacia di essa per formare i costumi ed inspirare la virtù. Sostiene in oltre, che quest'arte tra le mani de' Greci giunse al più alto grado della perfezione, e merita di esser paragonata alla nostra, per il che vien egli immeritamente censurato in un giornale letterario di Berna del 1763.
Lippio, professore in Vittemberga, ove pubblicò nel 1610 Dissertatio de musicâ, che secondo il Lichtenthal merita di esser letta.
Lirou (Giov. Franc. Espic; cav. de), passionato amatore di poesia e di musica, nacque nel 1740. Egli pubblicò in Parigi nel 1785 un'opera col titolo Système de l'harmonie, in 8vo, che è piuttosto un problema, di cui dar ne pretende la soluzione. Quest'opera è molto oscura, anche per le persone dell'arte, quando se ne vogliono applicare i principj alla pratica. L'autore medesimo ne conveniva, e proponevasi di darne le necessarie spiegazioni per renderla chiara e facile, e nel tempo stesso di fondare una cattedra per ispiegarla a un certo numero d'allievi. Possiamo assicurare, dice M. Fayolle, che avendo ricevuto da lui alcune lezioni d'armonia, niuno certamente ragionava sulla musica con maggiore chiarezza, eleganza e precisione della sua: veniva ascoltato per ore intiere senza farci accorgere, e senza che se n'accorgesse egli stesso, che si affaticava alquanto. M. de Lirou, profondamente versato nella scienza dell'armonia, si era dato alla composizione: in società col cel. Piccini compose la musica di Diana ed Endimione, che fu eseguita con successo nel 1784; vi sono in oltre più scene [29] liriche di cui ha fatto la musica e le parole, e de' canoni d'ogni specie. Egli è morto in Parigi di podagra nel 1806.
Locatelli (Pietro) da Bergamo; sin da fanciullo fu mandato in Roma, e prese lezioni di violino dal gran Corelli. Dopo aver molto viaggiato, ritirossi in Olanda, e stabilì un pubblico concerto in Amsterdam, egli impiegava il suo tempo nell'insegnare altrui la musica, e nel comporre. Alla sua morte quivi giunta nel 1764, la società degli amatori d'Amsterdam prese il lutto. Egli era un fecondissimo compositore, e un abile violinista, de' cui scritti la miglior parte ancor si studia e si loda, dice il conte di S. Raffaele; i lunghi e difficilissimi capricci, onde egli ha deformato i suoi concerti, intendendo però d'abbellirli, sono scogli famosi per mille naufragi. Sembra che in quest'opera abbia l'autore pensato a raunar tutto ciò che può screditar chi suona e nojar chi ascolta. Una difficoltà incalza l'altra, e un rompicollo s'accavalla a un rompicollo. Talchè per quanti s'ostinino a volerne venir a capo, tutti si trovan per via colle ali d'Icaro, e sul carro di Fetonte. E sarebbe pur bene che si smarrissero queste mattezze; affinchè la posterità stuonatrice, che certo sarà numerosa, non possa recare ai nostri nipoti la stessa insoffribil molestia, che ci recano i non puochi stuonatori presenti. Ben altro è il pregio delle dotte e bellissime sonate a solo di questo autore. Qui si trova la maschia ed esatta armonia, senza la stitichezza del gusto antico; qui l'impensate modulazioni senza stento e senza stravaganze; quì la novità delle idee, la sublimità de' concetti, la naturalezza del canto. Dall'ingegnosa Follia Corelliana attinse egli il pensier felicissimo delle sì varie e sì dilettevoli sue Variazioni; come altresì dai brevi Adagi del maestro apprese l'arte di distendere que' [30] maestosi suoi Gravi, i quali benchè lunghissimi pur non annojano. Tanto è grandioso lo stile, flebile il canto, squisito l'artificio, con cui sono orditi e tessuti. Laonde a buona equità si può dare al Locatelli il vanto d'essere stato il più erudito e rinomato discepolo della scuola d'Arcangelo Corelli. (Letter. su l'Arte del suono).
Lock (Matthew), cantore della cattedrale d'Exeter, e buon compositore del sec. 17º, ha scritto le seguenti opere: Modern church music ec. cioè La moderna musica di chiesa; criticata e fermata ne' suoi progressi avanti il regno di S. M., 1666; An essay ec., cioè: Saggio su i progressi che ha fatti la musica con levar via la difficoltà delle diverse chiavi e con riunire sotto un carattere universale, ogni sorta di musica, ec. 1672.
Lockmann (John), della società d'Apollo che esisteva in Londra verso la medietà dello scorso secolo. Al suo dramma intitolato Rosalinda posto in musica dal maestro Smith nel 1740, precede un di lui Discorso sull'origine e i progressi dell'Opera e della Musica, in 4.º in lingua inglese, di cui può leggersene un estratto nella Biblioth. Britannique. Questo Discorso è scritto con giudizio, con erudizione e con gusto: noi non ne rapporteremo che un grazioso aneddoto, che Lockmann dice essergli stato narrato da Smith ocular testimonio. “Si tratta d'un piccione del colombajo di M. Lee del contado di Chesh. Aveva costui una figliuola, che sonava bene il cembalo. Il colombajo non era distante dall'appartamento, dov'era quell'istromento. Essa suonava diverse arie, e tra le altre quella di Spera si nell'Ottone di Hendel. Quest'era l'aria favorita del piccione: dachè la sentiva, volava dal colombajo alla finestra: quivi a suo modo esprimeva le più aggradevoli commozioni: ed al momento che più non si suonava la sua aria, volava altrove. Questo ghiribizzo dinotato per lo Spera si piacque [31] tanto alla giovinetta musica, che non volle chiamar più con altro nome quest'aria, che l'aria del piccione, e la copiò sotto questo titolo nel suo libro de' pezzi scelti di musica.” Un tal fatto conferma quel che già diceva Aristotele: Belluina etiam animantia, melodiis accentuque congruo oblectantur. (De nat. anim.)
Loehlein (Giorgio-Simone), maestro di cappella a Danzica, all'età di 16 anni fu arrollato nelle truppe del re di Prussia, e tra le altre campagne fu egli alla battaglia di Collin, dove restò sul campo in mezzo ai morti. I vincitori Austriaci trovato avendogli alcuni segni di vita, lo trasportarono nell'ospedale, e dopo alcun tempo guarito tornò in sua patria, dove la sua famiglia era ancora in lutto. Nel 1760, portossi a Jena col disegno di farvi i suoi studj. La sua grand'abilità sull'arpa gli acquistò molte conoscenze, e diegli ingresso nelle migliori famiglie. Sin d'allora applicossi alla musica con sì gran zelo, che nel 1761 ottenne il posto di direttore di musica in luogo di Wolff, che divenne maestro di cappella a Weimar. Passò quindi in Lipsia, dove fu ricevuto nel gran concerto, ed un altro particolare ne stabilì egli composto per la più parte de' suoi allievi, in ambidue suonava egli ogni sorta di stromenti, senza eccettuarne quelli da fiato, e vi faceva eseguire le sue composizioni che imprimeva egli stesso ad acqua-forte. Nel 1779 fu chiamato a Danzica come maestro di cappella, ma non confacendosi il clima colla sua delicata salute, vi morì sul principio del 1782, in età di 55 anni. Abbiamo di lui alcune opere di teoria pubblicate in Lipsia: I. Klavierschule ec. cioè Scuola di cembalo, o breve e ragionata istruzione sull'armonia, e la melodia, spiegata con esempj, 1765 in 4º. II. Scuola di cembalo, vol. 2, nel quale s'insegna l'accompagnamento del basso non cifrato, e le altre armonie omesse nel primo, vi si ha aggiunto un [32] trattato del recitativo, 1781, in 4º. III. Anweisung ec. ossia: Elementi di violino: spiegati con esempj e con 24 duo, Lipsia 1774.
Loen (Giov. Mich. de) di Francfort, dotato dalla natura de' più rari talenti, ebbe in oltre la fortuna di avere un'eccellente educazione: fece i suoi studj nell'università di Marbourg, e studiò quindi le belle lettere ed insieme la musica a Halle. Egli morì nel 1776. Di molte sue opere sulla teologia e la politica, una ve ne ha che abbia rapporto alla musica nel 4º vol. delle sue Opere diverse.
Loescher (Gasp.), dottore nell'università di Vittemberga morto nel 1718, dove pubblicò una Dissertazione col titolo: De Saule per musicam curato in 4º, 1688, citata da Lichtenthal, p. 82, e da Walther.
Logroscino (Niccolò), celebre compositore napoletano specialmente di opere buffe, a cui deesi sovra tutto l'invenzione de' finali. Egli fu il primo maestro di contrappunto nel Conservatorio de' figliuoli dispersi in Palermo dopo il 1747, e vi fece de' buoni allievi, tra' quali molto si distinsero il Muratori, e il Vermiglio, che gli succedettero in quel posto. I primi saggi nel genere burlesco debbonsi a Leo, a Pergolesi e al Sassone, ma “Logroscino genio originale e fecondo, loro contemporaneo, diè la vera idea di ciò che poteva divenire questa specie di dramma. Fu egli il primo che pensò di terminar ciascun atto con un pezzo, in cui il motivo, proposto da prima da una sola voce, si sviluppi in appresso a due, a tre, a quattro, continovamente interrotto da nuovi canti, ridotto continovamente sotto tutte le forme della melodia e dell'armonia, finalmente col divenir la materia di un coro del più grand'effetto.” (Framery, art. Bouffon, dans l'Encycl. method.) Logroscino morì in Napoli circa 1760.
Lolli (Antonio), da Bergamo, celebre violinista morto in Palermo nel 1802, e quivi [33] onorevolmente sepolto nella chiesa de' Padri Capuccini fuori la Città. M. Fayolle lo dice per errore morto in Napoli nel 1794. Lolli fu dapprima maestro di concerti del duca di Wurtemberg sino al 1773: passò quindi in Russia, ove eccitò talmente l'ammirazione di Caterina II, che donogli un arco, sul quale aveva ella medesima scritto di sua mano in francese: Archet fait par Catherine II pour l'incomparable Lolli. Nel 1785, fece egli un viaggio in Inghilterra ed in Spagna. Venne quindi in Francia, e dopo il 1789 ritirossi in Italia godendo delle ricche pensioni della Moscovia e di Napoli: passò gl'ultimi anni di sua vita nel ritiro in Palermo; io non voglio più sonare, egli diceva, che per le teste coronate. La destrezza, che egli aveva acquistata sul suo stromento, era del tutto sorprendente: egli saliva più al di là di qualunque altro suonatore; i suoi capricci talmente lo trasportavano negli a solo, che il più esercitato accompagnatore poteva appena seguirlo: egli medesimo non poteva accompagnare il canto, perchè difficilmente andava in misura. La prima volta che Lolli fecesi sentire in un suo concerto sul teatro di Palermo nel 1793, mi sovviene d'aver inteso sgridar in pubblico il Sig. Blasco primo violino dell'orchestra, che non aveva uguale nell'arte di dirigerla, perchè non si erano trovati insieme in misura, ma lo sbaglio era piuttosto del Lolli, che affrettava sempre il tempo, ed andava avanti. Essendo stato pregato un giorno di sonar un adagio, ricusò di farlo: Io son di Bergamo, ei soggiunse, i cittadini di questo paese son troppo matti per poter sonare l'adagio. “Lolli che aveva delle ragioni per non amare gli adagio, dice M. de Ginguené, raccorciolli assai ne' suoi concerti, e vi mise in oltre sì poca espressione e melodia che di raro diè da lagnarsi della loro breve durata, anzichè fè riguardarli come una sorta di riposo e [34] di transizione di un allegro all'altro.” (Encycl. method. art. Concerto).
Lorente (Andrea). Spagnuolo, scrittore didattico del sec. 17º, pubblicò nel 1672, El porqué de la musica, canto llano, canto de organo, contrapunto, y composicion, Alcalà in fol. La grandezza del volume non bastò a difender dall'oblio totale l'autore e l'opera, sorte ordinaria dei libri men che mediocri.
Lotti (Antonio), capo della scuola veneziana, e maestro di cappella in San Marco di Venezia, godeva d'una gran riputazione sulla fine del secolo 17º. Egli aveva delle profonde cognizioni dell'armonia, che lo resero superiore a tutti gli altri compositori del suo tempo. Il Sassone, che lo conobbe in Venezia nel 1727 lo scelse per suo modello: un dì, ch'egli era presente all'esecuzione di un'opera di Lotti, Qual espressione! egli esclamò, quale varietà! e nel tempo stesso quale precisione d'idee! Il dot. Burney parla con trasporto dell'impressione da lui risentita nell'ascoltare in Venezia una messa di questo gran maestro. Gl'Italiani rendongli testimonianza, ch'egli univa all'arte ed alla regolarità degli antichi, tutte le grazie, l'abbondanza e 'l brio de' compositori moderni. Può giudicarsi del successo ch'egli ebbe come compositore di teatro, dalla sola circostanza che dal 1683 sino al 1718 scrisse sempre per lo stesso teatro di Venezia. Chiamato a Dresda scrisse quivi la musica di un Dramma per le nozze del principe elettore di Sassonia nel 1718, e tornò l'anno di appresso in sua patria. Walther cita con elogio i di lui madrigali, ed in Lipsia si conserva un suo eccellente Miserere a 4 voci e 4 stromenti.
Loulié (Mr.). Nelle memorie dell'Accademia delle Scienze an. 1701 si trova di lui una scala per gradi, ossia regola divisa in più parti per misurare la durata de' suoni, per determinare i loro diversi valori, e sino i [35] rapporti de' loro intervalli, con de' calcoli per il temperamento! (V. Rouss. Dictionn. art. Temperam.).
Lucchesi (Andrea), nato a Motta nel Friuli veneziano nel 1741: ebbe per maestri nell'arte della composizione, Cochi napoletano per lo stile di teatro, ed il P. Paolucci allievo del Martini per lo stile di chiesa, e poi Seratelli, maestro di cappella del doge di Venezia. Nel 1767, in occasione di una gran festa che diè la repubblica di Venezia al duca di Wittemberga, che trovavasi allora colà, Lucchesi scrisse una Cantata per il teatro di S. Benedetto, che fu sommamente applaudita. Scrisse ancora quivi più opere buffe, ma nel 1771 essendosi portato a Bonn, con una compagnia di attori, entrò tosto al servizio dell'elettore di Colonia coll'onorario di mille fiorini, e dopo avere scritto molta musica pel teatro e per la chiesa, morì a Bonn nel 1810. Per il Conservatorio degli Incurabili di Venezia vi ha di lui un vespro a due cori, un oratorio, e un Te Deum; una messa per la collegiale di S. Lorenzo, una di Requiem per l'esequie del duca di Mont'allegro ambasciadore di Spagna in Venezia, e più messe e mottetti per la cappella di Bonn, oltre più sinfonie, concerti e sonate per cembalo.
Luciano di Samosata nella Siria, di povera famiglia, fu destinato dal padre ad apprendere da un suo zio l'arte della scultura, ma alcuni cattivi trattamenti ricevuti da costui gliela fecero abbandonare, e diessi interamente allo studio delle scienze. Egli fu uno de' genj più brillanti dell'antichità, e tutte le sue opere ridondano delle grazie di un vero bello spirito, tranne la sua irreligiosità e la mordacità delle sue satire. Dopo aver vissuto lungamente in Atene, e nell'Egitto, dicesi di esser morto in età di 90 anni. Nelle sue opere, che sono in gran numero, trovansi [36] molti passaggi sulla musica, e specialmente in quella sulla danza (De saltatione), e ne' suoi Dialoghi degli Dei ec. M. Fayolle nel suo articolo mette ridicolosamente nel numero de' libri musicali di Luciano quello che è intitolato Harmonides, ingannato dal nome, quasichè dinotar volesse che tratti d'armonia: ma questo libro non è, che una Lettera dedicatoria di tutte le di lui opere ad un amico, a cui dà il titolo d'Harmonide per allusione ad un altro dello stesso nome discepolo del musico Timoteo. Tale è l'inavvertenza di questo autore, e la poca esattezza del suo Dizionario. Perchè non si creda che io ne lo accusi a torto, ecco le sue parole: De divers écrits de Lucien, nous ne citons ici que ceux qui ont rapport à la musique, tels que ses Harmonides etc. Luciano fiorì nel secondo secolo dell'era cristiana (V. Burdelot in vitâ Luciani ap. Fabric.).
Ludwig (Giov. Adamo), membro della Società economica del Palatinato, morto nel 1782 nell'immatura età di 52 anni, ha lasciato molti scritti sulla costruzione degli organi; eccone i titoli tradotti dal tedesco: 1. Saggio sulle qualità necessarie a un costruttore d'organi, 1759 in 4º; 2. Lettera a M. Hoffmann primo organista a Breslavia, 1759; 3. Difesa di M. Sorge contro M. Marpurg; 4. Idee su i grand'organi; 5. Ai detrattori degli organi, Erlange 1764, in 4º.
Lulli (Giov. Batt.), nacque in Firenze nel 1633, ma trasportato in età di 14 anni a Parigi, divenne mercè il suo grandissimo ingegno, onde avealo fornito la natura, l'eroe riformatore della musica francese. La prima sua abilità, che lo rese celebre in Francia, fu quella di sonare il violino; prima di lui ne' concerti di strumenti solo uno di questi cantava, gli altri non facevano se non un semplice accompagnamento a quello: Lulli mise in movimento tutte le parti, e creò il vero concerto. [37] Nell'infanzia della musica strumentale a lui deesi l'invenzione opportunissima all'oggetto di aprire con pompa uno spettacolo teatrale, cioè, la sinfonia, detta perciò ouverture da' francesi; invenzione, dice il Carpani, “che restò per gran tempo così priva d'imitatori, che in Italia stessa pochissime furono le sinfonie composte per tal uso: una di Lulli fu sonata contemporaneamente in diversi teatri d'Italia in capo a molte opere di varii de' più rinomati maestri senza ch'alcuno d'essi si desse la briga di stenderne di nuove: il fatto è che l'ouverture francese regnò lungamente su i nostri teatri, quantunque vi si udissero con maraviglia infinita le divine opere dei Vinci, dei Pergolesi, dei Leo ed altri simili.” (Letter. 1). Coll'abilità di sonare il violino Lulli si acquistò la benevolenza di Luigi il grande, che lo fece direttore dell'orchestra della sua corte, e poi divenne capo, e compositore dell'opera francese, incominciatasi ad eseguire a' giorni suoi. Egli trasse la musica francese dalla scipitezza in cui aveva sino allora languito: egli fu un uomo di genio che ha spianato il cammino a tutti coloro che gli sono venuti dopo, e 'l di cui nome risuonerà ne' posteri, quali sian per essere le rivoluzioni della musica. Ma l'entusiasmo dei francesi per la musica di Lulli, che durò oltre a un secolo, è stata la cagione di ritardare presso quella vivace nazione i progressi di quest'arte. Che Lulli sia stato l'eroe della musica francese, dice il dotto Eximeno, non si può certamente dubitare; ma che la musica francese non abbia colpito nel vero scopo della musica, è stato già bastantemente deciso da tutta l'Europa, e dagli stessi francesi, i quali svanito già l'entusiasmo per la musica di Lulli, fanno particolare studio della musica italiana. La musica di Lulli parla più all'orecchio che non al cuore (Lib. 3, c. 3). Il carattere di Lulli [38] era gajo e brioso, egli rallegrava le compagnie con novellette e con de' buoni motti, onde i più alti signori si facevano a gara per ammetterlo alla loro familiarità: conservò sino alla morte il suo brio e la prontezza del suo spirito. Essendo agli estremi ed abbandonato dai medici, venne a visitarlo il cavalier di Lorena. Sì veramente, gli disse allora la moglie di Lulli, voi siete il suo più grande amico, voi che siete stato l'ultimo ad ubbriacarlo, e che siete causa di sua morte. Lulli riprese tosto: Zitto, mia cara, il signor cavaliere è stato l'ultimo ad ubbriacarmi, ed in caso che io ne guarisco, sarà egli il primo a far lo stesso. Egli morì in Parigi li 22 Marzo del 1687, in età di 54 anni: il cel. poeta latino Santeuil fece il suo epitafio.
Luneau de Boisgermain (Pier Giuseppe), nato a Issoudun di una comoda famiglia nel 1752, coltivò ben presto le belle lettere. Le cognizioni, ch'egli si dava premura di acquistare, non si limitavan solo alla sua propria istruzione, ma dirigevansi ancora a rendersi altrui utili. Oltre a più opere di varii generi, Luneau pubblicò per tre anni l'Almanach musical, 1771-1783. Fayolle lo chiama una collezione senza scelta, e senza gusto, come tutte le altre sue compilazioni: non posso giudicarne, perchè non lo conosco. Questo laborioso scrittore morì subitamente a 2 dicembre del 1801.
Lunier (M.), autore di un'opera, cui diè per titolo Dictionnaire des sciences et des arts, t. 3, in 8vo a Paris 1805, egli vi tratta ancora della musica considerata come scienza e come arte, ma i brevi articoli che ne ha fatti sono trascritti dal Dizionario di musica di Mr. Rousseau.
Lupi (Mario), canonico e primicerio della cattedrale di Bergamo sua patria, cameriere d'onore di papa Pio VI, nacque di nobil famiglia nel 1710. Co' suoi studj fatti in Bergamo, e nel collegio [39] Cerasoli a Roma, e colle sue opere si acquistò la riputazione di un uomo profondamente dotto. Morì egli in sua patria li dì 7 novembre del 1789. Vi ha di lui manoscritta una Dissertazione intorno al suono.
Luscinio (Otmaro), in tedesco Rachtigal, canonico di S. Stefano in Strasburgo sua patria, dove in un'estrema vecchiezza morì l'anno 1535. Tra le molte sue opere noi non rammenteremo che quella, che ha per titolo: Musurgia, seu praxis musicæ, a Strasburgo 1536, in 4.º, libro estremamente raro ed ornato di figure incise in legno, che rappresentano ogni sorta di stromenti di musica usati al suo tempo in Francia, ed in Germania.
Lusitano (Vincenzo), professore ed autore di musica viveva in Roma verso la metà del sec. 16º. Egli sostenne contro il Vicentini che l'antica musica de' Greci non comprendeva che il solo genere diatonico. Questa disputa divenne così interessante che divise la maggior parte dei letterati italiani, e si sostenne dai due campioni una spezie di pubblica tesi nella cappella del papa alla presenza del Cardinale di Ferrara, e di tutti gli intendenti nelle scienze armoniche, che allora si trovavano in Roma. Il Vicentini, che difendeva altro non essere stata la musica greca se non una confusione de' nostri tre generi cromatico, diatonico ed enarmonico fu riputato aver il torto in paragone del Lusitano. V. Arteaga t. 1, pag. 226.
Lustig (Giac. Guglielmo), nato in Amburgo, studiò la teoria e la composizion musicale sotto Mattheson, ed esercitossi nello stesso tempo nella pratica di quest'arte sotto la direzione del cel. Telemann, al di cui figlio insegnò egli il cembalo. Frequentava i teatri ed i concerti, ove ebbe occasione di sentire alcuni gran virtuosi, fra' quali Bach, e formarsi così sopra tai modelli. Nel 1734 si rese per alcuni mesi in Londra per sentir ivi [40] in tutta la loro perfezione le opere di Hendel, ed ha sempre di poi soggiornato a Groninga dove occupava il posto di Organista della chiesa di S. Martino sin dall'età di sedici anni, essendovi stato eletto per la morte del padre suo. Lustig dee annoverarsi tra que' puochi maestri che han saputo riunire ad una grande abilità molto gusto, e delle profonde cognizioni, egli viveva ancora nel 1772. Abbiamo di lui molti scritti sulla musica in lingua olandese: I. Introduzione alla conoscenza della musica; II. Grammatica della musica, Amsterdam 1754 2 vol. in 8vo; III. Giornale de' viaggi di musica del d. Burney tradotto dall'inglese. Quest'opera è molto pregevole per le note e le addizioni di Lustig. Egli ha tradotto ancora molte opere dal tedesco in sua lingua, come l'Istruzione di Quanz per il flauto traverso, 1756, Prove dell'organo di Werkmeister, Musico-theologia di Schmidt, Elementi di violino di Woditzka, Nuova istruzione per l'uso del flauto di Mahaut, Lezioni di cembalo di Marpurg. IV. Una collezione molto interessante di notizie intorno a 145 musici di Lustig si trova inserita nel 2º vol. delle lettere critiche di Marpurg, dove vi ha eziandio la sua biografia, scritta da lui medesimo.
Luzaschi (Luzasco), uno de' celebri maestri di musica del sec. 16º che han diritto alla nostra venerazione, per avere intrapreso dopo tanti secoli di barbarie di ridurre a miglior forma quest'arte e scienza. Luzaschi era di Ferrara, e vi ha di lui per la musica pratica Quattro Libri di madrigali a 5 voci, quivi impressi nel 1584. Egli in oltre fu uno degli autori di quel tempo, che tentarono di stabilire l'antico genere enarmonico. Scorrendo io gl'autori del 1500, dice l'ab. Requeno, ne ho trovato uno della corte di Ferrara, il quale volle correggere ed imitare allo stesso tempo il Vicentini, fabricando un gravicembalo co' tre generi [41] d'antica armonia, con cui lo storico dice, ch'esso accompagnò i cantanti di certe composizioni, fatte a bella posta per questo stromento. (Saggi tom. 2, p. 123)
Mably (ab. Gabriele Bonnot de), maggior fratello del cel. abate de Condillac, parente del Cardinale de Tencin, è morto in Parigi nel 1785, egli non era che suddiacono. Vi ha una superba edizione delle di lui opere in 15 vol. in 8vo pubblicata in Parigi dall'ab. Brizard nel 1794, tra queste si trova di Mably rapporto alla musica, Lettres a Mad. la marquise de P. sur l'Opera, la cui prima edizione è del 1741, in 12º.
Mace (Thomas), distinto in Londra fra gli amatori di musica fece quivi imprimere Music's monument ec. cioè Monitore delle migliori opere pratiche di musica che siano sinora comparse in fol. 1676. Nella storia di Hawkins vi ha il di lui ritratto.
Machault (Gugl. de), nato circa 1284, viveva sino al 1369, poeta francese, cameriere del re Filippo il Bello. In un manoscritto delle sue poesie trovansi le note della musica, che erano allora in uso, e di cui fa menzione il Rousseau (art. valeur des notes): vi si trova in oltre una Messa in musica notata a quattro parti, che si crede essersi cantata nel 1364, nella consecrazione di Carlo V, re di Francia. M. Perne ha messo in partitura ed in note moderne questa messa, ch'è molto curiosa ed un monumento atto a far conoscere lo stato dell'arte in quell'epoca.
Macrobio (Ambros. Aurelio), di genere consolare, fiorì a' tempi di Onorio e Teodosio II, nel quinto secolo dell'era cristiana. Egli ha scritto molte cose sulla musica ne' suoi Saturnali e nel Sonno di Scipione. “La musica in questo tempo era tutta diatonica e cromatica; ed il genere enarmonico de' [42] Greci più rinomati fu stimato da Macrobio più che difficile. Chiamò egli il cromatico infame, proprio solamente delle persone, che allettavano al vizio con la delicatezza del canto: lodò solo il diatonico puro estremamente, come particolare dell'armonia de' cieli e dell'universo.” Da questo saggio ben può conoscersi qual guazzabuglio d'idee sulla musica contener doveva la testa di Macrobio. Egli giunge sino a negare il canto stromentale significativo, tanto in uso presso agli antichi musici della Grecia. Il dire le sottili minutezze de' tuoni, de' semituoni, (egli scrive commentando il sogno di Scipione) e quello, che ne' suoni per lettera, per sillaba, e per intiera parola si prende, è da vano ostentatore, e non già da precettore. (V. Requeno tom. 1, cap. 11)
Madin (Arrigo), nativo d'Irlanda era di Verdun: fu maestro di cappella del re in Parigi dopo Lalande, e morì a Versailles nel 1748. L'abbate Madin oltre a più mottetti assai stimati in Francia scritti da lui per la cappella reale, è autore di un Trattato di contrappunto impresso a Parigi nel 1742, che ebbe colà qualche stima, benchè sia questa un'opera men che mediocre, e meritamente oggidì posta in dimenticanza.
Maelzel, primo meccanico dell'imperatore d'Austria, si rese a Parigi nel 1806, per far conoscere al pubblico il Pan-harmonicon, di cui è l'inventore, capo d'opera di meccanica, che offre un concerto di stromenti da fiato, e 'l di cui scopo è di produrre l'effetto di una grand'orchestra. L'artista ha saputo combinare con quest'istromenti i timballi, una gran cassa, un'altra più piccola per la musica turca, i cembali, il triangolo ed alcuni altri nuovi strumenti inventati dall'autore, per surrogarli in qualche maniera a que' di corda. Il Pan-harmonicon eseguisce un numero considerevole di pezzi di musica del genere il più sublime, tra' quali si distinguono [43] l'eco di Cherubini, e varj pezzi di Steibelt, di Mozart, d'Haydn ec. Ciò che sorprende soprattutto nell'esecuzione di tai pezzi, egli è che tutti i chiaro-scuri di forte, di piano, e d'espressione sono marcati con tanto di precisione che di gusto. V. Quatre Saisons du Parnasse 1807 p. 250.
Maelzel (Leonardo), fratello del precedente, abile professore di musica e compositore, dopo sei anni di fatica ha inventato ancora a Vienna un nuovo strumento di musica di una gran perfezione. Seguendo il consiglio di alcuni intendenti, gli ha dato provisoriamente il nome di Armonia di Orfeo a motivo dell'effetto straordinario che produce sugli uditori. Esso ha la forma di una cassa, che posata orizontalmente presenta cinque piedi quadrati di superficie, e tre piedi di profondità. I tasti abbracciano lo spazio di cinque ottave; basta toccarli lievemente per trarre senza verun rumore de' suoni, come di fiato che si prolunga per tutto il tempo, che il dito non abbandona il tasto, e che ad arbitrio possono rinforzarsi, o addolcirsi, esso imita perfettamente la voce umana, ed i suoi suoni non sono meno melodici, che quelli dell'armonica, senza essere così penetranti. I maestri Salieri, Giuseppe Weigl, Gyrowetz, Preindel, Hymmel, e Förster fanno i più grandi elogj di questa singolare invenzione. (V. Registro polit. della Sicilia n. CXXXI, Londra 27 Dicembre 1814 e Journal des decouvert.)
Maggiore (Ciccio o Francesco), napoletano, compositore di brio e di gusto ha scritto delle opere in musica in varie città dell'Europa ch'egli ha percorso. Morì in Olanda circa il 1780; riusciva egregiamente nel render in musica le grida di differenti animali, genere basso e spregevole. I raggiri della cantatrice, 1745, e gli scherzi d'amore, 1762, sono le migliori delle sue opere.
Magir (Giov.), uno de' [44] letterati distinti e de' migliori musici del suo tempo a Brunswick. Nel 1596 egli diè la prima edizione della sua opera a Francfort intitolata, Artis musicæ methodice legibus logicis informatæ libri duo ad totum musices artificium et rationem componendi valde accomodati. Avendola quindi interamente rifusa, la pubblicò nuovamente a Brunswick nel 1611. Egli morì d'apoplesia nel 1631. V. Walther.
Magliard (Pietro), canonico della cattedrale di Tournai, sul principio del sec. 17º pubblicò quivi una dottissima opera in francese, secondo ciò che ne dice il Doni (sopra i tuoni p. 127 242) nella quale stabilisce che i dodici modi, usati oggidì, si differiscono dai tuoni ecclesiastici.
Magrizy (Taguv Ed-Dyne Ahmed al), uno de' più grand'uomini, che come Abulfeda, vantar possa la letteratura Araba. Nacque al Cairo circa 1358 dell'era cristiana, dell'Egira 760. Grande pel suo merito di Scrittore; grande principalmente per le qualità del suo cuore, non che del suo spirito, ricolmo di onori occupò sino alla morte i posti più luminosi, e studiò e scrisse eziandio sino alla morte per ricrear l'animo suo della noja delle grandezze medesime, di cui come vero filosofo ne sentiva il voto. Le sue opere sono innumerabili, e sopra un'infinità di materie, ch'egli tratta con estrema esattezza, con lunghi dettagli, e con eleganza di stile, avvengnachè le ore impiegate da lui allo studio non fossero stati se non de' momenti, che egli rubava alle giornaliere occupazioni de' suoi impieghi. Vi ha tra queste un Trattato di Musica, di cui non possiamo dare alcun saggio, per non conoscerne altro che il titolo. Questo grand'uomo finì di vivere nella sua patria l'anno dell'Egira 845, dell'era comune 1441. (Desland Dict. univ. tom. 19)
Maier (Gius. Bernardo), maestro di cappella a Hall nella Svevia, nel 1732, pubblicò [45] quivi il suo Museum musicum theoretico-practicum, e nel 1747, ne diè una seconda edizione in tedesco col titolo di Gabinetto di musica teorica e pratica; ossia Breve ma compito metodo, per apprendere la musica in pochissimo tempo per mezzo di esempj assai chiari con la spiegazione de' termini tecnici della musica, oggi in uso, sì greci che latini, italiani e francesi. V. Walther.
Mairan (Giov. Giac. d'Ortous de), secretario perpetuo dell'accad. delle scienze sin dal 1741, in cui succedette a M. Fontenelle, e morto in Parigi nel 1771. Nelle memorie di quell'accademia an. 1737 vi ha di Mairan, Discours sur la propagation du son dans les différens tons qui le modifient. Egli è diviso in sei parti: 1. sulla differenza delle particelle dell'aria tra loro; 2. sull'analogia del suono e de' diversi tuoni con la luce e i colori in generale; 3. sull'analogia particolare de' tuoni e de' colori prismatici; 4. in che l'analogia del suono e della luce, de' tuoni e de' colori, della musica e della pittura è imperfetta o nulla; 5. sull'analogia di propagazione tra' suoni e le onde, per rapporto all'esperienza, di cui si è fatta menzione nel nono articolo del Discorso; 6. sulla maniera con cui le vibrazioni dell'aria si comunicano all'organo immediato dell'udito. Rousseau dice che l'ipotesi di M. da Mairan per ispiegare, come il suono d'una corda venga sempre accompagnato da' suoi armonici, è la più ingegnosa tra quelle che eransi sino allora immaginate, e la più filosofica (art. Son); benchè dica un pò dopo, che sembri piuttosto che il suo autore abbia così allontanata la difficoltà anzichè risolverla: l'ipotesi del Mairan, dice l'ab. Andres, non è stata abbracciata da molti fisici, e molto s'assomiglia al sistema del Newton. Dell'Acustica t. 4.
Majo (Francesco de), cui i Napoletani danno il nome di Ciccio di Majo. “Scrittore [46] pieno di melodia e di naturalezza: in pochi anni che visse, ebbe la stessa sorte del Pergolesi, cui non restò inferiore nell'invenzione e nella novità” (Arteaga tom. 2. p. 326). Egli era figliuolo di Giuseppe di Majo, maestro della real cappella di Napoli dopo Durante, posto, secondo il Mattei, ch'egli non con egual decoro sostenne. Ciccio di Majo cominciò assai giovane a scrivere per teatro e per chiesa; la semplicità del suo canto, la nitidezza della di lui armonia, la sua maniera facile, naturale, piacevole gli acquistarono tosto gran nome in tutta l'Italia. Le sue carte sono piene d'estro e d'espressione, ed egli sarebbe stato uno de' primi, se non fosse morto sul fior dell'età. (Matt. elog. di Jommel.). Quest'amabile compositore finì di vivere in Roma circa 1774, all'età di 27 anni. Egli ha messo in musica più drammi del Metastasio, come l'Artaserse, l'Ipermestra, il Catone, l'Antigono, la Didone; e l'Alessandro nell'Indie l'ultimo anno di sua vita: per chiesa messe, salmi per i vesperi e salve, che non lascian tuttora di dar piacere agl'intendenti.
Maisseder, giovane compositore tedesco, di cui così dice il Carpani (Let. 15): “Il Maisseder promette molto; ma il suo genio è all'aurora. Giungerà egli al merigio? Ciò dipende da tanti accidenti.” Le sue carte, per quanto io sappia, non sono ancora giunte sino a noi.
Malcolm (Alessandro) pubblicò nel 1721 ad Edimburgo un'opera, cui diè per titolo: A Treatise of music ec. cioè: Trattato di musica specolativa, pratica ed istorica, nella quale non dà a divedere gran conoscenza dell'antichità nel dubitar ch'egli fa, se gli antichi avessero una musica unicamente composta per gli stromenti: cita frattanto le sinaulie de' greci, di cui parla Ateneo, che altro non erano se non se una musica vocale, ossia parlante eseguita dai soli instromenti. Rousseau critica come mancante di giustezza [47] la divisione ch'egli dà della scala de' tuoni (art. Echelle).
Mancini (Giov. Batt.), uno de' più famosi allievi del Bernacchi in Bologna, si è anche distinto fra i letterati pel suo bel libro intitolato: Pensieri e Riflessioni pratiche sopra il canto figurato (Arteaga t. 2) in 4º, Vienna 1774. Ell'è questa un'opera eminentemente classica: l'autore dà primieramente alcune notizie sulle diverse scuole dell'Italia, e i celebri musici che ne sono usciti dopo la fine del secolo 17º. Dà quindi delle regole sull'arte del canto: spiega cosa sia cadenza, trillo, mordente, appoggiatura, abbellimento del canto, ch'egli divide in semplice e in doppio ossia groppetto: dinota i difetti della voce, e i mezzi di correggerla: fa parte a' lettori delle sue osservazioni sull'intonazione, sulla miglior posizione della bocca, sulla maniera di portare ed appoggiar la voce: e finisce col trattar del recitativo e dell'azione teatrale. Di quest'opera si sono fatte tre edizioni in Italia, e due traduzioni in francese da MM. Désaugier e Rayneval in 8vo 1776 e 1796: Hiller cita con elogio un Magnificat a otto voci composto dal Mancini.
Manfredi, figlio naturale di Federico II, coronato in Palermo re di Sicilia e duca di Puglia l'anno 1258, principe saggio, prode, e grande, fu al pari del padre suo coltivatore delle scienze e favoreggiator de' letterati. Matt. Spinelli ci dice che in Barletta nel 1258, soleva questo principe gir di notte pigliando il fresco, e cantando strambotti e canzone con due musici siciliani gran romanzatori: e secondo Giovanni Villani, si dilettava molto di cantare e sonare egli stesso. Fu sempre perseguitato dai papi, e morì l'anno 1265 in età di 30 anni nella rotta ricevuta presso Ceperano per tradimento de' Pugliesi subornati da Carlo d'Angiò e da' Guelfi, di cui fa menzione il Dante. (Infern. Cant. 28) V. Signorelli, Vicende ec. t. 2. [48]
Manfredini (Vincenzo) da Pistoja in Toscana, fu, come dice egli stesso, allievo in Bologna per la composizione de' due celebri maestri Perti, e Fioroni; cercando di far quindi miglior fortuna che in Italia, portossi a Pietroburgo con una compagnia di musici italiani, ed avendo colà scritto da prima la musica de' balli per servir d'intermedio ad un'opera di Galuppi, e poi anche la musica di alcuni drammi del Metastasio per quel teatro, ebbe grandissimo incontro, e divenne tosto maestro per il cembalo del gran Duca delle Russie, che fu poi l'imperatore Paolo I. Scrisse allora pel suo allievo sei sonate, e non ostante la critica che ne fu fatta in Amburgo (dans les amusemens etc.) presentate avendole all'Imperatrice, ne ebbe mille rubbli in dono, e furono impresse a Pietroburgo nel 1766. Scrisse ancora quivi più opere pel teatro, ma non vi ha di queste impresse fuorchè sei arie e un duetto dell'Olimpiade, a Norimberga 1765. Tornò egli finalmente in Bologna assai ricco nel 1769, ma egli impiegò allora il suo ozio nello scriver piuttosto sulla teoria, anzichè nella pratica della sua arte. Diè infatti al pubblico nel 1775, Regole armoniche, o sieno Precetti ragionati per apprender la musica: di cui ve n'ha una seconda edizione, dedicata come la prima a Paolo I, più corretta ed accresciuta, in 8vo Venezia 1797, con 20 rami. Benchè l'Arteaga chiami quest'opera libro frivolo, che altro non contiene fuorchè delle nozioni elementari e triviali, (t. 3, p. 351), vi si trovano tuttavolta de' buoni precetti, delle ottime osservazioni appoggiate, e sostenute da savie ragioni, e da una ben fondata esperienza. Se non è ella, come a norma di ciò che promette il titolo, esser non dee, un'opera di letteratura, è non per tanto un buon libro elementare, scritto con chiarezza, con precisione, con giudizio, e non vi ha nè più nè meno di quel che abbisogna [49] per guidar lo studente ne' buoni principj dell'arte. Nella prima parte l'A. dà i principj generali della musica: nella seconda tratta degli accordi, della loro origine, de' loro rivolti, e dà un buono e facil metodo d'accompagnamento; nella terza parte espone i precetti e gli esempj più opportuni per lo studio del canto, e nella quarta finalmente le regole più essenziali del contrappunto con prevenire i suoi lettori contro gli errori e i pregiudizj sì degli antichi che de' moderni. Così non lascia egli di confutare nell'ultimo capitolo Rameau, e 'l suo comentatore d'Alembert (p. 139), Tartini, e Rousseau (p. 141, 143) intorno al basso fondamentale della scala diatonica da loro proposto; e lo stesso P. Martini, allorchè pretende che il canto fermo debba servir di base al contrappunto; il che è stato, egli dice, un male notabile e dannoso non poco all'avanzamento dell'arte (p. 2, 161). Manfredini fu quindi associato alla compilazione del Giornale Enciclopedico di Bologna per la parte della musica, e nel 1787, avendo egli impugnato l'opera delle Rivoluzioni del teatro musicale italiano dell'ab. Arteaga in un Estratto assai mal digerito, si trasse addosso da quel valentuomo una disgustosa critica, che alla fine del terzo volume di quell'opera fece costui imprimere col titolo di Osservazioni ec. In queste passo passo andando dietro al suo censore ne rileva a ragione la poca logica, il guazzabuglio delle idee, l'incoerenza del raziocinio, e la scarsa dose di cognizioni musicali in ciò che spetta la parte filosofica, storica, e critica della musica, mercè la di lui baldanza nel voler trattare di una materia non sua. Ecco il discapito che ne avvien sempre a coloro, che si accingono di entrare in lizza con più robusti campioni senza misurar pria le forze loro. Il Manfredini pretese sìbbene di rispondervi con la Difesa della musica moderna e de' suoi celebri esecutori, [50] Bologna 1788, in 8vo, ma il suo antagonista non curollo affatto. Nelle Regole Armoniche prometteva l'autore di pubblicare in oltre un Saggio di musica (p. 177, 185) ma ne lo impedì forse la sua avanzata età, o la sua morte.
Manna (Gennaro), compositore napoletano assai distinto, specialmente per la sua musica di chiesa, era nipote del maestro Sarri. Dopo di avere scritto nel 1751 la Didone in Venezia, nel 1753, il Siroe, ed altri drammi per alcuni teatri d'Italia, ritirossi in Napoli, ove compose tutta la musica de' Salmi e delle Messe per le gran cerimonie della chiesa, e quivi morì verso il 1788. Il suo stile è molto adattato a questo genere, grave, maestoso, divoto, e quando le parole esiggono un andamento allegro, egli sa farlo ben distinguere dall'allegro profano e teatrale: in somma la sua musica per chiesa è tale, qual saggiamente viene prescritto dal gran Benedetto XIV, cioè che il canto sia del tutto differente da quell'usato ne' teatri ed acciò le parole vi si possano sentire, non venga oppresso ed ingombro dal fracasso de' stromenti.
Marcello (Benedetto), patrizio veneto e d'una famiglia che molto amava la musica, nacque nel 1686. Alle felici disposizioni che sortì dalla natura unì egli l'assiduità allo studio, e 'l continuo esercizio di quest'arte in seno ad un'accademia, che si teneva nel Casino dei nobili. La cappella di S. Marco era allora in gran lustro per il numero e la scelta de' cantanti e de' compositori, di cui era provveduta. Alla loro testa trovavasi il cel. Francesco Gasparini. Fu costui uno de' maestri che consultò Marcello, e per cui concepì egli la maggior venerazione e fiducia: ebbe per lui in tutto il corso di sua vita una singolar deferenza, e mai lasciò di sommettere al suo esame ed alla sua critica le opere sue. Oltre la pratica, Marcello coltivò la teoria [51] della musica; in età di poco più di vent'anni scrisse egli un Trattato di composizione, che l'annunziava un uomo istruito nella sua arte, e viene assicurato da chi l'ha avuto per le mani, rimasto essendo per disavventura manoscritto, che quest'opera figurerebbe con vantaggio tra quelle che trattano della scienza della composizione. Egli formò alcuni allievi; e fu il primo maestro della cel. Faustina Bordoni, poi moglie del Sassone. Malgrado le sue occupazioni letterarie, e musicali, non trascurò quelle del suo stato: secondo l'uso de' patrizj veneti esercitò ancora la professione di avvocato, e diverse magistrature nella sua patria: per lo spazio di 40 anni fu membro del consiglio dei quaranta, e nel 1738 fu mandato in Brescia in qualità di camerlengo; ma potè godere appena degli onori del nuovo posto, poichè la morte giunse ben tosto a rapirlo alle arti e alla patria. Egli finì quivi i suoi giorni nel 1739 in età di 53 anni. Dal suo matrimonio con Rosetta Scalfi, una delle sue discepole di bassa condizione, ch'egli aveva nascostamente sposata, non lasciò figliuoli. Marcello è uno de' più belli genj che onorato abbiano non che la scuola veneziana, ma quella di tutta l'Italia e l'arte in generale: fu in uno stesso tempo scrittore eloquente, distinto poeta e compositor sublime. “Genio fra i più grandi, dice l'ab. Arteaga, che abbia nel nostro secolo posseduti l'Italia, e che nella sua immortale composizione de' Salmi gareggia col Palestrina se non lo supera. Quest'uomo eccellentissimo, che alla gravità dell'antica musica ha saputo unir così bene le grazie della moderna, compose ancora una saporitissima critica intitolata il Teatro alla moda senza nome, senza data, ove colla licenza che permette la maschera, schiera ad uno ad uno con festiva ironia tutt'i difetti, che dominavano al suo tempo in sulle scene.” (t. 2.) La musica de' Salmi [52] del Marcello è stata pubblicata sotto il titolo di Estro Poetico-Armonico, Parafrasi sopra i 50 primi Salmi, poesia di Girol. Ascanio Giustiniani, musica di Ben. Marcello, patrizj veneti, Venezia 1724, e 1726. Verso la medietà del secolo 18º se ne fece una nuova edizione in Inghilterra, con una traduzione inglese. Nel 1803, Sebastiano Valle, stampatore in Venezia, ne ha data una bella edizione in 8 volumi in fol. in fronte della quale si trova il ritratto dell'autore, la di lui vita scritta dal Fontana, il catalogo delle di lui opere impresse, e manoscritte, e gli elogj a lui dati da varj scrittori. Da che quest'opera incomparabile vide la luce, eccitò l'universale ammirazione. Nulla erasi ancor visto di uguale per l'ardita e vigorosa maniera d'esprimere, per la grandiosità e regolarità del disegno: ella pose il suo autore nel primo rango de' compositori, e la posterità ha confermato il giudizio, che ne recarono allora i contemporanei. “Nulla rassomiglia, dice M. Suard, all'entusiasmo che regna nelle sue composizioni. Egli fa passar nella sua musica l'energia de' pensieri orientali; egli è il Pindaro de' musici come ne è ancora il Michelangelo.” Il Principe di Conca in una lettera al P. Sacchi così si esprime: “Avete avuta somma ragione, M. R. P., d'introdurre nel vostro collegio l'esercizio de' Salmi del Marcello; è costui il primo degli autori, che ha un merito tutto suo proprio, cioè che tutti gli altri maestri, quei medesimi che in alcuna parte dell'arte avrebbero potuto superarlo, tutti hanno una certa maniera a cui si riconosce il loro stile per un certo andamento di modulazione che han tenuto in tutti quasi i soggetti. Marcello più che ogni altro fornito di genio, non ha seguito se non quello dettatogli dall'entusiasmo: guidato dalla più profonda scienza si è reso di tutti il più energico per la sua espressione.” Nella sua prefazione [53] a' Salmi vi si trovano delle dotte osservazioni sull'impiego del contrappunto: per le altre di lui composizioni di un genere differente, come Cantate, ed alcuni pezzi ghiribizzosi e ridicoli può leggersi il Carpani nelle lettere settima e decima, ove a lungo ne ragiona. Angelo Fabroni, nel tomo IX della sua Biografia de' cel. letterati d'Italia ha scritto lungamente la vita del Marcello, che quindi tradotta nell'italiano ed accresciuta dal P. Sacchi comparve in Venezia nel 1788.
Marchesini (Luigi), il più celebre de' cantanti ed eunuchi d'Italia sul finire del p. p. secolo, nacque in Milano circa 1755. Egli aveva appreso sin da ragazzo a suonare il corno di caccia e i principj della musica da suo padre sonatore di quest'istromento in quella città: ma come mostrava delle gran disposizioni per il canto, alcuni intendenti gli consigliarono di coltivarle, per il che fuggito dalla sua casa, portossi a Bergamo e quivi di nascosto fecesi eunuco. Si pose quindi sotto la direzione di Fioroni, del soprano Caironi e del tenore Albuzzi, e nel 1775, racconta Burney di averlo inteso in una chiesa di Milano, benchè assicuri di non aver in lui trovato de' talenti straordinarj. Ma dopo due anni fecesi nel suo canto un notabile cambiamento, egli cantò da prima donna in luogo della Ristorini moglie del maestro Gazzaniga, quindi da prim'uomo in Firenze nel Castore e Polluce di Bianchi, e nell'Achille in Sciro di Sarti. Il rondò Mia speranza, io pur vorrei di quest'opera assicurò per sempre la sua riputazione. Nel 1780, cantò in Milano nell'Armida di Misliwechek, ma la più parte di questa musica non essendo incontrata nel pubblico, Marchesini vi sostituì quel rondò di Sarti, che tanto successo avevagli procurato in Firenze, ed un'arietta di Bianchi Se piangi e peni. Questi due pezzi uniti ad un'aria di bravura di Misliwechek nella quale sorpassò se medesimo, [54] portarono al più alto grado l'ammirazione de' Milanesi. L'accademia, per dimostrargli la sua soddisfazione, fè battere in suo onore una medaglia d'argento: in Pisa fu impressa in rame la sua effigie, e tutto il mondo provossi ad imitare l'arte o la magia, ch'egli aveva saputo adoperare in que' pezzi. Nel 1782, il re di Sardegna lo chiamò in Torino, per cantar nel teatro durante il soggiorno del gran-duca delle Russie, coll'onorario di mille ducati. Il gran-duca rimase così incantato della sua voce, che gli offrì cinque mila ducati, se voleva venire in Moscovia. Cantò allora anche in un concerto alla corte il suo favorito rondò con tale artificio, che il re mostrogli il suo gran piacere con battergli la spalla e l'indomani nominollo suo musico di corte, col trattamento di 1172 ducati, e 'l permesso di viaggiare per nove mesi dell'anno. Nel carnovale del 1783 cantò in Roma con mille ducati d'appuntamento, quindi in Lucca e in Firenze. Nel 1785 fè sentirsi in Vienna, alla corte dell'imperatore, e vi fu generalmente ammirato: questo principe fè pagargli la somma di 600 ducati per sei rappresentazioni. L'anno d'appresso, trovossi con Sarti e la Todi in Pietroburgo, ove rappresentossi l'Armida di quel maestro. I regali, che questi tre virtuosi ebbero allora, si valutarono a 15 mila rubbli. Marchesini ebbe in oltre una scatola d'oro. Nel 1787 cantò in Berlino, e l'anno dopo in Londra, e nel 1790 era già di ritorno in Italia. Egli si è stabilito in Milano, ove gode della stima generale.
Marchetto da Padova, celebre commentator di Francone, ed il primo fra gli autori che abbia trattato de' generi cromatico ed enarmonico; abbiamo in oltre di lui Lucidarium in arte musicæ planæ, inchoatum Cesenæ, perfectum Veronæ an. 1274; e Pomarium in arte musicæ mensuratæ, dedicato a Roberto re di Napoli, e non [55] a Carlo re di Sicilia circa 1283, come pretende il D. Burney. Noi crediamo rapportarcene piuttosto all'ab. Gerbert, a cui deesi la pubblicazione di queste due opere di Marchetto, ritratte dalla Bibliot. del Vaticano (V. Script. Eccles. de music. t. III). Son questi i più antichi trattati, dove si faccia menzione de' diesis, di contrappunto cromatico e di dissonanze. Tra le combinazioni armoniche proposte dal Marchetto, molte sono anche in uso oggidì, altre si sono abolite.
Marcou (Pietro), professore di musica attualmente a Bourges, nel 1804 pubblicò in Parigi, Manuel du jeune musicien, ou élémens théoriques-pratiques de musique, nuova edizione accresciuta di un saggio storico sulla musica in generale.
Marenzio (Luca), cel. compositore di Madrigali, di mottetti e di musica di chiesa nel sec. 17º, era maestro della cappella Sistina in Roma, dove diligentemente conservansi tutte le sue opere. Walther rapporta il catalogo delle medesime.
Marescalchi (Luigi), mercante di musica in Napoli, e compositore, studiò il contrappunto sotto il P. Martini a Bologna, la sua musica sì vocale che strumentale è stata in qualche pregio. Nel 1780 trovandosi in Firenze compose il ballo di Meleagro per il nuovo teatro, che si apriva allora. Nel 1784 diè in Piacenza la musica dei Disertori felici, che ebbe molto incontro. Vi sono anche di lui impressi a Parigi 4 quartetti di Violini, violoncello e basso, e in Venezia il Duetto Sventurato a chi fin'ora ec. Deesi avvertire che per una soverchieria da mercante di musica, cioè dell'autore medesimo, l'opera VII di Boccherini, consistente di trio per 2 viol. e basso impresso, effettivamente è di Marescalchi; la vera op. VII di Boccherini è composta di 6 sonate di violino.
Maret (Hugues), professore di medicina, e secretario perpetuo dell'accademia [56] di Dijon, nel 1766 pubblicò un Eloge historique de Rameau, in 8vo, pieno di dettagli interessanti sulla musica.
Mariani, “dottissimo maestro di cappella del Duomo di Savona verso il 1782, aveva travagliato ad un'opera classica sulla melodia, in cui cercava di fissare i generi diversi della medesima. Assegnava egli le regole per formare de' bei canti in ognuno dei detti generi; accennava i confini dell'espressione musicale, opera importantissima, e che finora manca alla scienza musica; ma disgraziatamente per l'arte egli finì i suoi giorni prima di averla compita. Gli scritti suoi andarono nelle mani del celebre Padre Sacchi, tolto ancor esso anni sono alle muse ed ai vivi, e di quell'opera non se ne sa più nulla.” (Carpani lett. 9).
Marie de Saint-Ursin (P. J.), medico in Parigi, e compilatore della Gazette de Santé, nel 1803 pubblicò quivi Traité des effets de la musique sur le corps humain, tradotto dal latino.
Marin (Fran. Claudio), di Provenza, compì i suoi studj in Parigi ove fu avvocato nel parlamento, censore reale e secretario della libreria, membro di più accademie. Nato con un carattere di facilità e di gusto per le belle arti, egli fu uno degli autori della guerra musicale dal 1750 sino al 1760, e diè al pubblico degli opuscoli assai lepidi e piacevoli, tra questi vien ricercato con ispezialità quello che ha per titolo: Lettres à mad. Folio, in 8vo, Paris 1752. Marin cessò di vivere in Parigi nel 1809, in età di anni 88, colla riputazione di un uomo di spirito.
Marin (Martino), visconte, della famiglia de' Marini che ha dati più dogi alla rep. di Genova, e stabilita in Francia dopo il 1402, figlio di Marcello di Marini amatore anch'egli, e compositore di musica, e da cui egli apprese sin dall'età di quattr'anni la musica, e 'l piano-forte. Nardini gli diè lezioni di violino, e questo [57] gran maestro si compiaceva di dire, ch'era il migliore suo allievo. Hosbruker fu il suo maestro per l'arpa, e dopo 30 lezioni, l'istinto ch'egli ebbe di operare una rivoluzione su questo stromento, il persuase a non voler più altro maestro fuorchè se stesso. De Marin può aver de' rivali per il violino, ma viene generalmente riconosciuto che non ne ha per l'arpa. Nel 1783 fu ricevuto e coronato nell'Accademia degli Arcadi in Roma: egli v'improvvisò sull'arpa, e vi eseguì alcuni soggetti di fuga che gli vennero dati, e d'una maniera sino allora incognita su quell'istromento. Vi eseguì ancora a primo colpo d'occhio delle partiture di Jommelli, e delle fughe di Seb. Bach, e fece allora sull'arpa, ciò che appena può farsi sul forte-piano. Egli fu il soggetto di tutt'i versi italiani, che furono improvvisati in quella sessione; e la celebre Corilla, che vi era presente, fece all'improvviso un poema in suo onore. Al suo ritorno d'Italia egli non aveva più di 15 anni, e cominciò la sua educazione militare a Versailles, dopo due anni ne sortì capitano de' dragoni, ed ottenne il permesso di continuare i suoi viaggi; ma la rivoluzione che sopraggiunse lo fè mettere nella lista degli emigrati. Dopo aver brigato inutilmente il suo ritorno, passò in Inghilterra, dove ebbe il più gran successo. Il celebre Delille ha lodato co' suoi versi non che la sua abilità nella musica e sull'arpa, ma il suo patriotismo ancora e le amabili qualità del suo spirito. Vi sono di lui impresse sì a Londra, che a Parigi 24 opere per l'arpa, fra le quali una sonata a 4 mani, la prima che siasi fatta per quest'istromento. Egli lo fa cantare come una voce, quando suona, tanti sono belli, puri e sostenuti i suoni che sa trarne; appena fa egli scorgere che fa uso de' pedali: l'agita tutti senza sforzo, senza romore, e ne ottiene degli effetti nuovi, incredibili, e tutte le ricchezze delle transizioni armoniche. [58] In fronte dell'op. 16 egli ha posta una tavola enarmonica per la cognizione de' pedali, molto utile a' progressi dell'arte, e per apprendere a modulare sullo stesso stromento. Il cel. Clementi fa tale stima della musica di M. Marin, che l'ha fatta imprimere in Londra.
Marinelli (Gaetano), compositore napoletano; o come altri vogliono, siciliano stabilito da fanciullo in Napoli, dove fece nel conservatorio i suoi studj di musica. Egli ha scritto per più teatri d'Italia con buon successo, e con ispezialità il suo Oratorio il Baldassare in Napoli sul principio del corrente secolo, d'una espressione inavanzabile, e d'una musica ben adatta al soggetto. Nel magazino di Ricordi in Milano vi ha di lui impressa la musica di alcune opere buffe: il Trionfo d'amore; il Letterato alla moda, e la Rocchetta in equivoco, farsa.
Marmontel (Giov. Fran.), dell'accademia francese, di cui ne fu il secretario perpetuo sino all'anno della rivoluzione 1789, nel corso della quale ritirossi in una casa di campagna alcune leghe distante da Parigi, dove la sua anima onesta e dolce, gemè lungo tempo dei mali, di cui fu testimone; passò quindi ad Aboville, dove comprò una specie di capanna, e viveva da solitario, povero e nell'oblio, in compagnia dell'amabile e sensibile sua moglie nipote dell'ab. Morellet. Quivi finì i suoi giorni nel 1798 in età di 79 anni. Egli ebbe gran parte nella guerra musicale tra i fautori di Gluck e di Piccini, e dichiarossi per quest'ultimo. In questa guerra di spirito, Marmontel fu esposto a de' libelli satirici, e agli epigrammi i più velenosi e grossolani, senza avere avuto altro torto che di manifestare il suo sentimento con moderazione, e di avere migliorato la poesia lirica e drammatica per servire alla musica di Piccini: così il saggio M. Turgot diceva in quell'incontro: capisco [59] benissimo che si ami la musica di Gluck, ma parmi difficile l'amare i Gluckisti. Nel 1777 Marmontel diè al pubblico: Essai sur les révolutions de la musique en France, in 8vo. Gli ammiratori passionati della musica di Gluck sostenevano, che ella sola conveniva alla poesia drammatica e al teatro; l'A. s'innalza contro questa opinione, e sostiene che non può sbandirsi dalla scena lirica la musica delle arie de' Piccini, de' Sacchini, de' Traetta: pruova che la nazione francese ha passato sempre di entusiasmo in entusiasmo, da Lulli a Rameau, da Rameau a Gretry, da Gretry a Gluck: conclude che bisogna ammettere sul teatro lirico francese il canto italiano, il solo che gli sembri veramente musicale, mentre che gl'italiani dal canto loro, lasciar dovrebbero da parte le loro triviali rapsodie senza interesse, e senza buon senso nelle parole, per adottare il sistema drammatico de' Francesi più giudizioso e più severo. Questo saggio gli trasse addosso alcune critiche di M. Suard, e gli epigrammi dell'ab. Arnaud. Marmontel per vendicarsene compose il suo Poème de la Musique, che a giudizio degli intendenti è la miglior cosa, ch'egli abbia scritto in versi: trovasi questo poema nella collezione delle di lui opere del 1806 in 31 vol., in 8vo.
Marotta (Erasmo), di Randazzo in Sicilia, celebre contrappuntista del sec. 16º, di cui abbiamo i madrigali pubblicati nel 1603, fu il primo o uno de' primi che faticasse sopra l'opera in musica, adornando di sue note l'Aminta del Tasso. È da credersi, che probabilmente fosse scritta verso la fine del sullodato secolo, giacchè egli poi si diede ad una vita più divota, ed entrò già prete fra' gesuiti nel 1612, in età matura come scrive il Mongitori. Non so perdonare a' Siciliani, dice a ragione il Sig. Sav. Mattei, di avere trascurato questo bel monumento (cioè di non aver conservata la musica [60] di Marotta su quel dramma) che ci addita evidentemente, che siccome dobbiamo la pastoral poesia al Siciliano Teocrito, così dobbiamo la musica pastorale, al Siciliano Marotta (Elog. di Jommel.). Di lui scrive eziandio con lode l'Arteaga nel 1º tomo delle Rivoluzioni p. 211, e il Bettinelli nel Risorgimento al cap. Feste e Spettacoli, p. 245.
Marpurg (Feder. Gug.), consigliere del re di Prussia, ha reso molti importanti servigj colle sue opere alla didattica e alla teoria della musica. Verso il 1746, egli fece qualche dimora in Parigi e quivi contrasse delle familiarità con varii letterati e co' migliori professori di quest'arte; da' cui lumi trasse non poco profitto. Io riguardo il tempo che vi ho passato, dice egli stesso, come il più fortunato periodo di mia vita; e se sono riuscito a coltivare le Muse con qualche successo io ne devo una gran parte a quel tempo (Dedic. a l'ab. de Cerceaux). Tornato in Berlino, diessi interamente alla composizione delle sue opere, di cui dal 1749 sino al 1763 ne pubblicò una considerevole quantità sia didattiche, sia critiche, sia polemiche. Intorno alla teoria del basso fondamentale non lo adottò egli che in parte, e come un metodo di classificare gli accordi. L'arte il perdette assai presto nel 1764 in età di circa 43 anni, allorchè trovavasi occupato a dar l'ultima mano alla sua storia della musica. Marpurg è senza dubbio il più pregevole scrittore didattico che abbia prodotto la Germania, e che possedeva in generale l'arte della musica. Ad una profonda cognizione de' principj unisce egli uno squisito giudizio ed un ottimo gusto. Fra le sue opere due ve n'ha soprattutto, che meritano una particolare attenzione: 1. il suo Manuale d'armonia e di composizione in tedesco 1756 in 4.º è un trattato compito a cui quasi nulla manca, e generalmente assai metodico e ben chiaro: dir si potrebbe l'Euclide musicale; 2. Trattato della fuga e del contrappunto, [61] il più compito e 'l migliore che si sia pubblicato sulle fughe, i contrappunti artificiosi ed i canoni, secondo i principj e l'esempio de' migliori maestri tedeschi e d'altre nazioni, con 68 rami, 1753, in 4º. Quest'opera fu tradotta in francese in 2 vol. in 4.º Berlino 1756, vi si trova una breve storia del contrappunto e la notizia de' più dotti contrappuntisti. Io l'ho avuta per le mani: e mi è sembrata eccellente per il fondo; ma vi sarebbe a desiderare un miglior ordine: la distribuzione delle materie non può essere più cattiva, e questo ne rende molto difficile l'intelligenza. Abbiamo in oltre di lui scritte in tedesco le seguenti opere: Il musico critico, 1749; L'arte di sonar di cembalo, e sul basso continuo, 2 vol. in 4.º 1750-1755. Quest'opera è stata tradotta in francese, e ve ne ha una terza edizione del 1760; Nuovo metodo di sonare il cembalo conforme al miglior gusto moderno, con 18 rami, 1755 in 4.º; Memorie storiche e critiche per servire a' progressi della musica, 5 vol. in 8vo dal 1754 sino al 1762; Elementi di musica teorica, 1757 in 4.º; Introduzione sistematica all'arte della composizione secondo i principj di M. Rameau, non è che la traduzione dal francese degli Elementi di d'Alembert con alcune note, 1758 in 4.º; Introduzione all'arte del canto, 1759 in 4.º; Lettere critiche sulla musica, 3 volumi, 1763. Opera eccellente, piena delle più interessanti materie, in cui si trovano molte dissertazioni di altri gran maestri, come Agricola, Kirnberger ec.; Introduzione critica all'istoria ed ai principj della musica antica e moderna, 1756 in 4.º; Introduzione alla musica in generale, ed in particolare all'arte del canto, 1763 in 8vo; Istruzione sul basso continuo, e l'arte della composizione di Sorge, con note di Marpurg, 1760 in 4.º; Saggio sul temperamento in musica, con una Dissertazione sul basso fondamentale di Rameau e di Kirnberger, Breslavia 1776, [62] in 8vo: “La migliore opera sul temperamento, che io conosca, dice M. Chladni, (Acustic. p. 40), e di cui ho adottate alcune idee, si è il Saggio di Marpurg.” Alla fine di questo Saggio annunzia egli un'opera periodica col titolo di Archivj di musica, ma non ne comparve nulla. Il suo ritratto si ritrova in sul frontispicio dell'Introduzione critica ec. del 1756. Si ha ancora di Marpurg molta musica sì vocale che strumentale impressa in Berlino.
Marquet (Franc. Nicolò), cel. botanico, e medico di Nancy sua patria, scrisse un ghiribizzoso trattato col titolo di Nouvelle méthode facile et curieuse pour connoître le pouls par les notes de la musique, Paris 1769, 2 edit. in 12º. Egli morì nel 1759.
Marsh (Narcisso), nato a Hennington d'un'antica famiglia nel 1638, fu prima Vescovo di Dublino e nel 1703, arcivescovo d'Armagh e primate dell'Irlanda; morì di 75 anni, nel 1713. Egli era uomo dottissimo, ed autore di molte opere, di cui non citeremo che il suo Saggio sulla dottrina de' suoni, Dublino 1683, che si trova ancora nelle Transazioni filosofiche.
Marsia, figlio di Janide, rinomato musico dell'antichità, fu l'inventore delle doppie tibie, unendo due flauti grande e piccolo, e facendoli sonare in diverso tuono al tempo stesso; nella quale invenzione era necessario si servisse delle misure della corda armonica trovate da suo padre. L'accompagnamento de' gravi cogli acuti suoni rese più dilettevole il canto; e così l'arte di parlare co' flauti s'ingentilì. Piacque all'estremo il ritrovato alla greca nazione, ed il plauso che si fece a Marsia, suscitò l'invidia de' suonatori e cantori, per cui fecero essi ingegnose satire, onde levargli la gloria d'inventore ed avvilirlo. Spogliando delle favole, con cui cercaron gl'invidi di oscurare la sua memoria, si conchiude esser egli stato un [63] celebre suonatore, il quale, benchè oppresso dalla malignità de' rivali, fece mentre che potè l'ufficio di buon cittadino, educando nell'arte musica in allora bambina i giovani imparziali, che lo coltivarono. “Molti de' miei leggitori poco avvezzi all'esame dell'antichità, dice il dotto ab. Requeno, da cui si è tratto quest'articolo, contenti d'uno studio superficiale, crederanno essere favoloso il nome di Marsia, di Olimpo di lui principale discepolo, e quanto di essi io ho detto, a' quali altro non risponderò, che quello che dice Platone (Dial. min. 318), che conservavansi cioè all'età sua le cantilene dello scolaro di Marsia, Olimpo, e che i suoi canti tibiali struggevano i cuori. Vedano i critici seguaci di certi superficiali francesi, se le arti ed i professori descritti da Omero sieno invenzioni di quel poeta, e se debbano riputarsi romanzesche le memorie storiche de' cantori cavate da questo scrittore, e rischiarate con l'autorità de' posteriori autori.” (t. 1, p. 45.)
Martignoni (Ignazio) era ancor giovane quando pubblicò in Milano nel 1783, le sue Opere varie in 8vo. Contengono queste alcuni bei Saggi sulla poesia, sulla musica, e sul disegno. “In essi (dicesi nel Giorn. de' letter. in Modena) egli si mostra scrittore ingegnoso, erudito, elegante, e il filosofo non meno che l'uomo sensibile in essi trova di che pascersi ed istruirsi”.
Martin (Vincenzo), detto lo Spagnuolo, maestro di cappella del principe delle Austrie verso il 1785, nacque in Valenza nella Spagna l'anno 1754. Vien egli con ragione riguardato come uno de' migliori, e de' più graziosi compositori di musica drammatica. Le sue opere sono l'Ifigenia, l'Ipermestra, il Barbaro di buon cuore, 1784, La cosa rara, 1786. Dopo quest'anno sino al 1790, dimorò egli in Vienna, e per ordine del re di Prussia, vi scrisse un'opera per il teatro di Berlino. Il [64] suo Albero di Diana composto in Vienna nel 1787, e la Cosa rara sonosi rappresentate in Palermo nel R. teatro di S. Cecilia con estremo successo. Nel magazino di musica di Ricordi in Milano vi ha di lui impressa la Capricciosa corretta, opera buffa nel 1802. La musica di Martin è brillante, nuova e d'una facilità estrema per l'intelligenza e l'esecuzione.
Martinn (Giac. Gius.), figlio del maestro di musica del principe di Lignè, nacque in Anversa nel 1775. Cominciò a comporre dall'età di 10 anni, e di 12 fece sentire una gran messa in musica, che nel 1793 fu richiesta dalla direzione Batava per l'apertura de' tempj cattolici. Egli si è stabilito di poi in Parigi, e vi è professore di musica nell'imperiale Liceo. Vi sono di lui degli eccellenti quartetti, e nel 1811 annunziò per soscrizione la pubblicazione di dodici gran quartetti da sortire di mese in mese.
Martinelli è l'autore delle Lettere critiche sulla musica pubblicate in 2 vol. nel 1760, che contengono dei dettagli assai interessanti. Hiller nelle sue notizie sulla musica ne ha fatto grand'uso. Nel 1762 se n'è fatta una traduzione francese, che si trova in un libro sotto questo titolo: L'Amateur, ou Nouvelles pièces et dissertations françaises et étrangères, in 12º, parte prima.
Martinez (Marianna) nacque in Vienna verso il 1750 e nella casa stessa, ove abitava il Metastasio intimo amico del di lei padre: così che è una novelletta quel che racconta il nostro Sig. Ab. Scoppa, che ella era la figlia di un giardiniere, che il Metastasio incontrolla piccolina per le strade di Vienna, che tutta gaja e vivace cantava con bella voce e prometteva molto: che l'arresta, l'interroga, la chiede a' parenti e si addossa la cura di sua educazione (Les vrais principes etc. t. 3). Fu ella in vero educata sotto gli occhi di quel gran poeta, ed alla morte del padre suo nulla [65] trascurò perchè ne formasse il cuore e lo spirito. Fornita di un'eccellente voce, fecele ancora apprender la musica: ella ebbe la fortuna di prender lezioni di cembalo e di canto dal famoso Haydn (V. Carpani Letter. 5). Le cognizioni, e la straordinaria abilità che essa vi acquistò in pochissimo tempo compensarono le pene, che si era dato il Metastasio per istruirla, e colmarono di piacere gli estremi anni di sua vita. Riuscì ella non solo peritissima nel suono di varii stromenti e nel canto, ma eziandio nel comporre; dopo il 1773, fu essa annoverata tra' membri della società filarmonica di Bologna. Il d.^{r} Burney, che l'anno 1772 la sentì cantare ed eseguire sul forte-piano alcuni pezzi da lei composti, assicura che gli mancavan le parole per dipingere il suo canto, espressivo del pari e tenero: che ella aveva delle cognizioni profonde nel contrappunto, e tra le altre grandiose di lei composizioni, egli cita un Miserere a 4 voci, e molti salmi tradotti in volgar poesia del Mattei, a 4 e 8 voci, con istrumenti. L'ab. Gerbert nella sua storia (nel 1773) dice ancora, ch'egli possedeva una solenne messa da lei composta nel vero stile di chiesa. Compose eziandio molta musica per camera sulle parole del Metastasio, e mottetti e sonate per cembalo piene di vivacità e di brillanti motivi. Metastasio, che riguardavala come sua figliuola, non la chiamava che la sua S. Cecilia.
Martini (Giorgio Enrico) di Tanneberga nella Misnia, è autore di due buone opere di erudizion musicale, 1. De' conflitti di musica degli antichi; 2. Che i giudizj de' moderni sulla musica degli antichi non possono esser giammai decisivi, Ratisbona 1764, in 4º.
Martini (il P. Giov. Batt.), tenuto con ragione in tutta l'Europa come l'oracolo della musica, nacque in Bologna nel 1706, ed entrò giovane nell'ordine de' conventuali. [66] M. Fayolle, non so a quali memorie appoggiato, dice che il gusto dell'erudizione e l'amore dell'antichità gli fecero intraprendere de' viaggi sino nell'Asia; ciò nol trovo però presso i di lui biografi: chechè ne sia egli si diè interamente alla musica, e prima e dopo che si fosse fatto religioso studiò quest'arte sotto più maestri, tra' quali annovera egli stesso il cel. Ant. Perti. I suoi progressi nella composizione furono così rapidi, che in età di 19 anni fu maestro di cappella del convento del suo ordine in Bologna, posto che egli occupò sino alla morte. Esercitò in questa qualità le funzioni di professore, e la sua scuola, la più dotta tra quelle che a suo tempo esistevano in Italia, ha prodotto un considerabilissimo numero di gran compositori ed artisti di somma rinomanza, che si sono meritati i più brillanti successi; e i più grand'uomini in quell'arte recavansi ad onore e a dovere di chiedere i suoi consigli, e di seguire le sue lezioni; tali furono il cel. Rameau, il gran Jommelli e più altri. Al talento di formare de' buoni allievi, il P. Martini univa quello di comporre una dotta musica. “Ma uomo più d'arte che d'ingegno, dice il Mattei, era come Lucrezio, i di cui poemi al dir di Cicerone, non erant lita multis luminibus ingenii multæ tamen artis: o come Callimaco, di cui diceva Ovidio: Quamvis ingenio non valet, arte tamen, era un Casa e non un Ariosto, se non era felicissimo nel creare un motivo, lo era poi in distender di mille maniere diverse un motivo già creato: secco un poco nell'inventare, abbondantissimo nel mettere in opera.” (Letter. al P. della Valle). Così il Jommelli, intendentissimo ch'egli era in tal materia, diceva che al Martini mancava il genio, e che suppliva coll'arte laddove mancava la natura. Sono ciò non ostante pregevoli le di lui composizioni per la purità, la saviezza e la dottrina che ne fanno il carattere. Ma i [67] primarj titoli della riputazione del Martini sono i Trattati ch'egli ha scritto sopra le diverse parti della musica. Nel 1758 presentò una sua dissertazione all'Accademia dell'istituto di Bologna, di cui era socio, col titolo: De usu progressionis geometricæ in musicâ, che si trova inserita nel 5º vol. de' Commentarj di quell'Accademia; opera più erudita che utile, come quella che ha per titolo: Compendio della teoria de' numeri per uso del musico, 1769. Merita maggior attenzione il suo Saggio fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fermo, Bologna 1774, e Saggio ec. di contrappunto fugato, 1776. Nel primo percorre gli otto tuoni ammessi generalmente nel canto fermo, reca intorno ad ogn'uno di questi un esempio di contrappunto, preso per lo più dalle composizioni del P. Costanzo Porta, e molti esempj di canto fermo fugato del Palestrina: fa a questi delle note per ispiegarli, e vi fa precedere una breve esposizione delle regole di contrappunto. Nel secondo Saggio dà delle regole della fuga e del canone con alcuni pezzi fugati nel genere madrigalesco, e sacri e profani a due dapprima sino ad otto voci, alle volte col basso continuo, e con alcune sue annotazioni. Ciò che vi ha più a lodarsi è senza dubbio la scelta degli esempj estratti da' migliori maestri, e che danno bene a conoscere il genere di lor composizione: tranne questo, secondo l'attuale stato della musica, quest'opera ci sembra d'altronde di un assai mediocre profitto. In fatti, rapporto al contrappunto sul canto fermo, gli esempj citati dal Martini, sono scritti sopra un sistema di tonalità che non è più conforme alla maniera di sentire de' nostri giorni, e che per conseguenza non può essere trattato con successo; riguardo a' pezzi fugati, sono piuttosto de' ricercari anzichè delle fughe propriamente dette, e per conseguenza anche di poca utilità. In quanto [68] al testo, di cui il Martini accompagna siffatti modelli, troppo ristrette ne sono le introduzioni, e perciò inutili a' principianti, che non le capiscono, ed a' maestri, che debbono saperne più di quel che esse contengono. Le digressioni, in cui si spazia fuor di cammino il comentatore, nulla hanno che ne faccia sopportar la lunghezza, e si potrà da tutto ciò inferirne soltanto, che il maggior merito dell'A. in quest'opera, si è di aver dato a divedere ch'egli conosceva perfettamente l'antichità italiana, cioè la migliore scuola de' secoli 16, e 17; e che per la buona scelta de' capi d'opera quivi recati in esempio, è giunto a farla egli stesso apprezzare al suo lettore. Si sa, che il dotto Eximeno levossi contro a questi Saggi del Martini con una ben ragionata critica, sebbene come confessa egli stesso, lascio scorrer la penna con qualche amarezza, che non meritava quell'uomo di singolare dolcezza, e che non ne trasse altra vendetta se non di mostrarglisi bramoso della sua amicizia, e di riporre il di lui ritratto nella galleria da lui formata de' più valenti scrittori, cosa, che quasi mi levò di senno, scrive lo stesso Eximeno, ed avrei voluto gettare al fuoco la penna, anzichè lasciarla trascorrere a nessun tratto, che potesse amareggiare un uomo, che tanta dolcezza d'animo univa a tanto sapere. (Lett. del 1785 al P. Lavalle). La Storia della musica del P. Martini in tre vol. in 4.º merita del pari elogj e censure: quest'opera dà veramente ad ammirare una lettura immensa, una gran profondità di sapere, una prodigiosa erudizione, ed un'eccellente pratica: ella è una vasta collezione di memorie scritte con purità di lingua, e con qualche interesse; ma non vi ha un oggetto fisso, un piano, un buon metodo, nè ombra di giudizio e di critica. Egli si era proposto di compirla in cinque volumi: non sorpassa frattanto [69] l'epoca de' greci nei tre tomi che ne abbiamo, e continuando a quel modo, non glie ne sarebbero bastati trenta e più ancora. Nella mira di proseguire le sue fatiche egli aveva adunato un'enorme quantità di materiali. Possedeva la gran biblioteca musicale del Bottrigari contenente opere assai rare: la generosità del Farinelli gli somministrò de' fondi considerevoli, e lo pose in istato di procacciarsi tutti gli immaginabili materiali. Benedetto XIV con suo rescritto concesse al Martini il poter estrarre que' libri dalla Biblioteca, de' quali abbisognava: l'Imperatrice M. Teresa, il re di Portogallo, il Principe Abate Gerbert lo provvidero in gran copia de' più rari manoscritti. Questi materiali riuniti formavano una biblioteca di oltre a 17 mille volumi, trecento de' quali erano MSS, essi occupavano quattro grandi stanze: nella prima erano i manoscritti, nella seconda e terza le opere in istampa, e nell'ultima le Opere di musica pratica dal rinnovamento della medesima sino al suo tempo. Oltre alle opere già riferite del Martini vi ha ancora di lui: Lettera all'ab. Passeri sulla musica degli Etruschi, 1772; nel 2º vol. delle Opere di Doni in Firenze 1763, Onomasticum seu synopsis musicarum Græcarum atque obscuriorum vocum etc. Molti articoli di musica inseriti in più Giornali italiani, e alcune di lui Lettere pubblicate nelle Memorie di sua vita dal P. della Valle, Napoli 1785; ed oltracciò lasciò egli: Commercio letterario con diversi sopra questioni dell'arte: Giudizio di un nuovo sistema di solfeggio comunicatogli circa 1745 dal Sig. Flavio Chigi Sanese. La dolcezza, la semplicità, e la modestia che formavano il carattere del P. Martini, la premura ch'egli si dava di comunicare a chi ne lo chiedeva, i tesori di scienza e di erudizione, ch'egli possedeva, gli conciliarono la venerazione e la stima universale. Tutti coloro, cui [70] l'amor delle arti conduceva in Italia, venivano a visitarlo in Bologna, e tornavano pieni di sentimenti d'ammirazione e di riconoscenza. Ebbe non pertanto quivi stesso de' malevoli ed anche del numero de' suoi allievi medesimi, che, come se ne lagna egli stesso in una lettera al Sabbatini, tale guerra gli mossero che “levossi affatto dall'Accad. de' Filarmonici per una delle loro solite insolenze fattagli” (Gennaro 1782). Questo valentuomo cessò finalmente di vivere, d'una idropisia di petto a 23 agosto del 1784, in età di 78 anni. G. B. Moreschi pubblicò un'orazione in sua lode recitata nell'accad. de' Fervidi, Bologna 1786, e il P. della Valle le Memorie della sua vita, Napoli in 8vo 1785. Di alcuni canoni berneschi del Martini lepidi e dotti leggasi il Carpani letter. 6, p. 113.
Martini (Giov. Paolo), nato a Freystatt nel Palatinato, passò nel 1757 all'università di Friburgo per istudiarvi filosofia, dopo di avere appreso la lingua latina e la musica. Portossi quindi in Francia, e fermatosi a Nancy il suo talento per la musica e la franchezza del suo carattere gli fecero molti amici, che presero particolar cura di lui. Quivi applicossi mercè la meditazione, e i libri classici de' tedeschi sulla composizione a perfezionarsi nella sua arte. Sotto la direzione di M. Dupont costruttore di organi ebbe la fortuna di aver parte alla costruzione dell'organo della chiesa primaziale di Nancy, di 50 registri, dalla prima disposizione de' materiali sino al compimento totale del medesimo: ecco quel che gli somministrò l'idea della sua opera intitolata École d'orgue, a Paris 1804. Ella è divisa in tre parti, ed ha per iscopo di propagare i talenti degli organisti dietro i sistemi de' più celebri tra costoro dell'Italia e dell'Allemagna; con tanto più di ragione in quanto quest'istromento richiede molta scienza musicale e contribuisce [71] maggiormente a render musica un'intera nazione. M. Martini, dopo una lunga esperienza e i giornalieri esempj, sostiene che l'esecuzione ed il sentire i capi d'opera della musica di chiesa, possono soli formare de' compositori, de' cantanti e delle voci. Nel 1764 egli venne a stabilirsi in Parigi e vi compose una solenne messa a grande orchestra, ch'egli stesso riguarda come una delle migliori sue opere per lo stile, e che si è eseguita per più anni a Vienna per la festività di S. Stefano patrono di quella cattedrale. Entrò quindi come direttore di musica al servigio del principe di Condé, e ne perdette gli onorarj nella funesta rivoluzione del 1789. Nell'erezione del Conservatorio fu egli uno de' cinque ispettori di quella scuola, ed ha composta molta musica sì per chiesa, che per teatro applauditissima in Francia. Egli è il primo che abbia introdotto l'uso di ridurre la musica di più parti a due sole di violino e basso per il forte-piano, il che ne rende più facile e l'esecuzione e l'acquisto, e contribuisce vie più a diffondere il gusto della musica nelle famiglie, e a dilatarne il commercio, che oggidì ne fa uno de' suoi rami principali; ed in ciò è stato egli imitato in tutta l'Europa. Martini diè ancora al pubblico nel 1790, La Mélopée Moderne.
Marzio (Giac. Federico), maestro di musica a Erlang, nel 1786 pubblicò a Norimberga Taschenbuch etc. o Manuale per gli amatori di musica dell'uno e l'altro sesso. Nell'introduzione egli promette di dare in ciascun semestre una collezione di arie, minuetti, wals e di altri pezzi per forte-piano: ed un'altra di brevi dissertazioni su varii oggetti di musica, di biografie e aneddoti di musici, di lettere ec.
Mascardio (Guglielmo) viveva in Italia circa 1400. Bendemaldo in un manoscritto del suo comento al libro di Muris, che si conserva [72] nella libreria del P. Martini, fa di costui menzione come di un musico di grido a' suoi tempi, ma le cui opere sono state avvolte insieme con tanti altri depositi delle umane cognizioni nella irreparabile dimenticanza dei secoli. V. Arteaga T. 1.
Masson, maestro di cappella in Francia sulla fine del sec. 17, di cui abbiamo: Nouveau Traité des regles pour la composition de la musique, 1699, 2 ediz. in 8vo. Quest'opera veniva riguardata come classica all'epoca, in cui non vi era in Francia verun trattato ragionevole sulla composizione, quindi ebbe molte edizioni, di cui la quarta è del 1738.
Mattei (Stanislao), nato in Bologna nel 1750 da un artigiano, dopo di avere studiato la lingua latina e la geometria, entrò in età di 15 anni nell'ordine de' conventuali, e dal 1767 sino al 1784 applicossi alla composizione sotto la direzione del dotto P. Martini. Sin dal 1772, era stato nominato di lui successore nella cappella di S. Francesco in Bologna, e ne esercitò le funzioni dopo il 1784, epoca della morte del suo precettore, sino alla soppressione del suo convento nel 1798. Divenuto prete secolare, fu scelto nel 1805 maestro di contrappunto della Società Filarmonica di Bologna. Tutte le composizioni del Mattei sono per chiesa senza stromenti, sullo stile del Martini. Costui morendo lasciò al Mattei molti materiali per compire la Storia della musica, e già ne aveva terminato il quarto volume sulla musica degli Etruschi, allorchè ne fu impedita la pubblicazione per i disastri politici sopraggiunti in Italia. Puossene leggere un Saggio nelle Memorie del Martini (pag. 38 e seg.). Nel 1786, trovandosi in Roma il Mattei, gli venne offerta la cappella di Loreto e quella di Padova, ch'egli ricusò non potendo rinunziar quella di Bologna: in Torino scrisse una solenne messa per il giorno di S. Francesco, che piacque moltissimo. Quest'abile [73] professore dal 1784 sino al giorno d'oggi conta circa 150 allievi.
Mattei (Saverio), letterato di gran merito ed avvocato in Napoli, ha reso molti importanti servigj alla musica con le sue dotte opere, e con la sua poetica traduzione eziandio de' salmi imitando perfettamente la dolcezza e la fluidità della poesia lirica del suo intimo amico il gran Metastasio. Alla sua versione de' Salmi pubblicata in Padova nel 1780, in 8 volumi fa egli precedere delle Dissertazioni, alcune delle quali debbonsi a giusto titolo quì annoverare. Nel 1º vol. Della musica antica, e della necessità delle notizie alla musica appartenenti, per ben intendere e tradurre i salmi. Nel 2º vol. Salmodia degli Ebrei. Nel 5º vol. La filosofia della musica, o sia la musica de' salmi, che Metastasio chiama dottissima. In questa si lagna a ragione il Mattei di non esservi tra' moderni, come non vi è stata per l'innanzi, una buona scuola di musica. “S'insegna a' giovani il contrappunto, egli dice, e questo si crede bastare a fare un gran maestro di cappella: il contrappunto in musica corrisponde alle concordanze, e il saperle giova per non fare errori piuttosto. Ma non ci è chi insegni la Rettorica e la Poetica (dirò così) della musica, e restiamo solo nella Grammatica. Alla rettorica della musica apparterrebbe l'insegnare a' giovani, che ogni sinfonia, ogni aria, ogni composizione costi delle sue parti: che vi ha da essere il proemio, e questo dee trarsi ex visceribus causa; che sussiegue la proposizione e divisione de' punti, o sia de' motivi principali, che poi si dilateranno nel corso del componimento; che questa dilatazione de' motivi forma la narrazione: che indi ne viene una specie d'Argomentazione, o sien conseguenze, che da quella deduconsi, cioè i passaggi da un tuono all'altro, le proposte e le risposte, e un certo [74] contrasto fra gli stromenti; che poi riunendosi formano l'epilogo di tutto il componimento. Alla poetica della musica apparterrebbe insegnare a' giovani le diversità degli stili, il tenue, il mediocre, il sublime, e fare osservare, come i migliori scrittori si son serviti in diverse maniere di essi stili: che il Sublime del Sassone, per esempio non è il sublime del Jommelli e del Piccini, e che in quel primo ci è un'epica maestà, gravità, sobrietà, e saviezza simile allo stile dell'Eneide di Virgilio, niente ci manca, niente soverchia, e scorre qual fiume reale, che non altera il corso. Nel Jommelli ci è un fuoco, una fantasia lirica simile allo stile delle odi d'Orazio, anzi di Pindaro: scorre qual impetuoso torrente, che allaga i campi, e seco porta tutto nel mare: maraviglioso nell'uscite inaspettate, improvvise, e veramente Pindariche: nuovo nell'invenzione de' motivi, nuovo nell'esprimerli, nuovo nell'union delle parti. Nel Piccini all'incontro, come era nel Pergolesi la sublimità non va mai disgiunta dall'amenità, e dalla venustà. Qual è il miglior di costoro? Ecco lo spirito di pedante. Tutti son ottimi nel lor genere: e bisogna lasciar andare i giovani per quella via, ove il genio e la natura gli guida, e non ridurli a forza di servile imitazione ad esser attaccati più a questo, che a quello.” Nell'ottavo volume de' salmi si trova finalmente un erudito carteggio del Mattei col Metastasio e con Mons.^{r} Pau sulla celebre questione della musica de' Greci dottissimamente da tutti e tre agitata: ma non sono tutte che congetture, come ne conviene lo stesso Mattei, sostenendo egli la superiorità dell'antica musica sulla moderna contro di loro. “Le vostre conghietture, egli scrive, e le mie son tutte egualmente fondate sopra incerti supposti, e per quanto si vogliano fortificare [75] con riflessioni, sempre saran conghietture” (Lett. a Metast. del 1770). Intorno a tal questione supera tutti l'ab. Requeno dandone le più convincenti prove tratte dagli sperimenti, e dal testo medesimo de' greci scrittori di musica, a cui non giunsero mai tutti coloro che prima di lui avevano trattato siffatta materia, e che era frattanto l'unica maniera di pervenire allo scioglimento della questione. Dà in oltre il Mattei de' migliori rischiaramenti sull'antica musica de' Greci nella Dissertazione ch'egli scrisse sul nuovo sistema d'interpetrare i Tragici Greci. La malevolezza de' suoi emuli pretese pur nondimeno di porre in ridicolo questo grand'uomo sulle scene di Napoli, coll'allusivo dramma burlesco del Socrate immaginario, messo in un'assai bella musica da Paisiello. Negli Elogj del Metastasio e del Jommelli da lui pubblicati nel 1785, si trova una storia esatta del rinnovamento della musica, e de' progressi ch'ella ha fatto specialmente nel genere drammatico mercè i sforzi di quel divino Poeta: e dei compositori di musica, che dirsi possono alla di lui scuola formati. Vi ha finalmente pubblicata in Napoli, Se i maestri di cappella son compresi fra gli artigiani, probole di Sav. Mattei, in occasione di una tassa di fatiche domandata dal maestro Cordella, in 4.º 1784. Forkel ne ha dato l'estratto nel suo Almanacco di musica del 1789. Mattei è morto in Napoli nel 1802.
Mattheson (Giov.), canonico e maestro di cappella della cattedrale di Hamburgo, è celebratissimo del pari come scrittore e come compositore di musica. Ebbe egli dal padre suo, che in lui riconobbe delle gran disposizioni per quest'arte, la più felice educazione. Hanff, Woldag, Brunmüller, Pretorio e Kerner furono i maestri, ch'egli gli diede, e all'età di 17 anni compose la sua prima opera per teatro. Strinse egli poi [76] la più intima unione col cel. Hendel, e molto profittò de' consigli di questo gran musico. Datosi allo studio delle leggi e delle lingue inglese, francese, ed italiana divenne soprintendente all'educazione del figlio dell'ambasciadore d'Inghilterra, e fece con esso diversi viaggi a Amsterdam, a Lubecca, e a Brunswick: allora fu che cominciò a provare un grande infiacchimento all'udito, che nello spazio di 30 anni degenerò in una totale sordità. Nel 1706 quell'ambasciadore il nominò segretario di legazione. Si capisce appena com'egli badar potesse a tante fatiche insieme. Insegnava ad un tempo stesso la musica a più di venti scolari, serviva più chiese per l'organo; applicavasi al dritto, e alle lingue; scriveva per teatro: a ciò si aggiungano le sue occupazioni come secretario di legazione, e come direttore di musica alla cattedrale. Ciò non ostante compose egli per quel che concerne solo la musica 88 opere, e lasciò alla morte assai manoscritti e sufficienti materiali per la pubblicazion d'altrettante, oltre al gran numero di musica pratica per teatro e per chiesa. Morì egli nel 1764, in età di 83 anni, e lasciò alla chiesa di S. Michele di Hamburgo una somma di 44 mille marche per la costruzione di un organo, che secondo il di lui piano fu costruito da Hildebrand con 64 registri, e tre tastiere lavorate di madreperla. Ecco il catalogo delle di lui opere teoretiche da lui scritte in latino o in tedesco. Critica musica, Hamb. 2 vol. in 4º, 1722-1725. La grande scuola del basso continuo, in 4º, 1719-1731. De eruditione musicâ, schediasma epistolicum, Hamburgi 1732 in 4º. L'arte della melodia, 1737 in 4º. Progetto e principio d'un Archivio di musica contenente la vita e le opere de' più celebri maestri, e compositori, 1740 in 4º. Esame delle nuove opere, in 4º. Aristoxeni jun. Phthongologia systematica, ossia Trattato sulla teoria del suono, 1748 in 8vo. [77] Nuova accademia musica, più vol. in 8vo. Riflessioni sul rischiaramento di un problema di musica, in 4º. Il Patriota musico, in più volumi. Quest'opera è rimarchevole per molti curiosi dettagli, e meriterebbe una nuova edizione. Il perfetto maestro di cappella, 1739 in fol. ec. Omettiamo a bello studio le sue opere polemiche sulla musica, perchè piene d'ingiurie grossolane, che fanno rivoltare i lettori. (V. Walther, Heumann et Fabric.)
Maupertuis (Pier-Luigi Moreau de), nativo di San Malò, cel. geometra, membro delle accad. delle scienze di Parigi e di Berlino, morì in Basilea nel 1759. Nelle memorie dell'accademia di Parigi per l'anno 1724 vi ha di lui un'opera relativa agli strumenti di musica, alle corde e a' suoni.
Maurolico (Francesco), nato di nobil famiglia in Messina; abbate di S. Maria del porto in Sicilia passò la più gran parte di sua vita nella patria; ove fu pubblico professore di matematiche. Egli era così profondo in questa scienza che divenne celebratissimo in tutta l'Europa. Carlo V, l'onorò in Messina della sua amicizia, e molti forestieri di distinzione vi si recarono per conoscerlo: coltivò in oltre le belle lettere, e la musica; riconcentrato sempre in se stesso ed assorto nella più profonda meditazione, se gli strappava a stento qualche parola sopra altri soggetti oltre a quello de' suoi studj. Benchè fosse stato di una complessione mal sana, giunse non per tanto sino all'età di 80 anni, e morì in una casina di campagna nel 1575. Tra le sue opere di matematica stampate in Venezia nel 1573 vi ha un suo trattato sulla Scienza musicale (V. Tiraboschi, e Landi Hist. de la litterat. d'Ital. t. 4. Martini Stor. t. 1).
Mayer (Giov. Simone), nato in Baviera è stato pur nondimeno educato in Italia, e quivi dalla prima età stabilito ha saputo destramente unire il brio ed il gusto dell'armonia tedesca con la dolcezza [78] e l'espressione del canto italiano. Nella sua musica egli ha preso per modello lo stile del gran Mozart, con adottarne spesso i più bei soggetti, ma in maniera a comparir veramente originale. Nel 1796 prese in moglie una sua scolara figlia di un ricco gentiluomo veneziano il Sig. Giuseppe Venturali, ed in quest'occasione l'abb. Rubbi impiegò il suo coltissimo estro in undici sonetti sull'armonia che servon di parafrasi al celebre sonetto sullo stesso argomento, del Mazza, e di epitalamio a quelle nozze. “Un fausto momento di vostra famiglia (scrive l'abb. Rubbi al padre della sposa) ha dettato alla mia amicizia alcuni sonetti che io vi trascrivo, e che d'ora innanzi son vostri. Nell'atto che io leggeva il bel sonetto del Mazza sull'armonia, mi vien data la nuova, che la Sig. Angioletta vostra primogenita è promessa sposa. Interrogando con chi, mi si rispose, col Sig. Simone Mayer celeberrimo giovine compositore di musica. Parve che le circostanze della lettura concorressero ad aumentare la mia allegrezza. Un'amabil donzella che ha tanta parte nel regno musicale, un valente calcolatore di note, ammirato in Italia e fuori, che seppe al tempo medesimo ispirarle scienza ed amore, fanno l'oggetto dolcissimo e fertile de' miei versi. Mi rinserro nei limiti del sonetto del Mazza, che abbraccerebbe volentieri un lungo poema, ec.” Questi eccellenti sonetti del Rubbi possono leggersi nel Mercurio Storico-Letterario d'Italia per l'anno 1797. Mayer è maestro di cappella a Bergamo: le sue composizioni per teatro, che sono giunte a nostra cognizione, e che trovansi nel Magazzino del Ricordi in Milano, sono Adelasia ed Aleramo, che ebbe il più gran successo nel teatro della Scala di Milano, e che si trova disposta anche per il forte piano presso M. Le Duc impressa in Parigi; Ginevra di Scozia; Adelaide; la Lodoiska; i misteri Eleusini, e l'Elena che si è [79] rappresentata in quest'anno nel nostro R. teatro Carolino. Le opere buffe di Mayer sono in oltre: L'equivoco; Nè l'un, nè l'altro; un pazzo ne fa cento; il venditor d'aceto, farsa; un vero originale; amor non ha ritegno; le due giornate; il pazzo per la musica, eseguita con sommi applausi in Parigi nel 1805 e le finte rivali nel 1810. Altre di lui farse sono: Il pittore astratto; l'Elisa; l'intrigo della lettera; l'amor conjugale.
Mazza (Angelo), rinomatissimo poeta italiano di Parma, tra le cui poesie oltre al sonetto, del quale si è parlato nello scorso articolo, vi sono di lui Tre Odi sull'armonia. In una sua lettera scritta da Parma, al di lui amico Cesarotti, del 1772, “Tre odi sull'armonia, egli dice, mi fanno istanza di presentarsi a voi, del cui favorevole orecchio ove possan gloriarsi non ambiranno che altri le ascolti. Sentirò volentieri, anzi vi prego a non la mi tacere, l'opinion vostra ec.” Alla quale così rispose il cel. professore di Padova. “Le tre vostre Odi hanno tutte le ragioni di andarsene superbette anzi superbissime; ed io lungi dallo sgridarle, mi compiaccio d'incoraggiarle maggiormente, e di farle conoscere ed applaudire da chiunque ha gusto in queste materie.” Altre ne scrisse poi il Mazza sullo stesso soggetto, e nel 1793 chiesene con un'altra lettera il giudizio dell'amico Cesarotti: “Due Signori Bolognesi, han riprodotto alcune Odi mie sulla Musica fiancheggiate dall'autorità del vostro giudizio: ne riceverete un esemplare ec.” Tradusse egli ancora le odi di Pindaro in versi italiani, e lagnavasi col Cesarotti de' pochi lumi che si hanno della greca musica, da cui tanto dipender dovette il buon esito di quel poeta-musico. “Vivo mi punge il desiderio (scrive egli al medesimo) di ascoltar Pindaro ragionare tra noi. Ben mi fa pena lo sconosciuto musicale andamento della espressione e del numero, da [80] cui risultava un precipuo vantaggio alle odi di quell'Immenso. Se i principj della musica greca fossero meno oscuri, sarebbe men duro l'indovinarlo. Ma io credo che vaneggiasse largamente Brazzuolo, e seco lui il Tartini, quando l'uno colle attitudini affannate della persona, e gli sfinimenti della voce, l'altro co' variati e insensibili ricercamenti del violino si adulavano di riuscirvi.”
Mazzanti (Ferdinando), rinomatissimo cantante di soprano, compositore di gusto e buon sonator di violino, dopo aver cantato con incredibili applausi su i primi teatri di Europa, andò a stabilirsi in Roma. Molti vi ha tuttora viventi in Palermo, che son testimoni dell'entusiasmo ch'egli vi produsse per la bellissima voce, per l'eccellente sua maniera di cantare, e di rappresentare con singolar espressione sulla scena, sicchè rapiva, e trasportava fuor di se i suoi ascoltanti. Il dott. Burney afferma di avere avuto occasione di applaudire a' suoi talenti, ed alle sue vaste cognizioni in diversi rami dell'arte, allorchè il vide in Roma nel 1770. Egli possedeva una considerevolissima biblioteca di libri impressi e manoscritti. La sua collezione di opere pratiche era per la più parte composta delle composizioni del Palestrina. Egli mostrò al dot. Burney un Trattato di musica che era già sul termine di compire. Compose in oltre la musica di più opere, mottetti, e trio, quartetti, quintetti, ed altri pezzi pel violino. Morì egli in Roma circa 1786.
Mazzocchi (l'Abbate) fu verso il 1779 in Italia l'inventore di un nuovo strumento di musica, consistente in una cassa di due piedi di lunghezza, e la cui larghezza è in proporzione di quella de' campanelli che contiene, essendo in arbitrio dell'artista il dare alla cassa come a' campanelli qualsivoglia posizione. Il suono si tira da questi per mezzo di un arco da violino, di cui il crine è impiastrato o con [81] pece, o con trementina, o con cera, o con sapone. In tal maniera si ottengono non che de' suoni così dolci come quelli che se ne traggono colle dita sull'armonica, ma si fa render suono eziandio da' campanelli, che non ne darebbero del tutto sotto le dita. L'abb. Mazzocchi si è provato in oltre di sostituire alle campane di vetro altre campane di metallo, ed anche di legno, e quest'ultime, per quanto si assicura, rendono de' suoni poco diversi da quelli del flauto. Questo strumento può sonarsi con uno o due archetti. Lo stromento di musica fatto in Italia dall'Abate Mazzocchi, dice M. Chladni, mi fè concepire l'idea di servirmi d'un arco di violino, per esaminare le vibrazioni de' differenti corpi sonori. (Prefac. a l'Acoustiq.)
Mazzocchi (Domenico), maestro della scuola romana sulla prima metà del sec. 17, fu il primo a far uso del semituono enarmonico, e dei segni di crescere, diminuire, del piano, del forte nell'esecuzione della sua musica d'onde passarono ben presto nella musica di chiesa. “Raffinandosi l'arte nel procedere degli anni, nel sec. 17 apparve un genere nuovo: come esemplare in tal genere io eleggo fra tutti Domenico Mazzocchi: il suo stile è limpidissimo, i pensieri sono espressivi molto, e ben distinti. L'armonia è gratissima, e il movimento di ciascuna voce tanto comodo e decente, che il più delicato orecchio de' moderni non vi trova cosa da riprendere, anzi dirò meglio, da desiderare in due bellissime di lui operette stampate in Roma, l'una delle quali ha per soggetto un tratto di Poesie italiane, e l'altra diverse Poesie latine di Urbano VIII. L'ultima è una parafrasi poetica del cantico de' tre fanciulli composta a sei voci, così bene stabilita nel principio suo, e condotta poi con tale avvedimento, che se io avessi a mostrare altrui, in che consiste l'unità del disegno in un lavoro [82] musicale, e come le varie parti di esso a formare un tutto unico e indivisibile si riducono, non crederei di potere usare altro esempio alcuno più opportuno, e più utile di questo.” Sacchi lett. al Conte Riccati.
Mehul (Stef. Arrigo), membro dell'Istituto nazionale, e professore di composizione nel Conservatorio di musica in Parigi, nacque a Givet nel 1763; apprese il contrappunto da Hauser professore allemanno, assai valente contrappuntista. Essendo venuto in Parigi all'età di 16 anni, fu dopo due anni presentato a Gluck, che degnossi iniziarlo nella parte filosofica e poetica dell'arte musicale. Sotto la direzione d'un sì sublime genio cominciò egli a scrivere per teatro, e sino al 1811 più di trenta drammi e serii e buffi aveva egli composto, e fatto eseguire in più teatri di Parigi. L'energia e l'eleganza caratterizzano la musica di M. Mehul. Nel rapporto all'Istituto per il gran premio di seconda classe alla musica delle opere comiche, ecco il giudizio che vien dato di quella di questo compositore: “M. Mehul particolarmente vi si è distinto per alcune composizioni di un talento non men pieghevole che brillante. Stratonice ed Euphrosine si accostano al sublime della tragedia, Ariodant nel 1790 è d'un tuono cavalleresco, e Joseph nel 1807 di un carattere religioso; l'Irato nel 1801 è un'opera buffa che per alcun tempo fu creduta una produzione italiana. Une folie nel 1802 è una commedia, che richiama alla memoria il genere vivace di Gretry.” (Rapport et Discussions etc. a Paris 1810). Vi sono in oltre di Mehul sonate di forte piano, e sei sinfonie impresse ed eseguite con successo nel Conservatorio. Egli ha pubblicati i due rapporti, che ha letto all'Istituto, il primo Sur l'état futur de la musique en France, e 'l secondo Sur les travaux des élèves du [83] Conservatoire, qui sont pensionnaires à l'Académie des Beaux-Arts, à Rome.
Mei (Girol.), nobile fiorentino e letterato a' suoi tempi non ispregevole; di cui si è parlato all'artic. di Gio. de' Bardi (T. 1, p. 82), nel 1602 diè alla luce in Venezia un libro col titolo di Discorso sopra la musica antica e moderna, in 4.º ed un altro più considerevole De modis musicis inedito finora (V. Notiz. letter. dell'Accad. Fiorent.). Questi libri “quantunque abbondino di errori (dice a ragione l'Arteaga), rispetto alla musica antica a motivo, che gli autori greci appartenenti a siffatte materie non erano tanto illustrati in allora quanto lo sono al presente; pure sono molto pregevoli per quella età.” (Tom. 1, p. 225)
Meibomio (Marco), filologo, a cui si dee l'eccellente edizione greco-latina de' sette antichi autori di musica con sue annotazioni in 2 vol. in 4.º Amsterdam 1652; un'Epistola in oltre de scriptoribus variis musicis (nelle lettere di Gudio) e nel 1694 Vitruvio in fol., ove nelle sue note applicossi principalmente a spiegare i passaggi di quest'autore, che hanno rapporto alla musica: finalmente Plutarchi dialogus de musicâ cum vers. lat. et gallicâ. M. Fayolle colla sua usata inesattezza aggiunge a' travagli di Meibomio, intorno all'antica musica, l'edizione di Tolomeo e di Briennio con la sua versione latina e note: ma ciò è falsissimo, dovendosi questa all'inglese geometra Wallis in supplemento alla collezione di costui de' sette greci scrittori di musica. Meibomio era uno de' letterati della corte di Cristina regina di Svezia, e fu obbligato a lasciarla per l'occasione di quell'avventura con Bourdelot da noi riferita al costui articolo tom. 1, p. 149. Egli morì in un'età molto avanzata a Amsterdam nel 1710. In quanto al merito delle sue fatiche su gli scrittori antichi di musica, noi rapporteremo il giudizio che ne reca il dotto critico Requeno, [84] come di colui il quale più profondamente che ciascun altro ha disaminata siffatta materia. “Kirkero, egli dice, lasciò la rinnovazione dell'arte de' Greci al vanaglorioso suo rivale Meibomio, e questi in fatti ne assunse intrepidamente l'impegno: se non che desso cominciò bene, seguitò male, e terminò peggio l'impresa. La prima cosa, ch'egli fece, fu la raccolta de' greci scrittori di musica; la seconda la traduzione in latino de' medesimi; la terza le annotazioni per ischiarimento dell'antica melodia; terminate le quali, cantò un Te Deum in ringraziamento all'Altissimo per averlo illuminato a segno di poter notare la musica di quell'inno all'usanza de' Greci; e per istordire gl'ignoranti, acciò non lo capissero, lo premise alla sua opera. Se però siamo obbligati al Meibomio di averci data una raccolta benchè incompleta de' greci armonici, non possiam dire altrettanto relativamente alla sua traduzione, in cui non si accorse di esser stati gli originali di Aristosseno, da cui tradusse, viziati e confusi di modo, che parte del primo libro si trova nel secondo, parte del secondo e del terzo nel primo; onde sono i lettori obbligati a brancolar nelle tenebre. Nel giudizio de' greci armonici noteremo altre mancanze di osservazione di questo traduttore. Ov'egli però mi fa pietà, è nelle aggiuntevi annotazioni: tutte s'impiegano in correzioni grammaticali, in citazioni erudite, ma inutili all'intelligenza dell'autore interpretato, in riprensioni frequenti degli altri interpreti; cose tutte da dissimularsi a chi ricalcava le orme de' grammatici del seicento. Quello però, che non si può perdonare a Meibomio, e per cui egli meriterebbe un'acre riprensione, si è l'aver esso aggiunti, levati, cambiati gli originali in molti luoghi sotto pretesto di renderli intelligibili, e di corregere gli errori de' copisti: le note musiche de' Greci [85] sparse quà e là ne' diversi autografi soffrirono un totale rovesciamento. Orgoglioso grammatico! Dopo d'essersi millantato d'avere il primo dilucidate le note del canto greco, stampa lo sproposito di non avere servito le due righe di note prescritte in ogni verso da tutti i greci armonici, che per i principianti, essendo l'una di esse a suo parere superflua. Del rimanente Meibomio niente arreca di lume a' greci scrittori per agevolarci la loro intelligenza. Meibomio certamente è autore di mediocre talento, d'una sufficiente e mal digerita erudizione, e d'una grande alterigia.” (Prefaz. a' Saggi). Puossene leggere la confutazione, che dottamente fa di lui il Requeno nel 2.º tomo pag. 165-180, 337-351.
Meissonnier (Antonio), nacque in Marsiglia nel 1783. I suoi parenti lo destinavano al commercio, ma amante dell'indipendenza preferì di seguire la carriera musicale. In età di 16 anni partì per l'Italia, e dopo aver percorso tutto questo paese, venne in Napoli, e presentossi al famoso Interlandi, che degnossi di dargli de' consigli sì per la lira, che per la composizione. Egli fece sentirsi ben tosto in Napoli nelle più distinte compagnie. Il nostro principe di Butera, che amava le belle arti, con ispezialità la musica, e proteggeva gli artisti, fecegli comporre un'opera buffa la Donna corretta, che eseguita nel suo palazzo in Napoli fu moltissimo applaudita. Lasciò egli non per tanto quella città, e si stabilì in Parigi, ove ha pubblicato Méthode de lyre, e molti Capricci, Divertimenti ed Ariette italiane, da lui composte per quest'istromento.
Melanippe di Cuma, abilissimo non solo nel maneggio del flauto, ma della lira eziandio. Pausania fa di lui menzione (in Phocid.) e loda una composizione cantabile di questo maestro da esso con le tibie pronunziata in lode di Opi. Secondo [86] Ferecrate citato da Plutarco (Dialog. de Music.), egli aumentò le corde negli strumenti, accrescendo quelle della lira fino al numero di dodici, mentre era prima di due tetracordi. Tale novità dispiacque allora ai severi Greci. I seguenti versi che mette in bocca Ferecrate alla musica: Melanippide fu d'ogni mio male — Prima cagion; m'indebolì costui, — Dodici corde sopra me ponendo, due cose provano, come osserva il Requeno: 1. che Melanippe sia stato il primo, che inventasse il sistema de' tre tetracordi; 2. che li suonasse a mano, il che è lo stesso che avere rivolta la lira in cetra; non distinguendosi questa da quella, che nel numero delle corde e nel suonarsi senza plettro. Sono più molli i suoni delle corde suonate con la mano, di quello che sieno quelli delle corde ferite col plettro. Questa mollezza dispiacque dunque sul principio a' Greci, i quali, avendo destinata la musica alla virile educazione, temettero, non si snervassero gli animi de' giovani con la blanda cetra. Melanippe impiegossi in educare giovani nell'arte musica: Filosseno fu suo discepolo (Saggi t. 1). Egli fiorì presso a quattro secoli innanzi G. C.
Melone (Annibale), dotto contrappuntista in Bologna circa 1550; si è reso utile alla storia della musica con la sua opera: Desiderio di Allemano Benelli, che è l'anagramma del suo vero nome. Si credette prima che Bottrigari ne fosse l'autore, e tanto più di verisimiglianza acquistò allora quest'opinione, in quanto costui in cambio di contradirla, fecene anzi pubblicare sotto il suo nome una seconda edizione. Oltre la confutazione di un certo Patricio, quest'opera in forma dialogistica, tratta principalmente de' concerti di musica, che cominciavano ad essere allora in voga presso le persone del primo rango, con ispezialità a Venezia e a Ferrara. Si resta sorpreso [87] nel leggervi il prodigioso numero di musici, che il duca di Ferrara aveva allora al suo servigio, come eziandio la quantità e varietà d'instromenti che facevasi sentire ne' suoi concerti. Nel progresso dell'opera, l'autore analizza, a proporzione de' lumi di quel secolo eruditamente, i principj dell'antica musica de' Greci e della moderna, riguardando questa come a quella preferibile, secondo il pregiudizio di coloro che comparar pretendono le cose note alle incognite.
Menestrier (Claudio Francesco), gesuita che allo studio degli antichi seppe unir con profitto i viaggi, ch'egli fece per l'Italia, la Germania, l'Inghilterra, e le Fiandre: morì in Parigi nel 1705. Tra le sue opere distinguonsi: 1. des Représentations en musique anciennes et modernes, Paris 1681, in 12º; 2. Des ballets anciens et modernes, 1682, in 12º.
Mengoli (Pietro), professore di Meccanica nel collegio de' nobili in Bologna, uomo distinto per la sodezza di sua dottrina, nel 1670 pubblicò colà Speculazioni di musica, in 4.º: si trova alla fine una tavola delle passioni, cui pretende l'autore, che ciascun modo, o ciascun tuono della musica di chiesa possa calmare. “Vi sono ancora molte cose, che io non ho potuto capire, dice M. de Boisgelou; per esempio, allorchè egli parla de' tuoni di musica rossi, neri, verdi ec.” Nel t. 8 delle Transaz. Filosofiche si trova un assai lungo estratto di quest'opera.
Mengozzi (Bernardo), nato in Firenze nel 1758, cantante pieno di gusto e pregevole compositore, era costantemente applaudito accanto de' Viganoni, de' Rovedino, de' Mondini. Nelle opere di Paesiello e di Cimarosa egli metteva alcuni pezzi di musica da lui composti, che figuravano non meno che quelli di que' celebri autori: tra questi sono principalmente da rimarcarsi un terzetto dell'Italiana in Londra, e la deliziosa [88] aria Se m'abbandoni. Dopo il 1792 stabilitosi in Parigi pose in musica cinque opere buffe, e due comico-serie in quella lingua. Scelto per maestro di canto in una delle classi del Conservatorio formò molti buoni allievi. L'arte il perdette assai presto, essendo colà morto nel 1800 di 42 anni.
Mercadier de Belesta è autore di un'opera che ha per titolo, Nouveau Système de musique théorique et pratique, in 8º, Paris 1776. Secondo M. Chladni l'autore vi ha esposto molti oggetti intorno alla teoria numerica dei suoni, meglio che molti altri, ed ha ottimamente confutato alcune false asserzioni del Tartini sul fenomeno del terzo suono (V. Acoustiq. p. 15-254).
Mersenne (Marino), religioso minimo, cui la mordacità del Voltaire con ingiusto scherno chiama il minimissimo tra' minimi, diessi allo studio delle matematiche e della filosofia, e non lasciò di render loro de' gran servigj, per il commercio che tenne sempre co' più distinti uomini del suo secolo, di cui ne divenne il centro: a questo fine viaggiato aveva in Italia, in Germania e ne' Paesi-Bassi; il suo carattere dolce, pulito ed obbligante gli conciliò da per tutto degl'illustri amici. Tra le scienze egli si attaccò specialmente alle matematiche ed alla musica, e pubblicò molte opere in tutto o in parte relative a quest'ultima, come 1. Quæstiones in Genesim, dove a lungo tratta della musica e degli stromenti degli Ebrei, 2. Harmonie universelle contenant la théorie et la pratique de la musique, Paris 1636, 2 vol. in fog. con figure, opera oggidì assai rara, secondo M. Fournier (Dictionn. de Bibliograph. 1809), 3. Harmonicorum Libri XII de sonorum naturâ, causis et effectibus, Paris 1648, in fol., quest'è in parte una traduzione dell'opera precedente, che contiene molti pezzi, che non trovansi nell'originale. L'A. vi tratta di tutte le parti teoriche dell'arte, giusta le idee [89] che a suo tempo avevasene in Francia, e nella quale dà una meschina idea della sua propria istruzione, e dello stato dell'arte in quell'epoca nella Francia. Quest'opera ebbe quivi gran corso, che essa dovette alla singolarità piuttosto che al merito. 4. Les préludes de l'Harmonie universelle, è una rapsodia, ove più si tratta di Astrologia giudiziaria che di musica. 5. Cogitata physico-mathematica de Musicâ theoreticâ et practicâ, in 4.º 1644. Mersenne giunse a conoscere la coesistenza de' suoni acuti col suono fondamentale di una corda, ma non l'ha spiegata bene (V. Chladni, Acoust. p. 250). Egli aveva il talento di dir poco in molte parole, e non mostra gran giudizio ne' suoi scritti. Morì in Parigi nel 1648 d'anni 60, tornando dalla casa del suo intimo amico Descartes, ove aveva bevuta molt'acqua fredda per dissetarsi.
Merula (Cavalier Tarquinio), uno de' più profondi contrappuntisti del sec. 17, e 'l più grave compositore per la musica di chiesa, non lasciò tutta volta di scrivere delle bambocciate musiche, e fu anche in questo genere il primo. “Immaginò una fuga di ragazzi che recitano, senza saperlo ben a mente, e declinano il pronome qui quæ quod. Gl'imbrogli, le confusioni, le sconcordanze, e i scerpelloni, che pigliano que' poveri ignorantelli, e il pedagogo che li sgrida, formavano il soggetto di questo componimento, e facevano smascellare delle risa cantori, ed uditorio. L'esito felice di questa prima prova diè coraggio al Merula di comporne una consimile sul hic hæc et hoc, che non riuscì men saporita.” (Carpani lett. 7). Nelle sue opere stampate in 10 vol. in Venezia nel 1635 si trova un duetto intitolato sopra la ciacona, detto così per imitar forse il canto limitato e monotono de' ciechi, d'onde è derivato il nome di ciacona, in francese chaccone. La cantilena è sopra un basso ristretto [90] di 5 battute, che continua sempre a ripetersi mentre quella va cambiando. Ghiribizzi di que' tempi senza gusto (V. Encycl. méthod. p. 222).
Metastasio (Abb. Pietro) nacque in Roma l'anno 1698, all'età di 10 anni ebbe la fortuna di tirare a se, cantando per le strade con grazia, e con espressione alcuni versi da lui composti, l'attenzione dell'ab. Gravina celebre giureconsulto e letterato di prima riga: costui lo adottò in suo figlio, e gli diè un'educazione degna de' suoi talenti, ma contro al suo gusto lo destinò al foro, e non fu se non dopo la di lui morte che con maggiore trasporto tornò egli alle Muse. Nel 1729, egli fu nominato poeta laureato dell'imperial corte di Carlo VI amatore intendentissimo di musica, e che sosteneva con magnificenza il suo teatro lirico. Metastasio fissò la sua dimora in Vienna dall'età di un poco più di 30 anni sino alla sua morte. Egli aveva studiato a fondo anche la musica: e contribuì moltissimo co' suoi consigli a formar de' grand'uomini per la composizione, e a dare un nuovo aspetto a quest'arte. Haydn, Jommelli, il Sassone e più altri confessarono di aver più profittato della conversazione di questo grand'uomo, che dello studio e delle lezioni de' loro maestri. La musica è assolutamente debitrice della massima perfezione, a cui è giunta in quest'ultimi tempi, ai drammi dell'immortal Metastasio. Egli, dice l' ab. Andres, “ha avuta la malizia poetica e musicale di schivare tutte le parole meno acconcie pel canto, di studiare una felice combinazione di sillabe per la soavità ed armonia de' tuoni, di variare adattamente i metri nelle arie, di applicare dappertutto quella cadenza, quei salti, quei riposi, quegli accenti, che più lirica e cantabile rendono la poesia. I suoi versi sono di una tale fluidità, sonorità ed armonia, che sembra non si posson leggere [91] che cantando. La rapidità del recitativo dà maggiore forza alle cose che vi si dicono, e maggiore fuoco e calore all'azione, e serve insieme di grande ajuto e facilità per il canto. La sua penna sembra intinta nel latte di Venere. Il Dio d'Amore se volesse discendere a parlare cogli uomini, non si servirebbe, no, d'altra lingua, che di quella del suo vate l'immortale Metastasio.” Egli ha posti i compositori di musica in quello stato che richiede Orazio nel Poeta per comporre di gusto. “Se i tuoi occhi si riempion di lacrime, dice a' giovani compositori il Rousseau, se tu senti palpitare il tuo cuore, se l'espressione ti soffoca ne' tuoi trasporti, prendi Metastasio e fatica, il suo Genio accenderà il tuo, tu a suo esempio diverrai creatore.” (Dictionn. art. Génie). Metastasio manteneva un commercio di lettere con Farinelli, Hasse, Diodati, Martini e con Sav. Mattei, nelle quali trovansi delle riflessioni sulla maniera di disporre la musica de' suoi drammi, di prepararne gli affetti, sulla buona scuola del canto, sugli abusi e la maniera di evitarli, sulla musica degli antichi comparata con quella de' moderni, ed altri soggetti relativi all'arte, che possono leggersi con profitto da' poeti e da' musici (V. Opere Postume del Metastasio, 3 vol. in 8vo 1796). Vi sono in oltre di lui due Lettere o piuttosto Dissertazioni sulla musica dirette da Vienna a Loudun nel 1765 al Caval. de Chastellux. Tratta ancora dottissimamente dell'antica musica de' Greci nel suo Estratto della poetica di Aristotele (v. cap. 1-4-26). Metastasio finalmente è anche autore di musica pratica. Vi ha di lui impressa in Vienna la musica di alcune Canzoni, d'Arie sciolte, e coro con sinfonia, e manoscritta a due la cel. palinodia Grazie agl'inganni tuoi. In una sua lettera del 1750 alla principessa di Belmonte, parla egli stesso della musica [92] da lui composta sopra la partenza di Nice. “Sa già V. E. ch'io non so scriver cosa, che abbia ad esser cantata senza (o bene o male) immaginarne la musica. Questa che le trasmetto è musica per verità semplicissima, ma pure quando si voglia cantare con quella tenera espressione, ch'io ci suppongo, vi si troverà tutto quello, che bisogna per secondar le parole.” Malgrado le sue frequenti malattie egli giunse agli anni 84 di età, e morì in Vienna li dì 12 aprile del 1782. Tra' suoi biografi il migliore per lo stile, per l'esattezza delle notizie e per le riflessioni saggie sulla poesia e la musica con cui le accompagna, vien riputato Giov. Adamo Hiller, direttore e professore di musica in Lipsia, dove pubblicò questa vita nel 1786.
Meude-Monpas, letterato ed amatore di musica in Parigi, fece quivi imprimere verso il 1786, sei concerti pel violino a 9, da lui composti. Egli avrebbe dovuto non passar oltre, ma pensò di pubblicare ancora un'opera didattica col titolo di Dictionnaire de musique, piena da capo a fondo di errori, per cui meritò giustamente una severa critica di M. Framery nel num. 26 del Mercurio del 1788. Costui lo accusa, non ostante che si dica egli stesso partigiano della bella semplicità, di molte incoerenze, di espressioni ricercate, strane e fantastiche, oltre a più trivialità e difetti di lingua.
Meusel (Giov. Giorgio), dottore di filosofia, e professore di storia a Erlang, pubblicò un'opera in 8vo col titolo: Teutsches ec., ossia Dizionario degli Artisti allemanni, o Catalogo di tutti gl'Artisti viventi: la seconda edizione accresciuta è del 1787. In essa trovansi molte interessanti memorie su i principali musici della Germania. In un'altra sua opera intitolata Miscellanee per rapporto alle Arti, dal 1779 sino al 1786, si trovano delle biografie di molti musici, come ancora nel suo Museo [93] per gli artisti ed amatori delle arti, a Manheim 1787.
Mezieres (M. de), è l'autore di un'opera col titolo: Effets de l'air sur le corps humain, considérés dans le son, ou de la nature du chant, 1760 in 12º. Questo libro non risponde in nulla al suo titolo, e non contiene che delle viste superficiali e false. (V. Journal des Savans).
Michaelis, dotto musico a Osnabruck, di cui nella gazzetta filarmonica di Lipsia 1805, n. 8 si trova l'eccellente trattato: Über frühe, ec. cioè Sulla prima formazione in musica, che vien molto commendato dal d.^{r} Lichtenthal (pag. 66).
Midia era maestro di musica in Atene quattro secoli innanzi G. C. Di lui ci narra il famoso oratore Demostene, che essendo egli incaricato dalla sua tribù di mandare a' giuochi pubblici, coll'occasione d'un premio proposto, i giovani più abili nel canto, scelto aveva Midia per perfezionarli nell'armonia. Era però costui un occulto nemico di Demostene, senza che questi, non ostante la sua penetrazione, se ne fosse mai accorto: egli invece di disporre i giovani pel concorso, e così aspirare al premio, trascurava la loro educazione per fare scomparire il suo rivale, e fargli incorrere la indegnazione della tribù. Ma avvertito Demostene del pravo suo animo, cacciò Midia da quella scuola, e sostituì a lui il bravo Telefano, come diremo nel suo articolo.
Milizia (Francesco) diè per la prima volta al pubblico nel 1771, in Roma il suo Trattato completo, formale, e materiale del teatro i di cui esemplari furono tutti ritirati per ordine del maestro del Sacro Palazzo, e passati in potere del Sig. Odescalchi, mecenate del libro a condizione di non fargli vedere più luce. L'autore dopo avervi corretto varj passi, e fattevi alcune aggiunte lo pubblicò in Venezia nel 1794, in 4.º. Egli [94] impiega quattro ben lunghi capitoli sulla Musica dal quinto sino all'ottavo del suo libro. Fa dapprima la storia dell'opera in musica rinnovata in Italia sul cominciare del sec. 17. Tratta quindi dell'argomento di dramma in musica, e non trascura di fare il dovuto elogio al gran Metastasio, i di cui drammi, egli dice, sono le vere regole dello stile lirico, e che egli sarebbe in tutto un legislatore perfetto, se vi avesse sparso meno amore, e se avesse goduto più di libertà in condurre e snodare i soggetti tragici. Il cap. 7 tratta della musica, della sua origine, dell'influenza che ella ha grandissima sul fisico e sul morale dell'uomo: della sua essenza. Dopo queste preliminari nozioni della musica in generale, ne considera l'applicazione alle varie parti del Dramma: e nel cap. 8 tratta finalmente degli Attori. Noi rapporteremo alcune riflessioni dell'A. sullo stato dell'attuale dicadimento della musica teatrale. “Dacchè la nostra musica, egli dice, ha scosso il giogo della poesia, non è più imitativa, nulla più esprime, e niun effetto più produce. È divenuta una raccolta di pensieri, eccellenti bensì, ma senza connessione, senza significato, e senza convenienza, appunto come gli arabeschi vaticani di Raffaello tanto pregiati e tanto irregolari. La musica la meglio calcolata in tutti i suoi tuoni, la più geometrica ne' suoi accordi, se non ha alcuna significazione, sarà come un prisma, che presenta i più bei colori, e non fa quadro: divertirà l'orecchie, ed annojerà sicuramente lo spirito... Bisogna o che il Poeta sia Compositore o che il Compositore sia Poeta; e non riunendosi insieme questi due rari talenti abbia almeno il Compositore la docile discretezza d'intendersela col Poeta, e di persuadersi una volta per sempre, che la musica è un'espressione più forte, più viva, più calda de' concetti e degli affetti dell'animo [95] espressi dalla Poesia..... Un altro gran male dell'odierna musica italiana è nel troppo. Questo troppo ha cagionato ornati, ritagli, tritumi, bizzarrie, che hanno fatto perdere di vista l'oggetto principale della musica, il quale consiste in esprimere nella maniera più naturale e più semplice i sentimenti della poesia, affinchè ne sia il cuore più vivamente toccato. La bella semplicità può sola imitare la natura... L'altro malanno è quello d'una novità continua. Quella musica che piaceva venti anni addietro, ora più non si soffre. Fosse anche Apollo il compositore d'un'Opera, fatta ch'ella è una volta in un teatro, Dio vi guardi che vi ritorni la seconda nemmeno in capo a trent'anni. Questo è uno de' più grandi motivi, per cui essa musica è divenuta come una moda passeggiera, piena di arzigogoli, e di capricci; e viene tacciata, che sia caduta oggidì, come l'architettura nel Borrominesco, cioè che per desiderio di sorprendere colla novità abbia smarrito il dritto sentiero d'imitare la bella natura, per piacere e giovare.” L'ultima che rapporteremo delle riflessioni di questo scrittore filosofo è sulla bizzarria nuovamente introdotta di sostituire al recitativo musicale (invenzione che fece tanto onore a' nostri antichi musici) la declamazione parlante. “Eseguire il recitativo, dice il N. A., nella maniera consueta (cioè cantando e trillando), è un sonnifero; parlarlo semplicemente, no, un'Opera ora parlata, ora cantata, farebbe una discrepanza come tra gelo e fiamma.” Sarebbe desiderabile che i Compositori ed il pubblico per correggersi de' moderni sviamenti e rientrare nel buon cammino, seguissero i saggi consigli, e le vedute veramente filosofiche di questo autore.
Millico (Giuseppe), nato in Milano verso il 1739 è stato riguardato come uno de' migliori cantanti da teatro sulla fine del p. p. secolo per la sua maniera nobile insieme e piena di espressione e di sensibilità. A [96] siffatte qualità dovette egli l'onore di essere scelto da Gluck, allorchè era in Vienna nel 1772, per insegnare alla sua nipote l'arte del canto, e sotto la di lui direzione divenne ella in pochissimo tempo oggetto dell'ammirazione di tutta la città. Da Vienna Millico fu a cantare in Londra nel 1774, e tornò alla sua patria come musico di camera del nostro sovrano Ferdinando III, nel 1780. Si dice che riunendo i suoi straordinari talenti all'astuzia e all'ambizione di cortigiano, egli perseguitava Marchesi e gli altri virtuosi esteri, che trascuravano di andare in cerca della sua protezione. Egli viveva ancora sino al 1790.
Millin (Albino-Luigi), membro dell'Istituto nazionale, e noto abbastanza per un gran numero di opere sulle arti e l'antichità. Egli sin dal 1795, ha la cura di compilare una collezione periodica assai preziosa per la storia delle scienze e delle lettere, intitolata le Magasin Encyclopédique, dove molti interessanti opuscoli si trovano relativi alla musica, e di M. Millin e d'altri autori (V. i num. di maggio e di agosto 1810). Egli è anche autore di un Dictionnaire des Beaux-Arts, in 3 vol. in 8vo 1806: ove si trovano molti articoli assai pregevoli sulla musica e sugli stromenti, che per lo più sono tradotti dalla teoria generale delle belle arti di Sulzer.
Minermo musico-poeta greco, di cui Ateneo (lib. 13) parla con somma lode. Inventò egli nelle tibie le diesis quadruntali per cantare il molle pentametro, dulces, reperit sonos, et mollis pentametri cantum. Properzio nella 9ª elegia del 1.º lib. lo fa superiore ad Omero ne' versi amatori. Da questo poeta e da Orazio si conchiude, che le composizioni di Minermo duravano ancora nel secolo di Augusto con gran credito; e Camaleone presso Ateneo (lib. 14) afferma, che i Greci eran soliti a cantare i versi di Minermo non men che [97] quelli di Omero, di Esiodo, di Archiloco, e di Focilide. In un suo Poema egli introdusse il primo le nove muse celesti anteriori a Giove: invenzione, di cui Pausania (Beot.) fece gran conto, e di cui tanto parlarono i grammatici del cinque cento. Frequentando Minermo, benchè già vecchio, le allegre adunanze, e' conviti de' grandi, abbandonò la severità del costume propria allora sempre de' musici; e nella più inoltrata età fu colpito dall'amore della cantatrice Nano. Il povero vecchio sentendosi ringiovenire, acceso d'insolito fuoco ravvivò l'ardore pel canto, e compose e notò in vaga musica canzoni piene di quelle delicatezze, di cui abbondano i feriti cuori. Ma divenuto l'oggetto de' scherzi di spiritosi giovani disingannossi della sua sognata felicità, e diessi a comporre della musica sopra più serj soggetti; così Stobeo cita di lui un'egloga, il di cui argomento era non doversi in modo alcuno collocar negli amori la felicità dell'uomo; trovandosi nelle vicende di questa passione più tormento che piacere. Secondo Laerzio (in vitâ Solon.) fu egli contemporaneo di Solone, visse cioè sei secoli innanzi l'era comune (V. Requeno tom. 1).
Mingotti (Regina) nacque in Napoli circa 1726, da un padre uffiziale al servigio dell'Austria, che bambina di pochi mesi seco la condusse a Gratz nella Silesia; alla di lui morte un suo zio la mise in un Convento di Orsoline, dove apprese la musica: a 14 anni di sua età ella tornò in casa di sua madre, e la sua bella voce e la grand'arte con cui la regolava, fecele al mondo la più brillante fortuna. Sposò pochi anni dopo il Sig. Mingotti veneziano, impresario del teatro a Dresda: Porpora, che era allora al servizio del re, la produsse come una giovane delle più belle speranze, e per la sua raccomandazione le si offrì di cantare in quel teatro insieme con la cel. Faustina moglie del [98] Sassone. Gli applausi e la riputazione, che quivi acquistossi pe' suoi talenti, la resero celebre anche fuori, e al di là delle Alpi. Essa fu invitata in Napoli a cantare sul gran teatro di S. Carlo nel 1750, e passando per Vienna ottenne dal Metastasio una commendatizia alla Principessa di Belmonte: egli la chiama nella sua lettera, uno dei più distinti ornamenti della schiera canora di Dresda. Ella si era applicata con tanto zelo allo studio della lingua italiana, che allorquando cantò per la prima volta la parte di Aristea nell'Olimpiade del Galuppi, sorprese gl'Italiani sì per la purezza della pronunzia, come per il suo canto melodioso, e la sua maniera espressiva e naturale. I teatri di tutte le grandi città della Germania, della Francia, dell'Inghilterra e dell'Italia risuonarono degli applausi dovuti alla sua arte. Nel 1763 ella ritirossi a Monaco nella Baviera, dove godeva della stima generale della corte e della città. Burney la sentì colà nel 1772, ella conservava ancora tutta la bellezza della sua voce, e ragionava sulla musica con molta profondità e giudizio: cantò dinanzi a lui per quattro ore intiere, accompagnandosi ella medesima sul forte piano. La sua conversazione era gaja e piacevole, parlava il tedesco, il francese e l'italiano con tanta perfezione, che riusciva difficile il distinguere qual fosse il suo patrio idioma. Nella galleria di Dresda vedesi il di lei ritratto dipinto da Rosalba a pastello ad essa rassomigliante mentr'era giovane (V. Burney's Travels, tom. II, p 111).
Minoja (Ambrogio), uno de' più celebri maestri d'Italia d'oggi giorno, e membro onorario del conservatorio di Milano, nacque a Lodi nel 1752. All'età di 14 anni cominciò per suo diporto a coltivare la musica, e la professò meno per necessità che per gusto. Fece il suo corso di studj in Napoli sotto la direzione di Sala; e tornato alla sua patria, fu il successore [99] del cel. Lampugnani, come primo maestro di cembalo al teatro della Scala in Milano. Egli compose allora alcuni pezzi di musica strumentale, sei quartetti col titolo di Divertimenti della Campagna, e due opere serie, una pel teatro di Argentina in Roma, mentre colà soggiornava, e l'altra per quello della Scala, in Milano, ove al suo ritorno fu scelto maestro di cappella dei Padri della Scala, e diessi interamente alla musica di chiesa. Poco tempo dopo, l'armate francesi occupato avendo l'Italia, riportò egli il premio d'una medaglia d'oro del valore di 100 Zecchini, per una marcia e una sinfonia funebre in onore del gen. Hoche; scrisse ancora due messe di Requiem che si conservano negli archivj del governo: un Veni creator e un Te Deum, che fu eseguito nella cattedrale di Milano da un'orchestra di 250 musici. Egli ha fatta la musica di molti Salmi a più voci, con accompagnamento di pochi stromenti, in cui la scienza nulla pregiudica all'espressione ed al gusto. Minoja in oltre è autore di alcune Lettere sul canto, Milano 1813. L'opera è divisa in tre parti. Tratta la prima dello scopo del canto, quale, secondo lui, consiste in commovere, ed istruire gli uditori per mezzo dell'espressione. Nella seconda s'occupa egli del gusto che ha regnato nella musica vocale ad epoche differenti del secolo passato. Nella terza finalmente i principali ed i più proprj mezzi vengono esposti, atti a formare il canto, come l'intuonazione, il solfeggio, le grazie, la pronunziazione, e la qualità del tuono (V. Giorn. Italico, Londra dicembre 1813).
Mirabeau (Gabr. Riquetti, conte de). A questo grand'oratore vien'attribuito un opuscolo di 95 pagine relativo alla musica: Le Lecteur y mettra le titre, Londra 1777, in 8vo (Veggasi Dictionaire des anonymes de M. Barbier, t. num. 34, 27). Questo scritto è pieno [100] di eccellenti viste sulla musica stromentale, e contiene l'analisi ragionata di una gran sinfonia di Raimondi col programma di Avventure di Telemaco eseguita in Amsterdam li 15 gennaro del 1777.
Mirabella (Vincenzo), nobile siracusano, dell'Accademie di Roma e di Napoli, assai dotto nelle belle lettere e nella musica, morì in Modica nel 1624. Molti de' suoi scritti sulla musica trovansi impressi in Palermo nel 1603; come nel 1606, il primo libro de' suoi madrigali.
Misliwechek (Giuseppe), detto il Boemo in Italia, era nato in un villaggio vicino a Praga, ove secondo l'uso delle scuole di campagna nella Boemia ebbe le prime lezioni di musica. Questa prima istruzione svegliò i suoi talenti e 'l suo amore per la medesima, cosichè immediatamente dopo la morte di suo padre portossi in Praga, per prendervi le lezioni del cel. Segert, che quivi allora dimorava. Egli si applicò a questo studio con tanto zelo e successo, che poco dopo compose sei sinfonie che furono generalmente applaudite. Animato da questo primo buon incontro, nel 1763 partì per Venezia, e vi studiò il contrappunto sotto il maestro Pescetti: quindi si rese a Parma, ove scrisse la sua prima opera, che piacque talmente che fu chiamato in Napoli. Il Bellerofonte, ch'egli vi scrisse per il giorno natalizio del re Ferdinando, lo rese così celebre, che per un intero decennio compose nove opere per quel teatro; tra le quali si distingue l'Olimpiade da lui scritta nel 1778, principalmente per l'aria Se cerca, se dice, che vien riguardata universalmente come un capo d'opera. A Venezia, a Pavia, a Monaco ebbe del pari una favorevole accoglienza. Ma la fortuna cominciò a voltargli le spalle nel 1780, allorchè diede in Milano la sua Armida che spiacque al segno, che dovette cambiarsi la musica sin dalla prima [101] rappresentazione, nè altro si ritenne della sua che un'aria di bravura cantata dal Marchesini. Andò quindi in Roma, ed incontrò anche peggio nell'opera che vi scrisse: egli morì quivi nell'estrema miseria a' dì 4 febrajo del 1782 di 45 anni. In Italia aveva scritto oltre a 30 opere, molti oratorj, sinfonie e concerti. Dodici delle sue overture sono state impresse in Germania. Nelle biografie degli uomini celebri della Boemia e della Moravia si trova il suo ritratto.
Mitzler de Kolof (Lor. Cristiano), fece i suoi studj nel ginnasio di Anspach, e sin da fanciullo apprese i principj della musica e 'l canto sotto Ehrman. Dopo il 1734 consacrossi alle scienze nell'università di Lipsia, e due anni dopo vi diè un corso pubblico di matematiche, di filosofia, e di musica. La lettura degli scritti di Mattheson, l'assidua sua frequenza al concerto musicale di Lipsia, ma soprattutto la conversazione del gran Bach, formato avendo il suo gusto, egli volle innalzar la sua arte alla dignità d'una scienza mattematica. Nel 1734, pubblicò a tal disegno la sua dissertazione Quod musica scientia sit. Nel 1738, co' soccorsi del conte Lucchesini, e del maestro di cappella Bümler, stabilì una società corrispondente di scienze musicali, di cui fu nominato secretario: tutte le memorie dovevano indirizzarsi a lui. Il catalogo de' membri di questa società, e i di lei statuti trovansi nella Biblioteca di musica. Il primario scopo della sua biblioteca era la teoria musicale. Nel 1740, egli avventurò alcuni saggi d'odi da lui composte, la di cui mediocrità mosse le risa di tutti. In uno scritto di quel tempo per via di smodati encomj si misero in ischerno le sue composizioni musico-matematiche, ed egli ebbe tuttavia la debolezza di crederli sinceri, e di rispondere a quelle finte lodi con ringraziamenti nella sua Biblioteca. Finì costui [102] i suoi giorni in Varsavia col titolo di matematico della corte di Polonia, nel 1778. Le sue opere di teoria musicale sono: Dissertatio quod musica scientia sit, et pars eruditionis philosophicæ, Lipsiæ 1734 in 4º. Biblioteca di musica, in tedesco, o notizie esatte ed analisi imparziali di libri e scritti sulla musica, 3. vol., in 4º 1738-1754. Gli elementi del basso continuo, trattati secondo il metodo matematico, e spiegati per mezzo di una macchina, inventata a tale effetto, Lipsia 1739 in 8vo. Lo speculatore in musica, che scuopre amichevolmente i difetti de' musici ec. Questa specie di Giornale comparve nel 1748, in 8vo. Alla fine del medesimo aggiunse egli la traduzione dall'Italiano dell'Avviso a' compositori ed ai cantanti di Riva, residente del duca di Modena in Londra. E la Traduzione dal latino del Gradus ad parnassum di Fux, con note, Lipsia 1742, in 4º.
Mojon (Giuseppe), dottore in medicina, membro dell'Istituto nazionale ligure, e professore di chimica nell'università di Genova; delle molte opere ch'egli ha dato alla luce non faremo menzione che di quella, cui diè il titolo di Memoria sull'utilità della musica, sì nello stato di salute, come in quello di malattia, Genova 1802. Il D. Muggetti, medico-chirurgo di Pavia, e membro corrispondente della società medica d'emulazione, e della galvanica di Parigi, ne ha pubblicata una traduzione francese, Parigi 1803, in 8vo con alcune sue annotazioni. Nella sua prefazione egli dice di avere intrapresa l'intera traduzione di quella Memoria, non essendo, suscettibile di estratto, a motivo dell'estrema sua concisione, che non permette di toglierne una sola parola; Io desidero che la mia fatica, le osservazioni e riflessioni dell'autore render possano più comune l'impiego della musica a preferenza [103] delle droghe, a cui spesso ripugna la natura, e che il più delle volte ancora sono di notabil danno in certe malattie nervose, e soprattutto nell'ipocondria e in diverse altre specie di delirio; se questa massima fosse stata ben ponderata da' medici, il filosofo di Ginevra non avrebbe contro di loro avanzato quel sarcasmo, dicendo: Io non sò di quai mali ci guariscono; anzichè ce ne regalano dei più funesti ancora, la pusillanimità, la lassezza, la credulità, il terror della morte; se guariscono il corpo, essi uccidono il coraggio.
Molineux (d.^{r} Tommaso), inglese, di cui vi ha nelle Transazioni filosofiche del 1702, num. 283, a Letter etc., cioè Lettera al Rev. Saint-George, Vescovo di Clogher in Irlanda, sopra alcuni dubbj intorno l'antica lira de' Greci e de' Romani, colla spiegazione d'un passo oscuro di un'ode di Orazio.
Momigny (Girol. Gius. de), nato a Philippeville nel 1776, apprese sin da fanciullo la musica, e i suoi progressi furono sì rapidi che di nove anni egli improvvisava. Non lasciò frattanto di applicarsi alle scienze, e venne a stabilirsi in Parigi nel 1800, dove compose la musica di due opere, di alcune cantate, quartetti, sonate per forte-piano ec. La sua opera principale è Cours complet d'harmonie, et de composition, in 3 vol. in 8vo. Il suo corso è una nuova e compita teoria della musica, fondata in parte sul sistema di Ballière, sviluppato da Jamard, e sopra alcune vedute dell'ab. Feytou, come può vedersi all'artic. Cromatique (t. 1 de la musique dans l'Encyclop. méthod.). Le altre scoperte sparse in quel corso appartengono interamente a M. de Momigny. Sono esse diametralmente opposte alle idee ricevute, benchè non sian meno ingegnose, sovra tutto ne' capitoli sulla misura e il ritmo. Nel 1802 egli avea pubblicato il primo anno delle sue lezioni [104] di forte-piano, che ha avuto buon incontro.
Monopoli (Giacomo), il cui vero nome di famiglia era Insanguine, veniva detto Monopoli, perchè nato in questa città nel regno di Napoli. La sua musica per teatro ebbe al suo tempo gran successo; egli scrisse la musica di Calipso nel 1782 e quella del salmo 71, in versi lirici di Sav. Mattei nel 1775. Rammentiamo solo quest'ultime sue composizioni per dare a conoscere l'epoca in cui egli fioriva, non avendo intorno a lui altre memorie.
Monsigny (Pier-Alessandro), a cui i francesi attribuiscono la rivoluzione musicale del loro teatro, avvicinando vieppiù la loro musica a quella degl'italiani; per il che gli danno il nome di Sacchini della Francia. Tutta la sua musica, essi dicono, è d'istinto, tutti i suoi canti tuttora si ritengono, e vien riconosciuto generalmente da tutti, che egli ha portato al supremo grado il patetico e 'l canto di espressione. In un Rapporto della Classe delle Belle-arti del 1810, Monsigny viene annoverato tra' gran maestri, che hanno dato al teatro delle eccellenti opere in tutti i generi (pag. 55). “La sensibilità di questo compositore (scriveva nel 1811, M. Fayolle), bisogna che sia stata molto viva, perchè conservato ne abbia così gran dose all'età di 82 anni. Non ha guari, spiegandoci egli la maniera con la quale aveva voluto dipingere nel suo dramma le Déserteur, la situazione d'Aloisa, allorchè riviene gradatamente dal suo deliquio, e che le sue parole singhiozzanti sono interrotte d'alcuni pezzi strumentali; egli proruppe in un largo pianto, e cadde egli stesso nello sfinimento che dipingeva della più espressiva maniera.”
Monteclair (Michele), imparò la musica e 'l gusto per quest'arte sotto Moreau, ottimo maestro di cappella in quel tempo, e l'esercitò in Parigi con buon successo, [105] ove morì nel 1737. Tra le altre sue composizioni vi ha il Gefte, che fu il primo Oratorio che si sia fatto sul teatro di Parigi nel 1732. Vi ha in oltre di lui Méthode pour apprendre la musique in 8º, che vien tenuto in qualche pregio.
Monteverde (Claudio), da Cremona, fu uno de' più gran musici del suo tempo, e uno dei fondatori della scuola di Lombardia. Egli studiò la composizione sotto M. Antonio Ingegneri, maestro di cappella del duca di Mantova, nella di cui corte si era acquistato già molta stima come violinista. Mal contento delle regole e della pratica de' suoi predecessori, avventurò de' nuovi metodi; osò il primo di usare la quinta diminuita, come consonanza: introdusse le dissonanze doppie con preparazione, e provossi di praticare in nuove maniere le dissonanze di passaggio. Benchè si sia egli ingannato in alcuni punti, come chiaramente glie lo provò Artusi, può dirsi tuttavia certamente, che di tutti i maestri egli è il primo a cui la tonalità e la moderna armonia abbiano le maggiori obbligazioni. “Egli è indubitato, dice il Carpani, che le dissonanze sono come il chiaro-scuro nella pittura. Col mezzo dell'opposizione e del confronto danno esse più risalto ed effetto all'accordo vero, ne accrescono il desiderio, e svegliano così l'attenzione, operando a guisa degli stimolanti che si danno agli obesi e sonnacchiosi. Quel momento d'inquietudine che producono in noi, si trasforma in piacere vivissimo allorchè sentiamo poi l'accordo, quale l'orecchio nostro non cessava di travederlo e desiderarlo. Non è a dire perciò quanto vantaggio recassero alla musica, coll'introdurvi le dissonanze, lo Scarlatti, e molto prima di lui il Monteverde, scopritor primo di questa miniera di bellezze” (let. 3). Monteverde discolpossi intanto delle critiche, che se gli erano fatte, e rispose [106] con alcune lettere stampate in fronte alle sue opere. Le bellezze della sua musica attirarono in suo favore il pubblico, e la più parte degli amatori. I suoi pretesi errori modificati cominciarono ad operare la gran rivoluzione musicale in Italia, e furono generalmente adottati. L'arte alleviata e disciolta da una quantità di severe regole, e dal giogo della pedanteria, fece de' nuovi progressi, ed aprì nuova via a tanti uomini celebri, che son venuti di poi. In ricompensa de' suoi talenti e degli importanti servigj resi all'arte, Monteverde divenne maestro di cappella di S. Marco in Venezia, posto occupato mai sempre da' più grandi uomini. Egli quivi morì in età molto avanzata nel 1651. Le sue composizioni per teatro e per chiesa, parte impresse in Venezia e parte manoscritte, si conservano ancora in diverse biblioteche.
Montù (M.), piemontese, dottissimo nella meccanica e nella teoria della musica, morto immaturamente in Parigi nello scorso anno 1814. Egli è autore di un'opera intitolata Numerazione armonica per ispiegare le leggi dell'armonia: ed è inventore inoltre di due instromenti di musica, detto l'uno Sfera-armonica, e Sonometro l'altro. Può leggersene la descrizione nel libro intitolato Archives des découvertes etc. Paris 1809, al num. 14. “Questi due instromenti, ivi si dice, sono stati inventati da M. Montù, per dare una dimostrazione matematica de' principj dell'armonia, ignoti o combattuti sinora. Quest'instromenti e i loro accessorj sono d'una perfezione preziosa e rara. I Sig. Prony, Charles, Gossec e Martini, ne hanno fatto un rapporto al ministro, in cui dichiarano che i suddetti stromenti possono utilmente servire a far delle sperienze interessanti sulle proporzioni musicali, relative ai sistemi degli antichi, non che a quei de' moderni. Il governo li ha comprati, e li ha fatti [107] deporre nel Conservatorio di musica.” (pag. 372). Le invenzioni di Montù formano la maraviglia de' Francesi, e l'orgoglio dell'Italia.
Montucla (Giov. Franc. de), membro della R. Accademia delle scienze di Berlino, pubblicò nel 1758 in Parigi un'opera in 2 vol. in 4º, intitolata: Histoire des mathématiques, nella quale dalla pag. 122-136, si trova in ristretto la Storia della musica greca. Egli dà un'esposizione assai superficiale e molto imperfetta del sistema acustico de' Greci, comechè avesse dovuto farne l'oggetto essenziale del suo argomento. Poteva dispensarsi piuttosto dal trattarvi la questione della tonalità della greca musica, non avendo un rapporto necessario al suo oggetto. Montucla morì a Versailles nel 1799; egli aveva preparata una seconda edizione della sua Storia con molte addizioni, ch'è stata pubblicata e compiuta dall'astronomo Lalande, a cui erano stati rimessi i manoscritti del Montucla, in 4 vol. in 4º.
Montvallon (M. de), nel 1742, pubblicò un'opera intitolata: Nouveau Système de musique sur les intervalles des tons, et sur les proportions des accords, ou l'on examine les systèmes proposés par divers auteurs. Non possiamo darne saggio, non conoscendola.
Monza (Caval. Carlo), maestro di cappella in Milano sua patria, ove godette della riputazione di uno de' migliori compositori per teatro e per chiesa. Nel 1766, compose il Temistocle per quel gran teatro della Scala: e nel 1777, per quel di Venezia Mitteti e Cajo Mario, che incontrarono assaissimo: alcune arie di questi drammi furono impresse in Germania, ed in Londra nel 1783, la sua terza opera consiste in six sonatas for the harpsichord, or piano-forte with a violon. Il d.^{r} Burney scrive di aver sentita una sua messa in S. Maria secreta di Milano, ch'egli approvò come bella e piena di genio.
[108] Mooser (Luigi), di Friburgo nella Svizzera, giovane artista costruttore di organi e piano-forte, ha portato la sua arte al più alto grado della perfezione. La pienezza, la forza e nel tempo stesso la dolcezza e morbidezza de' suoni distinguono sommamente i suoi piano-forte a coda. L'organo ch'egli ha fatto per il nuovo Tempio di Berna è un capo d'opera: bisogna sentirlo per farsene un'idea, ed esaminarlo di presenza per apprezzarne il merito. L'ultima e migliore sua opera è un forte-piano organizzato, che gli amatori si danno premura di andar a vedere in sua casa, e ch'egli chiama orchester-instrument, stromento di orchestra. Puossene vedere la descrizione in un libretto in 12º che ha per titolo: Etrennes Fribourgeoises pour l'année 1810.
Morellet (l'abb. Andrea), di Lione, pubblicò uno scritto, cui diè per titolo: De l'expression en musique, pieno d'ingegnose idee sulle belle arti in generale, ed in particolare sulla musica. Si trova negli Archives littéraires, tom. 6, e nel Mercurio di novembre 1771.
Moret de Lescer, maestro di musica francese a Liegi, nel 1768, pubblicò in un vol. in 4.º Science de la musique vocale. Nel 1775 comparve al pubblico un prospetto di un'altra sua opera, ch'egli aveva già terminata in 13 vol. in 8vo, ciascuno di 400 pagine, col titolo di Dictionnaire raisonné, ou histoire générale de la musique et de la lutherie, con diversi rami, ed un piccolo dizionario di tutti i gran maestri di musica ed artisti che si sono resi celebri per il loro genio, ed i loro talenti (V. l'Esprit des Journaux, septembre 1775).
Morigi (Angelo) da Rimini, degno allievo del Tartini e primo violino del teatro di Parma, ove morì nel 1790. Il cel. maestro Bonifacio Asioli si reca a gloria di essere stato suo discepolo. Morigi è autore di più opere di sonate e concerti di violino, che sono state [109] impresse; la terza di queste comparve in Amsterdam nel 1752, composta di sei concerti.
Mortellari (Michele), nato in Palermo nel 1750, fu allievo nel Conservatorio de' figliuoli dispersi del Muratori, ove diè a divedere di buon'ora la vivacità del suo talento, e la felicità nel comporre. Assai giovane portossi in Napoli, ed ebbe alcune lezioni del cel. Piccini. Scrisse quindi la musica di più opere in Roma, a Milano, in Modena e a Venezia, che ebbe felicissimo incontro. Il d.^{r} Burney parla di una Armida di Mortellari, da lui sentita nel 1786, nella quale egli loda, come in tutte le altre composizioni di questo maestro, l'eleganza unita all'energia delle idee musicali (Travels etc.) Il costui figlio, anche buon maestro di musica, si è stabilito in Londra, ove secondo il D.^{r} Pananti è molto stimato. “Mortellari, egli dice, è giovane professore pieno di talento e di gusto, e scrive con molta grazia.” V. il Poeta di teatro, t. 2, a Londra 1809 nelle note, p. 295.
Mosca (Luigi). Napoletano, si è acquistato in Italia la riputazione di un valente compositore, per le opere buffe specialmente ch'egli vi ha scritto, come il Sedicente filosofo, farsa; Chi si contenta gode; Chi troppo vuol veder diventa cieco; La sposa a sorte; Velafico e limella, drammi burleschi che si trovano presso il Ricordi in Milano. Nel 1805 venne egli in Palermo, dove scrisse la musica del Gioas, oratorio per il R. teatro di S. Cecilia, che ebbe qualche successo, ed una messa a piena orchestra per la solenne professione d'una figlia dell'Ecc. Sig. Duca Lucchesi-Palli. Giuseppe Mosca, fratello di Luigi, è ancora un buon maestro di musica stabilito in Parigi, ove ha scritto per quel teatro, detto dell'Opera Buffa, la Ginevra di Scozia nel 1805, e la vendetta feminina nel 1806.
Mozart (Giov. Crisost. [110] Volfango Teofilo, da altri detto ancora Amedeo) nacque a Salisburgo li dì 27 Gennaro 1756 da Leopoldo Mozart, maestro della cappella di quel principe arcivescovo, di cui si dirà in appresso. Aveva appena tre anni, quando suo padre cominciò a dar lezioni di cembalo alla di lui sorella in età allora di 7 anni. Mozart palesò ben presto le sue sorprendenti disposizioni per la musica: era suo diporto il cercar le terze sul cembalo, e il maggior suo contento imbattersi in quell'armonioso accordo. All'età di quattr'anni imparò, come per ischerzo, alcuni minuetti e altri pezzi di musica, e fece de' progressi sì rapidi, che a cinque anni componeva di già de' piccoli pezzi di musica, che suonava a suo padre, e che costui si dava cura di scrivere. Il gusto dello studio prese allora su di lui tale ascendente, che davasi tutto senza riserba alle occupazioni che gli venivano prescritte, e i suoi progressi nella musica divenivan sempre maggiori. Suo padre tornando un dì dalla chiesa con uno de' suoi amici trovò suo figlio occupato nello scrivere. Che fai tu dunque, cuor mio? gli dimandò. Compongo un concerto pel cembalo; e sono quasi al fine della prima parte — Vediamo un pò questo bel scarabocchio — Se mi permettete, io prima il finisco. Il padre intanto prese la carta, e diè a vedere all'amico quella guerra di note, che potevasi appena diciferare per le gran macchie dell'inchiostro. I due amici risero dapprima come d'una bambocceria, ma il padre avendola bene osservata, Ve' dunque, disse al figliuolo, come la tua composizione va tutta bene secondo le regole; ma il malanno si è che non può farsene uso perchè troppo difficile, e chi potrebbe mai sonarla? Ma egli è questo un concerto, ripigliò il fanciullo Mozart, e bisogna studiarlo finchè si giunga a sonarlo bene. Sentite un pò come deesi eseguire. E cominciò egli tosto a suonare, [111] benchè non vi fosse riuscito che quanto bisognava per far vedere quali fossero le sue idee. Allorchè fu egli all'età di sei anni, tutta la famiglia Mozart, composta del padre, della madre, della figliuola e di lui, si rese a Monaco nella Baviera. L'elettore sentì i due ragazzi, e ne ebbero degli elogj e degli applausi senza numero. Nell'autunno del medesimo anno 1762, i due piccoli virtuosi furono presentati alla corte imperiale, ove trovavasi allora il famoso Wagenseil. Mozart che sapeva già preferire a tutto l'approvazione di un gran maestro, pregò l'imperatore che lo facesse venire, come colui che ben se ne intendeva. Francesco I fece chiamare Wagenseil, e gli cedette il suo luogo presso al clavicembalo. Signore, gli disse allora il virtuoso di sei anni, io sonerò uno de' vostri concerti, bisogna che voi mi voltaste i fogli. Sino allora Mozart non aveva sonato che il cembalo, ma il suo genio non abbisognava di lezioni: egli aveva riportato da Vienna a Salisburgo un piccolo violino, e si divertiva con questo stromento. Wenzl, valente violinista, venne a trovare Mozart il padre per consultarlo intorno a sei trio, che aveva di recente composti. Il padre doveva suonare il basso, Wenzl il primo violino, ed il secondo Schachtner; ma il piccolo Mozart importunò talmente per far quest'ultima parte, che suo padre consenti a lasciargliela sonare sul suo violinetto. Era questa la prima volta che lo sentiva; ma quale fu la sua sorpresa, o la sua ammirazione piuttosto, quando vide ch'egli ne uscì a maraviglia. Nel luglio 1763, nei settimo anno per conseguenza di Mozart, la di lui famiglia intraprese il suo primo gran viaggio fuori della Germania, e fu allora che si sparse per tutta l'Europa la riputazione del musico fanciullo. Fecesi ammirare primamente a Monaco, e successivamente in tutte le corti elettorali. Nel mese [112] di novembre giunse a Parigi: suonò egli l'organo a Versailles dinnanzi tutta la corte, nella cappella del re. Gli applausi fatti a lui ed alla sorella in Parigi giunsero sino all'entusiasmo. Venne inciso il ritratto del padre e de' due fanciulli, e Mozart di sett'anni allora compose quivi e pubblicò le due sue prime opere. Nel 1764, passaron eglino in Inghilterra, e vi ebbero il medesimo incontro alla corte e alla capitale. I due ragazzi cominciarono d'allora a suonar da per tutto su due cembali de' concerti a dialogo. Si mettevano dinnanzi a Mozart differenti pezzi i più difficili di Bach, di Hendel e di altri, ed egli li eseguiva a primo colpo d'occhio con la possibile giustezza e nella convenevole misura. Durante il suo soggiorno in quell'Isola, egli compose in età di otto anni sei sonate, che dedicate da lui alla regina furono impresse in Londra. Ritornarono in Francia nel 1765, e si resero in Olanda, ove Mozart compose una sinfonia a piena orchestra per il possesso del principe d'Orange. Al suo ritorno in Germania, l'elettor di Baviera gli propose un tema musicale per istenderlo subitamente senza servirsi nè di violino, nè di cembalo; egli lo fece in presenza dell'elettore: lo sonò di poi, e riscosse l'ammirazione del principe e di tutti gli astanti. Tornato a Salisburgo sulla fine del 1768, Mozart si diede con un nuovo ardore allo studio della composizione. Emmanuele Bach, Hasse ed Hendel furono sue guide e modelli, senza trascurar non per tanto gli antichi maestri italiani. Suo padre che era anche teorico, gli diè lezioni di contrappunto. Nel 1764 i due fanciulli suonarono in Vienna dinanzi l'imperatore Giuseppe II, che diè a comporre a Mozart di undeci anni la musica di un'opera buffa. Ella era la Finta semplice, che ebbe l'approvazione di Hasse e di Metastasio, benchè non fu poi rappresentata. L'anno d'appresso [113] all'apertura della chiesa della casa degli orfani, compose egli la musica della messa, e del mottetto: e la diresse egli stesso alla presenza della corte imperiale. Nel dicembre del 1769, suo padre partì con lui solo per l'Italia, ed egli è facile lo immaginarsi come il giovinetto virtuoso dovette esser quivi ben accolto, nel paese ove la musica e tutte le arti sono generalmente coltivate. “Quel maestro d'ingegno, dice il Carpani (Lett. 5), scrisse la sua prima opera in Milano all'età di 13 anni in concorrenza dell'Hasse, il quale diceva in udirlo: questo ragazzo ci farà dimenticar tutti.” In Bologna il cel. P. Martini ed altri rinomati professori di musica davano in trasporti nel vedere con qual maniera il ragazzo Mozart sviluppava i più difficili soggetti di fuga, e senza esitare un momento li eseguiva sul cembalo con tutta la precisione possibile. Dopo d'aver fatta in Firenze la medesima sensazion, giunse in Roma nella settimana santa. La sera del mercordì si portò con suo padre nella cappella Sistina, per sentire il famoso Miserere, di cui era vietato sotto pena di scomunica il dare o prender copia. Prevenuto di questo divieto, l'udì egli con tale attenzione, che tornando in casa, lo notò intieramente. Fu eseguito la seconda volta il venerdì santo: nel tempo dell'esecuzione egli tenne la musica manoscritta nel suo cappello, e ciò gli bastò per farvi alcune correzioni. Questo aneddoto fece molto romore in Roma, ed in un concerto cantò egli questo Miserere accompagnandosi col cembalo: il primo soprano, che cantato l'aveva nella cappella, riconobbe con sua sorpresa, che la copia ne era compita e fedele. Passò in Napoli, e al suo ritorno in Roma, il papa, che il volle vedere, lo creò cavaliere dello speron d'oro. Nel passar nuovamente in Bologna, egli ricevette una distinzione più lusinghevole. Dopo le prove requisite, alle quali [114] soddisfece con sorprendente prontezza, fu unanimamente nominato membro della Società filarmonica. Secondo il costume, fu egli rinchiuso solo, dopo avergli dato a comporre un'antifona a 4 voci, il di cui soggetto era d'una difficoltà proporzionata all'idea che si era formata del suo talento: ed egli terminò a capo di mezz'ora. A Milano scrisse di ritorno il Mitridate, opera seria, nel carnovale del 1771, e vi si replicò oltre a venti sere di seguito. Per giudicare del suo successo, basta il sapere che l'impresario fece ben tosto con lui un'accordo per iscritto con l'obbligo di scrivere la prima opera dell'anno 1773; egli non aveva allora che quindici anni. Il dramma fu Lucio Silla, che riuscì non meno del Mitridate, ed ebbe 26 rappresentazioni consecutive. Nel 1771 egli aveva scritto colà Ascanio in Alba, e nel 1772 a Salisburgo il Sogno di Scipione, per l'elezione del nuovo arcivescovo. Chiamato quindi a Vienna, a Monaco ed altrove, tra le altre opere compose la Finta Giardiniera, musica burlesca; due solenni messe per la cappella dell'elettor di Baviera, e per il passaggio dell'Arciduca Ferdinando a Salisburgo il Re Pastore: ciò fu nel 1775. Egli era giunto al colmo della sua arte: la sua gloria si era sparsa in tutta l'Europa, e non aveva che diciannove anni. L'elettore di Baviera ordinogli di scrivere l'Idomeneo pel teatro di Monaco: egli ne compose la musica co' più favorevoli auspicj: aveva allora venticinque anni, e quel che gliela inspirò fu l'amore da lui concepito per la persona che sposò poco dopo. Questa passione e 'l suo amor proprio raffinati ad un estremo grado, fecero produrgli un'opera ch'egli riguardò sempre come una delle migliori, e di cui spesso ha preso egli in imprestito alcune idee nelle posteriori sue composizioni. Da Monaco Mozart si rese a Vienna, dove entrò al servigio dell'Imperatore, a cui rimase [115] finchè visse attaccatissimo: e sebbene non ne ricavasse che un molto tenue trattamento, ricusò egli costantemente le offerte vantaggiose che gli vennero fatte da altri sovrani, e precisamente quella del re di Prussia. Fra questo tempo sposò egli madamigella Weber, virtuosa di un particolare merito, ed ebbe da essa due figli. Giuseppe II incaricò Mozart di mettere in note il Matrimonio di Figaro, che trionfava allora su i teatri tutti. Questa musica occupò il teatro di Praga l'intero inverno del 1787; egli compose quivi per i Boemi il Don Giovanni Tenorio, il di cui successo fu eziandio più brillante di quell'altro dramma. Il Don Giovanni non fu molto ben accolto in Vienna nelle prime rappresentazioni. Se ne parlava un giorno in una numerosa adunanza, dove trovavasi la più parte de' conoscitori della capitale, tra' quali Haydn. Tutti eran di accordo nel dire ch'ella era questa una pregevolissima opera, di ricco genio, e d'una brillante fantasia; ma ognuno vi trovava ad opporre qualche cosa: avevano tutti profferito già il lor sentimento, eccetto l'Haydn. Mozart, non era presente: fu pregato dunque costui a dir quel che ne sentiva. Io non sono in istato di giudicare questa contesa, disse egli colla sua usata modestia: Quel che so si è, che Mozart è il più gran compositore che esista al presente. Ben solenne testimonianza diede altresì l'Haydn del concetto in che teneva il Mozart, allorchè nell'incoronazione di Leopoldo II fu chiamato a Praga per comporvi in concorrenza del suddetto. Egli disse allora, che dove scriveva un Mozart, Haydn non poteva mostrarsi. Questo generoso e modesto rivale “non lasciava mai di correre e sentire la musica di Mozart, ovunque sapeva eseguirsene. Mi diceva (scrive il Carpani) d'aver sempre imparato qualche cosa ogni volta che udito aveva le composizioni di quel talento prodigioso.” Mozart [116] agiva nella stessa maniera riguardo all'Haydn: egli dando alla luce i suoi quartetti non solo li dedicò a questo grand'uomo, ma nella dedica ingenuamente confessa d'avere da lui imparato come da maestro. Mozart infatigabile sino alla tomba, negli ultimi mesi di sua vita produsse i suoi tre capi d'opera: il Flauto magico che è il più sublime modello d'ogni musica drammatica, la Clemenza di Tito, e la famosa Messa di Requiem, che potè appena terminare. La storia di questo Requiem è molto singolare. Un giorno che Mozart era immerso, secondo il suo costume, nelle sue malinconiche meditazioni, sente fermare una carrozza alla sua porta. Se gli annunzia un incognito, che chiede di parlargli. Si fa entrare: era questi un uomo d'una certa età, che aveva tutte le apparenze d'una persona di distinzione. Io sono incaricato, disse quel forestiero, da un uomo di gran considerazione di venire da voi. Chi è costui?, interruppe Mozart — Egli non vuol esser conosciuto — Benissimo, e che brama egli? — Vien questi di perdere una persona a lui molto cara, e la cui rimembranza gli sarà sempremai preziosa: vuol celebrare ciascun anno i suoi funerali, e vi prega a comporre un Requiem per tal funzione. Mozart s'intese penetrar vivamente da questo discorso, dal tuon grave con cui proferivasi, dall'aria misteriosa di tutta cotesta avventura. La disposizione del suo animo accresceva vie più siffatte impressioni, e promise di fare il Requiem. Proseguì l'incognito: Impiegate in quest'opera tutto il vostro genio: voi faticate per un buon intendente di musica. — Tanto meglio. — Quanto tempo vi abbisogna? — Quattro settimane — Eh bene! io tornerò da qui a questo tempo: qual prezzo esiggete voi della vostra fatica? — Cento ducati. L'incognito numerogli la somma sul tavolino, e disparve. Mozart resta per alcuni momenti immerso in profonde riflessioni: [117] ad un tratto dimanda da scrivere, e malgrado le rimostranze di sua moglie si mette a comporre. Proseguì per più giorni oltre l'ordinario a faticare e giorno e notte: ma la sua macchina non potè resistere a questo sforzo. Svenne un giorno senza conoscenza, e fu costretto a sospendere la composizione. Alcun tempo dopo, trattenendosi con la moglie su i funesti pensieri che l'occupavano, confidolle di esser ben persuaso, che travagliava a quella messa per servire a' suoi funerali, e che credeva certo di avere avuto il veleno. Nulla potè frastornarlo da quell'idea, e rimesso alcun poco de' suoi sfinimenti, proseguì a faticare al suo Requiem, come Rafaello travagliava al suo quadro della Trasfigurazione, colpito ancora dall'idea d'una vicina morte. Mozart sentiva diminuir le sue forze; e 'l suo travaglio avanzava lentamente; già erano scorse le quattro settimane che aveva dimandato, e vide entrare un giorno in sua casa l'incognito: Non mi è stato possibile, gli disse Mozart, di mantener la parola. — Non vi prendete pena, rispose il forestiero, quanto tempo ancor vi bisogna? — Quattro altre settimane. L'opera mi ha inspirato più interesse di quel che io credeva: e molto più l'ho sentito di quel che volessi. — In questo caso egli è giusto di crescere la vostra paga. Ecco cinquanta ducati di più. — Signore, disse Mozart vie più sopraffatto, chi siete voi dunque? — Ciò non fa niente al caso, io tornerò di qua a quattro settimane. Mozart spedì tosto al partir di costui un suo domestico per andar dietro a quest'uomo singolare, e sapere dove anderebbe a fermarsi, ma questi nulla potè rintracciare. Saltò allora in capo al povero Mozart, che non era costui un essere della comune, ch'egli aveva certo relazione con l'altro mondo, e che eragli spedito dal cielo per annunziargli il suo prossimo fine. Non travagliò frattanto con meno ardore al suo Requiem, ch'egli riguardava [118] come il più durevole monumento del suo genio. Nel corso della fatica ricadde più volte in peggiori svenimenti, ma l'opera fu compiuta prima delle quattro settimane. Il giorno di sua morte fè portare il Requiem dinanzi al suo letto: Non aveva io ragione, sclamò egli in mezzo alle lagrime, quando affermava che per me componeva questo Requiem? Egli era questo l'ultimo addio alla sua famiglia ed all'arte. Mozart morì a 5 dicembre del 1792, non compiti ancora i 36 anni di sua vita. Tornò l'incognito al termine convenuto, ed egli più non esisteva: gli si consegnò quella musica, ma la vedova avevane conservata la partitura. Questo gran genio non parlava mai delle sue opere, e solo qualche volta per giudicarne con severità. Componeva in mezzo a' suoi amici, e passava le intiere notti al travaglio: non poteva alle volte compire un'opera se non allo stesso momento che bisognava eseguirsi: ciò gli avvenne nella sinfonia del don Giovanni. Non la compose egli se non la notte avanti della prima rappresentazione, ed allorchè erasene fatta la prova generale. “Mozart in ispecie, dice il D. Lichtenthal, fu quel genio unico, che prevalse in tutti i generi della musica, cosa che non si trovò in tutti i suoi antecessori, nè forse si troverà mai più. Egli fu quello il quale rigettò tutti i principj che assoggettavano la maniera libera di comporre che si usò prima. Egli guidò co' voli del suo genio ad una riforma universale sul gusto delle note, e il suo genio ordinò quei quadri ne' quali, onde raccogliere il tutto d'una situazione ricca di sentimenti, aveva con tanta fantasia e perspicacia inseguito ogni minimo sentimento, sino al più impercettibile grado, ed egli quindi regnò, per la sua vasta conoscenza dell'arte pratica in tutto l'ambito del sistema musico.” La sua musica, dalla sinfonia sino a quella de' balli, dei drammi serii e burleschi sino alle semplici [119] canzoncine, è tutta eccellente. Quel che più vi si ammira egli è una prodigiosa fecondità di motivi franchi e felici, di sviluppamenti che si succedono con molta destrezza, e nei quali il più profondo travaglio nulla nuoce alle grazie; egli è questa una nuova ed abil maniera di usar dell'orchestra e degli istromenti da fiato; e finalmente, uno straordinario talento per trasportare nell'accompagnamento le ricchezze dell'armonia, con una espressione, una forza ed un'immaginazione che non ha pari. Un genio così strepitoso non poteva non produrre il più vivo entusiasmo. Commossa da' di lui fortunati successi la servile greggia degli imitatori si è precipitata sulle sue tracce; ma, come avviene assai volte, nelle loro mani le bellezze del modello degenerarono in difetti: null'altro eglino han fatto che rappezzare dei motivi sciapiti e triviali, con una penosa fatica ed una affettazion pedantesca: come Mozart, hanno eglino sopraccaricati i loro spartiti di tutta la massa degli instromenti, ma non hanno saputo trarne, com'egli, veruno effetto: il loro canto, da nulla per altro, ed insignificante, è rimasto soffogato del fracasso dell'orchestra. Si sono essi dimenticati che due condizioni formano il compositore perfetto: il genio che è innato, e la scuola che è il risultato dello studio ben diretto. Mozart, tra i compositori di musica, stimava a preferenza gli Italiani, come Leo, Durante, Porpora, Al. Scarlatti, ma del pari il più celebre tedesco Hendel. Egli sapeva a memoria le principali opere di questo gran maestro: apprezzava anche molto il Jommelli. Quest'artista, diceva egli, ha de' luoghi dove brilla, e brillerà per sempre; ma non avrebbe dovuto uscirne, come allorquando volle fare musica da chiesa sull'antico stile. Riguardo a Vincenzo Martin lo Spagnuolo, autore della Cosa rara, che era allora in gran voga: vi sono, egli diceva, [120] in questa musica delle cose assai belle: ma di quà a vent'anni, niuno vi farà più attenzione. Vi sono nove opere di Mozart con parole italiane: Mitridate; Lucio Silla; Idomeneo; e la clemenza di Tito, drammi serj; e la Finta semplice; la Finta Giardiniera; le Nozze di Figaro; il Don Giovanni Tenorio, e Così fan tutte, burleschi. Tre altre opere con parole tedesche: Il Ratto dal Serraglio, il Direttor de' spettacoli; ed il Flauto Magico, ove vi ha un terzetto de' preti che incomincia O Iside ed Osiride scritto nello stile di chiesa, di cui così ragiona il Sig. Niemetschek nel suo libro intitolato: lo Spirito di Mozart. “O discepoli della musica! se avete studiato la partitura di tal capo d'opera fino a questo sublime e commoventissimo punto; e se la gioja quieta che spira, e quella purezza di effetti, quel dolce scioglimento, non vi hanno invaso l'anima con simpatico calore, nè strappata una dolce lagrima dagli occhi; disperate pure per sempre! Non avrete mai il sacro dono di commovere i cuori, poichè la dispensiera delle gioje, Natura, vi ha negato l'eco delle più soavi armonie, che la sua magica onnipotenza diffonde.” In Palermo siamo debitori al Sig. barone Pisano uomo di genio e di gusto, intendentissimo di questa bell'arte, di averci fatto conoscere la divina musica del Mozart. Egli è stato il primo tra noi, che si sia provvisto di alcune delle sue opere, e precisamente del Don Giovanni, e del sullodato dramma, come anche del famoso Requiem. Quest'ultimo è stato per ben tre volte eseguito da numerosa orchestra nello scorso novembre in questa Capitale, in occasione de' solenni funerali di S. M. la Regina, con riscuotere l'entusiasmo, il piacere e gli applausi di tutto il pubblico. Chi desidera de' più minuti dettagli intorno a Mozart e le sue opere, potrà consultare M. Schlichtegroll, nel Necrologio allemanno del 1793, t. II, e M. Ginguené [121] nel t. 31 della Decade Filosofica; Lo spirito di Mozart, in tedesco del professore Niemetschek, e la Notice sur Mozart di M. de Sèvelinges, in fronte alla partitura del Requiem, impressa in Parigi nel 1805.
Mozart (Leopoldo), padre del precedente, fece i suoi studj a Salisburgo, e nel 1743 fu ammesso nel corpo de' musici della cappella dell'arcivescovo, come musico della corte. Egli era buon compositore, e suonator di violino: nel 1762, ebbe il posto di sotto-direttore della cappella di quel principe. I doveri del suo impiego alla cappella ed alla corte non assorbivano tutto il suo tempo: e buon teorico ne impiegò il resto a dar lezioni di composizione musicale, e di violino. Nel 1756 pubblicò ad Ausburgo un'opera col titolo: Versuch eines ec. ossia Saggio di una scuola fondamentale di violino, di cui ne fu fatta una traduzione in francese da Valentino Rouser nel 1770. Secondo la testimonianza de' più gran maestri, questo metodo ha servito a formare tutti gli eccellenti violinisti della Germania nella seconda metà del sec. 18, il che è un sufficiente elogio di quest'opera. Egli scrisse ancora dodici oratorj, ed altri pezzi per teatro, oltre la musica per chiesa e alcune sonate per cembalo impresse nel 1759. Il giovinetto Mozart figlio di Giov. Crisostomo, e nipote di costui fa onore all'illustre nome di questa famiglia in Vienna colle sue composizioni, e nel 1806 egli, e la vedova madre, come narra il Carpani, “solennizzarono il giorno natalizio di Haydn con un concerto che diedero al teatro della Wieden, e Mozart il giovane vi produsse una sua cantata in lode del sommo maestro che aveva indicate le vie del bello instrumentale al non men celebre suo genitore, e il pubblico accolse come doveva questo omaggio reso a un grande uomo dal figlio d'un suo grand'emulo, seguace e rivale.” (Letter. 14) [122]
Muris (Giov. de), canonico della chiesa di Parigi e dottor della Sorbona fioriva sul principio del decimoquarto secolo. Egli applicossi alla musica, su la quale scrisse alcuni trattati assai buoni per quell'epoca che trovansi inserti nella pregevole Collezione dell'Ab. Gerbert nel vol. terzo. Nella Summa Musicæ, tratta egli della musica, de' suoi inventori, delle sue diverse specie, delle proporzioni e degli intervalli. Nella Musica speculativa, insegna l'arte di ben situare le voci, ed i mezzi per accordarle insieme: parla quindi del monocordo, della sua divisione, degli istromenti, della musica pratica, delle note, e delle loro figure. Il di lui trattato de Musicâ theoricâ porta la data dell'anno 1323. Il p. Jumilhac nel suo libro intitolato: l'Art du plainchant, in 4.º a Paris 1673, dà un estratto della dottrina di questo autore. M. Rousseau ne ha parlato nel suo Dizionario con molta inesattezza, ed in maniera a far credere ch'ei non l'abbia mai letto. Il principe ab. Gerbert ha rilevati molti abbagli de' Scrittori intorno a Giov. de Muris, fra gli altri quello di averlo spacciato inventore del canto misurato, quantunque sia a costui anteriore di tre secoli.
Nani (Emmanuele), nato in Malta circa 1770, da Angelo Nani veneziano, celebre violinista e discepolo del famoso Nazari: suo padre fecelo applicare agli studj delle lettere, destinar volendolo al foro, in cui si era fatto buon nome in Venezia il suo avolo Girolamo Nani: ma sin da' primi anni dimostrò egli gran trasporto per la musica e pel violino, onde si mosse il di lui padre a dargli, benchè di raro, qualche lezione, ma i progressi ch'egli vi fece, furono così rapidi, che in meno di due anni fu in istato di eseguire nel teatro di Malta una sinfonia concertata [123] a due violini obbligati, facendo gli a solo egli e suo padre. Riscosse allora i più distinti applausi non che de' Cavalieri dell'ordine, ma da' più bravi professori, che in gran numero quivi risiedono. Portossi egli di poi in Italia, e benchè assai giovane, fu per alcun tempo primo violino e direttore dell'orchestra nel teatro di Camajore nello stato di Modena, dove trovavasi impresario dell'opera buffa un certo Azzarello palermitano, suonator di contrabbasso. In occasione della gran festa di Lucca in Settembre, Nani volle condurvisi; e dopo essersi esposto all'esame solito farsi per essere ammesso nella gran musica, vinse in quello il suo rivale, e sonò da primo violino del concertino. Quivi egli ebbe degli applausi, e venne chiamato per sonare a solo nel palazzo del Doge insieme col cel. Rolla e con Rovalli e Gros virtuosi in quell'epoca del duca di Parma. Egli sorpassò la comune espettazione nell'esecuzione di un suo concerto, ed i fogli di quel tempo dandone avviso celebrarono la chiarezza del suo suono, la rotondità e dolcezza insieme della corda, ed una singolare giustezza nell'esecuzione. Tornato in Malta acquistossi la celebrità di un deciso ed esatto improvvisatore sul suo instrumento: e di un suonatore di brio e di gusto: egli volle apprendere eziandio il contrappunto sotto il bravo maestro Vincenzo Anfossi, e pubblicò varie sue composizioni di musica sì vocale, che instrumentale. Passò quindi come virtuoso di camera al servigio di S. A. il principe de Rohan, e viaggiò seco sino in Costantinopoli ed in Francia, d'onde scoppiata essendo la fatale rivoluzione del 1789, partì per l'Italia, ed indi per Sicilia. Egli si trova attualmente stabilito in Catania, come primo violino di quel teatro e della cattedrale, ove gode di un'ottima riputazione presso il pubblico.
Nanini (Giov. Maria), [124] da Vallerano, condiscepolo ed amico del Palestrina, studiò il contrappunto sotto Rinaldo del Mell. Circa 1577, era cantante nella cappella del Papa, dove conservansi le sue eccellenti composizioni. Fu quindi il successore di Palestrina, come maestro di cappella di S. Maria Maggiore. Antimo Liberati fa anche menzione di Bernardino Nanini minore fratello di Giovanni, e dice che le di lui composizioni brillavano per il genio e l'originalità. Il P. Martini rapporta nel t. 1 della sua storia un Trattato di contrappunto con la regola per far contrappunto a mente, che ha ambidue per autori.
Nardini (Pietro), nato in Livorno nel 1725, fu il più rinomato e 'l più diletto scolare di Tartini, presso il quale soggiornò lungamente in Padova. Di lui e di Pagin, dice il Conte di S. Raffaele, “con paterna tenerezza faceva menzione il Tartini, dai quali nel pregio della esecuzione ei confessavasi vinto; e confessavalo con quella patriarcal lealtà ch'è un troppo raro fenomeno a dì nostri.” (Dell'Arte del suono). Nardini, dopo di essere stato alla corte del duca di Vittemberga come suo virtuoso, venne nel 1767 a Livorno, ove compose quasi tutte le sue opere: portossi quindi in Padova nel 1769, per rivedere il suo maestro Tartini, e ne prese una particolar cura nella sua ultima malattia, mostrandogli la tenerezza di un figlio. L'anno d'appresso entrò egli al servigio del gran duca di Toscana, come primo suo violinista in Firenze, dove nel passaggio dell'imperatore Giuseppe II ebbe l'onore di eseguire in sua presenza molti concerti: questo principe in attestato della sua soddisfazione gli fè dono di una scatola d'oro riccamente smaltata. Nardini brillava principalmente nell'esecuzione degli adagio: alcuni, che l'hanno conosciuto, assicurano che allorquando si sentiva senza vederlo, tale era la magia del suo arco, che pareva sentire una voce [125] piuttosto anzichè un istromento. Lo stile delle sue sonate è sostenuto, chiare ne sono le idee, ben condotti i motivi, ed espressivi e naturali i sentimenti, ma analoghi al carattere serioso dell'autore. Evita il difficile, e tutto sta il suo fare nell'arte e nel maneggio dell'arco, ch'egli possedeva nell'ultima perfezione. Ecco perchè le sue sonate non fanno più lo stesso effetto, se eseguite non vengono secondo la sua scuola. Veggasi il Saggio sul gusto della musica, del Sig. Rangoni, Livorno 1790, in 12º. Nardini morì in Firenze nel 1796.
Naselli (don Diego), della famiglia de' principi di Aragona, nobile palermitano, allievo di Perez per la musica, alla di cui protezione ben può dirsi che dovette questo maestro la sua fortuna. Il Cavalier Naselli studiò così profondamente la musica, che compose più opere per i teatri d'Italia, che ebbero allora grande incontro. Non volendo però comparirne autore, facevale correre nel pubblico sotto il nome di Egidio Lasnel, anagramma del suo vero nome. L'Attilio Regolo rappresentossi con sua musica in Palermo nel 1748, e il Demetrio in Napoli nel 1749.
Nasolini, compositore italiano nato circa 1767, ha scritto la musica di più drammi in diverse città dell'Italia con buon successo. L'Andromaca fu da lui composta in Londra nel 1790. Invitato a scrivere per il carnovale del 1798 in Venezia, in vece di occuparsi della composizione della sua opera, si diè ai divertimenti ed a' stravizzi con tale eccesso, che ne divenne la vittima, e morì pria che avesse potuto terminare la sua musica. Nel magazino di Ricordi si trova di lui la Merope, dramma serio, e li Opposti caratteri burlesco.
Naumann (Amedeo) nacque a Blasewitz nel 1745. Mostrato avendo dalla prima età delle disposizioni [126] straordinarie e de' gran talenti per la musica, cominciò a studiarla dapprima in Dresda, e nell'età di 13 anni venne a tale oggetto in Italia senz'altro ajuto che i suoi talenti e la sua fortuna. Giunto in Padova, il cel. Tartini graziosamente lo accolse, e gli diè delle lezioni. Dopo otto anni di soggiorno in Italia, la brama di rivedere la patria, i parenti, gli amici, e di consacrare al servigio del suo principe i talenti che aveva acquistati, lo determinò a mandare a suo padre una delle sue composizioni, pregandolo di farla giungere alla corte. Per soddisfare alla sua dimanda, sua madre portossi a Dresda ed ebbe la buona fortuna di consegnarla alle mani dell'elettrice vedova M. Antonietta. Questa principessa assai dotta nella musica, avendo scorso quella composizione alla presenza della madre di Naumann, le diè congedo con dirle che dubitava molto che fosse quella una vera composizione del giovinetto, ma che ne prenderebbe informazione. Assicuratasi quindi della verità mercè le testimonianze unanimi de' migliori professori di musica dell'Italia, ai quali aveva fatto scrivere, e che convenivan tutti nel fare l'elogio di quel giovane virtuoso, essa gli inviò la sua nomina alla cappella di Dresda, alla quale unì insieme la somma necessaria pel suo ritorno. Naumann affrettossi allora di ritornare alla patria nel 1766. Questo viaggio non fu frattanto che una visita passeggiera, stanteche i suoi impegni in Italia ve lo richiamarono alcun tempo appresso, e dopo un secondo soggiorno di due anni in questa patria delle arti, tornò a Dresda e vi ottenne il posto di maestro di cappella in attività di servigio. Pur nondimeno nel 1768 egli venne in Sicilia, e scrisse in Palermo l'Achille in Sciro, che piacque moltissimo. In questa Capitale era seco il cel. Schuster allora assai giovane, e mi ricordo, [127] benchè fossi io allora molto ragazzo, che Naumann invitò un giorno mio Padre a sentire in sua casa alcuni suoi concerti, ed una sinfonia di Schuster; io vi fui condotto ed ho presente tuttora la fisonomia di ambidue questi grand'uomini. Nel 1774, Naumann fece un terzo viaggio in Italia, e scrisse pel teatro di S. Marco in Venezia le Nozze disturbate, dramma comico; l'Isola disabitata, e l'Ipermestra di Metastasio; il Solimano di Migliavacca, per il teatro di S. Benedetto. Scrisse ancora a Copenaghen nel 1785 l'Orfeo in lingua danese, che ebbe quivi tale successo, che la corte gli offrì il posto di maestro della cappella reale, con le più vantaggiose condizioni, ma il suo amore per la patria gli fece ricusar queste offerte, e l'elettor di Sassonia ne lo ricompensò nominandolo capo, e direttor generale della cappella di Dresda, con l'onorario di tre mila scudi. Alcuni anni prima della sua morte egli si era consecrato quasi esclusivamente alla musica di chiesa. Egli ha posto in musica quasi tutti gli Oratorj di Metastasio, un Te Deum, 18 messe, vespri, litanie, mottetti ec. per la corte di Dresda. Nel 1801 passeggiando nella villa elettorale finì subitamente di vivere colpito di apoplesia. Il celebre Wieland ha dato nel nuovo Mercurio allemanno del 1813, un interessante ragguaglio della vita di Naumann; e nello stesso anno Meisner pubblicò alcune memorie per servire alla di lui biografia, in un vol. in 8vo. Tutta la di lui musica si distingue per una melodia dolce e naturale conforme alla buona scuola italiana, e la sua armonia per quella chiarezza e semplicità d'instromentale, che di rado si trova presso i compositori tedeschi.
Nauze (Louis de la), dell'Accademia delle Iscrizioni e Belle-Lettere di Parigi, nel di cui tomo X vi ha di lui Dissertation sur les chansons [128] de l'ancienne Grèce en deux Mémoires 1733, n. 18 e 9. Egli tratta questa materia con molta esattezza ed eleganza.
Neefe (Cristiano) nacque a Chemnitz nella Sassonia nel 1748; studiò il dritto e nello stesso tempo la musica in Lipsia, sotto il maestro di cappella Hiller. Animato dalla costui approvazione intorno ad alcune sue composizioni consacrossi interamente alla musica, e pose in note più drammi comici per il teatro di Lipsia con tal successo, che ottenne il posto di direttor della musica. Fu quindi maestro di cappella della corte dell'elettore di Colonia a Bonn, e nel 1783 il suo onorario montava alla somma di 2400 franchi. Nel Museo allemanno del 1776 vi ha una sua Dissertazione su le ripetizioni in musica; e nel Magazino di Cramer an. 1783, un'altra Dissertazione sullo stato della musica a Bonn. (V. Gerber).
Neidhart (Giov. Giorgio), maestro di cappella del re di Prussia a Konisberga, morto nel 1740, è autore di un'opera tedesca che ha per titolo: Divisione perfetta e mattematica del canone diatonico-cromatico, e temperato del monocordo, 1732, con un rame di figure. In essa mostra l'A. di qual maniera si possono trovare tutti i temperamenti, ed esprimerli per via di linee e di cifre. Se n'è fatta una seconda edizione in Lipsia nel 1734.
Neukomm (Sigismondo), nato a Salisburgo nel 1778, cominciò ad apprender la musica all'età di sei anni, ma non lasciò di fare gli altri studj nell'università di Salisburgo, e suo padre professore in quella di calligrafia mostrò somma diligenza per la sua educazione scientifica e musicale. Sua madre essendo in parentela con la moglie del maestro di quella corte Michele Haydn, costui con quella bontà, che ne distingueva il carattere, prestò l'opera sua nell'insegnargli [129] la composizione, e lo impiegò nelle sue funzioni come primo organista della corte. Nel 1798. Neukomm portossi in Vienna, ove Giuseppe Haydn, sulla raccomandazione di Michele suo fratello, lo accettò come allievo. Profittò egli per il corso di sette anni di tale inapprezzabile fortuna, procurando sempre di meritare in qualche maniera le buone grazie di sì gran maestro, che dal canto suo lo trattò come un suo figlio. Nel 1804 si rese egli a Pietroburgo, dove appena giunto fu nominato maestro di cappella e direttore dell'opera, ma i rigori di quel clima nocendo alla sua salute gli fu d'uopo rinunziare quel posto, e andarsene via. Nel 1807 fu eletto membro dell'accademia reale di musica a Stockolm, e l'anno di appresso, della società filarmonica di Pietroburgo. Tornato in Vienna ebbe la sorte di abbracciare il suo caro maestro quattro mesi prima che fosse morto. Da lì passò egli in Francia nel 1810. Neukomm si è provato in tutti i generi, come far dovrebbe ogni giovane artista per indovinar quello a cui è destinato dalla natura; egli ha creduto aver delle disposizioni per il grave. Disperando di fare una sinfonia, che star potesse a fronte di quelle di Haydn, e di Mozart, rinunziò del tutto a tal genere di musica, e compose dei capricci a piena orchestra. Egli ha scritto eziandio molta musica vocale sì latina, che tedesca, francese, italiana, e russa; e molte opere per il forte-piano, e diversi instromenti da fiato.
Neusz (Arrigo), dopo aver fatti de' profondi studj in più scienze, non cominciò a studiar la musica che dopo il cinquantesimo anno di sua età. Egli prese delle lezioni di contrappunto, e di composizione da Bokemeyer, e vi fece tali progressi, che compose della musica per chiesa a 4 voci, con successo eseguita nella chiesa di Wernigerode, [130] dove era egli primo pastore, ed eforo della scuola di quel paese. Pubblicò in oltre una dissertazione Dell'uso, e dell'abuso della musica, che si trova in fronte dell'opera di Werkmeister della nobile dignità della musica, 1691. Lasciò ancora manoscritto un Trattato sulla Musica in 4º: cap. 1. Dell'eccellenza della musica; 2. del suo uso ed utilità; 3. del suo abuso; e 4. sulla maniera di organizzare una musica.
Nichelmann (Cristoforo), dopo avere appreso i principj della musica nel suo nativo paese, fu dal padre suo, che rimarcato aveva i suoi talenti per quest'arte, mandato a studiarla nella scuola di S. Tommaso in Lipsia sotto la direzione del gran Seb. Bach nel 1730, ed il primo figlio di costui insegnogli principalmente il cembalo, e lo guidò ne' suoi primi saggi di composizione. Prese quindi in Hamburgo delle lezioni da tre celebri maestri, Keiser, Telemann e Mattheson: nel 1740, stabilitosi in Berlino fecesi istruire da Graun nella composizione, ed avendovi fatto de' gran progressi, entrò nella corte del re di Prussia come suo cembalista e musico di camera. Nel 1749, in occasione della disputa sulla musica francese ed italiana, egli scrisse la sua opera pubblicata quindi a Danzica nel 1755 con questo titolo: La mélodie d'après sa nature et ses qualités avec 22 planches. Un anonimo confutolla con veemenza in uno scritto intitolato: Idées d'un amateur de musique, in 4º, al quale rispose Nichelmann con un libro pieno d'ironia sotto il titolo di Excellence des idées de M... analisée par un amateur de musique. Egli morì nel 1761. Marpurg nelle sue Memorie storiche e critiche rapporta il catalogo delle di lui composizioni.
Nicolai (Ernesto Ant.), dottore in medicina a Halle pubblicò nel 1745, Verbindung etc., ossia Dissertazione sull'unione della musica [131] con la medicina, ove ragiona degli effetti di quella sul corpo dell'uomo. (V. Lichtent. p. 82)
Nicolai (Federico), dotto librajo di Berlino, quivi nato nel 1733. Nella Relazione de' suoi viaggi le osservazioni, ch'egli fa sulla musica, provano l'estensione delle sue cognizioni in questa facoltà. Le memorie ch'egli rapporta sulla musica di Vienna, e con ispezialità intorno al celebre Gluck, meritano di esser lette. Trovansi egualmente delle notizie molto interessanti su i musici di Berlino nelle sue Descrizioni di Berlino, e di Potsdam.
Nicolini (Giuseppe), bravo compositore di musica per teatro attualmente vivente in Napoli. Le sue opere sono molto graziose ed assai stimate, I Manlj; Abeniamet e Zoraide; il Trajano in Dacia; il Coriolano, drammi serj. Il Trionfo del bel sesso, e le due gemelle burleschi, si trovano nel magazino di musica del Ricordi in Milano.
Nicomaco, greco filosofo, viveva probabilmente verso la metà del secondo secolo dell'era cristiana. Scrisse un piano di musica pregato da una dama, ch'egli chiama la più onesta donna dell'universo, e che volle da lui essere instruita nella scienza armonica. Chiama egli il suo libro Manuale armonico: il secondo annesso a questo dal Meibomio non segli può giudiziosamente attribuire, essendo in esso citato Nicomaco medesimo. “Nel primo si vede, dice il Requeno, che Nicomaco scriveva da erudito, non mai da pratico nell'armonia, nè da esatto specolativo nella pratica.” Le prove di questa proposizione possono leggersi con profitto nel t. 1 de' di lui Saggi, p. 304. “Benchè Nicomaco (soggiugne il Requeno), sia di poco calibro ne' precetti, copiando egli dagli antichi, ci lasciò però alcune scelte memorie dell'arte... Non so come dica Meibomio nella prefazione a Nicomaco, che questo sia l'unico [132] pittagorico scrittore armonico, che ci rimane, essendo tutti quelli della sua collezione tutti seguaci del sistema musico di Pitagora, fuori di Bacchio, o affatto, o in parte. Ciò non può essere venuto in mente a Meibomio, se non per non aver esso intesi gli stessi autori, che ci commenta.” p. 307-309. I Grandi Comentarj, che Nicomaco cita di avere scritto sulla musica, non ci sono rimasti: alcuni frammenti se ne trovano solo presso Porfirio e Jamblico. Secondo quest'ultimo egli dee esser posto nel numero de' più grand'uomini dell'antichità: egli lo chiama un uomo straordinario, che pochi autori hanno uguagliato nelle scienze mattematiche: vanta la sua profondità, e 'l genio inventore, l'ordine, e 'l nesso delle sue idee, la precisione, la chiarezza, e l'eleganza del suo stile. Ma allorchè si leggono i frammenti che ce ne restano, si è sorpreso che i nuovi Platonici abbiano potuto credere tutte codeste cose; se non che la conformità delle opinioni possa solo far credere ad un insensato che un insensato, che gli rassomiglia, è un grand'uomo (V. Meiniers t. 1, p. 212). Che altro infatti reca Nicomaco della musica, che vani confronti delle voci, e degli astri, ed inutili calcoli delle ragioni de' suoni?
Niemetschek, professore nell'università di Praga nel 1804, pubblicò in tedesco Lo Spirito di Mozart, in 8º, dove alla biografia di questo gran maestro fa egli succedere delle interessanti osservazioni sul genio particolare delle di lui famose composizioni, e sulla profonda di lui cognizione dell'effetto, e dell'impiego degli instromenti da fiato. A questo esame unisce egli un'analisi ragionata di tutte le sue opere, che fassi leggere con piacere e con profitto.
Niemeyer (Augusto-Ermanno), professore di teologia a Halle, quivi nato nel 1752, è autore di un'opera pubblicata a Lipsia [133] col titolo di Pensieri sulla Religione, la Poesia, e la Musica, 1807, e di alcuni drammi sacri posti in musica da Rolle.
Nigetti (Francesco), dotto musico italiano circa 1600 fu l'inventore del Cembalo onnicordo, detto il Proteo. Per questa invenzione gode egli d'una gran celebrità nella storia della musica in Italia, che di mano in mano andavasi allora perfezionando (v. Maffei Veron. illustr.).
Nivers (Gabriele). Maestro della R. cappella di Luigi XIV, nato a Parigi, si distinse principalmente per le sue opere teoriche. Vi ha di lui: I. Traité de la composition de la musique, Paris 1668, e Amsterdam 1697, in 8º. II. La gamme du Si, che servì molto in quell'epoca a facilitare il solfeggio. III. Dissertation sur le chant grégorien, Paris 1683, in 8º, che vien ricercata tuttora per le dotte ricerche che vi si trovano. IV. Traité de la musique des enfans. Egli morì assai vecchio nel 1670.
Nopitsch (Guglielmo), attualmente direttore di Musica a Nordlingue, nacque nel 1758. Egli è un eccellente sonatore di forte-piano, e di più altri instromenti, e studiò la composizione sotto Riepel e Beck. Nel 1784, pubblicò a Norimberga un Saggio di un libro elementare dell'arte del canto, ad uso delle scuole normali, con 6 tavole di esempj, in 4º. Egli ha scritto ancora molte sonate per il piano, e nel 1787 un oratorio a piena orchestra molto stimato.
North (lord Franc. Guilford), barone di Kertling, fornito delle cognizioni proprie di un uomo di gran nascita, morì a Wroxton nel 1685. Tra le sue opere scritte in lingua inglese vi ha Saggio filosofico sulla musica, 1677. Egli coltivolla ancora come arte, ed ha lasciate molte composizioni di musica.
Nougaret (Pietro) pubblicò in Parigi nel 1769, de l'Art du théâtre, 2 vol. [134] in 8º. Egli vi tratta dottamente della musica drammatica.
Noverre (Giov. Giorgio), cavaliere dell'ordine di Cristo, nato in Parigi coltivò con trasporto le arti, e con ispezialità la danza e la musica, sulle quali ha lasciato de' capi d'opera. Noi non farem quì menzione che delle sue lettere Sur les arts imitateurs, Paris 1807, in 2 vol. in 8º, che assicurano la sua riputazione letteraria, e le sue profonde cognizioni sulla musica e la danza. Egli è morto a S. Germano nel 1810, di ottantatre anni.
Nuwairi (Ahmed), dotto Arabo in Egitto, e giudice del Cairo, morì nel 1352. Egli è autore di un'opera scritta in arabo col titolo di Nekajot ec., cioè Lo scopo del bisogno, ovvero Ricerche ne' diversi generi delle scienze. Non è ella in sostanza che un'Enciclopedia o un trattato universale disposto per ordine di materie, che si conserva ancora nella biblioteca di Leide. Nel terzo capitolo della seconda parte di quest'opera molto pregevole per la letteratura araba, egli tratta del canto e degli instromenti a corda; di ciò che ne han pensato i loro principi e generali che hanno coltivato la musica; della storia de' musici; di quel che saper dee un musico, e di quello che hanno detto i loro poeti intorno alla musica ed agli instromenti.
Odington (Walter), benedettino d'Evesham in Inghilterra circa 1240. La sua opera de Speculatione Musicæ non contiene che un commentario della dottrina di Francone, con alcune spiegazioni per rapporto alla misura. Egli era un buon filosofo e matematico de' suoi tempi.
Odoardi (Gius.) d'Ascoli, cel. costruttore di violini [135] morto in età di soli 28 anni. Galeazzi ne' suoi Elementi di musica (Roma 1791) nel primo tomo pag. 81 rapporta ch'egli ne aveva fatti duecento, molti de' quali non sono in nulla inferiori ai migliori di Cremona.
Oeder (Luigi), consigliere di finanze del duca di Brunswick, morto in questa città nel 1776, è autore di un trattato d'acustica col titolo: De vibratione chordarum, Brunswick 1746 in 4º.
Oelrichs (Conrado), dottore in dritto, e celebre in Germania per la quantità delle sue opere di letteratura, e di diplomazia. Nella sua gioventù si era egli proposto di scrivere una Storia generale della musica, e fornito si era di una numerosa collezione di opere sulla musica, nella quale molte rare dissertazioni trovavansi sopra diversi rami della medesima, di cui può vedersi il catalogo nel 3º vol. delle Lettere critiche; ma non recò a fine quest'idea, nè altro vi ha di lui su questo soggetto che Notizia istorica delle dignità accademiche nella musica, e delle accademie e società musicali, Berlino 1752 in 8vo.
Oettinger (Federico), abate di Murrhard, tra le sue opere si distingue per rapporto alla musica Eulerische ec. ossia Filosofia di Eulero e di Frick sulla musica, Neuwied 1761.
Oginski (Hettman), conte cavaliere di più ordini nella Lituania, da semplice amatore ha portato ad un grado eminente il suono del clarinetto, e nelle assemblee musicali di Pietroburgo nel 1764 eseguì dei concerti e degli a solo i più difficili in mezzo agli applausi universali. Egli era in oltre molto abile sull'arpa, sul violino e 'l piano-forte. Una rimarchevole particolarità della vita di quest'illustre dilettante si è l'avere concepita l'idea dell'oratorio della Creazione, ch'egli comunicò al famoso [136] Haydn. Egli è autore dell'artic. Harpe nella prima Enciclopedia: morì a Pietroburgo circa 1789. Il conte Michele Oginski della stessa famiglia è tuttora un amatore distinto e passionato per la musica, e suona a maraviglia di violino e di forte-piano. Alcune sue composizioni sono state impresse a Pietroburgo negli anni 1807 e 1809. Dodici sue bellissime polacche, e molti romanzi musicali in Parigi 1811.
Oleno, nativo della Licia, celebre suonatore e cantatore fu il primo, secondo Pausania (in Phocid.), che diede oracoli a Delfo in vece delle poetesse. Erodoto afferma, che tutti gli anni si suonavano e si cantavano a Delo gl'inni di Oleno. Questo entusiasta, prima di ritirarsi a dare degli oracoli, era solito a fare ogni anno un viaggio al tempio di Apollo in compagnia di due pulite zitelle, le quali pregavano Lucina, acciocchè ritrovasse loro presto un buon marito, essendo questo il fine del loro viaggio. Oleno lavorò così belle composizioni, e con sì graziosa musica le stese, che cantate dalle due zitelle la prima volta nel tempio, gli scaltri sacerdoti pensarono approfittarne; e a questo effetto fondarono a Lucina un'annua festa detta dell'accelerazione, in cui si cantassero gl'inni di Oleno. Fiorì costui cinque secoli innanzi l'era comune (Requeno t. 1).
Olimpo, scolare di Marzia antichissimo musico della Grecia, di cui parla Omero, (V. l'art. di Marsia), lavorò molte cantilene, chiamate da' greci nomi, in onore degli Dei, che secondo Platone struggevano i cuori. Il celebre inno armazio, d'uso fino all'età di Plutarco, è da questo enciclopedista attribuito ad Olimpo. Aristosseno attribuì al medesimo l'invenzione del genere enarmonico, dicendo che quanto si era prima di Olimpo composto e cantato era stato lavorato nel genere diatonico. [137] M. Burette seguendo Plutarco e Suida ha moltiplicato gli Olimpi fino a tre, ma come giudiziosamente riflette l'ab. Requeno, un Olimpo, ch'ebbe il merito di molti, diede origine a tanti celebrati racconti, e che, parendo incredibili tante invenzioni in un solo uomo, le attribuirono i Greci posteriori a tre diversi.
Onslow (Giorgio), nato a Clermont di parenti Inglesi, unì sempre a' studj più necessarj quello della musica con tale trasporto, che le si è abbandonato quasi del tutto. Egli ebbe successivamente lezioni da Dussek ed Hülmandel di forte piano, ch'è l'istromento più da lui coltivato: e studiò in Londra sotto Cramer la composizione musicale. Egli ha composto delle sonate per il piano, tre quintetti, e tre trio per il forte-piano, violino e violoncello impressi in Parigi da M. Pleyel, ne' quali Onslow ha saputo unire la scienza all'espressione ed al gusto.
Orgitano, figlio di un maestro di cappella napoletano, allievo del cel. Ferdinando Per, morì sul fior dell'età in Parigi nel 1812. Assai giovane egli era stato in Palermo, e qualche sua composizione, che vi fece sentire, dava molto a sperare che sarebbe egli divenuto eccellente. In Parigi nel 1811 scrisse alcuni pezzi nel Pirro, che piacquero moltissimo, e nel magazino di Ricordi vi ha di lui Amore intraprendente, farsa.
Orlandi, compositore vivente, allievo di Per; nel 1806 fu eseguita in Parigi con successo la sua musica del Podestà di Chioggia, e nel magazzino di musica del Ricordi si trovano di lui i seguenti drammi burleschi: le Nozze chimeriche; la Dama soldato; i Raggiri amorosi; l'Amor stravagante; la Pupilla scozzese; i Furbi alle nozze; il Sarto declamatore; e le farse l'Amico dell'uomo; il Baloardo; il Matrimonio per svenimento. [138]
Ottani (Bernardo), nato a Torino nel 1748, studiò il contrappunto sotto il P. Martini, nel tempo del pubblico esercizio de' compositori di Bologna l'anno 1770, fecevi eseguire un Laudate pueri, che a parere del d.^{r} Burney ivi presente era pieno d'idee vivaci. Ottani fu ammesso tra' membri della società filarmonica di Bologna: e tornato in Torino divenne maestro di cappella della cattedrale. Vi ha di lui molte composizioni per teatro e per chiesa: la sua musica del dramma burlesco il Maestro di Cappella si eseguiva su i teatri di Germania verso il 1790. Ottani è nel tempo istesso un abile pittore.
Otto (Stefano), di Frieberg, è autore di più opere teoriche sulla musica, di cui non ne rammenteremo che quella riferita da Mattheson, col titolo di Principj della musica poetica, in 4 parti; la prima tratta della natura dell'armonia; la seconda della cognizione de' suoni; la terza delle divisioni, delle distinzioni, delle conclusioni, delle fughe ec.; e la quarta de' modi, e della loro trasposizione. Mattheson dice che quest'opera è stata scritta con molta profondità riguardo al tempo, in cui comparve al pubblico. L'autore fioriva nel secolo 17.
Ouvrard (Renato), maestro in Parigi della S. Cappella, e quindi canonico di S. Graziano di Tours, valentuomo nelle belle lettere, nella filosofia, nelle mattematiche, nella teologia e nella musica, morì a Chinon sua patria nel 1694. Le sue opere sulla musica sono: Secret pour composer en musique par un art nouveau, Paris 1660. Egli avrebbe fatto meglio, dice Laborde, di non svelare questo secret; Historia musices apud Hebræos, Græcos, Romanos. Quest'opera mediocre è rimasta manoscritta, come si vede [139] dal catalogo dei MSS. della cattedrale di Tours, stampato nel 1706.
Overbeck (Giov. Daniele), rettore del ginnasio di Lubecca nel sec. 18. Tra il gran numero de' suoi scritti non citeremo, che i seguenti i quali hanno rapporto alla musica: Risposta al cantante Ruez sulle espressioni di M. Batten intorno alla musica, 1754. Vita di Gasp. Rung direttore di musica, Lubecca 1765, in fol. (V. Marpurg, Lett. crit, t. 1).
Pacchiarotti (Gaspare), soprano rinomatissimo nato in un villaggio presso Roma nel 1750; cominciò la sua carriera musicale nel 1770. I suoi talenti, la cultura del suo spirito, la sua bella figura lo fecero brillare successivamente su' teatri di Palermo, di Napoli, di Lucca, di Torino e di Londra. “Pacchiarotti, dice M. Bridon, vale moltissimo nel patetico, che troppo oggidì vien negletto sulla più parte de' teatri, più che altri dà egli dell'espressione alle arie, e fa maggiore impressione su i spettatori, perchè sente profondamente quel che dice: eccita le grida della sorpresa, e strappa le lacrime. Egli è cosa da rimarcarsi, come l'espressione non lo allontani mai dalla misura: ha ancora il merito di accentuar bene i recitativi.” Dopo essersi molto arricchito, nel 1801 è tornato in Italia, e risiede abitualmente in Padova.
Pachymeres (Giorgio), nato nel 1242 a Nicea, ove suo padre di una delle prime famiglie di Costantinopoli erasi rifugito, allorchè questa città fu presa da' Latini. Dopo la costoro espulsione tornò colà non avendo allora che 19 anni. Per più anni coltivato egli aveva tutte le scienze, ed entrato nello stato ecclesiastico pervenne tosto alle più eminenti cariche. Morì circa 1310. Oltre la sua storia [140] ed altre opere interessanti, abbiamo di lui De armonicâ et musicâ. De quatuor scientiis mathematicis, arithmeticâ, musicâ, geometriâ et astronomiâ (v. Fabric. B. Gr. t. 6).
Paer, o Per (Ferdinando) nacque in Parma nel 1774; dopo aver fatti i suoi studj nel seminario di questa città, mostrando de' gran talenti e sommo trasporto per la musica, andò a studiarla in Napoli sotto Ghiretti, napoletano e compagno del cel. Sala, nel conservatorio della Pietà. Egli cominciò assai giovane a scrivere per i teatri d'Italia, in Venezia, a Padova, in Milano, a Firenze; a Napoli, a Roma, a Bologna ec. Il duca di Parma, suo patrino diegli una pensione, e gli permise di andare in Vienna, per comporvi delle opere. Alla morte di Naumann nel 1801, fu chiamato a Dresda come maestro della corte. La morte del duca di Parma lo mise in libertà di accettare quel posto che l'Elettore gli offrì per tutta la sua vita. Dopo la battaglia di Jena, Napoleone volle Paer presso di se, e la di lui moglie eccellente cantatrice: egli si è stabilito in Parigi in qualità di Direttore della musica e di compositor della corte. Paer oltrepassa appena i 40 anni di sua età; è membro dell'Accademia delle Belle-Arti di Napoli, e di quelle di Bologna e di Venezia, ed ha già compito oltre a 38 opere, senza numerarvi le cantate, le arie, le sinfonie, sonate ec. In Vienna egli scrisse Bacco ed Arianna; la Conversazione armonica; il trionfo della Chiesa; il S. Sepolcro; cantate per uso della difonta Imperatrice M. Teresa, figlia del nostro Sovrano Ferdinando III, con la quale egli aveva l'onore di cantarle, e quindi fu maestro per il canto della di lei figlia M. Aloisa, principessa nata per tutte le arti, e principalmente per la musica. Le sue opere per teatro sono note abbastanza per il pieno successo, che da per tutto han meritato, e specialmente nella Germania dopo i capi d'opera del Mozart. [141] Noi ci dispensiamo di recarne il catalogo, non essendovi teatro in Europa dove non si siano eseguite. La facilità, che egli ha nello scrivere, mostra il genio, di cui a piene mani lo ha arricchito la natura. “Paer, dice il Carpani, celiando fra gli amici, parlando di mille cose, sgridando i domestici, disputando colla signora e co' figli, ed accarezzando il cane, scrisse la Camilla, il Sargino e l'Achille” (Lett. 13). Il suo primo figlio, che non ha al presente più di 13 anni, è già abilissimo sul forte-piano: a nove anni eseguiva le più difficili sonate di Dussek, e mostra di calcar le tracce di suo padre, ch'è insieme sonator valentissimo, e compositore di prima sfera.
Paesiello (cav. Giovanni), nacque a Taranto nel 1741, e studiò per cinque anni la musica in Napoli sotto il cel. Durante nel conservatorio di S. Onofrio. Nel 1763 scrisse la sua prima opera per il teatro di Bologna, e quindi molte altre e serie e buffe per quelli di Venezia, di Roma, di Napoli, di Milano, e finalmente nel 1766, partì per la Russia al servigio di Caterina II, con quattro mila rubbli di appuntamento, ed altri nove cento come maestro della gran duchessa, l'attuale imperatrice. Oltre a più composizioni per teatro, fece egli imprimere a Pietroburgo le sue Regole per l'accompagnamento sul forte-piano, per servigio di quella principessa. Di ritorno in Napoli, il Sovrano Ferdinando III lo nominò suo maestro di cappella, con 1200 ducati d'annuo stipendio. Dopo la rivoluzione in Napoli del 1799, venne egli in Palermo, e dopo alcun tempo col permesso della corte si portò in Parigi, dove era stato chiamato con le più magnifiche offerte, e dove fu direttore della cappella, ch'egli provide de' più celebri artisti, e per la quale scrisse sedeci gran messe, mottetti, ec. Dopo due anni e mezzo di soggiorno in Francia, gli fu d'uopo [142] tornare in Napoli, non confacendosi il clima di Parigi alla sua salute; e tosto fu nominato membro di quell'Accademia delle Belle-Arti, presidente della direzione musicale del R. Conservatorio, con 1800 ducati d'onorario, e maestro della cattedrale di Napoli. Egli è anche membro di più dotte società, come dell'Accademia italiana residente in Livorno, di quella di Lucca, della società detta des Enfans d'Apollon di Parigi, e nel 1809 è stato adottato onorario dell'Istituto Nazionale di Francia. Le sue composizioni sono innumerabili sì per teatro, che per chiesa. “Il genere del suo talento, le qualità che caratterizzano la sua musica, sono una gran fertilità d'invenzione straordinaria, ed una facilità felicissima nel trovare de' motivi pieni di naturalezza insieme e di originalità, un talento unico a svilupparli per via della melodia medesima, e ad abbellirli di dettagli sempre interessanti; una condotta piena sempre di estro e di saviezza: un gusto, una grazia ed una freschezza di melodia, per le quali ha sorpassato di molto gl'altri compositori, ed ha servito di modello a tutti coloro, che han dopo di lui faticato. Il suo stile, semplicissimo e senza alcuna affettazione di scienza, è sempre corretto insieme ed elegante: i suoi accompagnamenti nitidi sempre e chiari sono ad un tempo stesso brillanti e pieni d'effetto. In riguardo all'espressione, comechè la soavità sembri essere il tratto principale e dominante del suo carattere, sa egli tuttavia variare perfettamente i suoi tuoni, abbracciare tutti i generi, e passare dal burlesco, dal semplice, dal ridicolo al grandioso, al serio, ed anche al terribile, senza perder mai nulla non pertanto della grazia e dell'eleganza, da cui par che non si sappia dipartire. Tali sono le qualità, che hanno riunito tutti i suffragi a suo pro, sì quelli del pubblico e degli amatori, come quelli de' [143] dotti e degli artisti: e che gli hanno assicurato gli omaggi del suo secolo, e quelli della posterità” (Choron, elog. de Paesiello). Il cel. Paesiello, dice Carpani, quando aveva disposta la tessitura di una composizione, soleva dire come Cornelio stesso, che avesse lo scheletro d'una tragedia: L'opera è fatta: non mi resta che a scriverla. Egli inculcava a' suoi scolari che tutto sta nella condotta, e che nelle sue composizioni nulla gli costava più di essa. L'artificio di scegliere da principio un passo gradevole, ed adottarlo come caratteristico di tutta la composizione, è divenuto a lui tanto proprio, che quasi forma la base del suo stile. “Questa ripetizione dello stesso passo serve a dare un'unità, una tinta, un'armonia tale all'opera, sia sacra, sia profana, che l'orecchio e il buon senso ne restano ugualmente appagati.” (Lett. 9). Ho voluto a bello studio riferire questa dotta riflessione del Carpani, perchè molti ho inteso io lagnarsi scioccamente di tali ripetizioni del Paesiello, come di un difetto. Graziosa è in oltre la maniera usata da questo grand'uomo nello scrivere secondo lo stesso Carpani. “Il Paesiello, egli dice, non saprebbe staccarsi dal suo letto componendo, e nacquergli fra le lenzuola la Nina, il barbier di Siviglia, la Molinara, e tant'altri capi d'opera di quel genio inimitabile” (Lett. 13).
Palestrina (Gian Pierluigi), il più rinomato maestro della scuola Romana, nacque nel 1529 nella piccola città di Palestrina, che è l'antica Preneste. Dopo di avere studiata la musica, sarebbe egli rimasto nell'oscurità e nell'indigenza, se il suo genio non fosse concorso a metterlo nel primo rango dei compositori. Ecco quale ne fu l'occasione. Era allora la musica un vero arzigogolo, privo di significato intelligibile, un dottissimo romore che nulla diceva all'anima, e nulla poteva dirle: un armonioso [144] problema acustico inestricabile per l'orecchio. Tutto era fuga, canoni, intrecci; nè vi era musica che nelle chiese. I compositori trascuravano assolutamente l'espressione, e non si occupavano che in quelle sole ricerche d'onde altro non risultavane che fracasso e buffonerie molto indecenti. Questi abusi eccitato avevano da gran tempo le lagnanze delle persone di pietà, e più volte si erano proposte di bandire interamente la musica dalle chiese, e ridurla al canto fermo. Finalmente, Papa Marcello II circa 1555 venne al punto di fulminare il decreto dell'abolizione, quando il Palestrina, cantore allora della cappella pontificia, il quale aveva certo fatta riflessione su i vizj della musica di quel tempo, e concepito aveva l'idea di un genere più convenevole alla maestà del luogo, chiese il permesso al Papa di fargli sentire una Messa da lui composta. Avendoglielo questi concesso, la di lui messa sembrò così bella e così nobile, che il Papa rinunziò al suo progetto, confermò la cappella pontificia purchè si cantasse su quel gusto del Palestrina. A questo genio immortale, dice il Carpani, devesi l'odierna melodia, fu egli che scosse il giogo della barbara scuola de' maestri fiamminghi, che solo signoreggiava in tutta l'Europa. “Profondo com'era nella sua scienza, semplificò, purgò, ingentilì l'armonia, ed introdusse nel contrappunto una cantilena, grave sì, ma sensibile, continuata e naturale. Il suo esempio fu seguito da altri, ed avvenne allora la felice rivoluzione della musica di chiesa, che in parte dura tuttora. Il vero bello non invecchia mai. Ho sentito io stesso in S. Pietro di Roma della musica sacra del Palestrina, che incanta e par fatta jeri.” (Letter. 9). Palestrina nel 1562 divenne maestro di cappella di S. M. Maggiore, e dopo la morte dell'Animuccia nel 1571, della chiesa di S. Pietro, che egli arricchì di un gran numero de' suoi [155] capi d'opera. “La semplicità e naturalezza della modulazione colla giusta e varia distanza delle voci per rendere chiara e varia l'armonia sono le proprietà singolari, che faranno eterne le opere del Palestrina.” (Eximen. l. 3. c. 8). Morì egli a dì 2 febbrajo del 1594 e gli si fece l'onore d'esser sepolto nella chiesa medesima di S. Pietro con l'epitafio Musicæ Princeps. I più gran maestri han fatto somma stima delle di lui opere, Burney, Reichardt, Marpurg, Choron, Eximeno hanno di recente fatto imprimere alcune delle sue composizioni, e viene eziandio assicurato che un eccellente contrappuntista di Roma si occupa al presente di raccorre e pubblicare tutte le opere del Palestrina.
Palione (Giuseppe), nato in Roma nel 1781, applicossi alla musica sin dal 1792. Fontemaggi in Roma, e Finaroli a Napoli furono i suoi maestri di canto, di forte-piano e di composizione. Egli scrisse La Finta amante in Napoli; le Due rivali; la Vedova astuta; e la Villanella rapita per il teatro del principe Aldobrandini in Roma, che incontrarono moltissimo. Attualmente egli trovasi in Parigi, dove sin dal 1810 ha composto molta musica sì vocale, che stromentale.
Palma, compositore napoletano, di cui Martinelli racconta il seguente aneddoto. Un usurajo, al quale doveva egli una ragguardevole somma, essendo venuto per farlo arrestare, Palma gli si mise a cantare dinanzi accompagnandosi al cembalo. Il suo canto produsse tal effetto sul cuore del creditore, che in vece di riscuotere il pagamento della somma, consentì a prestargliene un'altra. Ciò che reca maggior maraviglia, come osserva il Martinelli, si è che Palma fè quel prodigio tuttocchè fosse infreddato: che non avrebbe egli fatto se avesse avuta la voce libera? il che prova abbastanza [156] il potere della musica. Costui fioriva nella medietà dello scorso secolo. Vi ha vivente tuttora un altro cel. compositore, Silvestro Palma, che verso il 1802 scrisse la musica del dramma burlesco La Pietra Simpatica, nel quale si distingue una graziosa polacca Sento che son vicino: vi ha ancora di lui una farsa: la Sposa contrastata.
Paolucci (P. Giuseppe), scolare del Martini in Bologna, era come costui minor conventuale; fu dapprima maestro di cappella in Venezia e poi del suo convento in Assisi, dove morì nel 1775. Egli è autore dell'Arte pratica di contrappunto, 2 vol. in fol. Venezia 1765; che si ha in conto d'una eccellente opera: rapporta degli esempj cavati da' migliori maestri d'armonia, e vi unisce de' dotti comentarj. Eximeno, Sacchi, e Martini lo citano con elogio.
Parenti (Francesco), nato in Napoli nel 1764, studiò il contrappunto nel conservatorio della Pietà sotto Sala, l'ideale con Giac. Tritta, e l'accompagnamento col maestro Tarantina. Egli ha scritto in Italia della musica sopra drammi serj e burleschi, che ha avuto del successo, principalmente in Roma dove si giudica a tutto rigore dei Compositori: Antigono; il Re pastore; la Nitteti, e l'Artaserse; la Vendemia; il matrimonio per fanatismo; i Viaggiatori felici. Nel 1790 egli portossi in Parigi, e dopo avere scritto per il teatro dell'Opera Comica, nel 1802 ne divenne il maestro di cappella e direttor della musica. Egli dà quivi lezioni di canto secondo il metodo di la Barbiera, detto il Siciliano e maestro della Pietà.
Parran (Antonio), gesuita, diè al pubblico Traité de musique, contenant les préceptes de la composition, Paris in 4º, 1746. Quest'opera, male ideata e peggio compilata, non ebbe che un'efimera riputazione.
Pasquali (Niccolò) nel 1762 pubblicò in Amsterdam [157] una mediocre istruzione sull'accompagnamento, col titolo: La Basse-continue rendue aisée. Lustig dopo dieci anni ne diè una seconda edizione con aggiungervi molti esempj, in francese ed in olandese. Comparve anche in Londra col titolo: The thorough Bass made easy, by Pasquali, in fog. 1780.
Passeri (Giov. Battista) nacque in Farnese nel 1694, fu discepolo del cel. Gravina in Roma; ed intimo amico del Metastasio, del Rolli, e d'altri de' primi ingegni, che fiorivano in que' tempi in Roma. Egli è celebre per le sue opere, noi non faremo menzione che di quella ch'egli pubblicò in Roma nel 1770, De Musicâ veterum Etruscorum. Tra gli altri suoi manoscritti lasciò un Lexicon musicum: fu anche l'editore delle opere di musica del cel. Giambattista Doni, stampate in Firenze nel 1763; absoluta studio et operâ Io. Bapt. Passerii. Morì in Pesaro nel 1780.
Pau (Monsign. Felice). Vescovo di Tropea nella Calabria, di cui abbiamo alcune eruditissime lettere sull'antica musica dirette al Sig. Saverio Mattei, nelle quali impugna la costui opinione sulla superiorità degli antichi in quest'arte su i moderni. Anche il celebre Metastasio, tuttochè amicissimo del Mattei, mostrò in alcune sue lettere le difficoltà che aveva di abbracciare il suo sentimento. Questo carteggio, nel quale da tre singolari ingegni viene discussa tal questione, si trova nel tom. 8 delle opere del Metastasio dell'edizione di Napoli 1782. Nelle lettere di Mons. Pau e nelle risposte del Mattei oltre alla pulitezza con cui vien agitato quel punto, si trova immensa erudizione e dottrina. “Sommamente mi son dilettato, scrive il Metastasio al Mattei, attentamente considerando il musico-filosofico carteggio, che si è compiaciuta comunicarmi. Ho ammirate ed invidiate le forze di due valorosissimi [158] atleti, che non meno nell'assalire, che nello schermirsi mostrano il lor magistero nell'arte. Mi hanno obbligato ad ondeggiar lungo tempo fra le opposte loro sentenze: ciascuna di esse mi avrebbe rapito sola ma avendomi assalito unite, l'una mi ha difeso dalla violenza dell'altra: onde senza aver cambiato di sito, mi trovo tuttavia fra le stesse antiche dubbiezze, ec.” Era necessaria la sveltezza d'ingegno e la somma erudizione del savio Mattei per sciogliere le difficoltà proposteli da due sì potenti contradittori, dice a questo proposito l'Eximeno, presso il quale può vedersi dottissimamente trattata la medesima questione. (V. P. II. L. 1, p. 353.)
Pavesi, maestro di cappella vivente in Milano ha scritto molte opere, che hanno avuto gran successo in diversi teatri d'Italia. Nel magazino del Ricordi vi ha di lui I Cheruschi; Elisabetta d'Inghilterra, drammi serii. La festa delle rose; L'Incognito; Ser Marcantonio, buffi. L'Avvertimento ai gelosi; L'Amante anonimo; L'accortezza materna; La forza de' Simpatici, farse.
Pellegrini (Anna Maria Celoni). Romana, donna assai culta ha fatti de' profondi studj sulla musica: nel 1810 pubblicò ella in Roma Grammatica, o siano Regole di ben cantare, dedicata a S. A. S. il principe Federico di Saxe-Gotha, alla quale gli Editori hanno fatto precedere il di lei ritratto inciso in rame dove viene rappresentata in atto di cantare accompagnandosi al clavicembalo con l'epigrafe tratta da Virgilio, Cantu vocat in certamina Divos. Quest'opera porta seco l'approvazione di tre bravi maestri, del Guglielmi allora maestro della cappella Giulia in S. Pietro, del Caruso maestro della cappella di Perugia, e del Nicolini, dandole tutti e tre l'elogio di avere trovate [159] regole perfette in tutte le sue parti, ed atte a formare un bravo cantante. La prefazione, che essa ha posto in fronte del libro è assai ben pensata e scritta, eccone un saggio. “Innumerabili sono i cantanti, essa vi dice, ma i Timotei sono rarissimi. Da due ragioni credo io, che dipenda la scarsezza de' buoni cantanti: la prima dall'essere eglino la maggior parte sforniti di quelle generali nozioni, le quali fanno discernere ciò, che si canta: e l'altra dalla non sana maniera, che tiensi da molti, i quali impunemente si arrogano il dritto d'insegnare l'arte divina del canto, alla quale una volta si dedicavano solo i filosofi ed i Poeti di non volgar nome dotati. Potrebbesi all'anzidette ragioni aggiungere ancora la terza, ed è la sensibilità di cuore, la quale non è certamente uno de' più frequenti doni, che fa la natura ad un essere. Ciò posto sarà di mestieri, che in uno, che canta riuniscansi le tre qualità succennate cioè buon senso, buona maniera, e cuore sensibile, ec.”
Penna (Lorenzo) da Bologna, carmelitano della congregazione di Mantova, si applicò con successo allo studio della musica, e divenne membro della società filarmonica di Bologna. Nel 1674, pubblicò quivi Gli primi albori musicali, in 4.º di cui vi ha la quinta edizione del 1696. L'opera è divisa in tre libri, contiene il primo 21 capitoli, ne' quali tratta del canto figurato. Il secondo di 24 abbraccia la dottrina della composizione. Il terzo in 17 capit. tratta del basso-continuo. Nel 1689, pubblicò ancora in Modena il suo Direttorio del canto, in 4.º (V. Notizie sugli Scrittori di Bologna, tom. 6).
Perez (David), figlio d'uno spagnuolo stabilito in Napoli, nacque colà nel 1711, e studiò la musica nel Conservatorio di Loreto sotto i maestri Gallo e Mancini. Terminati i suoi studj musicali con molto successo, [160] il suo protettore Naselli, nobile palermitano ed intendentissimo anch'egli di musica (V. suo art.), lo condusse seco in Palermo, ove fu tosto eletto maestro della real cappella palatina, ch'egli arricchì di sue egregie composizioni. Tra queste distinguonsi particolarmente i Responsorj della settimana santa alla palestrina, dove si ammira la singolare espressione delle parole, e la vera musica di chiesa. Scrisse eziandio per il teatro di Palermo dal 1741 sino al 1748. Tornò in Napoli, ove la sua Clemenza di Tito ebbe il più gran successo nel teatro di S. Carlo; la riputazione ch'egli si stabilì, lo fece chiamare in Roma e in diversi teatri d'Italia. Nel 1752 fu invitato dalla corte di Lisbona al servigio del re Giuseppe. Il Demofoonte fu la prima opera, che egli vi compose: il celebre Gizziello era il primo uomo, e il gran Raff il tenore, la di lui musica ebbe gli applausi universali. Scrisse ancora molta musica di chiesa per quella cappella reale, che è rimasta celebratissima e con ispezialità i suoi Responsorj de' morti pei funerali di quel monarca, che incisi superbamente in rame furono pubblicati in Londra con in fronte la di lui effigie, dei quali egli stesso ne mandò in dono una copia a mio padre.
Pergolesi (Giambattista), detto così, perchè era di Pergoli nella Marca, ove nacque nel 1707, il suo vero nome di famiglia era Jesi. In età di 14 anni venne in Napoli, e studiò la musica nel Conservatorio di Sant'Onofrio. Gaetano Greco, che ne era allora il maestro, trovato avendo in lui delle grandi disposizioni presene una particolar cura, e fecegli fare particolarmente un profondo studio del contrappunto, e della composizione. Secondo il gusto di que' tempi imparato egli aveva dal maestro a non discostarsi in nulla dalla severità delle regole, ma questo genio nudrito dalle Grazie [161] e dalle Muse ebbe il raro talento di trovarne a tempo le eccezioni. “Niuno meglio di lui ha saputo ottenere i fini, che dee proporsi un compositore: niuno ha fatto miglior uso del contrappunto, ove l'uopo lo richiedeva. Simile al Raffaello egli non ebbe altra guida, che la natura, nè altro scopo, che di rappresentarla al vivo, l'arte che tutto fa, nulla si scopre. Simile a Virgilio, ei maneggiò con felicità incomparabile i diversi stili, de' quali si fa uso nella musica, mostrandosi grave, maestoso, e subblime nello Stabat mater; vivo, impetuoso, e tragico nell'Olimpiade, e nell'Orfeo; grazioso, vario, e piccante nella Serva Padrona.” (Arteaga tom. 2). Si può dire che Pergolesi niente abbia lasciato che migliorare a' successori, e che da quell'epoca in poi abbia piuttosto la musica perduto, che acquistato vigore. Egli in breve tempo dal mediocre stato, in cui trovò la musica teatrale, la ridusse al sommo, al perfetto. Si riformò il gusto universale a quell'incanto, si cominciò a distinguere l'accento, il metro, la continuazione delle melodie, e il popolo corse presso ad un giovine, lasciando i vecchi più accreditati, da' quali perchè turpe putant parere minoribus, gli fu mossa un'orribile persecuzione, la quale giunse a tanto, che si è creduto, esser egli morto di veleno preparatogli da' suoi malevoli (Mattei, elog. di Jomm.). Quel ch'è certo si è, ch'egli morì di consunzione piuttosto dopo quattro anni d'uno sputo di sangue, per cui era andato a Pozzuoli, in età di 33 anni. Tuttavia è ancor certo, dice Arteaga, che Pergolesi fu il bersaglio della invidia, e che sembra essersi avverata nella sua persona quella severa e incomprensibil sentenza, che la natura in creando gli uomini singolari ha, come dice un poeta francese, pronunciato contro di loro: Sois [162] grand'homme, et sois malhereux. Il suo Stabat mater, ammirato in tutta l'Europa come un capo d'opera di espressione e di sentimento, non invecchia mai, e finchè vi sarà musica sarà sempre immortale. Tutte le sue composizioni sono tuttora i modelli del buongusto, e della buona scuola, esse dovrebbero essere tra le mani di tutti i giovani studiosi, se aspirar vogliono al sublime ed al grande.
Peri (Jacopo) da Firenze, uno di quei letterati musici su i principj del sec. 17.º, che radunandosi presso il conte Giovanni de' Bardi molto contribuirono con le loro ricerche, co' loro lumi, e con le loro composizioni eziandio, al miglioramento dell'arte (Veggansi gli articoli Bardi, Caccini, Corsi ec.) dopo che il Caccini ed il Peri posto avevano in note la Dafne del Rinuccini con incredibil successo, fu dal Peri medesimo con più accuratezza modulata l'Euridice, altra tragedia per musica di quel poeta, rappresentata in Firenze nel 1600 nell'occasione delle nozze di Maria de' Medici col re di Francia Arrigo IV. Questa può dirsi l'epoca nella quale ebbe origine in Europa la musica drammatica: trovansi nel dramma del Peri il recitativo, le arie, i cori, come si usano al presente, e benchè non fosse possibile in sul principio di trovar nella sua musica la perfezione dell'arte, vi regna tuttavia una certa semplicità preferibile a molti riguardi alla sfoggiata pompa della nostra. Nella prefazione a questa musica dell'Euridice, che fu impressa nello stesso anno, possono leggersi con profitto i principj filosofici che stabilisce il Peri ragionando sulla sua arte (V. Arteaga t. 1).
Perolle (M.), professore di medicina della università di Monpelieri, e membro dell'Accademia delle scienze di Torino, è autore di più dissertazioni sull'Acustica, nelle quali ha fatto parte al pubblico di molti [163] importantissimi sperimenti sulla propagazione del suono. La prima è del 1783, col titolo di Dissertation anatomico-acoustique, Paris in 8.º; l'altre possono leggersi nel Journal de Physique, e sono — Sur les vibrations totales des corps sonores, 1789, t. 37; Sur les experiences acoustiques de Chladni et de Jacquin, 1799, t. 48; Recherches physiques sur le son, contenant des experiences rélatives à la propagation du son dans diverses substances tant solides que fluides; et un essai d'experiences qui tendent a déterminer la cause de la résonnance des corps, 1799 t. 49. Chladni assicura che gli esperimenti di M. Perolle intorno a questa materia sono i migliori (de l'Acoustica p. 321).
Perotti (G. A.) di Vercelli, accademico filarmonico di Bologna, e primo maestro di cappella di S. Marco di Venezia, è autore di una Dissertazione sul progresso e la decadenza della musica italiana, Venezia 1813. La società Italiana di Scienze, Arti, e Belle-lettere avendo proposto un premio per la miglior memoria su quell'argomento, questo premio venne aggiudicato al Sig. Perotti.
Perrault (Claudio), dell'Accademia delle Scienze, e cel. architetto ne' suoi Comentarj a Vitruvio da lui tradotto in francese ragiona a lungo sulla musica degli antichi, ed in oltre alla fine del secondo volume de' suoi Saggi di fisica vi ha di lui Dissertation sur la Musique des Ançiens, Paris 1680, nella quale sostiene che i Greci non ebbero cognizione della musica a più parti.
Perti (Giac. Antonio) da Bologna, fu uno de' più gran professori dell'antica scuola di quella città, ed uno degli autori classici per la musica di chiesa, le sue opere ne son modelli. Una maschia e ben fondata armonia, un'intelligenza ammirevole nelle disposizioni delle parti di un'arte, tanto più grande, quanto è più [164] nascosta, ecco i tratti che dipingono quest'illustre maestro. Dopo di essere stato al servigio dei gran duchi di Toscana, passò a quello dell'imperatore, dove è restato quasi tutto il tempo di sua vita. Leopoldo e Carlo, che avevano molta stima per lui, e che intendentissimi eran di Musica, lo colmarono di onori e di considerevoli beni. Se questo compositore non si fosse reso molto celebre per le sue belle produzioni, lo sarebbe divenuto solo per essere stato il maestro del dotto P. Martini, il di cui merito, le conoscenze, la dottrina, le opere, e la riputazione formano l'elogio del Maestro. Perti morì in Venezia nel 1723.
Petri (Giovan Samuele), precettore di musica alla scuola normale di Halle, e professore nel ginnasio di Baudissin, racconta egli stesso come cominciò i suoi studj dal frequentare le pubbliche lezioni di canto, il che far dovrebbero, egli dice, tutti i giovani che ne hanno il comodo. Bach ne' suoi trattenimenti spiegogli quello, che sino allora aveva trovato d'oscurità nelle partiture di Telemann, di Graun, e del Sassone, o quello ch'era sfuggito alle sue osservazioni. Petri pubblicò quindi in tedesco la sua Introduzione alla musica pratica, Lauban 1767, ed essendosene spacciate prestamente tutte le copie, ne diede una seconda edizione più accresciuta e corretta nel 1782, in tre vol. in 4º. In quest'opera, che servir può di modello dello stile didattico, tratta della musica in generale, del basso continuo, e di tutti gl'instromenti in uso oggidì. A questo precede un'istoria breve sì, ma precisa e chiara della musica, dalla sua origine sino al sec. 18º.
Pfeffinger (Giacomo), mostrato avendo sin dall'infanzia gran disposizione per la musica, i suoi primi passi in quest'arte furono diretti in Strasburgo sua patria [165] da Fil. Schmidt, letterato, musico, e filosofo. Con la guida di un sì abile maestro, fece de' rapidi progressi sul forte-piano, e nella conoscenza dell'armonia. Alla morte di Schænfeld nel 1790, il senato di Strasburgo lo nominò maestro di cappella della città e direttore della musica del Tempio-Nuovo. Fu a quest'epoca ch'egli cominciò a far della musica uno studio più particolare ed esatto; unissi allora col cel. M. Pleyel che era in quel tempo maestro di cappella della cattedrale, e confessa egli stesso dovere in gran parte il suo talento per la composizione a quell'insigne artista, che gli facilitò lo studio di questa bell'arte di appresso i principj di Fux. Intraprese nel 1791 insieme con Pleyel un viaggio in Londra, ove restò sei mesi, e quivi ebbe occasione di unirsi in amicizia coll'immortale Haydn, e di formare il suo gusto con lo studio e la perfetta esecuzione degli oratorj di Hendel, che a giudizio de' veri intendenti sorpassano ogn'altra composizione in questo genere in subblimità e bellezza musicale. Pfeffinger ha pubblicato circa a 18 opere, sì per il forte-piano che per il canto. Le di lui composizioni sono generalmente d'uno stile severo, ed annunziano della profondità di cognizioni nell'armonia. Il suo gusto è deciso esclusivamente per gli antichi.
Pfeiffer (Federico), bibliotecario dell'università di Erlang, e professore di lingue orientali, pubblicò quivi una dissertazione nel 1779 Sulla musica degli Ebrei, in 4.º, la più compita e la più perfetta opera che vi sia intorno a questa materia.
Piantanida (l'Abate), scolare di Fioroni milanese ha composto molta musica di chiesa, come mottetti, messe e vespri; il suo Miserere, il Credo sono in ispezialità molto pregiati. Quest'abate [166] risiede attualmente in Milano.
Piccini (Nicolò), nato a Bari nel 1728, studiò la musica in Napoli sotto il famoso Leo da prima, e quindi sotto il cel. Durante, che lo distinse sempre con una particolare affezione in mezzo al gran numero de' suoi allievi, e palesogli tutti gli arcani dell'arte. Gli altri sono miei scolari diceva egli alle volte, ma questi è mio figlio. Dopo dodici anni di studio sortì Piccini finalmente dal Conservatorio nel 1754, sapendo tutto quello ch'è possibile di sapere in musica, e pieno di un fuoco, e d'un caldo d'immaginazione, che erano impazienti di fare la loro esplosione. Il principe di Ventimiglia palermitano fu il primo a produrlo in Napoli, lo propose al direttore del teatro de' Fiorentini, ove lungamente regnato aveva il Logroscino, e gli fece comporre l'opera Le donne dispettose. I partigiani dell'antico maestro formarono contro il nuovo una così possente cabala, che senza la fermezza e la generosità di quel principe, l'opera non si sarebbe rappresentata. Egli pagò anticipatamente al direttore una somma di 2000 ducati, per ristoro del danno che avrebbe ricevuto, se l'opera non sarebbe incontrata, ma fu essa molto bene accolta dal pubblico, e Piccini datosi animo di quel primo successo, compose negli anni seguenti le Gelosie, e il Curioso del proprio danno, che furono non meno della prima applaudite, e quest'ultima fu rimessa in iscena con nuovi applausi per quattro anni di seguito, il che non si era mai fatto in Italia. Il suo genio acquistava sempre delle nuove forze; e levossi ben tosto al genere serio nella Zenobia, ch'egli compose nel 1756, per il gran teatro di S. Carlo. Essa ebbe un incredibile incontro, che si è sostenuto tutte le volte che è stata replicata. L'Alessandro nell'Indie, e la sua famosa Cecchina, ch'egli scrisse in Roma, eccitò un'ammirazione che giunse sino al [167] fanatismo. Non v'ha esempio d'un successo più di questo brillante, più meritato, più universalmente sostenuto. In tutti i teatri d'Italia venne eseguita la Cecchina, e produsse da per tutto lo stesso entusiasmo. In Roma contro all'usato, era questa da più mesi ancora in teatro, e Roma era per così dire tutta in romore per il suo successa, allorchè vi si trovò Jommelli che tornava da Stuttgard per venire in Napoli. Al suo arrivo, non sentì parlare che della Cecchina, e del suo autore: egli nulla ancora aveva inteso di lui, e quando era partito per la Germania, Piccini era ancora nel Conservatorio. Infastidito di tutto quel fracasso, sarà, disse egli in tuono di disprezzo, qualche ragazzo, e qualche ragazzata: andò la sera al teatro, ascoltò dal principio sino alla fine con somma attenzione, senza profferir parola, nè fare un sol cenno. All'uscita, una calca di giovani e di dilettanti il fermarono chiedendo il suo parere su quella musica: postosi in serietà, ascoltate, disse loro, la sentenza di Jommelli: questo è inventore. Egli compose nello spazio di venticinque anni 133 opere, di cui la più parte sono de' capi d'opera: vi si ammira un vigore, una varietà, una nuova grazia, e soprattutto uno stile brillante, animato, e l'unione sì rara di tutte le qualità, che dar possono la natura e l'arte al più sublime grado: egli ebbe il raro vantaggio di produrre molto, e di produrre sempre delle cose eccellenti. Piccini ammirato sì dagli esteri, che da' suoi compatriotti, era gagliardamente desiderato in tutte le Capitali d'Europa. Parigi ebbe la fortuna di possederlo per mezzo del marchese Caracciolo, quivi ambasciadore di Napoli, che molto amava Piccini, assicurandogli nell'invitarlo una sorte vantaggiosa per la sua numerosa famiglia. Le prime opere ch'egli scrisse in Francia, gli mossero dei nemici molto accaniti, e gli valsero degli [168] elogj forse esaggerati: i francesi si divisero tra Gluck e Piccini, convenendo frattanto che e l'uno e l'altro aveva disteso i confini dell'arte, ed accresciuto i loro piaceri. Si sa con quale animosità sostennero i due partiti l'opinion loro. Alla testa de' partigiani del compositore tedesco distinguevasi l'ab. Arnaud, detto perciò il gran Pontefice de' Gluckisti: e Marmontel era il capo dei Piccinisti. Questa guerra fu tutta d'epigrammi e di motteggi: ma quel che fu più disgustoso per Piccini, si è che essa suscitogli degli intrighi imperdonabili: venne criticato della più odiosa maniera, e se gli fece finalmente aborrire il soggiorno di Parigi. Prese dunque il partito di tornare al suo paese, e partì per Napoli nel 1791. Il nostro Sovrano fecegli la più lusinghevole accoglienza, ordinogli tosto di scrivere pel teatro di S. Carlo, e gli accordò una pensione. Egli compose l'oratorio di Gionata per la quaresima del 1792, ed ebbe il più grande successo, ma avendo avuto l'imprudenza di palesare in Napoli i suoi principj sulla rivoluzione francese, rimase quivi perseguitato e in uno stato di abbandono, di oppressione e d'indigenza, ch'egli sopportò da uomo di coraggio e da filosofo. Allora fu ch'ei pose in musica un gran numero di salmi tradotti dal Mattei per alcuni monasteri, dove sono rimaste le partiture originali, l'autore non avendo l'agio di farseli copiare. Dopo che il re accordogli un passaporto, tornò finalmente in Parigi. Le inquietudini, i disagi provati nel lungo viaggio, alterarono la di lui salute. Dopo avere prodigiosamente faticato, la sua fortuna non era molto brillante; le sue pene morali accrebbero i suoi mali fisici; infermo e colpito di paralisia, non tardò a soccombere a' suoi dispiaceri. Egli morì a Passy nel 1800 di 72 anni. Piccini era dotato d'uno spirito vivace, esteso, e culto. La letteratura latina ed italiana [169] eragli familiare allorchè venne in Francia, e pochi anni dopo non conosceva meno il fiore della letteratura francese. Parlava e scriveva con gran purità l'Italiano, i suoi principj della musica erano severi, avvengachè avesse egli contribuito più che verun altro compositore a dar loro dell'estensione e della flessibiltà. Qualunque ricchezza sapesse spargere al bisogno nella sua orchestra, disapprovava non pertanto il lusso d'armonia, di cui oggidì con troppa prodigalità si fa uso. Egli avrebbe voluto conservar sempre alla voce il suo primato, e che i disegni figurati degl'istromenti avessero sempre per iscopo di esprimer quello che le parole, o l'azione de' personaggi, o il luogo della scena stessa dinotano, e che la voce non può dipingere. Quegli accompagnamenti caricati senza necessità, senz'oggetto, come oggigiorno si usa, non gli sembravano che de' contrassensi ed abusi dell'arte. L'impiego simultaneo di varj stromenti, i continovi effetti d'orchestra, le masse indigeste d'armonia, ed una eterna affettazione di dissonanze, che sono oggi in gran moda, erano a suo parere una vera mostruosità. “Se a ciascuno degli istromenti, egli saviamente diceva, si riserbasse l'impiego, che la natura stessa gli assegna, si produrrebbero degli effetti variati, si giungerebbe a tutto dipingere, e a variare continuamente i suoi quadri; ma si getta tutto alla rinfusa, tutto ad una volta e sempre. Si stempera, s'indurisce così l'orecchio, nulla si dipinge al cuore, nulla allo spirito.” Chi bramerebbe più distinte notizie sulla vita, i sentimenti e le produzioni di questo illustre compositore, potrà consultar con profitto la biografia che pubbliconne nel 1801 il di lui amico M. Ginguené.
Piccini (Luigi), figlio ed allievo del precedente nato in Napoli, venne con lui in Parigi, e scrisse la musica di due drammi burleschi in francese che ebbe degli applausi. [170] Nel 1791 tornò in Napoli con suo padre, e compose quivi Ero e Leandro, cantata per Mad. Billington; Gli accidenti inaspettati, e la Serva onorata, in Venezia nel 1793; l'Amante statua, in Firenze; la notte imbrogliata, in Genova; Il Matrimonio per raggiro. Dopo aver passato sei anni come maestro di cappella alla corte di Svezia, tornò in Parigi nel 1801, dove si è fatto onore con varie sue composizioni per teatro, che sono più conosciute in Francia che in Italia. Alessandro Piccini di lui figlio è nato in Parigi circa 1780; dall'età di 18 anni è professore di forte-piano. Studiò la composizione sotto il celebre M. Lesueur, ed ha scritto la musica di più drammi francesi: egli è ripetitore de' spettacoli della corte ed accompagnatore dell'Accademia di Musica.
Pichl (Vincislao), compositore e direttore della musica dell'Arciduca Ferdinando a Bruxelles, ed accademico-filarmonico, nel 1790 ha fatto imprimere in Amsterdam sino a 16 opere, contenenti concerti per violino, di cui è un ottimo professore, sinfonie, quartetti ec. Egli dimorò lungo tempo in Italia e dal 1780 sino al 1790 era in Milano; fu allora ch'egli propose al dotto P. Sacchi di risolvere la questione delle quinte successive, non trovandosi contento delle ragioni che da' maestri sono state prodotte. La lettera in risposta del Sacchi è diretta a M. Pichl, e stampata in Milano nel 1780.
Pigeon de Saint-Paterne (M.), interprete delle lingue orientali a Parigi, è autore d'un'erudita Memoria intorno alla musica degli Arabi, 1790. (V. Arteaga t. 2)
Pindaro nacque a Tebe nella Beozia sei secoli prima dell'era cristiana. Ebbe le prime lezioni di musica da suo padre, che suonava per professione il flauto, studiò quindi sotto Mirti la poesia e la musica. Questa donna distinta pe' suoi talenti si rese più famosa ancora per avere [171] annoverato fra' suoi discepoli Pindaro e Corinna (V. il suo artic. t. 2). Si sa che i Beoti avevano molto gusto per la musica: quest'arte fu da Pindaro posseduta coll'estensione della poetica, essendo entrambe all'età sua unite insieme. Non bastando alla feconda sua vena gli antichi metri, ne inventò de' nuovi con altri nuovi ritmi eziandio per cantarli. Lo stromento, di cui si prevalse, fu il magade di corde immobili: egli riuscì abilissimo nella lira e nella cetra. (V. Requeno t. 1). Tutte le nazioni della Grecia lo ricolmarono di onori, ed egli riportò più volte il premio ne' conflitti di poesia e di musica. Pausania racconta, come in tempo dei giuochi pitici a Delfo egli si poneva a sedere coronato d'alloro sopra una scranna elevata, e dando di piglio alla sua lira faceva sentire quei suoni che rapivano, ed eccitavano da ogni parte grida d'ammirazione, e d'applausi (lib. 10 c. 24).
Pistocchi (Franc. Ant.) di Bologna, ottimo compositore del suo tempo è principalmente riguardato in Italia come il fondatore della moderna scuola di canto: essa si è resa celebre pel metodo d'insegnare, per la varietà degli stili, e pel numero de' primarj maestri e cantanti che ne sono sortiti. I più famosi allievi del Pistocchi, che divennero tanti Capiscuola in Italia, nel sec. 18º furono il Bernacchi, il Pasi, il Minelli, il Fabri tutti di Bologna, ed il Bartolino di Faenza. Tra i scolari del primo basta rammentare Guarducci, Amadori, Raff, e Mancini, che si è anche distinto fra i letterati pel suo bel libro intitolalo Riflessioni pratiche sul canto. “I cinque allievi di Pistocchi, dice il sullodato Mancini, benchè instruiti dal medesimo maestro, differivano tra loro per il metodo e per lo stile, ciascuno di essi essendo stato regolato secondo la naturale sua disposizione; e questo esempio basta per dare a divedere che un buon maestro non dee limitarsi ad [172] un solo metodo co' suoi scolari, ma che per formare de' perfetti cantanti, egli deve, profondamente sapere le diverse maniere di dirigerli, e praticarle con giudizio. Chiunque avrà questo talento, sarà sempre apprezzato dalle persone dell'arte, ec.” Pistocchi fiorì sul principio del p. p. secolo, tra le sue composizioni è molto pregevole la sua opera 3, pubblicata in Bologna nel 1707, che contiene dieci duetti e due cantate a 3 voci.
Pitagora nacque a Samo cinque secoli innanzi l'era cristiana: intraprese lunghi viaggi presso le più culte nazioni, e dopo essersi arricchito di vaste conoscenze, andò a stabilirsi a Crotona in Italia, e vi formò una scuola, che si è resa celebre per i grand'uomini che produsse, sotto il nome di Setta Italica. Non volle Pittagora arrogarsi, come gli altri, il fastoso titolo di Savio, ma usò il primo il modesto nome di Filosofo, cioè amatore della Sapienza. In riguardo alla musica, che era da' Greci con ispezial cura coltivata, Pittagora vi si applicò profondamente, ed a lui generalmente si attribuisce l'averla ridotta a calcolo con qualche apparenza di scienza esatta. La sua teoria musicale, diversa da quella che formarono in appresso i di lui seguaci i Pittagorici, può vedersi bene sviluppata dal dotto ab. Requeno nella seconda parte de' suoi Saggi t. 1, e nella quarta al 2º t. p. 189, egli dà a divedere che questo grand'uomo, benchè senza pretenderlo, desse origine ad un nuovo sistema armonico, non si discostò in nulla dall'antichissima musica degli anteriori greci, nella quale fu abilissimo; che egli non fu, come da tutti gli scrittori moderni si vocifera, l'inventore del sistema armonico de' posteriori pittagorici: ma che co' suoi calcoli altro non fece che scoprire nell'antico sistema aritmetico gl'intervalli consoni, e notare le distanze della fondamentale, in cui si trovavano. “Era Pitagora assai grande filosofo, egli dice, per [173] innalzare un sistema armonico da' pochi fatti scoperti e verificati nell'antico sistema, fin allora applaudito nella nazione. Le ragioni delle consonanze, da lui comunicate a' suoi scolari, e da questi malamente intese, furono generalizzate e prese in astratto da' medesimi, ed a poco a poco co' calcoli, senza fondamento di sperienze armoniche, si allontanarono dall'antico sistema aritmetico di modo tale che ne crearono un altro pieno di errori e di supposizioni, le quali fanno poco onore a' loro seguaci” (p. 199 t. 2). Il racconto de' suoni armonici trovati da Pitagora da' pesi diversi de' martelli d'un ferrajo, e del gran numero delle maraviglie, che si pretende aver operato questo filosofo per mezzo della musica, per quanto sia stato ricevuto da' Greci e Latini, dagli antichi e moderni, dee nondimeno riporsi fra le favole greche, e riggettarsi come privo di verisimiglianza, non che di verità. Il Montucla, lo Stillingfleet, e M. Chladni hanno osservato non essere conforme alla natura il formare un'armonia sensibile co' martelli battuti su l'incudine, e molto più colle corde tese da tali pesi, essendo i suoni piuttosto come le radici cubiche inverse de' pesi, e come le radici quadrate della tensione (Acustiq. p. 100).
Pitagora (Zacinto), diverso dell'antecedente fu capo d'una setta di musici secondo ciò che ne riferisce Aristosseno (Harmonic. p. 36). Da costui si rileva altresì ch'egli abbia scritto sulla musica, e secondo Ateneo (Lib. XIV) fu inventore di un nuovo strumento musico detto Tripode, l'uso del quale, egli dice, durò per breve tempo, o perchè era difficile a maneggiarsi, o per qualche altra ragione. Questo instrumento, che fu in tanta ammirazione, subito dopo la di lui morte, passò in disuso e in dimenticanza. Pittagora fioriva circa cinque secoli prima di G. C. [174]
Planelli (cav. Antonio), letterato napoletano, uomo fornito di ottime cognizioni, di gusto delicato, e dolcissimi costumi, come dice il Mattei (Nuovo sist. d'interpret. i trag. Greci), pubblicò in Napoli un eccellente libro intitolato: Dell'opera in Musica, in 8vo, 1772. Nella Sezione 1 dimostra egli che s'intenda per opera in musica, fa la storia de' suoi progressi e perfezione, e tratta assai dottamente delle belle arti in generale. La Sez. 2 tratta del Melodramma. Nella 3, Sezione della musica teatrale, dello stile proprio di ciascuna passione, e di ciascuna parte di questa musica, della differenza tra la musica antica e la moderna. La Sez. 4 si occupa della Pronunziazione dell'Opera in musica. Le sez. 5 e 6, trattano della Decorazione e della Danza dell'opera in musica; e l'ultima della Direzione, e Necessità, che ha l'opera in musica del buon ordine, e come vi vada procurato il pubblico costume. Questo trattato è ben scritto, e molto interessante: da per tutto vi regna una non ordinaria erudizione, e buona lettura d'Autori antichi, de' quali l'A. ha saputo fare uso ove bisognava, e ben giudiziosamente. “Egli abbraccia, dice l'ab. Arteaga, in tutta la sua estensione il suo oggetto. Le sue osservazioni circa le belle arti in genere, e circa la musica, e direzione del teatro in particolare sono assai giudiziose e proficue, e da pertutto respirano l'onestà, la decenza e il buon gusto.” (Disc. prelim.)
Platone, il celebre filosofo; nato in Atene passò la sua giovinezza nello studio della musica e delle belle arti compagne: confessa egli stesso, che prima che entrasse nella scuola del pitagorico Archita, aveva egli imparata la musica degli antichi greci in iscuola, e nel tempio ove con gl'altri suoi pari concorreva al canto delle leggi di Solone ne' giorni festivi: onde è che ne' libri della Repubblica si dichiara [175] egli a favore di quest'arte per l'educazione. Platone, già filosofo e calcolatore di sublime e audace ingegno per l'invenzione, osservando la dissonanza degli stromenti accordati da' Pittagorici, e la concorde melodia di quegli, che i greci antichi avevano lasciati per l'uso de' tempj e della giovanile educazione; per non iscreditarsi co' filosofi e per farsi nome con gli ignoranti pratici suonatori, stabilì, che la musica pitagorica co' suoi calcoli dovesse destinarsi allo studio della natura, e l'antica allo studio della religione e del costume. Per far valere questa sua maniera di pensare, ci descrisse nel Timeo con le armoniche proporzioni de' pitagorici la formazione dell'universo, e ne' libri della Repubblica si dichiarò contro tutte le novità introdotte nell'arte più severa degli antichi greci; e sì nell'una che nell'altra opera mostra, non essere egli ignorante, anzi eruditissimo in ambidue i sistemi di musica antico e moderno. Sentì egli sì bene l'insufficienza del calcolo armonico ne' suoni degli instromenti, e quindi relegò l'armonia pitagorica alle sfere, ove con le leggi de' tetracordi potessero spiegarsi i loro movimenti, e la loro formazione con l'altra dell'universo da non falsificarsi mai cogli stromenti armonici. Platone fu tre volte in Sicilia, ed ebbe quivi lezioni di musica da Metello d'Agrigento (v. Requeno t. 1). Morì finalmente in Atene circa 347 anni prima di G. C.
Playford (John), mercante di musica, ed abile pratico in Londra è autore di una buona opera intitolata: Introduction to the skill of music, ossia Introduzione all'arte della musica, la di cui terza edizione è del 1697. Il suo ritratto si trova nella storia di Hawkins.
Pleyel (Ignazio), nato in Austria nel 1757, studiò la composizione sotto il grande Haydn in Vienna, e fu il solo allievo ch'egli avesse fatto di proposito. Nel 1786, Pleyel viaggiò in Italia, e fu da per tutto accolto della più distinta maniera: [176] scrisse l'Ifigenia opera seria italiana, la di cui musica ebbe grandissimo incontro in quella patria dell'armonia. Nel 1787, venne egli chiamato a Strasburgo come maestro di cappella, coll'onorario di quattro mila franchi, e dopo alcuni anni si è stabilito in Parigi come mercante di musica e di cembali a piano-forte. La più parte delle sue composizioni sono state impresse a Offenbach presso il maestro di cappella André, autore del Giornale di musica per le dame. Pleyel benchè abbia preso l'Haydn per archetipo della sua musica strumentale, ha cercato nondimeno di semplificare la melodia collo scemare gli accordi e scarseggiare di transizioni, onde i suoi lavori sono meno di quelli del suo maestro dignitosi e robusti: ma in compenso la sua armonia ha una chiarezza, una grazia, che penetra facilmente e contenta l'orecchio degli ascoltanti. Egli ha composto di recente due opere di quartetti d'uno stile più forte, e d'un'armonia più piena e robusta degli antecedenti.
Plinio il seniore, nato in Verona, benchè abbia servito nelle armate di più Imperatori, trovò da per tutto il tempo di darsi allo studio più profondo della natura. Perì egli nella famosa eruzione del Vesuvio l'anno 79 di G. C. allorchè restaron sepolte sotto le sue ceneri Ercolano, Pompeja e molte altre città della Campania. La sua storia naturale in 37 libri è una delle più importanti opere che ci sopravanzino dell'antichità. Nel libro XI c. 51 tratta egli della voce e del canto, e nel lib. XVI c. 36, rapporta in qual maniera costruivansi le differenti specie di tibie o di flauti. (V. Forkel, Hist. de la Mus. t. 1)
Plotino, filosofo della scuola de' posteriori Platonici, di cui riferisce nella di lui vita Porfirio suo discepolo, ch'egli era profondamente instruito in tutte le scienze, come ancora nella musica, benchè esercitato non si fosse nella pratica. Che Plotino fosse [177] versato nella teoria della musica facilmente rilevasi dalle sue opere, ove ad esempio di Pitagora e di Platone spiega col mezzo delle leggi dell'armonia le cose naturali, come per esempio i movimenti de' corpi celesti, e quelli della nostr'anima. (V. Fabric. Bibl. Gr. t. 4)
Plutarco, nato a Cheronea nella Beozia, uomo di una erudizione universale, fiorì dall'impero di Nerone sino a quello di Adriano, e dopo essere stato più volte in Roma morì in sua patria circa l'anno 120 di G. C. Benchè in molte delle sue opere parli egli della musica, due lascionne frattanto che trattano espressamente della medesima. L'una di queste può considerarsi come un compendio benchè oscurissimo della musica teorica, ed è il suo Comento sul Timeo di Platone: l'altra è puramente istorica, ed è il suo Dialogo sulla musica, che M. Burette ha tradotto in francese con lunghi comentarj e note, come veder si può in più volumi, delle Memorie dell'Accad. delle Inscrizioni. Gli interlocutori di quel dialogo sono Lisia puro pratico, e Soterico letterato di Alessandria; questi non danno che una mal digerita storia, dell'origine e de' progressi dell'antica musica e dell'utilità dell'armonia. Plutarco per bocca di Soterico (dice l'ab. Requeno) “vuole spiegarci i tre generi di musica diatonica, cromatica ed enarmonica: lo fa però così superficialmente e con tanto disordine d'idee, che si scuopre ignorante del piano e de' precetti, su de' quali ragiona; e solamente si rende stimabile per mostrarci lo stato, in cui era allora questa famosa arte.” (Tom. 1, pag. 284)
Poisson (Leonardo), curato di Marcangis, diocesi di Sens, morto in Parigi nel 1753, è autore d'un'eccellente opera intitolata: Nouvelle méthode, ou Traité théorique du plain-chant, Paris 1745 in 8vo, vi si trovano de' fatti curiosi, delle preziose [178] ricerche e delle nuove dottissime osservazioni.
Poisson (M.), professore di geometria nella scuola Politecnica, è autore di una Memoria sulla teoria del suono, che si trova nel t. VII du Journal ec. Chladni loda le sue ricerche come assai dotte (V. Acoustiq. p. 293).
Polluce (Giulio) di Naucrate nell'Egitto, fu in Roma per la sua erudizione, assai caro all'Imperatore Commodo, e per di lui ordine diè scuola di umane lettere in Atene, ove morì in età di 58 anni. Tra le sue opere una ve n'era intitolata Certamen musicum, di cui fa menzione Suida, e che si è perduta; nel suo Onomasticon, ossia Vocabulario in X libri, che tuttora ci rimane, vi ha molte notizie intorno agli istromenti di musica in uso presso gli antichi, delle quali molto ne ha profittato il Requeno trattando della divisione degli stromenti, tom. 2, p. 404.
Ponce (Niccolò), celebre incisore, non che distinto letterato in Parigi, nel 1805 diè al pubblico una memoria molto interessante Sur les causes des progrès et de la décadence de la musique chez les Grecs. (V. les Quatre Saisons du Parnase p. 264)
Ponzio (Pietro), nato in Parma nel 1532, abbracciò lo stato ecclesiastico. Dotato delle più felici disposizioni per le scienze, e le arti, e con ispezialità per la musica, fu chiamato circa 1550 a Bergamo per maestro di cappella della cattedrale, donde passò in Milano, e quindi fè ritorno in Parma, ove morì nel 1596. Abbiamo di lui Ragionamento di musica, Parma 1588, dedicato al conte Bevilacqua di Milano, gran partigiano della musica. Dialogo, ove si tratta della teoria e pratica di musica, dedicato all'accad. filarmonica di Verona, Parma 1595. Egli è diviso in quattro libri, e sono gli interlocutori il conte Alessandro Bevilacqua, il conte Sarego, ed il conte Marco Verità: opera pregevolissima per la dottrina di quel tempo.
Pope (Alessandro), celebre [179] poeta inglese del secolo 18, di cui vi ha un'Ode sulla musica, per la festa di S. Cecilia, che è un'imitazione di quella di Dryden sullo stesso soggetto: M. Hennet nella sua Poétique Anglaise (3 vol. in 8, Paris 1806), e M. de Valmalète nel 1808, ne hanno data la traduzione francese.
Porfirio, filosofo nato a Tiro l'anno di G. C. 223, dimorò per alcun tempo in Sicilia, donde passò in Roma, ove morì sul cominciare del 4.º secolo. Egli scrisse molto sulla musica, alla maniera de' nuovi platonici, ne' suoi Commentarj sugli Armonici di Tolomeo, che il Dott. Wallis pubblicò il primo, benchè imperfetti, a Oxford nel 1699.
Porpora (Niccolò), uno de' più celebri maestri di Napoli, dove stabilì una scuola di canto, che ha forgiati i più gran cantanti del 18º secolo, come Farinelli, Cafarelli, Salimbeni, Hubert detto il Porporino, la Gabrieli ec. che si sono fatti ammirare in Europa quai prodigi di melodia. Egli era inoltre profondo nella teoria, e nella pratica del contrappunto, ed ebbe la gloria, essendo in Vienna in casa dell'ambasciatore di Venezia, d'insegnare al grand'Haydn la buona ed italiana maniera di cantare, e quella pure di accompagnare al cembalo, mestiere molto più scabroso di quello che si crede, e che pochi fra i maestri medesimi possiedono perfettamente. Nell'articolo di Carlo VI, e in quello di Haydn (tom. 2, p. 22, 199), abbiamo riferiti alcuni aneddoti relativi al Porpora; egli fu inoltre maestro in Dresda della principessa elettrice di Sassonia M. Antonia Valburga, alla quale dedicò poi l'Eximeno l'opera sua sulla musica. In questa corte ebbe tale stima il Porpora, che ne divenne infin geloso lo stesso Sassone: in Londra fu il rivale di Hendel. La chiesa, la camera e 'l teatro sono stati arricchiti da' suoi capi d'opera, e spesso i Pontefici hanno creduto di fare un dono gradito [180] ai principi regalandoli di un originale di Porpora. Il carattere generale della di lui musica è il grande ed il serio: ma si è di accordo nel dire che quanto è maraviglioso nel cantabile, altrettanto è egli stentato negli accompagnamenti delle sue arie. Ciò però gli è comune con tutti i buoni maestri del suo tempo, Vinci, Leo, Pergolesi ec., perchè la semplicità e l'economia delle note, che costituiscono la grazia, e l'espressione del canto, rendono la musica instrumentale arida e scipita; ma tutti i compositori lo riguardarono sempre come loro modello nel recitativo, Porpora può dirsene il padre, egli trovò la vera declamazione musicale. Morì tuttavia in Napoli nell'estrema indigenza nel 1767, di 82 anni.
Porpora, altro maestro italiano dello scorso secolo, di cui raccontava il Jommelli, che sebbene non fosse stato sprovveduto di merito in riguardo alla cognizione teorica e pratica della musica, si rese però ridicolo per non capire il senso delle parole che metteva in note. Obbligato una volta a mettere in musica il Credo, alle parole Genitum, non factum, credette a proposito l'introdurvi il coro, il quale, mentre un cantante diceva da una parte, genitum, non factum, rispondeva, factum non genitum. Il pezzo fu eseguito, ed applaudito: ma qualcuno dinunziò Porpora all'Inquisizione come empio. Egli si difese con dire che non sapeva il latino, e sembrò di tanta buona fede, che i giudici, meno severi allora, che non l'erano trent'anni avanti, rimandarono via l'accusato. Un'altra volta dovendo mettere in musica l'aria Superbo di me stesso, fece che l'attore dopo aver detto questo primo verso, gridasse poi con enfasi, Andrò portando in fronte: seguiva una gran pausa, e non si sapeva ancora cosa andasse costui portando in fronte, quando con una uscita di corno gliela fece annunziar [181] chiaramente in mezzo alle risa di tutto il teatro.
Porta (Costanzo), francescano di Cremona, fu condiscepolo del Zarlino sotto Adriano Willaert, e uno de' primi compositori del suo secolo per la musica di chiesa: il P. Martini facevane gran conto, comechè fosse più adatta a soddisfar l'occhio anzichè l'orecchio. Egli fu maestro di cappella a Padova, a Ravenna, e finalmente a Loreto, dove morì nel 1601.
Porta (Berardo), nato in Roma circa 1760, fu allievo del Magrini che lo era stato del cel. Leo. Egli fu dapprima maestro di cappella a Tivoli e direttore d'orchestra: compose molte opere, oratorj, e musica strumentale. Tornò quindi in Roma al servigio del principe di Salm ch'era prelato in quella corte, ed ebbe la sopravvivenza di Anfossi sì per i teatri, che per le cappelle, ma la rivoluzione gli fè perder tutto, e nel 1798 venne in Parigi, dove ha scritto più opere per quel teatro: egli vi si è stabilito, e vien riputato colà come uno de' migliori maestri di composizione.
Portogallo, compositore portoghese per teatro stabilito da più anni in Italia: nel magazzino del Ricordi in Milano vi ha di lui impressa la musica de' seguenti drammi: Il ritorno di Serse; Idante, opere serie. Lo spazza camino; la Donna di genio volubile; Oro non compra amore; I due gobbi, burlesche. Il filosofo; la maschera fortunata; il Ciabattino, farse.
Poulleau (M.) è l'inventore di un nuovo stromento a tasti, detto l'orchestrino, che è brillante, espressivo e canta assai bene. A siffatte pregevoli qualità unisce inoltre il vantaggio di potere imitare il violoncello e la viola in maniera a produrre una compiuta illusione. Benchè l'imitazione del violino sia di minor effetto, tuttavia un suonator di forte-piano produce con questo strumento egli solo l'effetto di un quintetto composto di [182] due violini, viola, violoncello e basso. Poichè l'orchestrino sostiene e fila i suoni per mezzo di un arco, e fa passar quelli gradatamente dal piano al forte, e dal forte al piano, egli ha perciò la varietà di esecuzione del pari che gli stromenti ad arco nei canti, che esiggono delle note legate, staccate, sostenute, o pizzicate. La di lui forma è di un piccolo clavicembalo; le sue corde sono di budelli, ed il suo arco riceve movimento per mezzo di una ruota che si fa girare col piede.
Prandi (Girolamo), pubblico professore di filosofia morale, e di dritto di natura nell'università di Bologna, nel 1805 all'occasione del solenne aprimento delle scuole comunali filarmoniche di quella città recitò una dotta Orazione sulla musica. Rintraccia in essa l'origine prima di quest'arte, ne segue i progressi da filosofo osservatore, e tutti i vantaggi descrive di questo mirabile ritrovato, ch'egli attribuisce al tedio ed alla noja: il tutto è descritto con istile purgato e sublime.
Prati (Alessio), nato a Ferrara circa 1736, fu un gran maestro, compositore di molto gusto e generalmente stimato. Nel 1767 venne a Parigi e scrisse per quel teatro con molto successo, si rese quindi a Pietroburgo, ove fu similmente applaudita la sua musica. Dopo un'assenza di 17 anni tornò in Italia, e scrisse in Firenze l'Ifigenia nel 1784, che ebbe uno straordinario incontro, nè meno prodigioso fu quello che riportò in Monaco di Baviera per la sua Armida abbandonata nel 1785, per cui divenne maestro di cappella dell'elettor palatino. Non godette molto però della sua fortuna, poichè finì di vivere in Ferrara sul principio del 1788. Vi ha di lui molta musica sì vocale, che strumentale impressa in Parigi, a Lione, in Berlino ed in Londra.
Predieri (Luca-Ant.) da [183] Bologna, fu quasi per tutto il corso di sua vita al servigio della corte di Vienna. Tenuto in conto de' più valenti maestri del suo tempo, fu uno di quelli che più felicemente han saputo unire l'antico gusto al moderno. Fornito di bella immaginazione e di una gran verità di espressione, aveva moltissimo spirito, e la sua conversazione si rendeva molto piacevole: l'Imperatore Carlo VI, che aveva particolare stima di lui, si prendeva spesso piacere di contender seco lui. Egli fu il primo a mettere in musica gli Oratorj del Metastasio, il Sagrifizio di Abramo nel 1738, e l'Isacco nel 1740, come ancora più drammi dello Zeno e del Silvani. Morì egli in Bologna sua patria nel 1743.
Pretorio (Michele), il di cui vero nome di famiglia era Schulze, fu priore del monastero de' benedettini a Ringelheim, e maestro di cappella dell'elettore di Sassonia e del duca di Brunswick; celebre come compositore ed autore altresì di più opere sulla musica, morì a Wolfenbuttel nel 1621. La sua principale opera è il Syntagma Musicum, in 3 vol. in 4º ch'è divenuta rarissima.
Prinz (Wolfango), distinto contrappuntista ed autore di musica, morì nel 1717 di 76 anni. Scrisse egli stesso la sua vita, di cui ve ne ha un estratto presso Mattheson e Walther: ecco il catalogo delle sue opere, che sono in gran pregio presso i tedeschi. 1. Instruzione nell'arte del canto, 1686; 2. Compendium musicæ, etc. o Compendio di tutte le cose necessarie a quelli che vogliono imparare la musica vocale, Lipsia 1714; 3. Descrizione istorica dell'arte del canto, Dresda 1690; 4. Il compositore satirico, 3 vol. 1679; 5. Exercitationes musicæ theoretico-practicæ, Dresda in 4º, 1689, oltre più opere manoscritte teoriche e didattiche sulla musica.
Profilio (Giuseppe), nato in Palermo nel 1718, fu prete e dottore nell'uno e [184] nell'altro dritto: studiò la musica sotto la direzione del maestro Pozzuolo profondo contrappuntista di que' tempi. All'età di 42 anni il suo amore per la solitudine abbracciar gli fece il posto di organista, e maestro di cappella offertogli dai PP. Benedettini dell'insigne monastero, di S. Martino, alcune miglia lontano da Palermo. Tra le altre rarità, di cui abbonda questo monastero vi ha un magnifico organo, opera in origine del cel. Lavalle, indi dal peritissimo costruttore di questi stromenti Baldassare di Paola palermitano, alcuni anni sono defunto, migliorata ed accresciuta sino al numero di 72 registri, fra' quali sonovi molti strumenti di orchestra bene imitati, l'intera banda militare, l'eco, un armoniosissimo e sonoro ripieno coi contrabbassi a tuono di quaranta, e quattro tastature per suonarsi in concerto da tre diverse persone. L'ab. Profilio mostrò una particolare abilità nella maniera di suonare questo grand'organo, l'armonia che sapeva trarne, e 'l possesso con cui lo maneggiava, dilettava e sorprendeva del pari. Persuaso della massima, che ripeteva sovente, cioè che allora suona bene l'organo quando canta, volle sempre suonando imitare la voce che canta: egli aveva la grand'arte di sapere adattare ad ogni registro, secondo lo strumento che egli rappresenta, quel genere di musica che più gli conveniva, non usando tuttavia altro stile se non il più analogo alla maestà del luogo, ed alla gravità delle auguste cerimonie della religione; pregio assai raro agli organisti de' nostri giorni, i quali o per non sapere produrre improvvisando, o per voler solo solleticare gli orecchi, ripetono sull'organo ariette di teatro, rondò, balletti: il che è a mio avviso una profanazione del luogo santo. Profilio aveva fatti, stando in città, molti allievi, il suo metodo particolare di solfeggio formò de' buoni artisti e non pochi dilettanti [185] eziandio di ragguardevol nascita: proseguì a dar lezioni in quel monastero a' religiosi giovani di suono e di canto, e ad alcuni di composizione ancora, fra' quali merita il primo luogo il P. D. Bernardo Platamone, oggidì Priore degnissimo, che alle altre sue profonde cognizioni in più scienze unisce quella della musica sì teorica, che pratica. Abbiamo del Profilio delle Regole di accompagnamento ordinate con buon metodo, ed alcune composizioni per chiesa che dimostrano più scienza che gusto. Dopo una dimora di 23 anni in quel monastero, ove per la regolarità di sua condotta, e la dolcezza de' suoi costumi erasi conciliata la venerazione e la stima di tutta quella rispettabile comunità, finì quivi i suoi giorni in età di 65 anni nel 1783.
Provedi (Francesco). Sanese, di cui nel tomo 50 degli opuscoli scientifici e filologici Ven. 1754, vi ha Paragone della musica antica e della moderna in quattro ragionamenti. Nel primo tesse brevemente la storia della musica, fa vedere l'uso e la stima che ne facevano i Greci, e 'l pensiero che si prendevano per conservarla nella sua purezza: ne' due seguenti ragionamenti passa egli a paragonare la musica greca colla moderna: nel quarto prova, che una delle prime cagioni che imperfetta rendono la musica moderna, è stata la poco propria maniera, colla quale trattata è da' suoi scrittori. Il Giornalista di Modena credette per isbaglio che Provedi fosse stato Coltellinajo di professione; questo era un secondo nome di famiglia (Stor. letterar. d'Ital. t. X, 1757). Nel 1743 nacque in Siena una questione fra Fausto Fritelli maestro di cappella della cattedrale, e Francesco Provedi circa il sistema di musica più perfetto, e se debba preferirsi quello di Guido Aretino, o quello di Anselmo Fiammingo. Il Coltellinajo ad istanza degli amici pubblicò il suo parere in una Lettera in favore di [186] Guido, e da essi ne furono mandate copie in diverse parti; ma Provedi persuaso del profondo sapere del P. Martini, a lui rimise il giudizio della sua Lettera e della risposta del Fritelli suo avversario. Non sappiamo in favore di chi sia stata la decisione del Martini.
Psello (Michele), scrittore greco del secolo XI sotto l'Imperatore Costantino Ducas, del cui figlio Michele fu precettore, morì nel 1078. Nella sua opera De quatuor mathematicis scientiis, tratta egli della musica. “Gli scritti di Psello, dice l'ab. Requeno, per il titolo e per il contenuto mostrano la barbarie dell'età sua. Scrisse del quadrivio, sotto il cui nome allora s'intendevano l'aritmetica, la musica, la geometria e l'astronomia. Intorno alla musica, se ci deve servire di regola uno scrittore per giudicare dello stato, in cui essa allora trovavasi, si conchiuderà, o che all'età di Psello si erano cambiati non solo i nomi tecnici, ma la sostanza altresì degli armonici intervalli, o che era egli stesso sommamente ignorante dell'arte e de' differenti sistemi” (V. Saggi t. 1. c. 14).
Puccitta (Vincenzo), eccellente maestro italiano, e compositore del nostro tempo di molto buon gusto e di nuovo stile per teatro. Verso il 1807 egli fu in Londra; le sue opere, dice il Dottor Pananti, trenta volte e più ripetute in quel teatro hanno avuto i più meritati applausi, la sua bella musica è stata avidamente accolta dal pubblico (V. poeta di teatro, t. 2, Londra 1809, pag. 332 not. 5). Nel magazzino del Ricordi si trova di lui impressa la musica dei drammi Teresa e Wilck; Zelinda e Lindoro; i Due Prigionieri; il Puntiglio.
Puckeridge, irlandese, fu il primo inventore dell'armonica. Nel 1760 avendo osservato il suono prodotto [187] dallo strofinamento della sommità di un bicchiere con un dito bagnato, provossi il primo a formare uno stromento armonioso col porre sopra una tavola un certo numero di bicchieri di varie grandezze e ripieni d'acqua a metà. Puckeridge morto giovane non ebbe l'agio di perfezionare la sua scoverta, il che fece di poi il Dottor Franklin.
Pugnani (Gaetano), di Torino, fu scolare di Somis, suo compatriota ed uno de' migliori allievi di Corelli. Trovandosi già ben fermo sul violino, andò a visitar Tartini in Padova per consultarlo sulla sua maniera di suonare, pregandolo di dirgli francamente il suo parere. Egli ricominciò il suo studio sotto la direzione di questo gran maestro, e si fermò per alcuni mesi in Padova. Viaggiò quindi in molti paesi dell'Europa, e si fermò lungamente in Inghilterra, dove compose una gran parte della sua musica pel violino, e fece eseguire in Londra la sua opera Annetta e Lubino, e tornò in Italia verso il 1770. Fondò in Torino una scuola di violino, come il Corelli a Roma, e il Tartini a Padova; dalla quale sono sortiti i primi suonatori della fine dello scorso secolo, come Viotti, Bruni, Olivieri ec. È da rimarcarsi che i suoi allievi sono stati molto abili nel reggere l'orchestra: egli era questo il principale talento del maestro, ed egli aveva l'arte di trasmetterlo altrui. “Pugnani dominava nell'orchestra, dice Rangoni, come un generale in mezzo a' suoi soldati. Il suo arco era il bastone di comando, a cui ubbidiva ciascuno colla maggior esattezza, ed egli richiamava tutti a quella perfetta unione, ch'è l'anima del concerto. Penetrato dal principale oggetto, cui dee proporsi ogni valente accompagnatore, cioè di sostenere e far distinguere le parti essenziali, prendeva così prestamente e gagliardamente l'armonia, il carattere, il movimento e 'l gusto della composizione, che [188] ne imprimeva al momento stesso il sentimento nello spirito dei cantanti e di cadaun membro dell'orchestra.” (Saggio sul gusto della musica, Livorno 1790). I dettagli della vita privata del Pugnani offrono dei curiosi aneddoti. Trovandosi un giorno aux délices in Parigi, Voltaire recitò alcuni suoi versi che Pugnani ascoltò colla più grande attenzione. Mad. Denis pregò in seguito Pugnani a suonare alcun pezzo di musica sul suo violino, ma inquietatosi che Voltaire proseguiva a parlar alto, e turbava la sua esecuzione, rimettè lo strumento in sacca, questo M. de Voltaire, egli esclamava, sa far de' bei versi; ma per la musica non se ne intende un diavolo. Suonando una volta un concerto in una gran compagnia, al far la cadenza, esce fuori di se, e credendosi solo si mette a girar per la camera senza avvedersene, finchè alla fine della sua cadenza sentì ripigliare tutta l'orchestra. La musica di Pugnani è pregevole per una eloquenza nerboruta e brillante; le idee vi si succedono con ordine senza allontanarsi dal soggetto: pochi artisti han saputo meritare, com'egli, l'ammirazione per il loro talento e la stima per la loro persona. La grandiosità della sua esecuzione rispondeva perfettamente alla dignità del suo contegno. Morì in Torino nel 1798 in età di 70 anni.
Puteano (Ericio), o Enrico Dupuy, governatore di Lovanio, e storiografo del re di Spagna; fece i suoi studj in Colonia, a Padova, e in Milano. Egli fu uno de' più dotti uomini del secolo 17. Delle molte sue opere non citeremo qui che quella da lui pubblicata in Milano nel 1599, col titolo: Pallas modulata sive septem discrimina vocum etc. in 8vo, di cui vi ha una seconda edizione in Lovanio del 1615, col titolo: Musathena. Egli vi propose un nuovo metodo di solfeggio, con aggiungervi una settima sillaba. Quest'innovazione recò [189] scandalo ai pedanti del suo secolo, ma trovandosi più utile il suo metodo fu quindi generalmente abbracciato.
Quadrio (abbate Francesco) è autore di un'opera pubblicata in Bologna 1739 ed a Milano 1746 col titolo: Della storia e della ragione d'ogni poesia, 4 vol. in 4.º, nella quale trovansi molti articoli concernenti la letteratura della musica, tali sono quelli sul merito di Guido d'Arezzo sulla musica nel tom. 2, quello della Cantata dell'Opera in musica degli Oratorj nel tom. 3 ec. Ecco il giudizio che ne ha dato l'Arteaga. “Il Quadrio, egli dice, uomo di lettura immensa, ma d'erudizione poco sicura, di gusto mediocre e di critica infelice impiegò un mezzo tomo della sua voluminosa opera nel trattare dell'Opera in musica, ove il lettore altro non sa rinvenire che titoli, che date e nomi di autori ammucchiati senz'ordine a spavento della memoria, e a strazio della pazienza.” (Disc. prelim.).
Quanz (Gioacchino), celebre compositore, e scrittore di musica, fu il maestro del gran Federico re di Prussia, con cui suonava insieme di flauto, essendo stato eziandio virtuoso in quasi tutti gli instromenti. Nel 1724 venne in Roma in compagnia dell'ambasciadore di Polonia, e 'l suo primo pensiero fu di prendere quivi lezioni di contrappunto dal cel. Gasparini: ebbe ancora occasione di sentire il gran Tartini. Nel 1727, si rese a Napoli, ove trovò il Sassone che studiava allora sotto Scarlatti: fece colà conoscenza co' più gran musici, come Leo, Mancini e Feo. Quanz abitava insieme col Sassone, e lo pregò di presentarlo a Scarlatti, ma questi, tu sai, gli disse, che gli suonatori di strumenti da fiato mi sono insoffribili, perchè sono stonatori. Ma Hasse fece tanto che lo persuase a riceverlo. Dopo avere [190] inteso Quanz sul flauto lo prese egli in tale affezione, che compose per lui molti a solo e lo introdusse nelle primarie case di Napoli. Quanz tornò in Roma per sentire nella settimana santa il cel. Miserere di Allegri: proseguì quindi il suo viaggio per Firenze, Livorno, Bologna, Ferrara, Padova sino a Venezia, dove trovò Vinci, Porpora e Vivaldi. Da lì passò per Modena, Reggio, Parma, Milano e Torino, e si rese quindi a Parigi, dove fece il suo primo Saggio di perfezionamento del flauto, aggiungendovi una seconda chiave. Nel 1727 passò in Londra, e dopo avere scorso l'Olanda, tornò in Dresda. La sua prima attenzione fu di porre in ordine le nuove idee, che aveva acquistate ne' diversi paesi che aveva percorsi: compose alcuni pezzi di musica sul gusto regnante; si diè a comparare insieme tutti i suoi saggi, e ne separò quel che vi era di buono, per formarne un tutto di un nuovo genere. Nel 1741 egli si stabilì a Berlino, ove Federico II gli assegnò per suo onorario due mila talleri, con pagargli a parte ciascuna delle sue composizioni, e cento altri talleri per ogni flauto, che farebbe. Egli aveva cominciato a costruirne in Dresda, e questo negozio valevagli molto. Morì egli assai ricco a Potsdam nel 1773. Il re fece inalzare un monumento su la tomba di questo celebre virtuoso. Sono le sue opere teoriche 1. Essai d'une méthode pour apprendre à jouer de la flûte traversière, con 24 rami, Berlino 1752, e Breslau 1781 tradotta in francese: ella vien citata dal Sacchi nel suo libro delle Quinte successive p. 19. Quanz vi parla della sua invenzione di quel pezzo o giunta, che serve ad alzare o abbassar l'instromento senza cambiare il corpo del mezzo, e senza far torto alla purezza del suono. M. Moldenit attaccò nel 1758 questo metodo, il che diè occasione alla Risposta di Quanz alle di lui oggezioni, inserita nelle notizie [191] di Marpurg. 2. Application pour la flûte avec deux clefs, in fol. 1760. Quest'opera è molto interessante: la sua utilità non si limita solamente al suono del flauto, ogni musico ed il maestro di cappella ancora vi troverà dei dettagli assai buoni a sapersi. 3. L'Histoire de sa Vie. Questa memoria è compiuta, potrebbe chiamarsi la Storia del virtuoso in generale. 4. Diverse Lettere sulla musica: ambedue queste opere trovansi nel sullodato libro di Marpurg. Le composizioni di Quanz portano seco l'impronta di una gran cognizione delle leggi dell'armonia.
Quatremere de Quinci, ha fatto inserire nel Mercurio del 1789, un articolo molto importante sotto il titolo de la Nature des Opéras bouffons, et de l'union de la comédie et de la musique dans ces poèmes. Questa dissertazione si trova eziandio nel tom. XVI, des Archives Littéraires.
Quintiliano (Aristide), uno de' sette scrittori greci di musica della collezione di Meibomio, che egli crede aver fiorito sotto l'imperatore Adriano; ma il dotto critico l'abb. Requeno, “benchè non si sappia, egli dice, dagli antichi storici nè la di lui patria, nè la nascita, nè l'età con tutto ciò si può da' suoi libri conchiudere, ch'egli vivesse poco dopo Cicerone, Virgilio ed Orazio. Atteso lo stile, attesa la sua singolare perizia nell'antico sistema de' Greci, attesa la sua divozione verso le false divinità, atteso il fine, per cui egli dice, che scrive; io resto persuaso, esser egli vissuto o sul fine del secolo di Augusto, o sul principio del seguente. Aristide è puro, eloquente, fluido, naturale e grazioso nello scrivere; nè si trova così aureo scrittore nell'età di Plutarco, nè molto prima. Nessuno de' posteriori autori ha mostrata la metà di scienza musicale, di Aristide.” (Saggi, t. 1, p. 267). Il suo Trattato della Musica è diviso in tre libri: [192] egli dichiara il fine per cui gli ha composti sul principio del terzo libro. Mi ha incitato a scrivere, dice egli, prima di tutto la disapplicazione universale all'arte armonica; a questi infingardi insegnerò io quale sia cotest'arte da essi disprezzata: giacchè fra gli antichi non era dozzinale questo studio, com'essi pensano a dì nostri; per non intenderlo, che anzi era tenuto per principale ed utile alle altre scienze ed arti.. Per ben intendere il fine, a cui sono indrizzate queste espressioni, leggasi al libro 2, p. 70 l'obbjezione, che Aristide si fa dell'autorità di Cicerone ne' dialoghi della Repubblica; e si vedrà che tutti e tre i libri sono diretti a dileguare i pregiudizj sulla musica de' Greci sparsi da' Romani. M. Tullio introduce in que' dialoghi uno degli interlocutori a provare, che l'arte musica era non che inutile, ma eziandio pregiudizievole. Aristide nel primo libro s'impiega in dimostrare, che la musica non è arte delle persone dozzinali; nel secondo ch'essa serve per l'educazione della gioventù; nel terzo che la medesima ha una particolare relazione con tutte le scienze più sublimi e con le arti liberali. “Quest'opera, dice M. du Bos, è la più istruttiva che si trovi nell'antichità intorno a questa scienza: ella è a mio avviso la più metodica.” (Reflex. crit. t. 3. p. 7). Nessuno de' greci, o de' latini armonici ha trattato di tutta la greca musica, fuori di lui, nè con tanta chiarezza ha esposto nessuno il sistema armonico con tutte le sue variazioni, quanto Quintiliano. “Egli comprende l'antico sistema, lo sminuzza, lo spiega, applicandolo alla fisica, alla morale, all'astronomia, ed in questo si mostra filosofo pittagorico: nel musicale sistema però seguace de' greci anteriori a Pittagora. Io consiglierei chiunque, che tentasse d'istruirsi a fondo ne' greci sistemi, a leggere prima questo autore per poi passare a scorrere gli altri scrittori armonici, [193] i quali senza la scorta di Quintiliano compariranno imbrogliati ed oscuri.” (Requeno loc. cit.).
Quintiliano (M. Fabio), celebre oratore romano, cui Plinio il giovane vantavasi di avere avuto per maestro (lib. II, et VI epistol.) fiorì nel secondo secolo dell'era cristiana. Nella sua eccellente Istituzione oratoria impiega egli un lungo capitolo sulla musica, nel quale intraprende a provare, essere ella stata in ogni tempo un'arte necessaria alle persone di educazione e di nascita (V. lib. 1, cap. X). L'Ab. du Bos nelle sue Riflessioni critiche sulla poesia, la pittura e la musica rapporta molti estratti di Quintiliano intorno alla musica tradotti nel francese.
Rabano (Mauro), monaco da prima nel monastero di Fulda e morto quindi arcivescovo di Magonza sua patria l'anno 856, aveva studiato la musica, e cercò d'inspirarne il gusto a' suoi allievi. Nella sua opera de Institutione clericorum egli dice che fa d'uopo a' chierici l'apprendere la musica, e parlando nel secondo libro della Salmodia, dice che i cantanti per avere la voce alta, chiara e dolce mangiar dovrebbero non altro che legumi: come facevano gli antichi (cap. 48). In tal caso costerebbe assai caro il talento di ben cantare. Nel terzo libro, trattando delle cognizioni necessarie agli ecclesiastici, raccomanda loro grandemente lo studio del canto. Parla ancora spesso della musica nel suo trattato de Universo. Brossard annovera Rabano tra gli autori di musica nel secondo ordine.
Raff (Antonio), il primo tenore della Germania e dell'Italia verso la metà dello scorso secolo, era nato a Bonn. Soggiornò lungo tempo in Italia, e fu allievo della cel. scuola di Bernacchi. La dolcezza singolare della sua voce, l'espressione del [194] suo canto rapiva mirabilmente il cuore di chi l'udiva; verso il 1759 egli cantò nel teatro di Palermo, dove fecesi anche stimare moltissimo per una regolarità di condotta non ordinaria fra le persone del suo mestiere. Raccontavano i nostri antichi che nello spazio di quel tempo, in cui non doveva comparir sulle scene, stavasene egli ritirato nel suo gabinetto a leggere qualche libro di pietà. M. Ginguené cita il seguente aneddoto di Raff come uno de' più grandi effetti della musica. La principessa di Belmonte in Napoli era inconsolabile della morte di suo marito: un mese era già scorso senza che essa potesse mandar fuori un sol lamento e versare una sola lagrima. Sul tramontar del sole veniva essa a passeggiare ne' suoi giardini, ma nè l'aspetto del più bel cielo, nè la riunione di tutto ciò che l'arte aggiungeva sotto a' suoi occhi alle grazie della natura, nè l'oscurità stessa toccante della notte potè mai produrre in essa quelle tenere commozioni, che dando uno sfogo al dolore, gli tolgono ciò che ha di pungente e d'intollerabile. Raff trovandosi allora per la prima volta in Napoli, volle veder quei giardini, celebri per la loro amenità. Gli venne permesso; ma raccomandogli di non avvicinarsi a quel tale boschetto, ove sedevasi la principessa. Una delle sue cameriere sapendo che Raff era nel giardino, propose alla signora di permettergli che venisse a salutarla. Raff si accostò, ed era già instruito di quel che doveva fare. Dopo alcuni istanti di silenzio, la stessa donna pregò la principessa di dare il permesso che un cantante così famoso, che non aveva mai avuto l'onore di cantare alla di lei presenza, potesse almeno farle sentire il suono di sua voce. Non essendo stata la risposta un positivo rifiuto, Raff interpretò quel silenzio ed essendosi messo un poco in disparte, cantò quella canzonetta di Rolli Solitario bosco ombroso. La sua voce, [195] che era allora in tutta la sua freschezza, e una delle più belle e delle più toccanti che si siano intese, la melodia semplice, ma espressiva di quell'aria, le parole perfettamente adattate al luogo, alle persone, alle circostanze, tutto questo insieme ebbe tale possanza sopra organi che da gran tempo sembravano chiusi, e induriti dalla disperazione, che cominciarono a scorrer le lacrime in abbondanza. Nè frenar queste si poterono per il corso di più giorni, e così salvarono l'ammalata, che senza quella salutevole effusione avrebbe immancabilmente perduta la vita. Raff verso il 1783 viveva a Monaco nella Baviera come musico della corte, e benchè in un'età assai avanzata cantava ancora con molta grazia.
Raffaele (Benvenuto conte di san), torinese, regio direttore degli studj a Torino, è autore di due belle Lettere sull'arte del suono inserite nella raccolta degli opuscoli di Milano, vol. 28 e 29. La prima tratta maestrevolmente de' Principj dell'arte del suono del violino: “La più parte de' maestri di suono, egli dice, male istituiti eglino, istituir non possono i loro scolari. Avvezzi a non ragionar sopra l'arte, anzicchè stender l'occhio a misurarne l'ampiezza, vanno striscion come bachi per le calcate vie di una mera e disordinata pratica. Questa sola li guida; e quanto è cieca la scorta, altrettanto forza è, che ciechi sien essi, e ciechi divengan altresì i discepoli.” Nel cap. 1 addita egli quale, e come esser dee lo stromento: dice, che i migliori violini sono i fatti dallo Stainer, dagli Amati, dagli Stradivari, da' Guarneri, dal Bergonzi, dal poco noto, eppur di fama degnissima Cappa di Saluzzo: che il violino vuole essere vecchio anzichenò. Tre cose, dicea il Geminiani, pretendono le mie orecchie, Musica di tre giorni, Suonator di quarant'anni, e violino di ottanta. Al qual detto il Tartini mettea una saggia [196] restrizione, dicendo: datemi un violino vecchio, ma non decrepito come sono io. Un solo violino si debba avere alla mano; il cangiare soventi fa sì, che l'intuonazione non mai si rinfranca. Nel capitolo secondo dà egli i principj generali dell'arte del suono sopra il violino. Nella scambievole corrispondenza di una mano che guida l'arco, e dell'altra che scorre sul manico, sta tutta l'arte. Nel cap. 3 tratta dell'esattezza del suono; nel cap. 4 della verità del suono; nel cap. 5 degli abbellimenti del suono. Aggiugnere abbellimenti a ciò che sta scritto nè sempre è lecito, nè sempre vietato; nè sempre conviene, nè sempre disdice. Quattro opportuni riguardi sono da prescriversi nell'abbellire: sobrietà, opportunità, leggiadria, pulizia. Ecco un piccol saggio della precisa, e brieve maniera d'insegnare l'arte del suono, usata da questo dotto scrittore. La seconda lettera scritta con la stessa eleganza e concisione di stile, è piuttosto storica anzichè didattica, ed ha per soggetto Le rivoluzioni dell'arte del suono appo i moderni. L'A. riduce a quattro le scuole principali di violino degli ultimi tempi: quella del Corelli, quella del Tartini, la tedesca di Stamitz, e l'ultima attuale, la quale fa a suo avviso nella musica lo stesso effetto, che tra le sette dell'antica filosofia l'Eccletticismo, mentre al par d'esso con certo libero orgoglio a niun maestro s'attiene con servil sommissione; ma dovunque ritrova il bello, sel prende, e il riveste, e il fa suo, non ricopiando da vil plagiario, ma racconciandolo da prode imitatore con ingegnosa e certamente lodevole maestria. Queste due lettere piene di utilissimi precetti, e di osservazioni assai giudiziose e filosofiche sull'arte in generale dovrebbero andar per le mani non che de' soli violinisti, ma de' maestri di cappella eziandio, e di tutti generalmente gli artisti. Il conte di S. Raffaele [197] si è fatto ancor distinguere come eccellente compositore per sei duetti di violino pubblicati dapprima in Londra nel 1770, ed in appresso a Parigi 1786.
Raguenet (Francesco), dottore sorbonico, sin dalla più tenera età, applicossi allo studio delle belle lettere, che egli proseguì eziandio dopo avere abbracciato lo stato ecclesiastico. Nel 1722 fu egli trovato morto in sua casa in età di 60 anni. La città di Roma onorollo col diritto di cittadinanza per la di lui opera intitolata Monumens de Rome: per mostrare agl'Italiani la sua gratitudine l'abb. Raguenet pubblicò nel 1704 il suo libro Parallèle des Italiens et des Français, en ce qui regarde la musique et l'Opéra, Paris in 8vo, che fu occasione di una guerra letteraria. La musica degl'italiani è secondo lui molto superiore per ogni riguardo alla francese; primo per riguardo alla lingua, di cui tutte le parole, tutte le sillabe distintamente si profferiscono; 2. per rapporto al genio de' compositori, alla magia dello strumentale, all'uso degli eunuchi, all'invenzione delle macchine. Egli fu il primo che con questo suo libro cercò di aprire gli occhi de' francesi sul cattivo stato della musica in Francia. Mr. de Fontenelle, benchè imbevuto della musica la più francese, secondo l'espressione del d'Alembert, ma filosofo pieno di moderazione, reconne, come Censore, questo giudizio: Io credo che l'impressione di quest'opera sarà graditissima al pubblico, purchè sia capace d'equità. Ma ella sollevò contro al suo autore molti antagonisti, ai quali oppose egli un altro scritto col titolo: Réponse à la Critique du Parallèle in 8vo.
Rameau (Giov. Filippo) nacque a Dijon nel 1683, apprese da fanciullo i principj della musica da suo padre organista della cattedrale, e dopo aver fatti de' profondi studj sul contrappunto, viaggiò alcun poco [198] per l'Italia, e venne finalmente a stabilirsi in Parigi. Quivi impiegò il suo tempo a dar lezioni di cembalo, e a far delle ricerche sulla teoria della musica. In quell'epoca il gusto della fisica e delle mattematiche era già cominciato a divenir generale in Francia: Rameau volle applicarvisi; ma non ebbe la pazienza o le disposizioni necessarie per riuscirvi. Avendo letto, che un corpo sonoro posto in vibrazione faceva sentire, oltre il suono principale, la sua duodecima e la sua decima settima, provossi a stabilire su tal fenomeno la sua teoria musicale. Egli sostenne che tutte le regole sino allora prescritte non erano che delle tradizioni oscure e sparse a tastoni, senza nesso e senza alcun fondamento: si propose a ridurle tutte ad un piccol numero di principj, ch'egli pretese dedurre dalle leggi, o bene o male intese, della fisica. Siccome le opinioni di quest'uomo celebre hanno avuto gran corso in Francia, e nell'assoluta mancanza, che vi era colà di libri elementari scritti a norma de' buoni principj, quelli di Rameau furono commentati, semplificati e moltissimo lodati da autori celebri, per cui acquistarono gran nome, così non sarà discaro ai lettori di quì darne un'idea. Se pongonsi ad esame i diversi accordi, di cui si fa uso nell'accompagnamento, si riconoscerà facilmente che questi possono tutti ridursi alle diverse combinazioni di certe riunioni di suoni. Per esempio, gli accordi Ut-mi-sol, Mi-sol-ut, Sol-ut-mi, chiaramente non sono che tre combinazioni de' suoni ut, mi, e sol, gli accordi Sol-si-re-fa, Si-re-fa-sol, Re-fa-sol-si, Fa-sol-si-re, sono quattro combinazioni de' suoni sol-si-re-fa; nelle quali ognuno de' suoni è preso successivamente per base, essendo assolutamente indifferente la disposizione de' suoni superiori. Or, se si considera uno di questi accordi, che sono composti de' medesimi suoni, come l'accordo principale, [199] gli altri potranno esser riguardati come loro dipendenze. Ciò era stato detto dagli antichi, i quali riguardavano come accordo principale quello, in cui tutti i suoni si trovan nell'ordine di terze, e riguardavano gli altri accordi composti de' medesimi suoni come rivolti del primo. Alcuni ignoranti scrittori han fatto autore Rameau di siffatta considerazione: per convincersi della falsità della loro asserzione, basta volgere uno sguardo su i libri del Zarlino, del Berardi, e d'altri, e vedrassi che una tale considerazione, per altro verissima, era familiare agli antichi. Quel che appartiene a Rameau, è lo avere preteso ridurre tutte le leggi dell'armonia a quelle, che regolano gli accordi principali. A tal effetto egli chiama questi accordi accordi fondamentali, fondamentale la nota, che serve loro di basso, e finalmente, basso fondamentale un basso ipotetico formato delle sole regole fondamentali. Ciò posto, egli prescrive le regole, secondo le quali può formarsi quel basso, cioè secondo le quali gli accordi fondamentali possono succedersi: e secondo lui, l'armonia sarà regolare tutte le volte, che gli accordi de' quali è formata, essendo ridotti ai loro accordi fondamentali, le successioni di questi si troveranno conformi alle regole da lui stabilite. Ma per disavventura nulla è più falso di questa sua pretensione: l'esperienza e l'enumerazione de' casi fanno vedere: 1. che una successione fondamentale, conforme alle regole di Rameau, può avere delle successioni derivate cattivissime; 2. che al contrario alcune successioni derivate, ottime e generalmente ammesse, spesso derivano da successioni fondamentali, ch'egli rigetta come viziose. A queste riflessioni aggiungasi ancora, che molti accordi, universalmente ricevuti, non trovan luogo nei quadri di Rameau, ed egli non può spiegarne le successioni. Per tutte queste ragioni il di lui [200] sistema non ottenne l'approvazione di niun valente pratico, e di veruna delle buone scuole dell'Italia e della Germania. Rameau aveva gran premura di averne l'approvazione dalla società de' filarmonici di Bologna, che ne rimise l'esame al cel. P. Martini: ciò si ricava da una sua lettera al medesimo de' 6 Luglio 1759. “I trattati ed i sistemi sull'armonia, egli vi dice, non si sono moltiplicati senza frutto e senza successo, se non perchè non vi si era ancor ravvisato il fenomeno del corpo sonoro. Egli è da questo stesso fenomeno che io ho visto nascere le riflessioni, che ho l'onore di sommettere al savio giudizio dell'Istituto: io lo attendo colla più grande impazienza: qualunque sia per essere, sarà egli per me infinitamente pregevole. Se non merito l'approvazion vostra, mi renderete almeno l'inestimabil servigio di farmi conoscere i miei errori.” (V. Mem. del P. Martini, p. 105). Ma dal silenzio dello stesso Rameau, e de' di lui partigiani ben può dedursi, che l'affare non ebbe il successo ch'egli bramava: imperocchè quanto non avrebbe fatto egli valere l'approvazione di sì illustre accademia, e di un sì accreditato teorico come il Martini? Tuttavia, sebben molte idee, sulle quali è fondato il sistema del basso fondamentale, come le pruove, su di cui egli l'appoggia, si fossero cominciate a scorgere prima di lui; sebbene nella determinazione ch'egli ha fatta de' suoi elementi, regni una confusione d'idee, che rende difettosa la maggior parte delle sue regole d'armonia; sebbene egli medesimo abbia esposto il suo sistema con molta oscurità ed una faticante profusione di dimostrazioni di fisica e di geometria, che non hanno verun rapporto al suo primario oggetto, non è men vero ch'egli fu il primo a tirar l'attenzione dei didattici sulla teoria dei rivolti, e a dare a quegli che sono venuti dopo di lui il mezzo di [201] far meglio, presentando loro un corpo di dottrina imponente pel suo totale. Così il dotto Eximeno nel tempo stesso di attaccare la sua teoria, degno nondimeno lo stima di somma lode per aver dato a conoscere il vero ed unico regolatore dell'armonia, e per aver date delle regole utilissime di pratica. Quì cade in acconcio l'osservare che il basso fondamentale proposto dall'Eximeno come il vero ed unico regolatore dell'armonia è tutt'altro di quello del Rameau, come chiaramente si vede dalla sua opera medesima, e da ciò che ne dice egli stesso in una sua lettera, che va in fine del suo libro in difesa alle oggezioni di un maestro romano. “Or vedete, egli scrive, quanto storditamente parla il vostro maestro Pandolfo: i francesi non conoscono altro basso fondamentale, se non quello che ha stabilito il Sig. Rameau; ed egli suppone, che io metta quel basso per fondamento della mia teorica, mentre prometto di rifiutare la teorica del Rameau. Io non ho preso se non che il nome di basso fondamentale.” (p. 461). Il ridicolo autore delle Riflessioni critiche sul presente dizionario o per mala fede, o per non capire gli autori che legge, volle dare ad intendere aver io falsamente asserito che l'illustre Eximeno rovesciato aveva il sistema di Rameau del basso fondamentale. Possiamo a costui rispondere con le stesse parole di questo autore. “Se prometto di rifiutare il basso fondamentale regolato colla legge della generazione de' suoni stabilita dal Rameau, non è un parlar da matto opporre contro di me ciò che prometto di rifiutare?” Ma questo stordito censore è uno di quelli, che a ragione vengono chiamati dallo stesso Eximeno i Cabbalisti della musica (ibid. p. 464): basta leggere l'opera stessa di questo dotto autore per ismentirlo. Fra gl'italiani, che attaccarono la teoria del Rameau, debbonsi annoverare il Conte [202] Riccati, il P. Sacchi, e il Manfredini nell'ultimo capitolo delle sue regole armoniche: fra i Tedeschi Forkel, Scheibe e Chladni. In Francia se il suo sistema ebbe per alcun tempo qualche successo, è oggi giorno in un totale abbandono, dice Mr. Choron, ed è stato anche dottamente confutato da MM. Framery e Suard in più articoli dell'Enciclopedia metodica, da M. Suremain nella sua opera analitica e filosofica Théorie acoustico-musicale, a Paris 1793, e dal testè citato M. Choron (V. Discor. prelim. p. XXII). Non può negarsi tuttavia, che molte cose non si trovino utilissime alla pratica nelle di lui opere, perchè egli possedeva a dir vero, meglio l'arte che la scienza della musica. A lui dee altresì la Francia la prima rivoluzione musicale nel genere drammatico, avvicinandosi un poco più al gusto italiano del suo tempo e discostandosi dal cammino battuto da' fautori di Lulli, non quanto avrebbe voluto, ma quanto gli fu almeno possibile, dice M. d'Alembert. Rameau seppe dare alla sua cantilena più d'abbellimenti e di varietà, a' suoi cori più di moto e di effetto. Che se negar non gli si può dell'estro, e della fantasia, deesi convenire altresì, che ha troppo amato il fracasso, che ha mancato di sensibilità, che il suo canto è bizzarro e il più delle volte di cattivissimo gusto, e tanto in ciò egli è meno scusabile, in quanto conosceva i migliori modelli in questo genere, avendo inteso nel suo viaggio in Italia, le opere di Scarlatti, di Leo, di Durante; e che il solo motivo che gli impedì a seguire le loro tracce, fu la ridicola gelosia, che in ogni tempo, dice M. Choron, ha animati i musici francesi contro i compositori italiani. La sua armonia piena zeppa di dissonanze è poco adatta allo stile drammatico, e lo stesso di lui encomiatore M. Chabanon si dichiara contro l'idea, che egli aveva di dipingere, principalmente nello strumentale. [203] “Voler sottomettere agli occhi l'arte de' suoni, egli dice, si è un torle la natura: quest'intenzione ad altro non serve che ad incomodare l'immaginazione del musico, ed a fissarla sopra di alcune piccole rassomiglianze dubbiose cui sagrifica tutto, e a distrarlo dalle ricerche della bella melodia, che la sola costituisce la vera musica, e che forma la vera dipintura. Il musico, che vuol dipignere co' suoni ciò che cade solamente sotto il senso della vista, lavora in fatti più per gli occhi, che per le orecchie. Se Rameau dipinge le onde agitate, l'allineamento delle note descrive la linea curva delle onde, s'egli dipinge un fuoco artificiale come in Achante et Cephise, si veggono le note innalzarsi come altrettanti razzi.” (Elog. de M. Rameau a Paris 1765). Non può nemmeno negarsi, che questo cel. artista non abbia avuto una coltura di spirito poco ordinaria alle persone del suo mestiere, e la penetrazione di un uomo che sa riflettere su la sua arte. “Chi dice un dotto musico, (così egli scriveva a M. de la Motte chiedendogli le parole di un dramma per metterlo in musica), intende dir ordinariamente un uomo, a cui nulla sfugge nella combinazion differente delle note; ma si crede costui assorbito talmente in queste combinazioni, che vi sagrifica tutto, il buon senso, il sentimento, lo spirito e la ragione. Ma questi allora non è che un musico della scuola, e d'una scuola in cui non si tratta che di note, e niente più; di maniera che si ha ragione di preferirgli un musico che si picca meno di scienza che di gusto. Quegli frattanto il di cui gusto non è formato che per via di comparazioni alla portata di sue sensazioni, non può tutto al più riuscir eccellente che in certi generi, cioè in quei relativi al suo temperamento. È egli naturalmente tenero? esprimerà bene la tenerezza. Il di lui carattere è vivace, ameno, scherzevole, [204] ec.? la sua musica vi corrisponderà per allora, ma fate che egli esca da' caratteri che gli sono naturali, voi più non lo riconoscerete. Per altro come egli cava tutto dalla sua immaginazione senza verun soccorso dell'arte, per mezzo dei rapporti colle sue espressioni, egli si logora alla fine. Nel suo primo fuoco, era tutto brillante, ma questo fuoco si consuma a misura che egli vuol riaccenderlo, e più non si trova in lui che ripetizioni e freddure. Per il teatro vi vuole un musico, che studii la natura prima di dipignerla, e che per la sua scienza sappia fare la scelta de' colori e delle loro gradazioni, di cui il suo spirito e 'l suo gusto gli avrebbero fatto sentire il rapporto colle espressioni necessarie ec.” È d'uopo in somma riconoscere in Rameau col filosofo di Ginevra, che non era per altro suo grande amico, un grandissimo talento, molto fuoco, più di abilità che di fecondità; più di sapere che di genio, o almeno un genio soffocato dal troppo sapere. Le sue opere di teoria musicale sarebbero ancora state più utili, se egli non avesse avuta la debolezza e la vanità di applicare la geometria e la fisica alla musica, e pretendere di cavar dalle medesime le regole di un'arte unicamente fondata sull'organizzazione e la natura dell'uomo. Eccone i loro titoli: 1. Traité de l'harmonie, réduite à ses principes naturels, 1722 in 4º. — 2. Nouveau Système de musique théorique, 1726 in 4º. — 3. Génération harmonique, ou Traité de la musique théorique et pratique, 1737 in 8vo — 4. Dissertation sur l'accompagnement, 1731 in 8vo — 5. Dissertation sur le principe de l'harmonie, 1750 in 8º. — 6. Nouvelles réflexions sur la démonstration du principe de l'harmonie, 1752 in 8º. — 7. Réponse à une lettre de M. Euler, 1752 in 8º. — 8. Observations sur notre instinct pour la musique, 1754 in 8º. — 9. Erreurs sur la musique dans l'Encyclopédie, 1755, in 8º. — 10. Code de musique [205] pratique, 1760, 2 vol. in 4º. “Le opere teoriche di Rameau, dice il filosofo di Ginevra, hanno di singolare che fecero gran fortuna senza quasi esser lette, e molto meno il saranno dacchè d'Alembert si prese la pena di fare in un picciol volume in 8vo il compendio di tutta la sua dottrina”: al che si può aggiungere che niuno oggidì farassi più a leggerle dopo che da più celebri autori se n'è dimostrata l'inutilità, ed il poco profitto che se ne può trarre. Dopo il 1760 Rameau aveva rinunziato a qualunque specie di fatica, e godette nel riposo della fortuna e della riputazione che si era fatta colle sue produzioni: Luigi XV avevagli accordata una pensione, e delle lettere con cui lo dichiarava nobile, e cavaliere dell'ordine di S. Michele, ma prima di mettersene in possesso venne egli a morire li 17 settembre del 1764.
Ramos (Bartolomeo) Pereira, o Pereja, fu celebre professore di musica nell'università di Salamanca, d'onde venne l'anno 1482 chiamato ad occupar la cattedra di musica eretta dianzi in Bologna da Niccolò V. Quivi nello stesso anno pubblicò il suo Trattato di Musica, in latino, divenuto rarissimo. “Ramos, dice Arteaga, sarà sempre dalla memore posterità annoverato fra i più grandi inventori. Egli ebbe il coraggio di svelar all'Italia gli errori di Guido Aretino e di scoprire le debolezze e le inconseguenze insieme del suo sistema.” Guardando con occhio filosofico la musica ritrovò un utile temperamento, volendo alterate le ragioni della quarta e della quinta, e sebbene dovè soffrire le opposizioni del Burzio, e del Gaffurio, pur fu poi dopo un secolo sostenuto e promosso dal Zarlino, e trionfò alla fine sì nella pratica, che nella teorica de' musici. Egli è citato come il primo a far valere lo sperimento della risonanza moltiplice di certi corpi sonori, secondo la legge degli aliquoti, sperimento, [206] che è divenuto sì celebre per l'abuso che se n'è fatto nella teoria della musica, e per tutti i sistemi ai quali si è fatto servire di base.
Ramler (Guglielmo), professore di belle lettere, e dopo il 1787 direttore del teatro nazionale a Berlino, pubblicò in Lipsia Introduction aux belles-lettres, in 8º, 1758. In quest'opera tratta egli a lungo della musica. Nelle memorie per servire ai progressi della musica di Marpurg, vol. 2, vi ha di Ramler: Défense de l'Opéra en musique, e Recueil des idées de Remond de St-Mard sullo stesso argomento. Egli è anche autore della sublime cantata, la morte di Gesù, suo capo d'opera per la poesia, come per la musica di Graun.
Rangoni (Giov. Battista), letterato fiorentino, e grand'amatore di musica, pubblicò in Livorno nel 1790, Saggio sul gusto della musica, in 12º, dove trovansi delle interessanti notizie intorno a' più moderni virtuosi italiani.
Raspe (Rodolfo) di Hannover, professore nel collegio di Cassel, nel 1776, era in Londra. Egli pubblicò Essai sur l'architecture, la peinture et l'opéra musical, traduit de l'Italien par le comte Algarotti. Nella nouvelle Bibliothèque des belles lettres vi ha di lui una Dissertation sur l'harmonie.
Ravezzoli, romano, così profondo nello studio della composizione che all'età di venticinque anni venne eletto maestro di cappella di San Pietro in Roma, dopo avere trionfato de' suoi concorrenti quasi tutti avanzati in età. Per vendicarsene, fecero essi malignamente entrare contro il divieto una donna nel Vaticano, ove abitava Ravezzoli. Venne perciò dinunziato e posto in prigione nel Castel Sant'Angelo, dove languì di miseria e di afflizione sino alla morte. Nella sua malinconia egli compose nella prigione parole e musica di un duetto che scrisse sul muro col carbone, di cui possedevane una copia il Sig. Camillo Barni da Como abile compositore [207] ed eccellente suonator di violoncello. Dopo la morte di Ravezzoli, che avvenne verso il 1754, la donna introdotta nel suo alloggio del Vaticano confessò che il giovane compositore era stato vittima della gelosia de' suoi rivali.
Raymond (G. Marie), professore di matematica e di fisica nel collegio di Chambery, membro dell'Accad. imperiale delle Scienze e di più società letterarie, nel 1811 pubblicò in Parigi Lettre à M. Villoteau, touchant ses vues sur la possibilité et l'utilité d'une théorie exacte des principes naturels de la musique, un vol. in 8º. “A niuno è venuto mai in pensiero, dice sensatamente questo scrittore, di avanzare, senza rischio di esser messo in ridicolo, che non abbisognan regole nella pittura e nella scultura, nell'eloquenza e nella poesia; per quale singolarità la sola musica potrà far di meno di regole e di principj? Non è egli forse in conseguenza di sì strana eccezione che le sue opere sono soggette ad appassire? Le opere di musica impresse si fan camminare senza data: di tutte le arti la musica è l'unica, le di cui produzioni non osano palesar l'epoca della loro nascita, sul timore senza dubbio di esser condannate ad un presto oblio. Non è dessa la più forte prova che le sue produzioni non hanno avuto che il capriccio per ispirazione e la sola moda per guida? Se la tale musica pretende esser vera, come cessa di esserla? Se dipinge il sentimento, come dunque le sue pitture, giuste in un tempo, finiscono con divenir ridicole in un altro? Non è questo un contrassegno certo che l'artista non ha seguito niun sodo principio, e che la musica non ha trovato sinora il vero linguaggio della ragione e del gusto? A questa medesima incertezza delle basi dell'arte è d'uopo attribuire i giudizj tanto diversi e sovente tanto opposti, che recansi tuttogiorno sulla musica, sul suo oggetto, sulle sue bellezze, [208] sul carattere ch'ella dee sviluppare in ciascuna situazione, e che vi sono, per così dire, altrettante poetiche musicali quanti vi ha scrittori in questo genere. Non è questo un vero scorno per l'arte l'ignorar tuttora quali sono i suoi elementi fondamentali?” (pag. 94). Egli diè inoltre al pubblico: Determination des bases physico-mathématiques de la musique, ou Essai sur l'application des nouvelles découvertes de l'acoustique à l'art musical, suivi d'un appendice sur quelques systèmes d'écriture musicale, Paris 1812. L'argomento di quest'opera è una compiuta spiegazione delle considerazioni e delle viste indicate dall'autore nella prima lunga annotazione che è alla fine della sullodata lettera a M. Villoteau. A questa ha egli unito nello stesso volume tre altri suoi opuscoli: 1. De la musique dans les Églises, ove valorosamente combatte il parer di coloro, i quali hanno ardito avanzare che l'uso della musica nelle chiese è generalmente una specie di profanazione; 2. Lettre à M. Millin sur l'utilité du rétablissement des maîtrises de chapelle dans les Cathédrales de France. “Tutti gli artisti, egli vi dice, non sono de' Pergolesi, degli Haydn, de' Mozart, de' Cherubini. Non è se non per mezzo di una tradizione sostenuta che può mantenersi e perpetuarsi lo stile grandioso e puro, che richieggono le solennità della Religion cristiana. Su questa porzione esistono de' gran modelli; il loro studio, la loro imitazione occupar dee continuamente l'artista che si consacra alla chiesa: è d'uopo adunque che vi siano delle scuole addette a questo genere di composizione e di esecuzione, nelle quali possa formarsi il gusto mercè un lungo esercizio, dopo aver succhiato di buon ora i principj che debbono dirigerlo.” 3. Réfutation d'un Système sur le caractère attribué a chacun des sons de la gamme, et sur les sources de l'expression musicale. Nulla concorre maggiormente [209] ad estinguere le arti ed eziandio le scienze quanto l'abuso de' sistemi. “Allorchè io parlo dell'abuso de' sistemi, dice il dotto autore, io sono ben lontano dal biasimare le teorie filosofiche che tanti lumi han recato nelle arti e nelle scienze. Si sa benissimo che non debbonsi confonder le teorie propriamente dette co' sistemi, anzichè non vi ha al contrario cosa più adatta a far rovinare le vane ipotesi, quanto un rigoroso ragionamento che nasce da inconcussi principj.” Lo strano sistema, ch'egli confuta, consiste nel voler segnare il carattere de' tre suoni fondamentali ut, mi, sol per via di analogie prese a vicenda da' colori e dalle forme geometriche de' corpi, che è in parte una rinovazione di quello del P. Castel. In tutti questi opuscoli l'autore stabilisce eccellenti principj e propone delle ottime vedute. M. Raymond, dice il secretario dell'Instituto, ha il sentimento delle belle arti, e sa esprimerlo da uomo di spirito.
Redi (Francesco), fiorentino, celebre cantante sulla fine del secolo 17. Egli fondò una scuola di canto in Firenze nel 1706, che per le sue cognizioni e la sua abilità divenne ben presto una delle più rinomate e delle migliori di tutta l'Italia. Per farne l'elogio, basti il dire che la cel. Tesi fu quivi allevata.
Reggio (Pietro), genovese, celebre musico della cappella della regina Cristina di Svezia. Dopo che costei rinunziò al governo, egli si rese in Inghilterra, e nel 1677 pubblicò a Oxford un'Istruzione per cantar bene, in 12º. Morì in Londra nel 1685.
Reicha (Ant.), nato a Praga nel 1770, fu istruito sin dalla prima età nella musica a Bonn da Giuseppe Reicha, suo zio celebre compositore e direttore del teatro dell'elettore di Colonia quivi morto nel 1795. Da costui ebbe egli i primi elementi dell'arte della composizione insieme con Beethoven: mostrò ben presto [210] per essa un'irresistibile passione, e fece occultamente de' profondi studj sulle opere di Marpurg, di Kirnberger, e di Sulzer. In età di 17 anni compose alcune scene italiane, ed una sinfonia, che ebbero così gran successo nella corte di Colonia che non volle credersi essere state da lui composte. Nel 1794 si rese ad Amburgo, applicandosi per cinque anni a studiar continuamente e con maggiore profondità la sua arte. Lo studio dell'algebra, che passionatamente aveva amato da giovane, gli fu di grande ajuto per iscoprire i misteri dell'armonia: egli promette infatti di dare al pubblico un'opera col titolo di Secreti della composizione pratica. Nel 1799 scrisse in Parigi una sinfonia che ebbe un prodigioso successo, e poco dopo obbligato a partire per Vienna, si unì colà in istretta amicizia con Haydn, Albrechtsberger, Salieri e Beethoven. Tra le molte opere che ha composte e pubblicate in Vienna vi ha delle sinfonie, oratorj, un Requiem, ed un'opera intitolata: Trentasei fughe per il forte-piano, a cui precede un'ode dedicatoria in tedesco a Giuseppe Haydn. Quest'opera ebbe tale incontro, che in meno di un anno non se ne trovarono più esemplari. S. M. l'imperatrice dimandò a Reicha la musica di alcune scene di un'opera seria in due atti, l'Argene: ella restò così soddisfatta di quel saggio, che ordinò all'autore di mettere in musica l'intero dramma; e ne' suoi concerti particolari cantò ella medesima la parte di Argene. Gli avvenimenti politici dell'Austria obbligaron Reicha a lasciar Vienna, e dopo il 1808 si è stabilito in Parigi. Le sue opere in quasi tutti i generi di musica sono state impresse a Vienna, a Lipsia, a Parigi, ed a Londra. Egli è stato il primo a proporre una nuova teoria di misure composte, e ne ha dato degli esempj. Veggansi le sue fughe e i suoi esercizj e studj per il forte-piano, impressi da Imbault. Ecco un saggio sulla maniera con cui [211] ha egli composte le 36 fughe dedicate a Haydn. Si sa che gli antichi compositori hanno ristretto i soggetti delle fughe ad una piccolissima quantità, e siccome la composizione in generale ha fatti de' passi immensi, era ben giusto che la fuga non restasse in dietro. Si trattava di trovare un mezzo di rendere un qualsivoglia motivo atto alla fuga ed al suo sviluppo. Bisognava sacrificare l'antica severità della scuola, appunto all'epoca in cui la fuga era ancora nella sua infanzia, ed in cui non conoscevasi ancora l'arte di modulare dei gran maestri de' nostri giorni. In questa collezione adunque si trovan delle fughe sopra temi veramente straordinarj, che sono stati proposti all'autore per fare prova del suo valore, e con intenzione di trovarlo in fallo. Per vedere con qual esito ne sia egli uscito crediamo miglior fatto il rimetterci all'opera stessa. In Germania, Ant. Reicha viene chiamato il Ristorator della fuga.
Reichardt (Federico), maestro di cappella di Federico il Grande, e di Federico Guglielmo II, e III di lui successori, dell'Istituto imperiale di Parigi, e delle arti e scienze di Amsterdam, nacque a Konisberga nel 1752, nella di cui università studiò sotto la direzione del celebre filosofo Kant, e quindi in quella di Lipsia sino al 1772. Ne' suoi studj di musica ebbe per maestro Richter della scuola di Bach. In concorso con Naumann, fu egli preferito nel 1775 dal Gran Federico per succedere come maestro della corte in luogo di Graun: stabilì in Berlino un concerto per farvi eseguire i capi d'opera della musica italiana non conosciuti sino allora, come le composizioni di Leo, Majo, Jommelli, Sacchini, Piccini, Bertoni e altri. Distribuiva nel tempo stesso agli uditori un brieve saggio storico e critico sui compositori e sulle opere che vi si eseguivano. Nel 1782 fece il suo primo viaggio in Italia, e nel 1785 si portò in Londra, [212] dove fu graditissimo alla corte ed a quel colto pubblico specialmente per la sua musica dell'oratorio della Passione di Metastasio. Federico Gugl. II, che amava moltissimo il teatro italiano, ne diè la direzione a Reichardt: la sua orchestra divenne immantinente la prima di tutte le corti dell'Europa. Allora fu che Reichardt compose la musica dell'Andromeda, di Protesilao, Brenno e Olimpiade in uno stile tutto nuovo, con cui cercava di riunire l'effetto della scena, e la verità della declamazione di Gluck, con le grazie, la ricchezza del canto italiano, e il gran travaglio tedesco pel suo strumentale. Nel 1790, egli intraprese un secondo viaggio in Italia, per passare la settimana santa in Roma, e cercar cantanti in Napoli e in tutta l'Italia. Le fatiche di questo viaggio fecero soccombere la sua costituzione robusta, ed una grave malattia al suo ritorno in Berlino non gli permise di terminare la sua Olimpiade, destinata per l'apertura del carnovale. Nel 1792 egli era a Parigi, il che diè sospetto alla corte di Berlino di essere uno degli amici della rivoluzione francese, e ne fu dimesso, ma sulla fine del 1794 fu richiamato dal suo re, e riconosciuto innocente. Nel 1797 alla morte di quel monarca fu incaricato dal suo nuovo re della direzione del suo teatro italiano, e il giorno della di lui coronazione diè l'opera tedesca l'Isola degli spiriti, e l'anno di appresso il dramma italiano Rosmonda, che ebbe tal successo, che il re diedegli in premio sei mila franchi. Dopo la pace di Tilsitt, per la quale il re di Prussia cedeva alcune Provincie al re di Westfalia, Reichardt dopo 33 anni di servizio sotto tre re di Prussia trovossi nella necessità di lasciar quella corte per consiglio eziandio del suo re, e di stabilirsi a Halle. Il re di Westfalia lo accolse con distinzione, e diegli il posto di direttore de' suoi teatri francese ed allemanno con [213] nove mila franchi di onorario. Sino al 1811 egli occupavasi di comporre le Memorie della sua vita. Il numero delle sue composizioni musicali è innumerabile in tutti i generi, e la più parte trovasi impressa a Berlino, Riga, Amsterdam, Lipsia, Offenbach ec. Egli non è meno celebre come letterato e come autore. Ecco il catalogo delle sue opere pubblicate in tedesco: Lettere di un attento viaggiatore sulla musica, t. 2, 1776; Lettera sull'Opera Comica, e la Poesia musicale — Sulla musica di Berlino — Su i doveri di un musico d'orchestra, t. 3, 1776; Vita del cel. musico Enrico Fiorino, 1779; Magazzino di musica, t. 3, 1782-1791; La giovinezza di Hendel, 1790; Gazzetta musicale — La Settimana musicale — I mesi musicali, 1791-1793; L'Allemagna, giornale letterario, 1796; Il Liceo, giornale letterario; Lettere confidenziali, scritte in un viaggio nella Francia negli anni 1803 e 1804; Gazzetta musicale di Berlino, 3 tomi, 1803-1806; Lettere confidenziali sopra Vienna, 1810; Alcune piccole dissertazioni e critiche in molti giornali, e gazzette letterarie e musicali.
Reiman (Federico), nel 1710 pubblicò a Halle: Saggio di una introduzione alla storia letteraria dell'Allemagna, nel di cui terzo volume tratta egli della storia della musica. V. Gruber.
Reinard (Leonardo) davasi egli stesso il nome nelle sue opere di literatum humaniorum et musices cultor. Nel 1750, pubblicò ad Angsbourg un'opera in lingua tedesca col titolo d'Istruzione sul basso continuo, che contiene delle regole brevi e facili. Il maestro Hiller la loda moltissimo per la precisione e la chiarezza, con la quale è scritta.
Rellstab (Carlo-Feder.), stampatore e mercante di musica in Berlino, ove è nato nel 1760. Erasi dapprima consecrato alla musica, e studiò sotto Agricola compositore della corte, e dopo la di lui morte sotto il celebre [214] compositore Fasch. Le circostanze di sua famiglia l'obbligarono a darsi quindi al commercio, ma non lasciò di far della musica una delle sue favorite occupazioni. Egli è in fatti autore di più opere: 1. Essai sur la réunion de la déclamation musicale et de la rhétorique, principalment à l'usage des musiciens et des compositeurs, avec des exemples, Berlin, 1786. 2. Essai sur les observations d'un voyageur sur la musique d'église, les concerts etc., 1789. 3. Instruction pour les amateurs du clavecin, sur l'usage des doigts à la manière de Bach, 1790. Rellstab è eziandio compositore pregiatissimo, nel 1787 e nel seguente pubblicò alcune sue composizioni per il canto e 'l piano-forte col titolo di Magasin de clavecin, à l'usage des connaisseurs et des amateurs, contenant mélodie et harmonie etc. L'oratorio di Ramler i Pastori alla grotta, posto da lui in musica è celebratissimo nella Germania.
Remigio, monaco di San Germano d'Auxerre nel nono secolo, riguardato come il più grand'uomo di que' tempi, insegnò a Parigi, secondo la testimonianza del Mabillon, la dialettica e la musica. Egli comentò il trattato di Marciano Capella, e trattò della musica conforme al sistema de' greci. Il manoscritto di quest'opera di Remigio, de musica, si trova nella imperial biblioteca di Parigi, d'onde l'aveva estratta l'ab. Gerbert e pubblicata nel 1º t. della sua collezione.
Requeno (Vincenzo), dotto exgesuita Spagnuolo, nato nel regno di Granata verso l'anno 1730, fece de' buoni studj ed unì alla cognizione delle scienze fisiche e matematiche uno squisito gusto nelle belle arti, alle quali egli si diè in Italia dopo l'espulsione del suo ordine. Nel 1766, egli erasi fatto conoscere in tutta l'Europa per una eccellente opera, pubblicata per le stampe in Siviglia col titolo di Ricerche su i monumenti romani nella Spagna, 2 vol. in 4º. [215] Ma le opere dell'ab. Requeno, che suppongono più vaste cognizioni sono: 1. Saggi sul ristabilimento dell'antica arte de' Greci e de' Romani Pittori, Venezia 1784, in 4º, e 2. Saggi sul ristabilimento dell'Arte Armonica de' Greci e Romani Cantori, 2 vol. in 8vo, Parma 1798. Noi non parleremo che di quest'ultima, benchè se ne abbia alcuna cosa detto nel nostro Disc. preliminare p. XXXI. Egli stesso dice di avere impiegati sette anni nel leggere le opere armoniche greche, latine, italiane, spagnole e francesi, delle quali potè aver notizia (t. 2, p. 205), che ebbe la disgrazia di esserglisi bruciate le carte, ove più memorie intorno all'antica musica aveva raccolte, ne' suoi viaggi (ib. p. 386); che lo studio non interrotto per molti lustri de' greci armonici, e l'assidua meditazione su i medesimi gli rese facile la loro intelligenza e la loro spiegazione, ma che la vita d'un letterato spatriato, priva d'ogni agiatezza non essendo suscettibile delle spese necessarie a costruire molti strumenti antichi, e a stipendiare i maestri per provare, e combinare la greca con la recente armonia, sperava egli che conceduta agli exgesuiti spagnuoli la licenza di poter tornare in seno alle proprie famiglie, e perciò mosso egli pure dal desiderio di rivedere i patrii lari, ed obbligato a lasciare l'Italia, sperava di fare con tutto l'agio in Ispagna il rimanente delle prove di fatto, e degli esperimenti, e di aver cura di mandarne in Italia il risultato. “Felice me! (egli dice p. 246) se col tempo potessi, o in questo o in altro modo mostrare a questa gentile e colta nazione la dovuta gratitudine della cortese accoglienza fattami per trent'anni.” Ma per disavventura dell'Italia, e dell'arte, non ebbe egli il tempo di rivedere la sua patria e di adempire alle promesse, essendo morto in Venezia nel 1799. Per dare un'idea generale del merito di quest'opera basta indicarne [216] il nome dell'Autore per tanti letterarj suoi meriti celebrato scrive l'editore al Mecenate dell'opera. Egli è uno di que' non pochi coltissimi ingegni, che le vicende fortunose d'un corpo notissimo per virtù e per isventure trapiantarono dalla Spagna in Italia; egli è l'ab. Requeno, che lascia, prima di abbandonarci e ritornare alla patria, questo laborioso ed utile lavoro, novello testimonio delle sue illustri fatiche, e del suo valore nell'antichità erudita. L'autore nel primo tomo premette un Saggio storico dell'antica musica: fa la Storia gran forza a tutti, egli dice, pel disinganno delle pregiate moderne usanze; dà in oltre gran lume a' dotti per continuare le loro ricerche, e per l'intelligenza de' greci canti. Oltrecchè nessuno finora si è preso il pensiero di ordinare in un corpo le memorie de' greci e de' romani cantori; niuno degli storici della musica ci ha interpretato a dovere le memorie di quest'arte non mai da essi cogli sperimenti provata. Nel secondo volume dà l'Aut. il Saggio Pratico sull'antica musica, in cui si protesta di nulla avanzare senza que' sperimenti, che sieno facili a ripetersi da' leggitori. Si tratta, egli dice, di ristabilire la più graziosa arte de' greci: si tratta di cercare qualche rimedio alla incoerente nostra scienza armonica: si tratta parimente di far vedere co' fatti l'inutilità di mille grossi autorizzati volumi, pieni di pregiudizj sopra la greca melodia, e tutto ciò co' fatti alla mano: non con lunghe dissertazioni piene di greco e di latino idioma, non con faticose serie di numeri e con astratti calcoli, ma con suoni sensibili all'orecchio, e da sottoporsi all'esame delle persone esercitate nell'armonia. “Italia! Italia! esclama l'illustre autore, madre e maestra de' cantanti e de' suonatori dell'universo! voi avete e dovete avere tutto il vanto d'aver resa con arte tollerabile una pratica stromentale mancante di principj, [217] un'armonia priva di fondamento! Voi, a cui pur si deve la gloria di aver col vostro ingegno raddrizzata la musica, lasciatavi da' barbari nelle irruzioni: voi, nelle cui mani c'incantano i piani-forti, ci riempiono di stupore i violini ed i flauti, ci struggono i cuori i cantanti! Voi che con le vostre arie e co' vostri rondò vi conciliate il silenzio, fate ammutolire la romorosa moltitudine delle platee de' vostri grandiosi teatri! quai più mirabili effetti non cagionereste voi coll'armonia, se fosse questa a dovere da voi sistemata e resa perfetta? La vostra serie armonica, di cui al presente vi prevalete pel canto rimescolata di diatonico e di cromatico, è senza dubbio difettosissima. Se non credete ad uno straniero qual io mi sono, date fede a un Bottrigari, a un Zarlino, ad un Vincenzo Galilei, ad un Martini, i quali a bella posta raccolsero e notarono i vizj della presente vostra musicale costituzione, per incoraggirvi a ricercarne una nuova, o ad istudiare i Greci per emendarla. Commosso io da' loro clamori, e convinto dalle loro ragioni, nell'ameno soggiorno destinatomi dagli dei della terra fra le vostre mura, non contento di avervi messo in mano i greci pennelli, ed i telegrafi de' vostri maggiori obbliati, ho procurato eziandio di fare quanto le mie circostanze mi hanno permesso per raccogliere le memorie de' greci musici, e per ordinare le loro serie armoniche, affine di contribuire alla riforma desiderata da' vostri accreditati maestri. Io le assoggetto al vostro criterio e al vostro fino orecchio: provatele senza pregiudizj, e giudicate con imparzialità. Non dovrei meritarmi il disprezzo de' colti, parlando sempre co' testimonj de' greci armonici; nè dovrei essere creduto uno spagnuolo millantatore, presentandovi io sperimenti e fatti.” (t. 2, p. 70). Ed in altro luogo: “Il tempo, dice egli, e gli ulteriori sperimenti scuopriranno molte [218] più cose, e l'Europa rimarrà stupita degl'infiniti pregiudizj finora avuti, e autorizzati da' maggiori nostri letterati sulla musica de' greci. Io non dispero, che ciò accada a' miei giorni, se lo spirito marziale, da cui osservo come invasata questa bella parte dell'orbe, darà luogo al tranquillo studio de' coltivatori delle arti amene e piacevoli.” (ib. p. 309). Abbiamo a bello studio riferiti cotesti passi dell'A. perchè i lettori vieppiù s'invoglino a ricorrere all'opera medesima, e perchè diano essi una riprova dell'ingegno, del cuore, della scienza armonica, della vasta erudizione, e della coraggiosa critica, che risplendono in tutta l'opera e fanno onore insieme con essa al dotto Spagnuolo, che ne ha arricchita l'Italia.
Resinone, autore del IX secolo, che tratta di musica alla maniera di que' tempi: fu ricercata dal P. Martini la sua opera, per compire la collezione da lui intrapresa di tutti gli scrittori di musica, e come non ve n'era, che un manoscritto nell'imperiale biblioteca di Vienna, egli l'ottenne per un espresso ordine dell'imperatrice M. Teresa (V. la Valle Mem. ec., p. 118).
Reveroni (Giac. Ant.), nato in Lione nel 1769, d'una famiglia italiana stabilita in Francia sino da' tempi di Caterina de' Medici, che seco la portò da Firenze, in mezzo alle numerose funzioni militari, di cui è stato incaricato come colonello del genio, ha coltivate con successo le muse, e le scienze. Oltre a più drammi per musica da lui composti pel teatro comico francese, egli è autore d'una dotta opera col titolo di Essai sur le perfectionnement des beaux arts par les sciences exactes, 2 vol. in 8vo, 1810, dove tratta ancora a lungo della musica.
Reuter (Giorgio), maestro di cappella dell'imperatrice M. Teresa, e dell'imperial cappella di S. Stefano in Vienna sua patria, fu, secondo il Carpani, inventore di quegli ostinati andamenti [219] di violini, co' quali copriva la meschinità de' cantanti, che morto Carlo VI gran conoscitore ed amatore della musica, s'erano introdotti in quella cappella (Lett. 4). Burney scrive di aver sentito nel 1772, un Te Deum composto da Reuter, la di cui musica parve essere a suo giudizio secca, confusa, e sprovveduta di gusto. Come in Germania non fu mai praticata quella detestabile operazione, che perpetuando nell'uomo la voce della donna, lo rende un ente neutro, che per lo più non ha nè le grazie dell'una, nè la forza fisica dell'altro, e facevansi perciò venir quivi dall'Italia tali soggetti, divennero col tempo gli eunuchi più difficili a trovarsi e troppo cari ad aversi. Suggerì allora il Reuter di stabilire nella cattedrale di S. Stefano una scuola di sei fanciulli stipendiati, i quali supplissero ai soprani artefatti: tutto ciò si è detto a provar falso l'aneddoto riferito da Mr. Breton nella sua Notice historique sur Joseph Haydn, che il Reuter concepì il barbaro pensiero di far divenire soprano il giovinetto Haydn cantante in Santo Stefano, col metodo italiano. Alle altre ragioni, che adduce il Carpani confutando una tal novelletta, aggiunge egli la riputazione e la fama di Reuter, che tuttora lo predica per uomo probo, religioso, costumato, quanto umano e prudente, onde incapace di un misfatto sì grave. “Una sì atroce calunnia, egli dice, con cui s'intacca l'onore di un uomo savio, dabbene, d'un artista riputato, deve essere combattuta senza riguardi e misura” (Lett. 16). Reuter morì in Vienna nel 1770.
Rey (Giov. Batt.), l'intimo amico del cel. Sacchini, e maestro di musica al servigio di Luigi XVI dal 1779 sino alla fatale rivoluzione, che gli fè perdere la pensione di due mila franchi assegnatigli dalla corte, fu per trentacinque anni il direttore dell'opera comica a Parigi, e contribuì molto a sostenerne [220] l'onore e la gloria. Egli compose la musica di moltissimi drammi, e compì l'opera d'Arvire et Eveline di Sacchini, che gliene aveva affidata morendo la cura. I suoi talenti gli meritaron sempre la stima e l'affezione de' più rinomati compositori. Gluck, Sacchini, Salieri, Piccini, Gretry, Paisiello, Cherubini, Winter, Lesueur e più altri hanno assai volte contribuito alla di lui gloria, onorando della loro confidenza i suoi talenti, e manifestando questo sentimento di viva voce e per iscritto. Il suo merito fecelo onorare del titolo di capo dell'orchestra della cappella imperiale. Padre sensibile non potè giungere a calmare il dolore cagionatogli dalla perdita di una sua figlia, assai virtuosa sul piano-forte e nella composizione, morta nell'està del 1809; una lunga malattia il fè soccombere nel 1810. Egli è autore di un'opera, che ha per titolo: Système harmonique développé et traité d'après les principes du cél. Rameau, ou Grammaire de musique, sous le titre de Tablature se rapportant au dictionnaire de J. J. Rousseau, avec théorie pour trouver et exercer commodément toutes les harmonies et mélodies, Paris in fol. 1801. L'autore così spiega le sue intenzioni in un'epistola dedicatoria a' suoi amici Sonnerat e Bradi. “Cittadini amici: le lingue, per quanto puossi agevolmente osservare, hanno tutte la loro grammatica, od almeno sono generalmente capaci di averne una. La musica, cui gli antichi hanno detta la lingua degli dei, è ancora tuttavolta senza possederne una propria, comecchè la meriti benissimo: quindi la penosa difficoltà di studiarla. Moltissimi artisti presupposto avendo che questa intavolatura esser potrebbe effettivamente la grammatica necessaria, e che dessa manca alla continuazione del dizionario del sensibilissimo Giangiacomo Rousseau, io ho avventurata l'edizione della mia opera, ec.”.
[221] Rey (J. B.), nato a Tarascona circa 1760, è stato maestro di musica delle cattedrali di Viviers e di Usez, e attualmente uno de' musici dell'imperiale accademia a Parigi. Apprese da se solo a sonare il forte-piano, il violino e il violoncello: oltre a più composizioni di musica, egli pubblicò altresì nel 1810 un Traité d'harmonie, in 8º, nel quale ha per iscopo “dietro il principio generalmente ricevuto, di far cessare le contradizioni, che inviluppano le regole dell'armonia, separando del tutto il genere cromatico dal diatonico. Per siffatta operazione, egli non riconosce che un basso fondamentale reale applicato al genere cromatico su i tre gradi fondamentali, senz'altro con quinta giusta. In quanto a quello che si è fatto derivare sino al presente dal genere diatonico, s'egli poteva esistere, nol può più adesso, secondo il suo sistema, o al più come basso-fondamentale numerico o aritmetico in ragione delle differenti progressioni, che stabilir si possono su gl'intervalli naturali della scala. L'autore ha trattato a fondo, ed in una nuova maniera tutto ciò che può comprendere il genere diatonico, e la parte delle cadenze, sulla quale essenzialmente si appoggia il genere cromatico, e l'arte della modulazione.” L'estratto di quest'opera è interamente di M. Fayolle, non essendo ella giunta ancora sino a noi.
Reyon de Silva (don Diego Ant.), secretario di stato di S. M. cattolica Carlo III, e membro dell'Accademia delle belle arti di Madrid, nato nel regno di Mursia, e morto in età di 48 anni nel 1798 a Madrid, pubblicò in sua lingua Dizionario delle belle arti, Segovia 1788 in 4.º, nel quale trovansi degli articoli sulla musica.
Rhode (J. G.) è autore di un dotto opuscolo in lingua tedesca, che ha per titolo: Teoria della propagazione del suono per gli Architetti, [222] Berlino 1800. Mr. Chladni dice ch'egli lo preferisce a molti altri (Acoust. p. 302). Quest'autore osserva che la più parte de' teatri sono assai poco favorevoli al suono, perchè troppo si sono negligentate le leggi della propagazione del suono per mezzo di tubi, le di cui pareti sien parallele, e di trombe parlanti: osserva inoltre che l'ordinaria disposizione de' scenarj è contraria alla propagazione del suono, imperocchè assorbiscono tutto il suono, che si spande verso i lati.
Riccati (conte Giordano), nato in Treviso capitale della Marca Trivigiana, coltivò con successo le matematiche, e volle applicarle alla musica. “È pur lode grande del conte Giordano Riccati, dice l'ab. Andres, il meritare di essere nominato anche dopo il la Grange, ed altri celebrati geometri: il terzo suono osservato dal Tartini, il suono falso, ed alcuni altri nuovi punti sono stati da lui solo geometricamente trattati; e se egli non ha uguagliati gli illustri suoi antecessori nella finezza dell'analisi, e nella profondità de' calcoli, gli ha forse superati nelle novità d'alcune materie, nell'estensione delle ricerche, e nello studio di conformare alla pratica le sue teorie, ciò ch'è un pregio non molto comune in tali speculazioni.” (Origine ec. t. 4, acustica). Sono le sue opere riguardanti la musica: 1. Delle corde ovvero fibre elastiche, Bologna 1767. 2. Delle vibrazioni sonore dei cilindri, quest'opuscolo si trova nel t. 1 delle Memorie di matematica e fisica della Società italiana Verona 1781. Mr. Chladni dice che le sue ricerche sono molto esatte (p. 101), tuttavia confuta egli una sua supposizione alla p. 63. 3. Suono falso articolo del Prodromo della nuova Enciclopedia italiana. 4. Esame del sistema musico di M. Rameau: Dissertazione Acustico-matematica, 1779. Egli vi prova [223] contro il Rameau che la risonanza dei corpi sonori non è il principio dell'armonia. 5. Saggio sopra le leggi del contrappunto, Castelfranco 1762; in quest'opera tratta a lungo del temperamento con un metodo, che a suo parere, tende immediatamente al fine, ed è dimostrativo: egli attacca altresì quello del Rameau. 6. Esame del sistema musico del Sig. Tartini: Dissertaz. Acustico-matematica, 1789. 7. Riflessioni sopra il primo libro della Scienza teorica e pratica della moderna musica del P. Vallotti, 1780. 8. Due lettere al P. Sacchi intorno al grado di eccellenza, al quale è giunta la musica sì nella teoria che nella pratica, nel t. 41 del Giornale letterario di Modena, 1789. In esse il Riccati attacca con pulitezza l'ab. Bettinelli per avere sostenuto, che sinora la musica non ha trovato il suo risorgimento per niun modo ed età nell'Italia; il che si oppone a quanto crede aver egli dimostrato nelle sullodate opere: pretende ancora di confutar il sentimento dell'ab. Eximeno nel voler escludere le proporzioni della musica: ma prescindendo di queste particolari opinioni del Riccati, si trova molto da apprendere in ambe le sue lettere, che il P. Sacchi a ragione chiama bellissime. 9. Saggio della facoltà, che ha la Musica d'imitare il senso delle parole e di risvegliare nell'animo i varj affetti, 1787. 10. Lettera al P. Sacchi, dove si dà giudizio sopra i duetti del Bononcini ed Hendel — Seconda lettera al medesimo, dove si paragona l'antica alla moderna musica nel t. 36 del Giornale di Modena 1787. “La posatezza, egli dice, è una delle differenze notabili, e forse anche la più generale tra le antiche e moderne cantilene. Confrontando le buone con le buone, a me sembra di vedere nelle cantilene moderne maggiore varietà ed ornamento; nelle antiche maggiore verità e schiettezza; nelle moderne un moto più celere, e più concitato, [224] e nelle antiche un moto più tardo e comodo, e per conseguenza una certa idea di tranquillità, di compostezza e di riposo. Così le composizioni sacre di quasi tutti i migliori tra i moderni sentono il teatro, e le profane degli antichi in certo modo sentono la chiesa. La moderna musica pecca nell'essere soverchiamente sminuzzata; e nulladimeno ai valenti professori non può negarsi la lode di eseguire il difficile facilmente, e con somma puntualità, il che dà campo ai maestri di sfogare la loro fertile fantasia.” Il conte Riccati morì assai vecchio verso l'anno 1792.
Ricci (Pasquale), nato a Como nel 1733, studiò la musica sotto Vignati maestro di cappella in Milano. La natura fornito aveva il discepolo di gusto e di grazia, mentrechè altro non conosceva il maestro che la profondità e i secreti dell'arte. L'ab. Ricci viaggiò per la Germania, la Francia, l'Inghilterra e l'Olanda. Sino a' primi anni di questo secolo viveva ed occupava ancora il posto di maestro di cappella della cattedrale di Como. Vi sono di lui alcuni trio e quartetti, che hanno del merito. Un suo Dies Iræ vien riguardato come un capo d'opera: la prima volta ch'egli lo fece eseguire, ispirò un santo orrore agli ascoltanti. Al versetto Tuba mirum tutta l'orchestra restò in silenzio, e dall'alto della cupola si udì il suono di una tromba, che parve annunziare l'estremo giudizio. Un tal ritrovato però non ha, a mio avviso, altro pregio che la novità e la sorpresa: ella produce l'illusione del momento. La ripetizione e l'uso frequente di questi colpi, per così dire, di scena, fa svanire l'effetto, e nulla più produce sull'immaginazione degli astanti. Non so per conseguenza approvare quanto vien detto a questo proposito da Mr. Fayolle: per rendere immortale un compositore, egli dice, non vi vuole che un'idea simile a questa del Ricci; e solo niega egli a costui il [225] merito dell'invenzione, perchè Calviere cel. organista avevala trovata prima di lui. Ecco una via molto facile ai compositori per giugnere all'immortalità.
Riccio (Angelo M.), dottore in teologia e professore di lingua greca in Firenze, ove nel 1747 diè al pubblico Dissertationes Homericæ in 4º. Trovansi in quest'opera le tre seguenti dissertazioni, che hanno per oggetto la musica: 1. Diss. de Achille citharâ canente, veterique græcorum musicâ, tom. 2, p. 31. 2. An musicâ curentur morbi, p. 51. 3. De musicâ virili et effeminatâ grecorum, nonnullisque aliis ad cognitionem musicæ pertinentibus, t. 3, p. 41.
Riccoboni (Franc.) nacque in Mantova su i principj dello scorso secolo, venne a stabilirsi in Francia come uno de' principali attori nel teatro italiano di Parigi, e compose molti drammi comici per musica in lingua francese, che ebbero del successo. Scrisse inoltre nella medesima lingua Histoire du Théâtre Italien, Paris 1738, con bellissimi rami, 2. vol. in 8º, e Réflexions historiques et critiques, Amsterdam 1740, in più luoghi di quest'opera egli parla del teatro italiano, della musica, e della poesia drammatica. Il cav. Planelli loda altresì un altro picciol libro del Riccoboni intitolato: Pensées sur la déclamation, 8º, Paris 1738. (Dell'opera ec. p. 172). Riccoboni morì in Parigi nel 1772.
Ridieri (Giov. Antonio) da Vicenza, dove apprese da Freschi i primi elementi della musica, e quindi continuò a Ferrara sotto la direzione di Giov. Batt. Bassani i suoi studj di musica vocale. Sul timore ch'ei non farebbe gran fortuna come professore di canto, applicossi alla composizione. La sensibilità, il fuoco e la grazia, che caratterizzano le sue opere, gli conciliarono tutti i suffragj. Fu per sei anni al servigio del principe Stanislao Rzeuscky in Polonia, dove molto scrisse per teatro, per camera e per chiesa. [226] Tornato in Italia, stabilì in Bologna una scuola di musica in cui formaronsi più virtuosi distinti, tra' quali l'illustre P. Martini: egli fu ricevuto con voti unanimi in quella cel. Accademia. Poco tempo dopo ebbe ordine dal papa di comporre la musica de' Salmi per la cappella di S. Pietro in Roma. Egli finì in Bologna i suoi giorni nel 1746.
Riedt (Gugl.), musico di camera del re di Prussia, morto in Berlino sua patria nel 1783, suonava con molta perfezione il flauto, ed occupò per più anni l'onorevol posto di direttore della società degli amatori di musica di Berlino. Possedeva delle cognizioni poco comuni nelle matematiche, ch'egli amava moltissimo, ed alla astrazione di questi studj vien attribuita l'aridità, che caratterizza le di lui composizioni. Egli è autore di più opere di teoria musicale in tedesco; eccone i titoli: Saggio sugli intervalli in musica sotto il rapporto del loro numero, del loro posto, e de' vantaggi loro nella composizione, Berlino 1753, in 4º. Difesa di quest'opera, nel tom. 1 delle Mem. crit. di Marpurg, nel di cui 2º tomo vi ha altresì di Riedt: Considerazioni sulle variazioni arbitrarie nelle idee musicali, nell'esecuzione d'una melodia; ed inoltre: Tavole di tutti gli accordi primitivi a 3, e 4 voci, che contengonsi nella scala compita de' tuoni, sì diatonici, che cromatici ed enarmonici del loro numero ed uso nella composizione. Nel terzo tomo trovansi di lui: Due questioni di musica colla loro soluzione a profitto degli amici della verità, cioè: se il perfetto unisono è, o no, un intervallo reale, e se possono ammettersi nella musica gli unisoni ingranditi, o diminuiti. Alcune di lui composizioni di musica instrumentale sono state impresse nel 1754 a Parigi, e nel 1758, a Lipsia.
Riepel (Giuseppe) ha goduto per molti anni della generale stima alla corte del principe de la Tour in Ratisbona, [227] come direttore della di lui musica, sì per la sua probità, che per i suoi talenti nella composizione, e sul violino. Egli è morto nel 1782. Il principale suo merito nella musica consiste nell'essere stato il primo scrittore in Germania, che abbia sviluppato il caos del ritmo, e disposto in una maniera intelligibile pei studenti. Ecco il giudizio che ne ha dato Hiller: “Egli è un uomo che sa profondamente tutto ciò, che essenzialmente appartiene alla composizione, che cerca a toglierne via il superfluo, e che si applica a far conoscere a fondo ciò, che sinora non è stato se non superficialmente osservato da quegli che l'han preceduto. Egli non si ristringe a dar, come a caso, delle regole aride e secche, di cui possa far uso il lettore sì in bene che in male; ma si applica a mostrare a' suoi allievi, come debbon servirsene per trarne il vero loro profitto.” I titoli delle di lui opere sono: Anfangs etc., cioè: Elementi della composizione musicale, e del sistema delle misure, Ratisb. 1754, in fol. di cui ve ne ha una seconda edizione. Regole fondamentali del sistema de' tuoni in generale, Francfort 1755, in fol. Spiegazione ragionata del sistema de' tuoni in particolare, comune alla più parte degli organisti, Lipsia 1757, in fol. Spiegazione del falso sistema de' tuoni, Ausburgo 1765, in fol. Spiegazione indispensabile del contrappunto sulle note generalmente trasportate, ec. con esempj estratti da altri autori, e composti in parte a tal fine, Ratisb. 1768, in fol. Del ritmo armonico, ai poeti ed ai compositori, con alcuni esempj, 1776, 2 vol. in fol. Il maestro Hiller dice a tal proposito: “Questo libro merita che venga consultato da tutti quegli, che desiderano possedere una cognizione esatta delle parti essenziali della musica in generale, e d'una composizione pura in ispecie.” Schubarth allievo di Riepel, dopo la sua morte [228] pubblicò nel 1786, un'altra di lui opera intitolata Chiave al basso: ossia Istruzione per i principianti nella composizione. Egli possiede inoltre altri manoscritti di Riepel, che promette di dare al pubblico.
Rigel (Arrigo Giuseppe), nato nella Franconia di onesta famiglia, ebbe la fortuna di avere tra' suoi maestri il cel. Jommelli. Nel 1768, si stabilì in Parigi, ove ebbe gran numero di allievi sul piano-forte, per cui aveva molta abilità e gusto. Compose altresì con gran successo quantità di musica sì per chiesa che per teatro: Gluck faceva molto caso delle di lui composizioni. Questo grand'uomo essendo sul punto di lasciare la Francia, gli amministratori del teatro mostrarongli il dispiacere di vederlo partire. Voi non avete tutto perduto, disse egli loro, avete quì un uomo a cui bisogna attaccarsi; M. Rigel è quegli che conviene pel gran teatro reale. Quando si ha scritto un Oratorio come quello di Rigel (la Sortie d'Egypte), si è in istato di fare delle grandi opere. I varj posti, ch'egli ottenne allora in Parigi, danno a divedere la stima che facevasi de' suoi talenti. Rigel fu maestro di musica del concerto spirituale, dell'Olimpico, e professore nella scuola di canto nel Conservatorio, ove molto contribuì al perfezionamento della nomenclatura, e de' principj dell'armonia, su i quali, dicesi di aver egli avuto idee assai chiare e precise. Una gran purità di melodia, ed uguale nitidezza d'armonia formano il carattere delle composizioni di Rigel. Passionato per la sua arte, nemico d'ogni cabala, all'epoca in cui la Francia era divisa in più fazioni musicali, l'una contro l'altra accanite, egli sapeva far giustizia al merito, e distinguere il buono in qualunque scuola, e in qualunque maestro si fosse. A siffatte qualità deve egli l'acquisto della pregevole riputazione di onesto uomo, non che di abil maestro: finì [229] quasi subitamente di vivere in Parigi nel 1799. Luigi Rigel, il maggiore de' suoi figli e suo allievo era un ottimo sonatore di forte-piano e di violino, e buon compositore: fu egli il primo a disporre per il piano-forte le sei gran sinfonie di Haydn, ed i trio di Pleyel: benchè il suo talento non fosse indegno della capitale, erasi stabilito frattanto all'Havre, dove è morto nel 1811 di anni 40. Giovanni Rigel, di lui minor fratello, anch'egli eccellente professor di musica in Parigi, promette di pubblicare le di lui opere postume. Giovanni Rigel in età di 13 anni, dopo avere studiata quest'arte sotto la direzione di suo padre, fu nominato sotto-professore nella scuola di canto, e poco dopo cembalista e compositore al concerto spirituale. Fu quindi nell'espedizione d'Egitto, venne nominato membro di quell'istituto, e compose al Cairo la musica di un dramma quivi eseguita con successo. Di ritorno in Parigi egli gode della più distinta riputazione come uno de' primi accompagnatori sul forte-piano, e come un professore assai virtuoso. Ha molto composto in differenti generi, e le sue produzioni sono in grandissimo pregio per il buon gusto e la regolarità, che le caratterizzano.
Righini (Vincenzo), compositore italiano, maestro di cappella primieramente dell'elettore di Magonza, e quindi del re di Prussia, e molto stimato nella Germania. Nel 1782, diè la musica di due drammi burleschi: il Convitato di Pietra, e la Vedova scaltra. Le più recenti sue opere sono: il Filosofo confuso, 1786, Armida, 1788, Alcide al bivio, 1789. In occasione dell'elezione dell'Imperatore nel 1790, egli fece eseguire a Francfort una sua messa, che piacque moltissimo. Nel 1803, pubblicò per le stampe: Esercizj per la perfezione nell'arte del canto; riuniscono essi la solidità degli antichi maestri, e 'l buon gusto de' nostri giorni.
[230] Rinaldo (da Capua), napoletano, figliuolo naturale di un nobile del suo paese, studiò dapprima per suo diporto la musica, ma fu in appresso nella necessità di professarla per vivere. All'età di 15 anni diè in Vienna la sua prima opera, e scrisse di poi per i migliori teatri di Europa. In Roma vien egli creduto inventore dei recitativi obbligati, ma si è trovato un oratorio di Aless. Scarlatti, dove molto prima di Rinaldo costui avevali usati. Quello di cui può vantarsi Rinaldo si è lo avere impiegato tra' primi de' lunghi ritornelli ne' recitativi, esprimenti una gagliarda passione, il che non poteva farsi dalla voce. Rousseau nel Dizionario lo considera come uno de' più cel. compositori italiani.
Robbers (Giovanni), professore di musica ed organista della chiesa francese a Rotterdam, è autore di una dissertazione Sur l'union de la musique avec la poésie, ch'egli inviò alla società letteraria d'Amsterdam nel 1790. La società avendo esaminato questo scritto, onorò l'autore con una medaglia.
Robertson (Thomas), dotto inglese pubblicò in Londra nel 1784, Inquiry into the fine arts, in 4º, dove tratta della musica teorica e pratica. (V. Bent's cat. of books, p. 133).
Rochefort (Gugl. de), dell'Accademia delle Iscrizioni è autore di una memoria intitolata: Recherches sur l'harmonie et les accords de musique des anciens, 1788, nella quale prova contro M. Burette ed altri, che l'arte delle parti concertanti in contrappunto non era così limitata presso i Greci, come si è da taluni creduto. Mr. de Rochefort è noto abbastanza per le sue traduzioni in versi dell'Iliade, e dell'Odissea d'Omero.
Rocchi (Antonio) è autore delle Istituzioni di musica teorico-pratica in 4º, pubblicate per le stampe in Venezia nel 1777. Non possiamo dar saggio di quest'opera, [231] non essendo ancor giunta sino a noi.
Rodio (Rocco)º, cel. contrappuntista e didattico italiano del sec. 16, pubblicò in Napoli nel 1589, una collezione delle sue opere di pratica, e di altri rinomati compositori di quel secolo, come Villani, Bovio, ec., nomi or sepolti nell'obblìo. Ha maggior pregio un'altra opera didattica di Rodio intitolata: Regole di musica, Napoli 1626, citata assai volte con molti elogj dal P. Martini.
Rodolphe (Giov. Gius.), nato a Strasburgo, a 17 anni veniva riguardato in Francia come il primo sonatore di corno da caccia, che usasse i semituoni. Studiò altresì il violino sotto il celebre le Clair, e verso il 1754 passò in Italia al servigio del duca di Parma: fu egli il primo, che in un'aria di Traetta eseguì un accompagnamento di corno in concerto con la voce, e che in Italia accompagnò su quest'instromento i mottetti nelle chiese. Egli apprese anche in Parma la composizione sotto il famoso Traetta allievo di Durante, e passato quindi al servizio del duca di Wittemberga nel 1760, prese lezioni da Jommelli, e compose a Stuttgard la musica di un gran numero di balli del cel. Noverre, ch'egli poi condusse a Parigi, ove venne a stabilirsi nel 1763, e vi fece gran fortuna. Circa 1780, diè egli a M. Amelot il piano d'una scuola di musica, che fu eseguito quattr'anni dopo da M. Breteuil, e Rodolphe fu nominato professore di questa scuola, per cui compose il suo Traité historique et pratique d'accompagnement, e i suoi Solfeggi, che hanno avuto tanto successo, e che hanno contribuito a moltiplicare in Francia gli artisti, e gli amatori, rendendo facil l'ingresso nella carriera musicale.
Roger (Joseph-Louis) pubblicò a Mompellieri un'opera nel 1758 col titolo: Tentamen de vi soni et musices in corpus humanum, molto lodata dal Dr Lichtenthal. [232] Forkel nel 1º vol. della sua storia generale della musica riguarda quest'opera come la più importante, che si sia scritta intorno a questa materia. Ella è divisa in due parti, nella prima tratta del suono ne' corpi sonori, de' mezzi co' quali si propaga, e del suono nell'organo sensorio dell'udito: nella seconda si dimostra la predisposizione dell'anima per i principj dell'armonia, e quindi tratta l'Aut. della predisposizione della materia all'azione del suono: della predisposizione dell'anima unita alla materia, ossia del corpo animato, e spiega finalmente con quali e quanti mezzi, e che agisca sull'uomo la musica.
Rolla (Alessandro), membro del real Conservatorio di Milano, e primo violino del gran teatro, gode meritamente della riputazione di essere il più abile virtuoso dell'Europa sulla viola. Dicesi inoltre che se gli è fatto un divieto in Italia di sonarla in pubblico, perchè le donne non possono sentirlo su quell'instromento, che non soffrino attacchi a' nervi. I concerti di violino, ch'egli suona nelle orchestre, tirano a se la folla de' dilettanti. Noi abbiamo riferito a questo proposito un curioso aneddoto, all'art. Diana. Egli ha composto molta musica istromentale pregiatissima.
Romieu (M.), della real società delle scienze di Monpellieri, a cui presentò nel 1753 una sua memoria, quivi nel medesimo anno impressa col titolo: Nouvelle découverte des sons harmoniques graves dont la résonance est très sensible dans les accords des instrumens à vent. La scoverta del terzo suono basso formato dalla riunione della vibrazione di due suoni gravi era stata fatta dal cel. Tartini sino dal 1714, e facevane la base della sua scuola in Italia, ma siccome non la pubblicò che nel 1754 nel suo Trattato di musica, M. Romieu pretese esserne l'inventore. “Nel rapportare questo fatto, dice Mr. d'Alembert, non pretendiamo [233] toglier nulla al Sig. Tartini; noi siamo persuasi ch'egli non dee la sua scoverta che a' suoi proprj lumi; ma Mr. Romieu fu il primo ad annunziarla al pubblico.” Cheche sia di ciò, le migliori osservazioni intorno a questo terzo suono si trovano nelle Ricerche di Matt. Young e di Lagrange.
Roquefort (Bonaventura), nato nel 1778, membro di più accademie e società letterarie, nel suo Glossaire de la langue romaine, 2 vol. in 8º, Paris 1808, promette di dare al pubblico un Essai sur la poésie, la musique et les istrumens des Français, depuis le IX siècle jusqu'au XVII. Il testo in parte è tratto da' manoscritti antichi; egli formerà un vol. in 8º del testo, seguito da circa 100 rami coloriti dietro i monumenti del tempo, e dagli esempj di musica di ciascun secolo. M. Roquefort da più anni in quà si occupa altresì della composizione di una Storia generale della musica, che abbraccerà i diversi impieghi o rapporti di quest'arte con tutte le instituzioni presso tutti i popoli, e in tutti i tempi. Questa storia formerà cinque vol. in 4.º, seguiti da un sesto che conterrà le figure e gli esempj. “Ci si assicura, dice Mr. Fayolle, che una porzione di quest'immenso travaglio è già posta in ordine, e che l'A. possiede molti materiali, tra' quali ve n'ha gran numero che non sono stati mai pubblicati.”
Rosa (Salvatore), celebre pittore napoletano morto in Roma nel 1673. Amava egli passionatamente la sua arte, e le arti sorelle, la poesia e la musica. Mostrasi buon poeta e bello spirito nelle sue satire, e sonetti pieni di finezza, e bei motteggi: la sua casa in Roma era divenuta un'accademia, cui intervenivano uomini di buon gusto e d'ingegno: recitavansi de' versi, rappresentavansi commedie, e si faceva della musica. Tra le belle satire di questo valentuomo una ve ne ha mordentissima contro i musici e contro i [234] cantanti, e contro quelle composizioni da chiesa non ben adattate alla maestà del soggetto, e al decoro dell'auguste cerimonie de la religione. E pure è ver che con indegni esempj — Diventano bestemmie a' giorni nostri — Di Dio gl'inni e li Salmi in bocca agli empj — Che scandalo è il sentir ne' sacri rostri — Grunnir il vespro, ed abbajar la messa, — Ragghiar il Gloria, il Credo, e i Pater nostri! — E si sente per tutto a più potere — Cantar sulla ciacona il Miserere ec. Così con tanta ragione, e sì poco frutto cantava questo bell'ingegno, e termina quindi — Chi vuol cantar, segua il salmista Ebreo, — Ed imiti Cecilia, e non Talìa, — Dietro l'orme di Giobbe e non d'Orfeo. Il d.^{r} Burney scrive ne' suoi Viaggi musicali, di avere trovato in una collezione di Cantate di Rossi, Cavalli, Legrenzi, Pasqualini, Bandini ed altri celebri compositori di que' tempi, conservate con diligenza da' curiosi in Italia, un libro prezioso di musica del famoso Salv. Rosa. Le parole di molte di quelle cantate sono di lui, ed otto intere delle medesime sono poste in versi ed in musica, e copiate dalla mano istessa di questo cel. Pittore. Sono esse non solo ammirabili per un semplice dilettante, dice Burney, ma la loro melodia sorpassa in gusto quella della più parte dei maestri del suo secolo (V. Encycl. méthod. art. Cantate, p. 205).
Rosetti (Antonio), nato a Milano nel 1744, si è formato principalmente sul modello del gran Gius. Haydn in Vienna, ove egli era verso il 1766 violinista nella cappella dell'Imperatore, e virtuoso di camera del principe d'Althan. Il suo merito, come compositore e direttore di orchestra, gli fè ottenere nel 1789 il posto di maestro di cappella a Schwerin, in cui succedette al cel. Westenholz. Le di lui numerose composizioni, per la più parte impresse, fannosi rimarcare per uno stile piacevole; le sortite [235] de' strumenti da fiato, di cui sapeva servirsi a meraviglia, sono assai volte di un'estrema bellezza. Finchè si abbandona al suo proprio genio, la sua particolar maniera merita i suffragj degl'intendenti; ma dacchè calcar vuole le tracce di Haydn, il suo stile diviene affettato e monotono. Tra le sue produzioni si distingue l'oratorio impresso a Vienna nel 1786, Gesù moribondo, e l'opera prima a Amsterdam contenente tre sinfonie a grande orchestra.
Rossi (Lemme). Perugino, pubblicò nel 1666: Sistema musico, o musica speculativa, Perugia in 4º. Il P. Martini nel 2º t. della sua storia rapporta il sistema perfetto o sintono di Rossi per gli strumenti mobili, e l'imperfetto o participato per gli strumenti stabili. Questo sistema Sintono vien attribuito a Tolomeo, ma si chiamò poi di Lemme Rossi, “perchè questi giunse ad essere, dice il Martini, se non l'unico, certamente il più diligente amplificatore del medesimo, illustrandolo non solo colla più possibile precisione delle dovute proporzioni, ma inoltre con la necessaria aggiunta di quegl'intervalli, che lo fanno adatto all'artificio del contrappunto corrente.”
Rousseau (Gian-Giac.), filosofo, scrittore di musica, e compositore nacque in Ginevra nel 1712. La di lui avversione per il mestiere di suo padre, costruttore di orologi, lo fè risolvere ad abbandonare la patria nel 1728. Egli aveva studiato la musica, e nel tempo ch'egli andava errante per la Francia e l'Italia, quest'arte il provvide de' mezzi di sussistere. Fu particolarmente in Venezia, ove la sua gran passione per la musica, più accesa dal sentire le buone composizioni, e dal comodo di familiarizzarsi co' primi maestri dell'Italia, trovò non solo maggior pabolo, ma venne portata del tutto ancora verso la musica Italiana. Portossi quindi in Parigi, e cominciossi [236] ben tosto a riguardarlo come gran filosofo, e grand'oratore: tuttavia la sua occupazione ordinaria consisteva nel copiar della musica. Egli si era prescritto il prezzo di quattro soldi per una pagina in 4º e di sei per una pagina in fol. Nè volle mai esigere oltre a questa tassa, cosichè avendogli il conte di Clermont rimesso 25 luigi d'oro per la copia di alcuni pezzi di musica, egli se ne offese, prese la medietà di un sol luigi, e restituì gli altri 24. Questo impiego di copista così spregevole per un filosofo agli occhi d'un preteso bello spirito di Parigi, fa molto onore al suo carattere, quando si sa ch'egli applicavasi a questo disgustoso mestiero non per i suoi bisogni, ma per sostenere unicamente una sua parente povera. Nel suo dizionario egli fa un lungo articolo su i doveri di un esatto copista, e rileva quivi egli stesso le contraddizioni solite del suo carattere. “Comprendo benissimo, egli dice, che sarà di mio nocumento qualora si compari il mio travaglio alle mie regole: ma so ancora che quegli che cerca il vantaggio del pubblico, dee non curare il suo proprio. Uomo di lettere, ho detto del mio stato tutto il male che ne penso, amo la musica italiana, e non ho fatto che della musica francese; ho descritto tutt'i mali della società, mentre essa formava la mia felicità; cattivo copista, vengo quì ad esporre i mezzi di formarne un buono. O verità! il mio proprio interesse è sempre sparito dinanzi a te; ch'egli giammai profani il culto che ti ho consacrato.” In questo intervallo oltre più capi d'opera per la filosofia e la letteratura, compose le parole e la musica del suo dramma le Devin du village, e del Pigmalione, che furono applaudite sul teatro con generale entusiasmo. L'anno 1751 essendo venuta a Parigi una compagnia di cantanti italiani dell'Opera buffa il [237] loro buon incontro suscitò la gelosia de' compositori francesi. Formaronsi due partiti; sosteneva l'uno la buona causa della musica italiana, sforzavasi l'altro di farla cadere. L'amor proprio si rivolse dal canto de' sostenitori della musica francese, e portò tant'oltre finalmente l'affare, che la compagnia italiana fu mandata via da Parigi. Rousseau, passionato partigiano della musica italiana, dimenticò allora non solo il suo Devin du village, ma altresì tutti i vantaggi che poteva promettersi della direzione dell'opera con simili composizioni. Scrisse nel 1753 la sua famosa lettera sulla musica francese. È nota a chiunque la di lui sagacità, la di lui robusta eloquenza, il talento di persuader ciò che vuole, tutto il fuoco della sua espressione: aggiungasi a questo la preferenza che passionatamente egli dava alla musica italiana, forse ancora un certo corruccio contro Rameau, che aveva criticata la sua musica. Animato da questi motivi, egli disse ai francesi, che non avevano assolutamente musica; che quella da essi creduta tale non sapeva nè parlar, nè dipingere nei recitativi e nelle arie, che il loro canto è un abbajamento continuo, insoffribile all'orecchio, purchè non si sia prevenuto; la loro armonia informe, senz'espressione, e che non è se non un vero guazzabuglio da scolare. Nel tempo istesso vi unisce egli il parallelo della musica italiana, e la di lei maggioranza in tutti questi punti. Tutto fu posto allora in romore: nove scritti comparvero in pochissimo tempo contro la sua Lettera, credendo di averla vittoriosamente confutata. Cantanti e virtuosi composero pasquinate, satire e canzoni contro lui, e sparsero nel pubblico de' rami, ove colla più grande indecenza si metteva in ridicolo la di lui immagine: si cercò di oltraggiarlo in una farsa sul teatro, e si giunse, dice l'Elvezio, [238] sino ad incitare il governo a rigorosamente procedere contro la sua persona. Gli si negò l'onorario, che se gli era assegnato per il suo Indovino del villaggio, e se gli vietò per sempre l'ingresso al teatro. Quel che Rousseau continuò a spargere sulla musica francese nel suo dizionario ed altronde, non era fatto per appagare gli animi sollevati contro di lui. Proseguirono quindi le sue persecuzioni, e quel che effettivamente non soffrì da altri, il soffrì colla sua immaginazione. Allontanossi più di più dalla società, e nojossi alla fine della sua solitudine nel seno stesso della capitale. Scelse allora per sua dimora il villaggio di Ermenonville, ma scorse appena sei settimane, la mattina delli 2 di Luglio 1778, al ritorno del suo passeggio, cadde tramortito, e poco dopo rese l'ultimo sospiro. Ecco le opere di questo filosofo sulla musica: 1. Projet concernant de nouveaux signes pour la musique letto dall'A. all'accad. delle scienze li 22 agosto 1742. Può vedersene un lungo estratto, ch'egli stesso ne fa all'articolo Notes del suo dizionario. Egli vi dice che in questa materia non bisogna consultare i musici, ma l'uomo che sa la musica, e che ha saputo riflettere su quest'arte. La musica non è per gli artisti la scienza de' suoni, ma delle figure nere, bianche ec., dacchè cesserebbero queste di colpire i loro occhi, non crederebber eglino veder più della musica: presso loro tutto fa l'abito. Egli fa vedere in seguito tutt'i vantaggi del suo Progetto. Ma all'artic. Caractères de musique: “Io credo che il pubblico ha saviissimamente fatto di lasciar le cose come sono, e di mandar noi, e i nostri sistemi al paese delle vane speculazioni.” 2. Dissertation sur la musique moderne, a Paris 1743. 3. Lettre d'un symphoniste de l'Acad. R. de musique à ses camarades de l'orchestre, Paris 1752. 4. Lettre sur la [239] musique française, a Paris 1753. “L'eloquente penna di M. Rousseau, dice di questa lettera M. d'Alembert, avvezza già a dirci delle verità pungenti, ha ora un'occasione assai favorevole d'istruirci, e di malmenarci. Come quel famoso romano ha sostenuto, quasi solo gli attacchi dell'armata francese, accesa e riunita contro la sua lettera, e la sua persona.” 5. Dictionnaire de musique, in 8vo 1754. M. Choron lo chiama un'opera informe (Notions élément. d'Acoust. p. 13). “Il dizionario di musica di Rousseau, dice M. Suard, è forse di tutte le sue grand'opere quella, ove egli ha meno meditato, e con meno profondità trattato il soggetto. Si rimane agevolmente sedotto dall'eleganza ch'egli usa alle volte nelle analisi spesso astratte, e soprattutto dal fuoco, dallo spirito e dalla grazia, ch'egli sparge sulle discussioni relative ai principj, o agli effetti dell'arte, che appartengono al gusto ed all'immaginazione; ma fia d'uopo diffidare un poco delle sue asserzioni sugli articoli di dottrina, o di erudizione, che esiggono cognizioni positive, e rigorose definizioni.” Encycl. méthod. art. Accent. Egli infatti non è molto esatto nel definire, e noi ne abbiamo dato un esempio nella definizione ch'egli ha dato della composizione (Disc. prelim. p. XIX) e ne abbiamo rilevato il vizio nella Risposta all'autore della Critica del presente dizionario, il quale per sua estrema ignoranza se ne dichiara sostenitore. (V. Esame ec. nel t. 2, p. 4). Gli errori soprattutto in teoria, che si trovano nel dizionario di Rousseau, sono stati da' più dotti uomini confutati, e con ispezialità da M. Suremain nella sua Théorie Acoustico-Musicale, Paris 1793. Egli attribuisce questi errori alla soverchia fretta, con cui fu obbligato di gettarne i fondamenti nell'Enciclopedia, e alla necessità in cui trovossi, far volendo un'opera compita di [240] questo dizionario, di trattarvi degli oggetti, che gli erano stranieri: quindi prega il lettore a non trarne niuna disfavorevole induzione sulla sua maniera di pensiero per rapporto a questo filosofo. “Discepolo ed ammiratore di Gian-Giacomo, egli dice, entusiasta delle sublimi sue produzioni, penetrato dalla stima di sue virtù, il solo amore della verità poteva superar quello, che io aveva per la sua persona. Io ho sentito spesso la mia anima, che pressavami a prender la sua difesa, allorchè i suoi detrattori sforzavansi ad oscurare la sua memoria.” Gli articoli, che riguardano la poetica e la rettorica della musica, sono maneggiati con tutta la solidità di un filosofo, colla leggiadria di un bello spirito e la precisione di un uomo di gusto: non sono però dello stesso pregio quelli che trattano dell'antica musica. “Il superbo e deciso Rousseau, dice l'ab. Requeno, contento del suo sistematico talento molto bene esercitato nella moderna armonia, e pago d'alcuni scelti libri della R. biblioteca, e armato delle dissertazioni dell'accademia, si ritirò a lavorare gli articoli della greca musica per l'Enciclopedia e per il suo dizionario; e consultò solamente per qualche bagattella i greci originali. Incominciando io a notare gli errori ed i pregiudizj sulla dottrina de' greci armonici sparsi nel dizionario, annojatomi abbandonai l'impresa. I più classici saranno da me quà e là annoverati in questi Saggi ec.” (Pref. p. VII). Quest'opera in somma, secondo M. la Borde, avrebbe bisogno di esser rifatta, per risparmiare molta pena a coloro, che vorranno studiarla, e impedire così che non s'imbevano di errori tanto più malagevoli a scamparsi, che lo stile seducente di Rousseau ha l'arte di strascinarvi i suoi leggitori. 6. Lettre à M. l'abbé Raynal au sujet d'un nouveau mode de M. Blainville, 1764, di [241] cui si è parlato nel 1º vol. p. 122. 7. Examen de deux principes avancés par Mr. Rameau, etc. 8. Lettre à M. Burney sur la musique. Tutt'i trattati di Gian-Giacomo sulla musica trovansi riuniti nel vol. 16 dell'edizione di Due-ponti del 1792 di tutte le sue opere. Ne' seguenti scritti vi ha ancora de' dettagli sulla musica: 1. Nouvelle Héloïse, part. II, Liv. 23. 2. Essai sur l'origine des langues: nel cap. XII, egli parla dell'origine della musica, e de' suoi rapporti; ne' cap. XIII, e XIV, dell'armonia; nel cap. XV prova che le nostre più vive sensazioni agiscono spesso per via d'impressioni morali; nel cap. XVI, della falsa analogia tra i colori ed i suoni; nel cap. XVII, Errore de' musici nocivo all'arte loro; nel cap. XVIII, Il sistema musicale de' greci non aveva niun rapporto al nostro; nel cap. XIX, Come ha degenerato la musica. Nulla quì diremo delle sue composizioni musicali, di cui vi ha una collezione impressa a Parigi nel 1781, perchè son poco conosciute ed apprezzate in Italia. “Rousseau (dice M. Choron), senza essere nè profondo teorico, nè dotto compositore, intendeva assai bene la poetica de l'arte, ed aveva il gusto d'una melodia semplice e naturale. Può vedersi a questo proposito la sua Professione di fede in una lettera diretta a M. le Sage di Ginevra, e che si trova alla fine della Notice sur la vie et les écrits de M. le Sage, par M. Prévost, pag. 481. Questa Lettera pubblicata per la prima volta nel 1805 manca in tutte l'edizioni di Gian-Giacomo.”
Roussel, maestro di musica, pubblicò nel 1775, le Guide musical ou Théorie et pratique abrégées de la musique vocale et instrumentale selon les règles de l'accompagnement et de la composition.
Roussier (L'abbé), di Marsiglia, canonico a Ecouis nella Normandia, ove morì circa 1790. Sino all'età [242] di 25 anni egli non conosceva una sola nota di musica; sentendo parlare de' prodigj del sistema del basso fondamentale di Rameau, diessi tutto alla lettura delle sue opere, e poichè credette averne ben compresi i principj, ne divenne il più infollito partigiano, e 'l più zelante propagatore. Più non vi fu per lui che basso fondamentale, tutto era basso fondamentale. Incapace di leggere una linea di musica, d'inventare la menoma frase di melodia, di mettere un conveniente basso sotto una cantilena, e di scrivere correttamente due battute di armonia, egli vide tutta l'intera musica in quel sistema, e non volle mai riconoscervi le imperfezioni che vi riconobbe lo stesso Rameau. Pretese innalzare su quel basso una compiuta didattica, non riconobbe come legittimo se non quello che era d'accordo colle sue regole ipotetiche, e senza veruno scrupolo rigettò tutta la scienza del contrappunto, e la pratica de' più grandi maestri, che egli nemmeno conosceva di nome, e che non erano a' suoi occhi se non ispregevoli pratici, e musici d'orecchio. Non contento di aver fatto della musica un'arte a suo capriccio, formar volle altresì una teorica degna di star a lato della sua scuola. Straniero del pari nella fisica e nella geometria, e tutto al più sapendo le prime regole dell'aritmetica, ammassò de' ridicoli calcoli per sostener de' sistemi contrarj all'osservazione e all'esperienza. “Quel che più muove la bile negli scritti di questo pedante, dice M. Choron, egli è la presunzione e l'arroganza con la quale decide sopra tutti gli oggetti, e l'impertinenza con cui tratta i più celebri autori, allorchè non pensano conforme al di lui sentimento, e non agiscono secondo le sue regole. A proposito in fatti di alcuni andamenti di armonia, che combaciavano co' suoi principj, egli ebbe l'insolenza [243] di attaccare Gluck e Sacchini, che come s'intende benissimo, non fecero che burlarsi delle sue osservazioni. Egli attaccò della stessa maniera Tolomeo, Zarlino e gli altri teorici. Secondo lui tutti gli esperimenti di acustica sono falsi o superflui, e senza conseguenza. Se le opere dell'ab. Roussier sono disgustose per lo spirito di sistema, per gli errori che contengono, per il tuono di pedanteria e di arroganza che vi regna, per la goffagine dello stile, hanno almeno un merito, che non può loro negarsi, cioè la chiarezza; e a questa qualità dovettero elleno il buon incontro che ottennero per alcun tempo: ma oggi son già cadute in un totale discredito.” Eccone il catalogo: 1. Traité des accords et de leur succession, selon le système de la basse fondamentale, Paris 1764. 2. Observations sur différens points d'harmonie, Genève 1765. 3. Mémoires sur la musique des anciens, où l'on expose le principe des proportions authentiques, Paris 1776. Quest'opera è stata criticata con ispezialità dall'ab. Requeno (V. Pref. p. VII, e t. 2, p. 76. ec.). 4. L'harmonie pratique, ou exemples pour le traité des accords, Paris 1776. 5. Mémoires sur la musique des Chinois, Paris 1780 in 4º. 6. Mémoires sur la nouvelle harpe de Cousineau, Paris 1783.
Roze (abbate Niccolò), bibliotecario del conservatorio di musica in Parigi, verso l'anno 1807, si era applicato alla musica sin dall'età di 7 anni, e studiò la composizione sotto l'abb. Rousseau di Dijon, e l'ab. Homet, che aveva molto gusto per il canto. L'ab. Roze fu dapprima maestro di musica della cattedrale di Angers, e nel 1776 lo divenne della chiesa de' SS. Innocenti a Parigi, ove la sua musica di chiesa attraeva gran gente. Egli ha fatti degli allievi, che per la più parte godono oggidì d'una ben fondata riputazione. Nel 1802 compose una messa [244] a piena orchestra, che eseguita in San Gervasio riscosse gli applausi di tutti gl'intendenti. Il Sistema d'armonia dell'ab. Roze è stato pubblicato da M. Laborde nel 3º t. del suo Essai sur la musique.
Rubbi (l'abb. Andrea), veneziano, di cui si è parlato in questo tomo all'articolo Mayer, come autore di undici bellissimi Sonetti sull'armonia, pubblicati nel Mercurio d'Italia storico-letterario, Venezia 1797, è autore altresì di un'opera intitolata Il bello armonico teatrale, Ven. 1792, citata con somma lode dal Manfredini nelle sue Regole armoniche p. 70-193.
Ruetz (Gaspare), assai dotto in più scienze, e di molto distinto merito nella musica, fu allievo del vecchio Bach. Morì a Lubecca nel 1755, di 47 anni. Egli è autore di tre dissertazioni scritte in tedesco col titolo di Confutazione de' pregiudizj sull'origine della musica di chiesa, Lubeck 1750; Sullo stato presente della musica di chiesa, 1752; Confutazione de' pregiudizj contro la musica di chiesa, e delle spese che vi si richiedono, Rostock 1753. Nelle Memorie critiche di Marpurg, t. 1 vi ha di lui una Lettera intorno ad alcune idee di M. Batteux relativamente alla musica.
Ruggerio (Francesco), cel. costruttore di violini a Cremona, sopracchiamato il Ber, viveva verso la medietà del sec. 17. Due suoi violini esposti in vendita nel 1790 avevano la data degli anni 1640, e 1670. Giov. Batt. Ruggiero detto il buono, rinomato del pari per la costruzione de' violini, viveva a Brescia circa 1653. I suoi strumenti sono pregiatissimi.
Ruphy (J.-F.) nel 1802 pubblicò un piccol libro col titolo de la Mélomanie et de son influence sur la littérature, in 8º. Egli attribuisce la decadenza della letteratura ai progressi della musica nel 18º sec. Questa [245] stravagante opinione fu ancora sostenuta da M. Gin (V. il suo artic. t. 2, p. 176).
Rusti (Giacomo). Nato in Roma nel 1740, studiò la musica e la composizione primieramente nel conservatorio della Pietà in Napoli, e poi in Roma sotto Rinaldo da Capua. Passò quindi in Venezia, ove nel 1764, scrisse la sua prima opera la contadina in corte: nel 1774, compose la musica dell'Idolo cinese, del Socrate immaginario nel 1776, dell'Alessandro nell'Indie 1777, e di altri drammi per diversi teatri d'Italia, ove acquistossi grande stima ed onore. Egli si stabilì finalmente come maestro di cappella in Barcellona.
Rutini (Giovanni) nacque in Firenze verso il 1730 e fece i suoi studj musicali in Bologna sotto il cel. P. Martini. Viaggiò quindi per la Germania, e nel 1757 si stabilì a Praga, dove fecesi fortuna principalmente per la sua buona scuola di cembalo: le sue cinque opere contenenti 31 sonate per quest'instromento furono impresse a Norimberga. Nel 1766 tornò egli in Italia, e scrisse più opere per teatro, che furono molto applaudite. Tra le di lui composizioni vi si distingue Lavinia e Turno, cantata impressa a Lipsia, per ordine di S. A. Maria Antonietta elettrice di Sassonia che ne aveva composta la poesia intendentissima di musica, a cui dedicò l'ab. Eximeno la sua dottissima opera. Rutini morì in Firenze verso il 1795. Hiller cita con elogio le di lui sonate, ma dice che le sue cantate non sorpasseranno la mediocrità.
ERRORI | CORREZIONI | |
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Pag. | ||
5 | esano | erano |
ivi | della | dalla |
7 | meniera | maniera |
9 | tamperamento | temperamento |
ivi | 1510 | 1610 |
ivi | di | da |
20 | danti | denti |
26 | Muzart | Mozart |
27 | Joural | Journal |
66 | Feyolle | Fayolle |
67 | Ricercali | ricercari |
107 | Temistoele | Temistocle |
114 | sollenni | solenni |
140 | V. Frab. | V. Fabric. |
199 | formassi | formarsi |
ivi | reoole | regole |
216 | promette | premette |
218 | opra | opera |
Nota del Trascrittore
Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le grafie alternative (armonia/armonìa, patriotismo/patriottismo, qui/quì, magazino/magazzino, strumento/istrumento/instrumento, stromento/istromento/instromento, Pitagora/Pittagora e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate dall'autore a pag. 246 sono state riportate nel testo.
Per comodità di consultazione un indice schematico è stato inserito all'inizio del volume.
Sono stati corretti i seguenti refusi (tra parentesi il testo originale):
23 — | Levens (Carlo) [solo parentesi ( nell'originale, nome mancante], compositore |
27 — | Lingke [Linggke] (Giorgio-Federico) |
30 — | Si tratta d'un piccione [pippione] del |
34 — | le nozze del principe elettore [elettorale] di Sassonia |
53 — | gli consigliarono [sonsultarono] di coltivarle |
55 — | Marescalchi [Mareschalchi] (Luigi) |
100 — | morì in Modica [Modena] nel 1624 |
179 — | della principessa elettrice [elettorale] di Sassonia |
240 — | sulla sua maniera di pensiero [pensiere] |
End of the Project Gutenberg EBook of Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più c, by Giuseppe Bertini *** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK DIZIONARIO STORICO-CRITICO, VOL 3 *** ***** This file should be named 40819-h.htm or 40819-h.zip ***** This and all associated files of various formats will be found in: http://www.gutenberg.org/4/0/8/1/40819/ Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive) Updated editions will replace the previous one--the old editions will be renamed. Creating the works from public domain print editions means that no one owns a United States copyright in these works, so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United States without permission and without paying copyright royalties. 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